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Autore: Sae    28/08/2009    4 recensioni
"È più questione d’alchimia. Giuro.
Alchimia. Non è colpa mia se l’amore, se anche questa cosa, è una reazione chimica… è l’unione di due pelli, di due odori…è una cosa strana… Non scherzo, sono seria.
Alchimia. Se fosse un elemento chimico, lui, credo sarebbe il carbonio. Io sarei di più un OH, ecco..."
Seconda classificata al SasuSaku contest indetto dal forum - My Only Desire-
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Mi hai mentito! Mi hai mentito!”


Le blocco i polsi bianchi, sottili. Vederla arrabbiata è una sensazione strana. Ma rimango indifferente mentre la sua voce si fa alta e incomincia a piangere. Inevitabilmente piange. Le lacrime cadono come acqua dalla cascata e luccicano su quella pelle resa nivea dalle luci di un laboratorio. Tra i singulti, quegli occhi verdi foglia sono ancora più grandi. Assurdamente mi sembra di averla già vissuta in un’altra vita una scena del genere….


“Vedi. Tu sei fatta così. Hai sempre bisogno di sapere i più piccoli particolari della vita di una persona prima di affidarti completamente a essa. Dici di avermi scambiato per qualcun altro ma forse sono io ad averti scambiato per qualcos’altro. Ti ho valutato troppo. Perché devi per forza sapere, gli inutili vincoli che regolano la vita di tutti i giorni? Per te sono importanti assurdità come il compleanno, gli anni, il lavoro… il passato. Perché, per voi, l’identità è più importante di tutto?

E se uno non la sa la propria identità, se si è trovato buttato in una vita così, trascinato da forze più grandi di lui, dato che non aveva né vincoli, né legami… che diritto hai tu di farglielo notare, di saltare subito alle conclusion … di giudicare? Che diritto hai tu, per venire a dirmi che sono un bugiardo?


E bene? Lo sono. Tu sei sempre veritiera?

Ti consideri un’eroina, una paladina dei geni. Che diritto hai di creare la vita tramite cellule in provette di vetro? Che diritto hai tu, per dire se una cosa è giusta o sbagliata? Te lo dico io: Nessuno.

Vivi, come me, imprigionata in forze più grandi. Siamo schiavi e parassiti dell’universo. Io ho un mio modo per affrontarli, tu hai il tuo. Io uso una pistola, tu un microscopio. Mi accusi di mentire quando già tutta la vita si basa su una menzogna. Gli uomini s’illudono costantemente per sopravvivere e scappano di fronte alla verità.


Io adesso sono stato sincero che importa se prima ho mentito? Di chi sei innamorata tu, che dici di essere innamorata –di amare…? Sei innamorata di ciò che non ero, di un’illusione, o hai amato oltre quello che sono?


Poco male se non rispondi. Non m’interessa saperlo.

Anche perché ragazza, mia sciocca e insopportabile seccatura… farò finire questa menzogna o verità adesso, perché se tu la crei la vita, io la levo.”


Un bacio completamente diverso dal primo, da quello scambiato in un corridoio un po’ angusto che sapeva di acari e di chiuso. Un bacio che sa di dolore, di verità, di menzogna. La cosa più assurda e che malgrado la minaccia... il viso, le mani, le labbra stesse, le mie labbra non riescono a respingere il bacio non vogliono allontanare colui che mi ha spezzato il cuore e che ha il compito di uccidermi.

È un meccanismo strano quello che nasce quando una persona si trova a tu per tu con la morte.

Mi chiedo se una persona diversa, una che magari ha avuto una vita normale, degli spasimanti, una che ha vissuto davvero dico, una che ha amato… sarebbe scappata. Eppure è stato sincero: li ha confidati tutti i suoi dubbi alla vittima, si è liberato la coscienza prima di sparare, il carnefice. Un’altra persona, magari anormale come me, avrebbe morso quelle labbra avrebbe incominciato a gridare, oppure se timida sarebbe svenuta, impallidita. Un’altra ancora sarebbe rimasta a sfidarlo forse per un senso di orgoglio, forse per mettere alla prova anche chi ha di fronte: la vittima avrebbe assaggiato solo il bacio e poi avrebbe con la manica della giacca pulito le proprie labbra.

