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Autore: Cossiopea    22/04/2021    1 recensioni
[AVVERTENZA: questa storia contiene SPOILER per PJO, HoO, ToA]
[...] - Sei l'eroe di molti, Percy - continuò - La stima è cresciuta attorno alla tua persona, una fama di cui forse non ti rendi neanche conto. Ciò che hai fatto ha scaldato i cuori, illuminato gli animi di candida speranza, ma soprattutto ambizione. L'ambizione rende ciechi, aperti alle minacce più oscure, conduce verso mete ignote, dove la mente può perdersi.
- Continuo a non capire - farfugliai, gli occhi sgranati.
Ecate annuì pacatamente e il fumo si arricciò tra i suoi capelli scuri.
- Non devi capire - bisbigliò, come parlasse a se stessa - Non lo farai mai... I mondi in cui ti stai per inoltrare... - schioccò la lingua - non sono fatti per essere compresi.
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, Annabeth Chase, Nico di Angelo, Percy Jackson, Will Solace
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6. Will Solace


​Lora piangeva nel sonno.

Il suo pianto era lancinante, penetrava nell’anima come se fosse in grado di stracciarla.

Era straziante vederla subire il proprio dolore senza poterla aiutare, ascoltare con impotenza ogni singolo lamento. La cosa peggiore che può succedere ad un medico è guardare i suoi pazienti soffrire senza la facoltà di interporsi alla loro afflizione, osservare i loro pianti sapendo che quelle ferite difficilmente guariranno. E la situazione di Lora era talmente instabile che temevo seriamente di vederla spirare tra le mie braccia da un momento all’altro. E allora sarebbe stata colpa mia.

La luce smorta di New York entrava a sprazzi dal finestrino opaco di pioggia, illuminando ad intervalli irregolari l’agonia sul visino contratto di Lora e la rigida serietà immortalata in quello di Nico. Il figlio di Ade guardava la piccola come se fosse già morta, la stessa fredda espressione che gli avevo visto rivolgere a qualsiasi situazione senza speranza, durante innumerevoli guerre.

La testa di Lora era adagiata in grembo a lui, con i sottili e lunghi capelli neri che gli scivolavano sui jeans scuri, fondendosi in una massa confusa.

Le presi la piccola mano gelida e la strinsi nella mia, il cuore rinchiuso in una morsa.

– Andrà tutto bene – bisbigliai, talmente piano che io stesso stentai a sentirmi.

Nico mi rivolse uno sguardo tremolante, il volto scavato dalle ombre della notte. Nei suoi occhi guizzò qualcosa di amaro e distante, ma non avrei saputo dire se fosse reale o uno scherzo del buio. Con lui, non ero mai sicuro di niente. Forse è anche per questo che mi piaceva tanto.

La ragazzina emise un altro lamento strozzato, e l’ennesima silenziosa lacrima le scivolò lungo la guancia incavata.

Dal sedile del passeggero, Percy sussultò.

Ho una specie di sesto senso nel percepire quando le persone sono a disagio, stressate, provate dal momento o ferite interiormente in qualsiasi modo. La mia mente sforna in automatico diagnosi istantanee per qualsiasi persona io abbia davanti, senza che possa controllarlo. Succede e basta.

E il mio innato istinto medico mi suggeriva che Percy Jackson, mentre il taxi imboccava vie sempre più strette, diretto fuori città, non aveva la minima voglia o forza morale di essere lì con noi.

Non sapevo se dargli ragione o essere arrabbiato con lui per quell’insensibilità.

Nel dubbio, decisi di ignorarlo.

In un modo o nell’altro, saremmo stati costretti a spiegargli la situazione, prima o poi. Quindi, meglio poi che prima, quando saremmo stati circondati dai confini famigliari del Campo, invece che chiusi in un abitacolo, in mezzo alla pioggia e in compagnia di un vecchio mortale.

Quest’ultimo, come mi avesse letto nel pensiero, tossicchiò leggermente, facendomi correre un brivido lungo la schiena.

– Allora – esordì in tono burbero, mentre il semaforo davanti a noi diventava rosso e la vettura si fermava con un trotterellare del motore. Tamburellò le dita arcuate sul volante – Voi vi conoscere tutti, sì?

Nico ed io ci scambiammo un’occhiata.

Con uno sguardo e un fremito delle labbra, gli intimai di restare sul vago, cosa che per lui non era mai stata un problema.

