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Autore: Mayld    21/04/2021    3 recensioni
Due anime vicinissime, affini, quasi gemelle, intrappolate nei corpi di due persone all'apparenza opposte.
Due vite segnate dal dolore e dalle difficoltà; lei, 17 anni di silenziosa sofferenza e di cinismo, causati in buona parte dalla separazione dei genitori; lui, un secolo di vita che gli pesa quanto un millennio e che lo ha lentamente ma inesorabilmente condotto all'indifferenza e all'apatia.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charlie Swan, Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight
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CAPITOLO SECONDO
 
< Bella, non hai mangiato quasi nulla > Si lamentò Charlie mentre la figlia, già sull’uscio di casa, si infilava in gran fretta cappotto e scarpe da ginnastica per uscire.

< Si vede proprio che non sei più abituato ad avere donne in casa > Ridacchiò lei, lanciandogli un’occhiata sarcastica < Il fatto che io mangi meno di te non significa che mangi poco >

Charlie incrociò le braccia al petto e borbottò qualcosa sottovoce.

Dal salotto giunse l’eco di un ticchettio frenetico, proveniente dal grande orologio a muro a forma di trota che Charlie aveva vinto ad un festival della pesca e che, merito della sua completa mancanza di gusto, aveva orgogliosamente deciso di appendere proprio in mezzo alla parete del soggiorno.

Bella sobbalzò, come le capitava due volte su tre quando quell’affare iniziava a suonare.

< Oddio, sono già le due > Farfugliò in preda al panico, annodando a caso le spighette della seconda scarpa.

< Bells, davvero hai mangiato poco… > Ci riprovò Charlie, grattandosi imbarazzato il retro della nuca.

Era evidente che non avesse idea di come approcciarsi alla figlia, o più in generale ad un qualunque essere vivente che condividesse con lui la casa, dopo tanti anni di vita solitaria; ma era altrettanto evidente -e questo sotto sotto inteneriva Bella- che volesse impegnarsi per non farle mancare nulla.

< Ti prego, papà, sono in ritardo > Rispose di getto Bella, ma si sforzò di sorridergli < Prometto che se mi verrà fame mangerò qualcosa alla locanda >

Charlie parve tranquillizzato dalla risposta.

Senza abbandonare la sua espressione seriosa tornò ad incrociare le braccia ed annuì, fiero di poter dire che la sua parte l’aveva fatta.

Bella afferrò da terra lo zaino, se lo mise su una spalla e aprì la porta di casa.

< Ah, Bella, stasera.. > Aggiunse frettolosamente Charlie, come ricordatosi all’ultimo momento di qualcosa di fondamentale < Se non hai altri programmi, voglio dire… potresti venire con me a cena da Billy… sai, il vecchio Billy Black… che ne pensi? > Borbottò, visibilmente imbarazzato, evitando di guardare Bella negli occhi mentre parlava.

Bella, che dopo lo sforzo immane compiuto la sera prima per convincersi ad uscire aveva ardentemente sperato di poter recuperare il suo programma serale a base di té caldo, divano e libri, per un momento rimase immobile sulla porta, fissando il padre senza dire una parola.

Le sembrava quasi di poter sentire dal piano di sopra i lamenti di Anna Karenina, ingiustamente abbandonata sul suo comodino da più di una settimana; ma l’immenso sforzo che Charlie aveva fatto nell’avanzarle la proposta la convinse a cedere.

< Nessun programma. Vengo volentieri > Rispose accennando un sorriso, e prima che lui potesse accorgersi della bugia uscì di casa chiudendosi la porta alle spalle.

Bella corse verso il pick-up, rischiando di inciampare in una piastrella leggermente rialzata del vialetto.

Lavorava alla locanda dietro la scuola da appena una settimana e già rischiava di arrivare in ritardo; il suo turno sarebbe iniziato di lì a 10 minuti e lei non era tipo da superare i limiti di velocità o passare con il rosso.

Come spesso le succedeva nei momenti di agitazione, si perse completamente nei suoi intricati pensieri, cercando di valutare se le convenisse perdere la patente oppure il lavoro. Giunse presto alla conclusione che senza paga non avrebbe più potuto pagarsi nemmeno la benzina, così il lavoro vinse a mani basse.

Inoltre, essere la figlia del capo della polizia aveva i suoi vantaggi.

Spalancò la portiera del pick-up, pronta a montare su e fare la corsa più pazza della sua vita, ma qualcosa la costrinse a fermarsi. Richiuse piano la portiera ed osservò meglio ciò che nella fretta le era parso di vedere.

Una grossa ammaccatura era comparsa proprio al centro della fiancata.

Bella, nervosa e confusa, si chinò a bocca aperta per osservare il danno più da vicino. Proprio come aveva temuto e sospettato, intravide una sottile striscia di vernice grigia al centro dell’ammaccatura. 