Io invece rimasi lì. Anche se qualcosa dentro mi suggeriva che lui era spietato, che non avrebbe esitato a premere il grilletto, a macchiarsi le mani… anche se adesso mi stava baciando.

Il bacio di Giuda non potrebbe avere altro sapore se non quello.


Non potetti far altro che ricambiare quel bacio, in una danza che sapeva di morte eppure di vita. La verità è che il mio muscolo dentro, quello che pompa del sangue alle arterie non vuole muoversi nè credere alla parole, alle illusioni, alle mezze verità uscite da quella bocca leggermente increspata ora.

Malgrado tutto, saggio la vita prima della morte.


Non è che poca cosa.

In fondo, ha ragione.


“Se io non ho il diritto di crearla la vita. Tu che diritto hai di toglierla?”


Breathe

#2 Cause you can't jump the track

Una conferma gliel’aveva fornita proprio lui. Il camice bianco era abbottonato male quella mattina. Fugaku non amava i camici e i bottoni. Matematico, non amava un mucchio di cose. Così Sakura stava ridendo mentre lui si aggiustava la divisa candida. Poi lei gli saltò al collo, depositando un bacio sulla guancia. Un po' gli faceva male vederli, a Naruto, Sakura gli piaceva e glielo aveva anche detto. La scienziata gli aveva risposto che l'amore vero lui ce l'aveva sotto il naso, ma che non era lei. Solite frasi del misterioso universo femminile. Non aveva indagato più di tanto, anche perché aveva altro a cui badare. Quel gesto così semplice e genuino l'aveva fatto trasalire. Fugaku, infatti, aveva sbuffato pulendosi con il palmo della mano, quasi come un bambino che rifiuta il bacio della madre perché troppo cresciuto. E il luccichio, per colpa del neon così ben piazzato in alto sul soffitto, non sfuggì né agli occhi di Naruto, né a quelli di Fugaku. Si osservarono e fu più che sufficiente.

**

Non esisteva una parola per definire, quello che aveva provato quando l'aveva guardata negli occhi e detto la verità.

Era la prima sera lontano dal laboratorio dopo tre mesi. Erano andati fuori a cena, lui l'aveva prelevata da casa e lei si era fatta prestare per l'occasione un abito da Ino dato che, presa solo dal suo lavoro, erano state poche le occasioni che le avevano concesso di mostrarsi in una versione elegante. Era un tubino nero, seducente nella sua semplicità. Ino bisbigliava che era solo merito suo se le stava d’incanto. Il nero faceva risaltare la carnagione bianca come un foglio di carta. La bionda aveva da sempre l’innata capacità di far sentire Sakura importante. Fin da piccola la Yamanaka aveva assunto un istinto di protezione e contemporaneamente di sfida nei suoi riguardi. Erano maledettamente diverse eppure troppo simili, testarde, orgogliose. Quella sera Sakura si sentiva come una principessa delle favole.

Ma né le favole né le principesse esistono in un mondo fatto di numeri e di atomi di carbonio.

Fugaku, sì Fugaku, l’aveva avvisata, le aveva detto che era una sciocca, una visionaria; esattamente nello stesso modo con cui guardandola negli occhi le confessò chi e ciò che lui era.

**

Gli occhi neri affondavano malamente in quelli di lei ma sorreggevano lo sguardo. Forse brillavano, perché nel verde foglia si leggeva una richiesta di soccorso che lui sapeva accontentare solo con un' azione. Tremavano le belle spalle avvolte in quel tubino. La giacca finita malamente sul divano, lui in piedi vicino alla lampada accesa, finita a terra dopo la colluttazione, che cercava comunque di riprodurre un clima famigliare. Una luce completamente insolita, avente una tonalità più attigua al rosso, differente da quella scarna del laboratorio.

Non le rendeva giustizia quella luce. La lampada non catturava le tonalità dei suoi capelli rosa e degli occhi verdi, grandi, che invece così sembravano di più delle gemme opache.