– Sì – rispose Di Angelo dopo un istante.

Pensai che volesse aggiungere qualcosa, ma il ragazzo si azzittò immediatamente, abbassando lo sguardo su Lora e facendole passare le dita tra i capelli corvini, in una lieve carezza.

Sospirai mentalmente.

Non così vago, Nico! Sibilai nella mia testa.

– Siamo una specie di famiglia – disse Percy dopo un attimo di imbarazzante silenzio. Nella penombra, lo vidi incrociare le braccia sul petto – Andiamo allo stesso campo estivo.

– Mh, capisco – mugugnò l’uomo. Il semaforo divenne verde e la macchina tornò ad avanzare con uno sbuffo e il grattare delle ruote sull’asfalto incrinato – Anche la ragazzina?

Vidi Percy irrigidirsi e, ancora una volta, pensai che lui non dovesse assolutamente stare lì. Per una volta, quella missione non era sua competenza.

– Più o meno – intervenni, dopo aver deglutito a vuoto – Però adesso lei sta molto male e la portiamo a… a casa – aggiunsi, in un balbettio.

– Mh – ripeté il tassista.

Per qualche istante, l’unico suono udibile fu il respiro affannato di Lora e lo stridio regolare dei tergicristalli.

– E il vostro campo estivo è a Long Island? – chiese il vecchio, dopo un po’.

Io mi morsi un labbro.

– Sì, beh – boccheggiai un secondo, alla ricerca di qualcosa di intelligente che potesse giustificare il fatto che eravamo in inverno inoltrato e che, presumibilmente, i campi estivi non si tengono in questa stagione – Funziona anche in questo periodo – borbottai infine, poco convinto.

Nico mi scoccò un’occhiataccia, che io liquidai scuotendo impercettibilmente il capo.

– Capisco – disse l’uomo, senza dar segno di aver notato la mia esitazione. E lì tacque, facendo calare su di noi l’ennesimo, teso silenzio.

Lora emise un gemito e io le strinsi ulteriormente la mano nella mia, conscio della sua sofferenza che non potevo alleviare. Più dei frammenti di ambrosia con cui l’avevo imboccata, non sapevo cos’altro l’avrebbe salvata…

Speravo soltanto che qualcuno, al Campo, potesse aiutarla davvero.

Quando aveva selezionato me e Nico per l’impresa, il Signor D aveva detto che avrebbe provato a farlo. Aveva promesso che, sotto la sua protezione, Lora avrebbe vissuto. E io avevo bisogno di crederci.

Quella bambina aveva sofferto troppo per morire così, adagiata sul sedile di un taxi, nel buio di una notte priva di luna.

Percy Jackson si voltò rapidamente verso di noi, in un gesto fulmineo che forse sperava non venisse notato.

Vide Lora, impallidì e incrociò il mio sguardo accusatore. Serrò le labbra in una linea sottile e si scusò annuendo lievemente. Tornò a guardare la strada.

Sospirai lentamente, domandandomi se quel figlio di Poseidone potesse, in qualche modo, essere collegato con tutto questo.

Se, per qualche ragione, la sua presenza significasse qualcosa.

Lora non pesava quasi niente.

Era talmente scheletrica che Nico non faticò tanto a prendersela sulle spalle. Visto così, con i capelli della ragazzina che gli piovevano sulle spalle in cascate di tenebre, faceva quasi paura.

Percy scese dopo di noi, pallido come mai lo avevo visto e con delle spaventose occhiaie sotto agli sgargianti occhi verdi. Io e lui ci dividemmo il prezzo della corsa senza dire una parola.

Guardammo per un attimo il taxi allontanarsi lungo la strada buia. L’acquazzone era cessato pochi minuti prima, ma l’aria era ancora frizzante, e torbide nuvole nere si attorcigliavano nel cielo, permettendo solo a qualche remota stella di affacciarsi sul mondo reduce di pioggia.

Jackson si voltò verso di noi e vidi una scintilla di vita accendersi nel suo sguardo esausto.

– Quindi? – fece, aggiustandosi lo zaino sulle spalle. Le sue pupille guizzarono da me, a Nico, a Lora sulla sua schiena.

Gli rivolsi un sorriso stanco.

– Ti va se prima arriviamo al Campo?