L’idiota proprietario dell’auto di lusso accanto alla quale Bella aveva parcheggiato la sera prima fuori dal Misty Valley doveva aver preso in pieno il pick-up aprendo la portiera, e a causa del buio lei non se n’era accorta subito.

Improvvisamente furiosa, Bella iniziò a perlustrare ogni centimetro del pick-up, nella vana speranza di trovare incastrato da qualche parte un bigliettino di scuse, un numero di telefono o qualcosa di simile; nemmeno a dirlo, non trovò nulla di tutto ciò.

Perché diamine uno che poteva permettersi una macchina del genere non aveva nemmeno la decenza di farsi carico di un danno provocato? Quelli che per lui/lei sarebbero stati spiccioli, per Bella equivalevano a due settimane abbondanti di paga.

Più agitata (e più in ritardo) di prima, la ragazza montò in macchina e girò con rabbia la chiave nel quadro. Il motore si accese con il solito rombo strozzato e, con una rapida manovra in retromarcia, Bella si immise bruscamente sulla strada.

Per tutto il tragitto non fece altro che pensare a cos’avrebbe fatto la settimana successiva quando avesse trovato quella stupida auto metallizzata parcheggiata fuori da scuola.

Picchiettava nervosamente sul volante con le dita e, quasi senza accorgersene, premeva con sempre maggior forza il piede sull’acceleratore, ignorando totalmente la lancetta dei kilometri orari che schizzava sempre più in alto.

Pensieri omicidi e progetti di vendetta la accompagnarono fin quando non ebbe raggiunto lo spiazzo d’erba adibito a parcheggio fuori dalla locanda, che trovò insolitamente pieno.

Lanciò una rapidissima occhiata all’orologio: erano le 14.15 esatte.

Con lo sguardo sondò in fretta e furia il parcheggio, in cerca di un buco dove infilare il proprio pick-up; di colpo, sgranò gli occhi.

Tra le varie macchine parcheggiate, c’era anche quella stramaledetta Volvo metallizzata.

Bella strinse talmente forte il volante tra le mani che in pochi istanti le nocche le diventarono bianche.

Premette con rabbia il piede sull’acceleratore e, con una sgommata, raggiunse il lato opposto dello spiazzo dove c’era ancora qualche posto libero.

Scese dal pick-up sbattendo la portiera e corse verso l’ingresso posteriore della locanda, quello da cui entravano i dipendenti. La porta dava su un piccolo stanzino semi-buio, con due file di armadietti posizionate l’una sopra l’altra lungo una parete ed una panca di metallo appoggiata contro l’altra.

Dalla parte opposta dello stanzino c’era una porta che conduceva alle cucine e, superate quelle, attraversando un’altra porta si raggiungevano il bancone e la sala allestita per i clienti.

Bella aprì in fretta il proprio armadietto, il secondo partendo da sinistra, e ne estrasse un grembiule pulito. Al suo posto lasciò lo zaino, quindi richiuse l’anta e, ancora impegnata ad infilarsi il grembiule, entrò nelle cucine.

< Guarda un po’ chi si è degnata di arrivare > Commentò sarcastica Jessica senza nemmeno guardarla in faccia, mentre le sfilava davanti con un vassoio pieno di frittelle fumanti e tazzine di caffè.

Jessica era una ragazza alta e prosperosa, con lunghi capelli castani che le ricadevano a boccoli sulla schiena; aveva la stessa età di Bella e frequentava con lei diversi corsi a scuola.

Nonostante avesse la tendenza a squadrare chiunque dall’alto in basso e a fare in continuazione commenti sarcastici su tutto e tutti, per qualche ignota ragione pareva avercela con Bella in particolare.
 
Per un momento Bella rimase a fissarla come impietrita, ragionando sulla possibilità che la famigerata Volvo appartenesse proprio a lei. Tuttavia, le bastarono pochi istanti per realizzare che la sera precedente Jessica non si era vista al Misty Valley, e la sua teoria sfumò.

Troppo impegnata a concentrare la propria ira sulla questione del pick-up, lasciò che l’atteggiamento da schiaffi di Jessica le scivolasse addosso e, legatasi i capelli in fretta e furia ed estratto un piccolo block-notes dalla tasca del grembiule, seguì l’altra ragazza nella sala principale.

La locanda era piuttosto affollata; l’età media era più alta rispetto ai giorni infra-settimanali, quando gli unici ad avere del tempo libero nel pomeriggio erano gli studenti.
Questa era una circostanza assai positiva per Bella, che aveva già iniziato ad osservare ogni singola persona presente nella sala con l’obiettivo di individuare il possibile responsabile del danno al suo pick-up.
Sapeva soltanto che doveva trattarsi di un compagno di scuola, e al momento poteva escludere soltanto Jessica -che era certa di non aver visto la sera prima- e i 5 ragazzi con cui aveva passato la serata, che aveva visto andare via con macchine diverse.