Il nero, al contrario, rimaneva tale, assorbendo tutte le radiazioni della luce. Sasuke probabilmente, in quel momento, si sentì una pura macchia d’inchiostro che stava andando ad intaccare quel bianco foglio che era lei.

Di certo aveva mandato tutto a fanculo. Aveva rivelato chi era, come faceva solo in rare eccezioni: quando aveva la pistola puntata contro l’obiettivo pronto a sparare, in modo da vedere dapprima lo stupore che provocava lui, il suo nome e il suo lavoro e dopo la rabbia fino a passare all’espressione di terrore che contraeva il viso di chi stava per eliminare. Di solito in quel modo fissava per sempre i lineamenti che delimitavano la soglia dello stupore e della paura, perchè lui quei sentimenti, in fondo, non li aveva mai provati davvero. Ma comunque il suo cervello era un vero archivio, i volti di chi uccideva rimanevano improntati nella sua mente come le tacche che adornavano la sua bella donna d’argento.

E chissà perché portandosi lentamente alla bocca la sigaretta ancora spenta, l’aveva semplicemente guardata e detto il resto della verità.

“Sono un serial-killer.”

Le labbra erano asciutte e quasi si screpolavano a contatto con la cartina della sigaretta che aveva in bocca. Aveva la bocca calda come se avesse parlato chissà per quanto, come se avesse terminato un romanzo che narrava tutta la sua vita….

Sakura Haruno, scienziata. Corpo esile, occhi verdi e capelli rosa assurdi. Venticinque anni, laureata, un genio in chimica. Nata da una madre medico e padre archeologo, sempre assenti entrambi, è cresciuta con sua nonna, la vecchia Tsunade, scienziata anche lei. Sakura Haruno che ha una vita semplice, un appartamento in centro, amica di Ino Yamanaka modella e poi stilista di una nota casa italiana.

Ripassava mentalmente il suo dossier nell’attesa, nel pallido tremore del suo corpo bianco che si sarebbe scagliato contro di lui, contro quello che in realtà erano numeri e atomi di carbonio.

**

La porta non fece rumore chiudendosi. Ma forse era lei così presa da quello che stava accadendo, dagli eventi, che aveva limitato il suo campo uditivo solo a quello che poteva provenire da lui. Si sentiva così a disagio, lui si era offerto di accompagnarla, lei aveva provato a opporsi ma prima di aprir bocca lui, sussurrando aveva detto che non era consigliabile vagare da sola di notte. Così avevano camminato in silenzio fino ad arrivare al portone. Poi era stata lei a chiedergli se voleva salire giusto così, per offrirgli un drink. Lui non aveva risposto ma aveva fatto un cenno col capo, più silenzioso e strano del solito.

“Fugaku cosa posso offrirti?” le chiavi di casa penzolavano da dietro la porta e la sua voce aveva tremato leggermente nel pronunciare il suo nome.

Ma lui, in piedi in mezzo al salotto, era come se nemmeno l’avesse sentita. Guardava delle foto su un ripiano di legno, giocando con l’accendino che aveva in una mano. Quel rumore era leggermente fastidioso ma comunque Sakura non disse nulla, cercando di dimostrarsi dolce, affabile –Ino aveva blaterato di comportarsi in quel modo, ma poi il perché non lo capiva, e davvero la mandava in crisi il fatto di non essere stata istruita per quelle cose, di non aver nessun libro o manuale d’istruzione per situazioni post-appuntamenti. La cosa più assurda era che per quanto si sforzasse, con lui riusciva ad essere solo se stessa, un libro aperto. Il che era strano fin da piccola aveva imparato a mascherare le sue emozioni; quando il padre partiva per lavoro lei faceva finta di niente, di non restarci male. Si era sempre buttata tutto alle spalle e quindi davvero non riusciva a capire perché faceva solo quello che si sentiva stando con lui, era semplicemente genuina, se stessa, anche se lo sapeva che in quel modo rischiava di farsi male, di rimanerci secca.

“Fugaku…?!” Chiamarlo le sembrava così sciocco. Inutile, a dire il vero, anche se quel nome non sembrava fatto a posta per lui. Strano a dirsi, conosci una persona e pensi che avrebbe dovuto portare un nome diverso, non riusciva a farlo proprio con quel nome, non riusciva ad abituarsi al suono di quelle lettere.