Percy aprì la bocca per replicare, poi la richiuse e annuì in un gesto meccanico, con fare rassegnato. Indicò la collina alle mie spalle. Sulla cima si scorgeva l’elmo dorato dell’Atena Parthenos, che svettava autoritaria su tutta la valle, cospargendola di un caldo bagliore.

– Forza, allora – disse, incamminandosi davanti al gruppo.

Io e Nico ci scambiammo l’ennesimo sguardo complice della nottata e lo seguimmo.

Sotto i nostri passi, foglie secche e rametti scricchiolavano in modo sinistro sul terreno umido e sdrucciolevole, mentre avanzavamo in quella oscura immobilità.

Mi ritrovai a guardarmi spesso alle spalle, nel timore che qualche mostro saltasse fuori dalle tenebre e ci assalisse. Quel silenzio mi angosciava.

In salita, dopo pochi minuti di insidioso tragitto, Nico iniziò ad ansimare sotto il peso di Lora, che, seppur leggera, non era indifferente al suo fisico mingherlino.

Percy si girò verso di lui e sospirò. Senza dire niente, tornò indietro di qualche passo e gli sollevò la ragazzina dalle spalle, caricandosela in groppa e lanciandomi il suo zaino, mentre la piccola singhiozzava piano. Il figlio di Ade aggrottò leggermente la fronte, ma non si lamentò, ringraziandolo con un freddo movimento del capo.

Jackson gli sorrise.

Nico continuò ad avanzare con sguardo corrucciato, mentre io facevo scivolare la mia mano nella sua, cercando di distrarmi dai gemiti con cui Lora squarciava la notte.

In cima alla collina, restammo per qualche attimo nell’ombra dell’Atena Parthenos, riprendendo fiato e scrutando il Campo Mezzosangue che si stendeva sotto di noi, costellato da timidi bagliori ambrati.

Il falò serale doveva essere ormai terminato da un pezzo, e ora solo qualche sporadica luce lampeggiante brillava alle finestre delle Cabine e della Casa Grande.

Nel complesso, la tranquillità che trasmetteva quel luogo conosciuto mi scaldò il cuore, mentre i miei occhi schizzavano alla Cabina 7, la quale sembrava irradiare un bianco chiarore anche nel ghiacciato buio invernale.

Percy, accanto a me, prese un respiro profondo, sistemandosi Lora sulle spalle e lanciando a Nico e me un sorriso sbilenco.

– È sempre stupendo – commentò, tornando a guardare la valle.

Nico annuì, inarcando leggermente un angolo della bocca.

– Sempre – disse, il tono stranamente calmo. Neanche il tempo di pensarlo che il mio ragazzo si rabbuiò di nuovo, voltandosi a scrutare Lora e la sua piccola testa ciondoloni sulla spalla del figlio di Poseidone – Ma adesso è meglio sbrigarci.

– Grazie agli dei state bene!

Il volto di Chirone era una via di mezzo tra una maschera di preoccupazione e immacolato sollievo. Mi stava guardando con l’aria apprensiva di un genitore iperprotettivo. Ricambiai con un sorriso tirato.

Le ruote della sua sedia a rotelle girarono con un lieve cigolio mentre lui ci raggiungeva sulla soglia della Casa Grande, seguito dal Signor D, il quale gli stava alle spalle con una serietà che poche volte gli avevo visto in viso.

La lampada a led che rischiarava il portico scavava ombre profonde sulle guance di entrambi.
– Ah, Perry – Dioniso si accorse di Percy, dietro di me, e lo salutò con un cenno del mento – Ti unisci alla festa, vedo – ma il suo tono era più amaro che scherzoso.

Jackson spostò il peso da una gamba all’altra, evidentemente a disagio. Sulla sua schiena, Lora emise un tenue lamento.

Chirone parve accorgersi di lui solo in quel momento, e il suo antico sguardo schizzò in quegli occhi verde intenso. Guardò il figlio di Poseidone per un lungo momento, come se stesse tentando di capire se fosse veramente lì.

– Percy… – mormorò infine – Sei qui anche tu…

– Perspicace, Chirone – replicò il Signor D, acido. Incrociò le braccia sulla camicia giallo evidenziatore, accigliandosi appena.

Il centauro gli scoccò un’occhiataccia.

– Forse è meglio che entriamo – disse, ignorando il commento. Tornò a rivolgerci il suo sguardo preoccupato, che finì per posarsi su Lora. Qualche cosa di sbagliato, lo stesso guizzo che avevo scorto sul volto di Nico nella penombra del taxi, gli lampeggiò negli occhi.

