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Autore: heliodor    25/04/2021    2 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Creditore
 
Ros barcollò fino al buco piazzato nell’angolo della stanza e vomitò. Da due giorni si alzava con la sensazione di qualcosa che cercasse di scavargli all’interno dello stomaco per farsi strada verso l’esterno.
Dovette appoggiarsi alla parete per non crollare a terra e aspettare che il capogiro passasse. Jangar, dalla parte opposta della stanza, lo fissò con aria divertita.
“Pare che tu abbia bevuto troppo e nel posto sbagliato. La prossima volta chiedi a me. Ti posso indicare un paio di locande che servono vino di buona qualità.”
Vino, pensò Ros, la vista ancora annebbiata. Magari fosse stato del vino la colpa.
Aveva taciuto a Jangar della sua uscita notturna con Valya. Non voleva allarmarlo e soprattutto non poteva correre il rischio che lo cacciasse via.
Quando la mattina dopo aveva iniziato a stare male, gli aveva confessato di essere andato a bere due bicchieri per scordarsi della faccenda del veleno.
“E hai fatto bene” aveva detto Jangar. “Anche io uso il vino per dimenticare. La prossima volta verrai con me così ti farò conoscere qualche bel posto qui in città.”
“Basta vino” disse Ros trattenendo un conato di vomito. “Almeno per un po’.”
Jangar aveva scosso le spalle. “Ce la fai a reggerti in piedi? Sono arrivati degli ingredienti e bisogna metterli in ordine o faremo tardi per la preparazione delle pozioni.”
Preparare le pozioni era una delle mansioni per cui Jangar lo aveva accolto come apprendista.
Se mi dimostro incapace in quello, pensò, non ci metterà molto a cacciarmi via e prendere un nuovo apprendista.
Non che ci fosse la fila alla bottega per quel lavoro. Dopo il reclutamento di massa ordinato dalla governatrice la maggior parte dei giovani spiantati aveva trovato impiego come soldato o tra quelli che avrebbero seguito l’armata come supporto.
Erano rimasti solo quelli davvero incapaci o troppo deboli per reggere lo scudo e la lancia.
Non ci vuole molta forza per mischiare acqua e sali, si disse.
“Ce la faccio” disse dopo aver raddrizzato la schiena.
Jangar annuì grave. “Ti aspetto di sotto.”
Ros scese a fatica le scale, orientandosi con l’istinto perché il livello inferiore era immerso nel buio. Jangar stava sollevando le imposte in quel momento.
La luce che inondò la stanza gli ferì gli occhi, ma non si lamentò. Non poteva preparare gli ingredienti al buio.
Jangar indicò due casse di legno nell’angolo. “Iniziamo da queste, poi passeremo alle altre.”
Ros bofonchiò qualcosa e sollevò una cassa. Era pesante e faticò ad appoggiarla sul bancone. Quando l’aprì trattenne il fiato per non respirare le polveri che si erano depositate su alcune bottiglie.
“Cosa sono?” domandò prendendo una in mano. La sollevò mettendola in controluce per vedere i sole attraverso un liquido dal colore bruno.
“Attento” disse Jangar. “Quella roba tende a esplodere quando si scalda troppo.”
Ros la rimise subito giù.
Passarono la mattina a svuotare le casse e allineare il contenuto sul bancone. Insieme alle otto bottiglie c’erano due fiaschi di terracotta chiusi da un tappo di sughero sigillato con la cera.
Ros le indicò a Jangar e lui scosse la testa.
“Meno sia di quella roba e meglio è.”
“Ma cosa contiene?”
“Essenza di erba dei sogni.”
Ros non aveva idea di cosa fosse.
“Ci fanno il Latte di Luna con quella.”
Sgranò gli occhi. “Tu, noi facciamo il Latte di Luna?”
“Zitto, non gridare” fece Jangar abbassando l’imposta.
“È illegale” disse Ros.