Tuttavia, stavolta lo vide trasalire leggermente al suo nome e Sakura rimase ferma sentendosi improvvisamente in balia degli eventi. Le spalle si mossero quando lui si decise a parlarle, e come per metterla di più in difficoltà prima di pronunciare parole di senso compiuto, si limitò a giocare di nuovo con il suo accendino di ferro che sembrava tanto un dono di famiglia.

“Non chiamarmi più così…”

La voce non era dura o comunque al suo orecchio non suonò come una minaccia. Era di più un dato di fatto. Quasi un ordine e lui amava dare ordini, usare quel tono da saccente. All’affermazione cercò di non dare peso, malgrado quella potesse pesare come un’offesa e nonostante i battiti accelerati del suo cuore la mettessero in guardia.

“…Sakura.”

Il suo nome combaciò con l’ennesima chiusura dell’accendino. Un rumore di ferro pesante, che stonava invece con il suono della parola Sakura.

Si voltò lui, e con l’accendino in una mano continuava a giocare e quel rumore davvero cominciava a darle sui nervi, ma rimase ostinatamente ferma ad ascoltarlo.

“Non sono Fugaku Hachi”

La testa cominciò a girare e le salì un forte senso di nausea.

Aveva bevuto troppo. Troppo alcol, non c’era altra soluzione. Probabilmente si sarebbe svegliata il giorno dopo scoprendosi addormentata la sera prima sul divano, e sulla guancia avrebbe riportato i segni del cuscino. Poi si sarebbe lavata e sarebbe iniziato di nuovo un altro giorno di lavoro. Probabilmente stava sognando. Maledì Ino, anche se poi proprio lei non c’entrava un granché ma, si sa, non era mai stata brava nel maledire le persone. Lei che cercava di ridare la vita….

“Sono Sasuke Uchiha”

**

Tre parole. "Sono Sasuke Uchiha."

Sasuke. Sakura ripetè quel nome diverse volte dentro la sua mente. Rimase un attimo assorta poi dentro di lei cominciò a salire lo sdegno, la paura. Fugaku, Sasuke. I nomi vorticavano assieme alle parole. Le girò ancora la testa ma, probabilmente era solo lei che cominciò a darle dei pugni male assortiti e la camera sembrò ruotare con loro dentro e tutto il suo contenuto. La lampada si rovesciò la luce illuminò entrambi non sapeva che parole le erano uscite dalla bocca. Lo accusava di aver mentito, e lui la lasciava fare non rifiutando né i pugni né le offese.

Fu quasi naturale capirlo. Fu quasi naturale capire che c’era dell’altro oltre a quello.

**

Sakura si sentì prendere per la schiena. Non fece rumore il contatto del tubino di seta sulle mani grandi e un po’ callose di lui. Sasuke la prese in braccio, un luccichio negli occhi e il sapore di lei sulle sue labbra; una sorta di premonizione dentro. Lei si limitò ad appoggiare la testa sulla sua spalla senza tuttavia cingerlo, senza provare a urlare, a gridare aiuto –a cercare un modo di vivere. Non si ribellava come aveva fatto prima. L’unica cosa che quegli occhi grandi, leggermente lucidi, adesso osservarono mentre lui camminava verso la porta del corridoio, fu quella lampada rossiccia, ribaltata per terra, che illuminava le loro ombre malamente amalgamate sulla parete bianca del suo appartamento un po’ spoglio.

Lui trovò presto la camera da letto e arrivato urtò malamente in qualcosa, in qualche dannato oggetto che Sakura lasciava in giro per casa, e allora la cinse di più, stringendola mentre la lanciava su un letto leggermente illuminato da un faro lì fuori, dove c’era la vita, quella che loro non avevano mai conosciuto.