La ricerca del colpevole, però, si rivelò più complessa del previsto; sebbene i ragazzi non fossero così tanti, ce n’erano almeno una decina che Bella era certa di aver già visto in giro per la scuola.

Continuando a guardarsi attorno con occhi indagatori, iniziò a girare tra i tavoli raccogliendo le ordinazioni; non appena ebbe passato in rassegna tutta la prima fila di tavoli si bloccò di colpo, tanto bruscamente che la tazza di té ancora mezza piena che aveva appena recuperato da un tavolo vuoto e caricato sul vassoio le si rovesciò addosso.

Bella si accorse a malapena delle risatine sommesse provenienti da chi aveva assistito all’accaduto, o del liquido caldo che rapidamente oltrepassava il grembiule infradiciandole la maglia. La sua attenzione era interamente rivolta ad un piccolo tavolino rotondo, addossato alla parete e in penombra, e a chi vi stava seduto.

Era il ragazzo che aveva visto la sera prima al bancone del Misty Valley.

Quello che usciva con le modelle.

Quello che per l’intera serata era stato l’oggetto principale dei discorsi e degli sguardi delle ragazze che erano con lei.

Ma ciò che al momento disgustava maggiormente Bella era il fatto che la ragazza assieme a lui non fosse la stessa della sera precedente.

Lui era seduto con la schiena appoggiata al muro e si passava distrattamente tra le dita il tappo di una bottiglia; lei aveva i capelli corti e corvini ed era -se possibile- anche più bella di Caroline Pitts. Teneva le gambe accavallate e dondolava leggermente un piede mentre, con la stessa aria distratta e noncurante del ragazzo, sfogliava una rivista di moda. 

Sebbene quel punto del locale fosse poco illuminato, i perfetti lineamenti dei due giovani si distinguevano chiaramente, facendoli sembrare quasi scolpiti nel marmo.

Insomma: quell’Edward Cullen in meno di 24 ore si era stufato di una ragazza e l’aveva rimpiazzata con un’altra.

Bella si sentì nauseata ed offesa allo stesso tempo; le sembrava quasi che quella cosa fosse un affronto all’intero genere femminile e che, di conseguenza, la riguardasse in prima persona.

Era talmente disgustata da non voler nemmeno avvicinarsi per prendere l’ordinazione; non era mai stata brava a mascherare le proprie emozioni ed era certa che le sarebbe sfuggita qualche smorfia poco educata.

D’un tratto, Jessica le passò accanto urtandola di proposito.

< Lascia, quel tavolo lo faccio io > Sibilò sottovoce.

Nonostante la spallata di Jessica ed il suo solito tono carico di simpatia, Bella fu talmente sollevata dal non dover avvicinarsi a quel tavolo che, senza battere ciglio, fece dietro-front e tornò al bancone.

< Oddio, ci riprova > Sghignazzò a bassa voce Logan - il ragazzo che stava alla cassa - quando Bella gli passò accanto in cerca di uno straccio con cui asciugare il pavimento.

< Come? > Chiese lei confusa, ma le bastò sollevare lo sguardo per capire di cosa Logan stesse parlando.

Jessica, letteralmente avvinghiata allo schienale della sedia su cui era seduto Edward, gli stava elencando il menù con voce civettuola; non considerava minimamente la ragazza che era con lui, la quale però non sembrava affatto seccata dalla situazione, ma piuttosto divertita.  

< In che senso ci riprova? > Chiese Bella, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quella scena imbarazzante.

< Si comporta così tutte le volte che lui viene qui; probabilmente spera ancora che lui la inviti ad uscire prima o poi > Rispose Logan, tentando di soffocare le risate. Dal modo in cui lo diceva non sembrava credere che Jessica avesse molte possibilità.

Bella lo fissò perplessa.

< Ma lei si comporta così, senza farsi problemi, davanti alle ragazze che vengono qui con lui? > Le pareva assurdo che persino una come Jessica potesse essere priva di scrupoli fino a quel punto.

Logan si fece di colpo serio.

< Oh, no, lui non porta mai qui le sue conquiste > Disse e, accorgendosi dello sguardo interrogativo di Bella che si era voltata a guardare la piccola, graziosissima ragazza mora seduta al tavolo assieme a Edward, aggiunse < Quella è Alice, sua sorella; viene spesso qui assieme a lei >

Bella scosse leggermente la testa, come sforzandosi di metabolizzare tutte quelle informazioni.

Quindi erano fratelli? Certo, erano entrambi estremamente attraenti, ma si trattava di due bellezze molto diverse. A parte la carnagione delicata e chiarissima che caratterizzava entrambi, non sembravano avere molti tratti in comune: lei aveva i capelli molto più scuri, i lineamenti dolci ed il viso sottile. Lui, al contrario, aveva la mascella pronunciata e tratti più duri, anche se nel complesso altrettanto armoniosi.