Improvvisamente, ebbi una brutta sensazione nei confronti del prossimo futuro. Il potere profetico che mi scorreva nelle vene fremette. Avvertii su di me l’occhiata silenziosa che mi rivolse Apollo dall’alto dell’Olimpo.

Mi strinsi nelle spalle mentre ci accomodavamo sui divanetti della Casa Grande.

Seymour sonnecchiava nell’angolo, in un basso brontolio.

Il camino era acceso e le fiamme scoppiettavano in scintille dorate, spandendo un caldo tepore in quell’ambiente famigliare. Dopo quasi un giorno di eventi confusi e affilata sofferenza, mi sentii davvero a casa.

Mi lasciai ricadere accanto a Nico con uno sbuffo. Il ragazzo posò con nonchalance la testa sulla mia spalla, come aveva fatto altre centinaia di volte, chiudendo gli occhi e sospirando piano. Mi sfuggì un lieve sorriso.

Percy, nel frattempo, si stava facendo scivolare Lora dalla schiena. La prese tra le braccia, una mano sotto le gambe e una a sostegno del busto, mentre le labbra violacee della piccola si ripiegavano in una smorfia angustiata. In braccio a lui – alto, atletico, le guance colorate per la salita – quella ragazzina sembrava una sbiadita bambola di pezza.

Il figlio di Poseidone guardò Chirone con aria angosciata, infilzando i denti nel labbro inferiore.

– Chirone – farfugliò infine – Lei chi è? – domandò con un filo di voce, alludendo alla piccola che reggeva.

Il centauro sistemò la propria sedia davanti al camino, stringendosi nella felpa di pile per poi farsi passare una mano sul volto stanco. La sua sagoma svettava argentea nel semibuio, con la luce della brace alle spalle.

– Vedi, Percy, lei è… – si interruppe e sospirò profondamente. Non ricordavo mi fosse mai sembrato così stanco come ora.

– Lora – intervenne a quel punto il Signor D, accomodandosi su una poltroncina di velluto color polvere. Annuì con fare rassegnato, quasi che quel nome significasse qualcosa di altamente sgradevole – Lora Kassandra Gray.

Percy corrugò la fronte, probabilmente chiedendosi perché il nome della ragazzina lo pronunciava bene e il suo lo storpiava undici volte su dieci. Mezzo Campo aveva iniziato a fare meme bellissimi su tutto ciò. Quelli della Casa di Afrodite si divertivano a scrivere sulla porta della Cabina 3 Perry Jenitor con un glitterato pennarello rosso.

Fortunatamente, io e qualche altro nobile cuore ci impegnavamo sempre a cancellarlo prima della successiva visita di Percy.

– È una semidea, giusto? – fu la voce dello stesso Jackson a riportarmi alla realtà – Ha superato la barriera.

Chirone annuì con aria grave.

– Esatto – disse, cupo, come se l’essere un mezzosangue fosse improvvisamente diventato un crimine – Lei è… – ma non terminò la frase.

Fu proprio in quel momento, quasi che qualcuno, là in alto, avesse premuto un interruttore, che un’intensa luce viola si incendiò pochi centimetri sopra la testa esanime di Lora, le cui palpebre, per la prima volta, sfarfallarono in scattanti tremiti.

Percy spalancò la bocca, fissando stranito quel bagliore informe delinearsi davanti al suo naso in due sibilanti torce incrociate, le quali bruciarono come vampe in tetri lampi violacei.

Il simbolo di Ecate.

Le torce scintillarono come fari accecanti, mentre i lunghi capelli scuri di Lora iniziavano a dimenarsi, agitati da un vento invisibile. La ragazzina, ancora svenuta, si sollevò nell’aria, simile alla velina di un trucco di magia. Percy lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, facendo un timido passo indietro, lo sguardo ancora incollato al simbolo fluttuante. Infine, si inchinò, esitante.

Io deglutii a vuoto, sentendo la mano di Nico stringersi nella mia con forza. Ci alzammo in piedi all’unisono, in un gesto istantaneo, per poi inginocchiarci l’uno accanto all’altro davanti a Lora, che, sospesa nel vuoto, con le labbra socchiuse, avvolta da un telo color del più puro dei vini, appariva un fantasma.

– Lora Kassandra Gray – sussurrò Chirone, chinando il capo – Figlia di Ecate.

   
 
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