Le fu subito sopra e scoprirono entrambi i fiati caldi, l’odore delle loro carni fin troppo simili. Con un impeto che non gli apparteneva, Sasuke saggiò di nuovo quella labbra carnose...la fece diventare di sua proprietà. Non aveva importanza se era per vizio, per gioco, se era una sfida contro se stesso. I seni erano fatti a posta per essere contenuti nel suo palmo e la mano scivolava lungo la schiena. Non avevano bisogno di modellarsi perchè combaciavano perfettamente. Entrò in lei più volte e Sakura scoprì che nel dolore si cela il più dolce dei piaceri. Quando entrambi sentirono che le forze erano andate via...i capelli d'onice andarono a coprire il petto nudo di lei.

**


Era un dolce tepore, era il sogno piacevole prima dell'incubo, era la dimensione perfetta, lo spazio perfetto... occupato solo da lei e dalla persona che amava. Non v’era niente di sbagliato, le dita che si perdevano nelle ciocche nere disordinate e Sakura non avrebbe saputo immaginare altro posto, per i palmi di lui che stringevano i suoi fianchi.


"Amo la tua persona" le parole scivolavano gentilmente con un pizzico di pudore malcelato.

Lui non si mosse e il viso era nascosto per poter decifrare qualcosa.

"Non mi importa chi tu sia...amo la tua persona"

E si vergognava e arrossiva. "Sei il mio carbonio, Sasuke"


**

Scattò il rumore del grilletto, improvviso come quello del tappo dell'accendino, un suono metallico così violento. Era quello il rumore che faceva una pistola? Fino ad allora aveva ignorato il suono che poteva fare un’arma da fuoco. Sasuke Uchiha si alzò con i gomiti sul letto. Fece forza su se stesso emergendo dal groviglio di lenzuola fino a metà busto e non sembrava importargli che fosse nudo di fronte a lei. Ma d'altronde lo era anche lei nuda e inerme..cosa pretendeva?


Lei prese il respiro. L'ultimo respiro di un condannato a morte. I polmoni si riempirono e saggiano davvero l’aria che aveva lo strano profumo di uno scienziato e di un killer miscelati assieme.

Come si poteva rapidamente trovare nel dolore il piacere, allora era tanto rapida la discesa dal paradiso all’inferno. Trovava divertente che lei era una di quelle stupide vittime che conoscono l’assassino tanto bene da farlo entrare in casa. Cappuccetto Rosso e Il lupo cattivo.

Sì, era proprio da lei morire conoscendo il suo carnefice e non pentendosene.


"A cosa pensi."

La domanda era inaspettata per lei che invece stava aspettando. Lui continuava ad avere la pistola in mano puntata. Cosa vuole? L’ultimo pensiero di un condannato a morte?


"Che non me ne pento.” Sorrise divinamente.

“Cosa vuoi dire?” Sasuke era freddo come la pistola che adesso aderiva al suo ventre. Trasalì involontariamente lei, il suo corpo era bollente e invece la canna luccicante dell’arma era maledettamente gelata. Come gli strumenti che usano i dottori, come lo stetoscopio di sua madre che riusciva sempre a capire quando non voleva andare a scuola e faceva finta di avere la febbre. Il cuore prese a martellare nelle orecchie. Sakura giurò che l’intera stanza era invasa dal rumore del suo cuore.

“L’uomo di cui mi sono innamorata… Fugaku o Sasuke sei sempre tu. Occhi neri, pelle diafana..ti riconoscerei fra mille. Il nome non è importante. L’uomo che mi diceva di stare zitta perché parlavo troppo è lo stesso che adesso sta per uccidermi. Pazienza. Non riesco a immaginare adesso la mia esistenza senza di te. Non sarebbe più vita quella. Capisci?”

“Ti sta bene.” Sasuke spalancò leggermente gli occhi color onice, sorpreso. “Ti sta bene morire?”

“Sì. Anche se mi hai ingannata.. Tu non hai finto del tutto… hai provato le mie stesse sensazioni. Io sono innamorata di te…e tu-

“Io stavo solo recitando.” La interruppe bruscamente, l’ ira saettò nelle pupille.

Sakura represse l’istinto di piangere. “Non è vero.” la voce uscì graffiata adesso che lui le aveva dato il colpo mortale ancor più veloce del grilletto. “Avresti potuto uccidermi quando ti pareva, portarmi nel garage, in una stanza con una scusa qualsiasi e farmi fuori… invece non l’hai fatto!”