< Il tuo straccio > Disse Logan, mettendole in mano una pezza umida e risvegliandola così dai suoi pensieri.

< Ah, già, ti ringrazio > Farfugliò Bella, che aveva quasi dimenticato il motivo per cui era lì, e fece nuovamente il giro del bancone per andare ad asciugare gli schizzi di tè che avevano macchiato il pavimento.

Mentre strofinava le piastrelle scure, sotto gli sguardi divertiti di coloro che le avevano visto combinare il disastro, era sufficientemente vicina al tavolino rotondo da riuscire a cogliere qualche frase della conversazione.

< Davvero, sono a posto, non voglio niente > Stava dicendo Edward -sulla difensiva- a Jessica, che non accennava minimamente ad andarsene.

< Nemmeno un caffè? O una spremuta? Abbiamo delle arance favolose > Insistette quest’ultima, con un tono di voce talmente smielato da far venire la nausea a Bella.

Quest’ultima, continuando a strofinare, con la coda dell’occhio vide la bellissima ragazza dai capelli corti e neri portarsi una mano alla bocca per soffocare una risata.

Bella fece per rialzarsi, ma proprio in quel momento la sua attenzione fu catturata da un piccolo oggetto appoggiato sulla superficie lucida del tavolo: le chiavi di una macchina; le chiavi di una Volvo.

Tutta i pensieri omicidi che fino a poco prima le avevano affollato la mente riaffiorarono all’istante; Bella scattò in piedi, stringendo i pugni.

< TU > Sibilò, avvicinandosi a lunghi passi al tavolo rotondo.

All’unisono, i volti di Jessica, Edward ed Alice si voltarono verso di lei.

Per la prima volta gli occhi di Bella, dardeggianti d’ira, incontrarono quelli del ragazzo, che soltanto allora vide essere di un colore caldo, ambrato, decisamente fuori dall’ordinario.

Lui la osservava stupito, quasi confuso, mentre Jessica la squadrava con la solita aria piena di astio e superiorità.  

< TU hai distrutto la fiancata della mia auto e non hai nemmeno lasciato un biglietto > Ringhiò Bella, ma per un momento dovette distogliere lo sguardo dagli occhi del ragazzo, talmente luminosi e penetranti da mandarla in confusione.

L’espressione stupita e disorientata dipinta sul viso perfetto di lui si dileguò rapidamente.

< Ah, quella era la tua auto? > Disse pacato, raddrizzandosi sulla sedia < Credevo fosse un catorcio abbandonato >

A quelle parole Jessica scoppiò a ridere di gusto, mentre la sorella di Edward gli tirava un calcio da sotto il tavolo e gli rivolgeva un’occhiata di rimprovero.

Bella lo fissava incredula, con la bocca spalancata.

Non soltanto non si era scusato, ma aveva addirittura approfittato per offendere lei ed il suo pick-up.

< Senti… > Cominciò a dire, con la voce che iniziava a tremarle per la rabbia.

< Sono spiacente, temo sia stata colpa di Caroline > La interruppe lui, tornando con noncuranza a giocare con il tappo di bottiglia che aveva in mano < Aveva bevuto un po’ troppo forse >

Bella, sempre più scioccata dall’atteggiamento strafottente e menefreghista del ragazzo, non trovava più nemmeno le parole con cui continuare.

< Avresti dovuto lasciare un biglietto > Ripeté secca, non riuscendo a trovare nient’altro di meglio da dire.

Lui tornò a fissarla negli occhi e sorrise, gelido.

< Ascolta, se è una questione di soldi nessun problema, ma ti chiederei, come favore personale, di usarli per prenderti una macchina che sia degna di questo nome, piuttosto che per farti riparare quel rottame >

Bella non ricordava di essersi mai sentita così furibonda nei confronti di qualcuno prima di quel momento.

Stava per urlargli contro in risposta quando si bloccò, distratta dallo strano comportamento di Alice.

La ragazza si era appena irrigidita sulla sedia, aveva stretto forte le mani sullo spigolo del tavolo ed aveva lo sguardo fisso davanti a sé, perso nel vuoto.

Anche Edward si voltò a guardarla, con una nota di preoccupazione negli occhi; eppure, non le chiese niente, quasi come se quel comportamento non lo stupisse più di tanto.

Bella, disorientata ma comunque determinata a non lasciar senza risposta l’ultima offesa ricevuta, smise di chiedersi cosa stesse succedendo e ringhiò al ragazzo:
< Scordatelo, non voglio i tuoi soldi > E detto questo diede le spalle a lui, Alice e Jessica e tornò a passo di marcia nelle cucine.  
 
   
 
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