Stavolta non c’era solo ira nei suoi occhi, stavolta il nero divenne come la notte più buia, come l’eclissi più completa, spaventosa e affascinante insieme. Sakura sentiva le lacrime pizzicarle i bordi degli occhi e la gola bruciava, ancora un respiro rubato alla stanza. “Tu non mi hai mentito! Sei solo un burattino perché ti lasci manovrare da qualcuno..ma nessuno può dire al burattino che sentimenti provare!”

Poi successe. Un lampo nel buio, un rumore sordo.


Sasuke era furioso. Aveva gettato via la sua donna d’argento che cadde pesante sul pavimento della stanza. Le mani si chiusero in una presa furiosa attorno al collo di Sakura. Voleva soffocarla… perché diceva la verità? Le lacrime dell’Haruno esplosero senza ritegno, bagnandogli il dorso delle mani, scendevano disordinate sotto il mento. Sakura chiuse gli occhi verde foglia e non riusciva a reagire, ancora una volta non si comportava come una persona normale. L’unica cosa che riusciva a pensare era la sorpresa di accorgersi che la pelle di Sasuke bruciava, esattamente come la sua. Ed erano due carboni ardenti pronti a trasformarsi in cenere.

“Tu sarai la mia rovina.” Stava urlando, eppure forse ce l’aveva con qualcun altro sepolto nel suo passato. Sakura si lasciò scappare un sordo lamento e poi… le labbra di Sasuke piombarono sul suo volto. La lingua andò ad assaggiare le lacrime salate e poi a cercare le sue labbra mentre la presa di acciaio si ammorbidiva tramutandosi in un dolce laccio stretto dalla passione.

**


Sakura aveva un segno sul collo, un piccolo graffio. Ma era invisibile, coperto da del rosa confetto. Sapeva solo lei che esisteva anzi, si disse, lei sapeva un mucchio di cose. Piano lasciò che un bacio si depositasse sul viso di Sasuke Uchiha. E lui scuoteva la testa davanti a un programma in televisione che né lui né lei stavano ascoltando.

Non l’aveva uccisa perché l’amava anche se era restio a dirglielo. Quello l’aveva capito da sola e per il momento lui era lì con lei. Ma non sapeva per quanto tempo le sarebbe stato concesso quell’amore. Lui stava già rischiando così tanto per lei. Si strinse intorno al suo braccio forte.

E Sasuke a quel gesto un po' si meravigliava, perché avendola vicina il mostro dentro di lui si acquattava in un angolo della sua anima e qualcosa nello sterno (forse il cuore) prendeva a battere.

**


Naruto non aveva detto niente quella mattina, li aveva solo salutati. C'erano Sakura e Fugaku nel laboratorio e lei indossava una maglietta a collo alto. Aveva uno sguardo pensieroso. Non era l'espressione che Sakura assumeva quando pensava alla scienza, Naruto lo sapeva che c'era dell'altro. Adesso tutto combaciava, tutte le tessere del puzzle erano al loro posto. Parlare con Jiraya l'aveva aiutato. Aveva capito. Inoltre i fogli non mentivano, tutto era scritto nero su bianco. In teoria non avrebbe dovuto portare fuori quei fogli dall'archivio di Stato. Ma erano necessari, magari, lei non sapeva chi era lui in realtà. Eppure ormai lui stava lì, da quasi quattro mesi e non aveva agito: non aveva svolto il compito che gli avevano assegnato. Forse, davvero la vita poteva prendere pieghe inaspettate che le carte non spiegavano.

E successe molto rapidamente, lo sguardo di Sasuke che indagava nel suo e lui che gli indicava qualcosa di bianco sul tavolo. C'era uno stemma in cima ai fogli. Un piccolo marchio. Sasuke non disse nulla. Si limitò a seguire le spesse linee che ruotavano attorno a un semicerchio.

**


Lo avevano avvisato, glielo aveva accennato quell'altro tipo là; quello un po’ strano con dei buffi capelli biondi e che girava sempre accompagnato da un altro tizio, con dei capelli rosso fuoco. Facevano pettegolezzi quei due, ed era inevitabile ascoltarli. Parlavano ad alta voce e lui si ritrovava sempre a dover scendere in ascensore con loro. Probabilmente lo facevano apposta, per farlo innervosire, ma se la sua pazienza si fosse esaurita... li avrebbe sistemati entrambi con una pallottola ben piazzata.


Stranamente, quel giorno erano tranquilli mentre raccontavano la vicenda che aveva scosso l'Organizzazione, seduti sulle poltroncine di pelle della sala d’attesa (inutile e orribile). Uno dei due, forse il biondo, aveva un tono rammaricato che sapeva un po’ di rimpianto e il rosso pareva partecipare a quel dolore.

Parlavano di uno dei Sabaku. Sasuke in effetti conosceva la donna e uno dei fratelli come dei professionisti del giro, eppure, mai aveva sentito parlare del più giovane, dei suoi occhi dalla parvenza del ghiaccio.

Gaara. Nome che non l’avrebbe nemmeno sfiorato in un altro contesto.

Piuttosto, aveva incominciato a riflettere su quell’assurda storia... da quando si era ritrovato a guardare i bossoli inutilizzati e che ammuffivano, non nel petto di qualcuno ,ma sul bel tavolo di legno.

Inconcepibile per un professionista del suo calibro. Un ghigno gli trapassò le labbra, chiara reminescenza di vita passata e si lasciò cadere sul divano, le sopracciglia crucciate intanto che la mente ripercorreva le parole dei due esaltati, schiavi come lui del fato e del revolver.


Gaara No Sabaku, uccideva per vizio, per gioco, ci provava davvero gusto e non si creava problemi: era il migliore. Alcuni sostenevano che dentro di lui risiedesse un demonio. In effetti sembrava avvolto da un’aurea maligna e sulla carnagione pallida spiccavano quegli occhi assurdamente grigi, penetranti. Ma Sasuke aveva sempre creduto che tutti possedessero un aurea malvagia, tutti, nessuno escluso, e la descrizione non l’aveva colpito minimamente.

Quello che gli aveva dato da pensare, che non aveva mai concepito fino ad allora, era come l’uomo fosse cambiato appena incontrata la sua vittima. Si diceva che si era innamorato. Gaara no Sabaku innamorato! Era inconcepibile, assurdo e a quanto pareva, i fratelli l'avevano costretto a compiere l’efferato omicidio.


Omicidio che aveva svolto con freddezza e un' efferatezza tale che non era da lui, anche se tutti lo conoscevano come "il demonio". E poi pochi giorni dopo, quando tutti pensavano che il Sabaku aveva solo finto, che non aveva mai tenuto davvero a quella donna… Gaara si era librato da una finestra consapevole che all’inferno non avrebbe mai rivisto la donna che aveva amato e che aveva ucciso.

**


"Secondo me il lavoro migliore per te era: il bibliotecario."

"Fammi il piacere."

"Sì, lì non si parla e se devono, rispondono sgarbati. Era perfetto per te."

"Chiudi il becco."

"Ma scusa, teeme, non potevi fare il bibliotecario invece del serial killer?"

"Tu dobe, perchè non sei nato cartone animato? Ti vedevo bene a fare il ninja rompiscatole, che vuole a tutti i costi salvare le persone che non vogliono essere salvate."

**


"Hanno assunto una guardia del corpo per te?!"

"Così sembra..."

"Fronte spaziosa ma è così pericoloso il tuo lavoro? Comunque... com'è la guardia è carina??"

"Si chiama Naruto...è biondo, occhi azzurri"

"Devo venirti a trovare più spesso, fronte spaziosa"

"Fugaku.. non fa altro che litigarci...non si sopportano proprio."

"Ma dai!"

"Credi che sia..."

"Potrebbe… che stia sperimentando un attaccamento personale come la gelosia?!"

"Quanto sei simpatica..."

"Ho i miei dubbi..insomma ha rifiutato un tipo come me per uno come te... Ma magari alla fine della storia si scopre che è un essere umano!"


End #2

  
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