“Conosco la legge” rispose Jangar. “No, non lo facciamo noi. Il Latte di Luna ha tre ingredienti principali e questo è l’estratto di Erba dei Sogni. Ma prima deve essere sminuzzata e messa a bollire nell’olio e vino per essere separata dai residui. L’estratto purificato viene filtrato per tre giorni e solo allora può essere usato.”
Ros rimase in attesa.
“Non lo so chi la produce. Alla fine di ogni Luna viene un uomo che lavora per Tharavan, un certo Morzor. Lui prende tutto l’estratto e mi paga. Non ho idea di cosa sene faccia dopo. Fine della storia.”
Scosse la testa. “È pericoloso.”
“Mi stai rimproverando?”
“No, ma…”
“Tu fai quello che ti dico e basta, d’accordo?”
Ros annuì. Dopo qualche istante di silenzio, disse: “Conosci per caso un certo Brunolf?”
Jangar si accigliò. “Dove hai sentito quel nome?”
Prima di fare la domanda aveva già pensato per due giorni a una scusa credibile.
“L’altra notte, quando ho detto a qualcuno nella locanda dove ero andato a bere che lavoravo come tuo apprendista, qualcuno ha pronunciato quel nome.”
“Qualcuno chi?”
“Non me lo ricordo. Ero già ubriaco.”
Jangar guardò altrove. “Il nome non mi dice niente.”
Ros valutò se fosse il caso di insistere ma ci ripensò.
Almeno per il momento, si disse.
Quando giunse l’ora del pasto di mezza giornata, Jangar si stiracchiò le braccia. “Ho fame. Mangiamo qualcosa.”
Ros però aveva altri progetti su come impiegare quella pausa. “Io no. Non riuscirei comunque a mangiare niente e sento che lo butterei fuori in ogni caso.” Si alzò in piedi. “Andrò a fare una passeggiata. La città è più tranquilla e hanno sgomberato la maggior parte delle macerie.”
“Buona idea.” Jangar mise sul tavolo cinque monete. “Quando torni passa dalla bottega di Balun. Prendi latte, uova e del pane.”
Ros soppesò le monete nella mano. “Non gli dovevi proprio cinque monete?”
Hangar annuì. “Usa quelle che ti ho dato per pagare il debito e prendi le cose che ti ho detto a credito. A Balun andrà bene. Lo sa che pago sempre i miei debiti.”
Ros mise le monete in un sacchetto della cintura e uscì dalla bottega. Respirare l’aria dell’esterno lo aiutò a dominare la nausea. Niente a che vedere con i primi giorni a Ferrador, quando aveva paura di respirare a bocca aperta. Ora si era abituato al fetore dei miasmi che venivano dalla palude e dalle strade intasate di rifiuti della città.
Mi sto davvero abituando a tutto questo? Si chiese.
Aveva mentito a Jangar, ma non del tutto. Voleva fare una passeggiata e avrebbe comprato le cose che gli aveva chiesto, ma prima voleva andare al palazzo.
Erano passati tre giorni da quando aveva salutato Valya dopo averle affidato la corteccia di albero di corvi. Doveva aver dato l’antidoto a Doryon, su questo non aveva dubbi. Anche se era rimasto chiuso nella bottega, aveva ascoltato le parole dei clienti di Jangar.
Nessuno aveva parlato della morte di quel povero ragazzo o di altri incidenti avvenuti al palazzo. Certo questo non voleva per forza dire che non era peggiorato o che l’antidoto non aveva funzionato, ma dimostrava che almeno la situazione non era peggiorata.
Non arrivavano molte notizie dal palazzo, ma qualcosa trapelava sempre. Le serve e i valletti che vi lavoravano avevano degli amici, fuori dal perimetro e parlavano con loro di cosa succedeva all’interno di quelle mura. Amici che a loro volta parlavano con padri, madri, mogli, mariti, fidanzati o semplici conoscenti e così via, in una catena che rendeva impossibile mantenere un segreto in una città affollata e raccolta come Ferrador.
A Cambolt succedeva lo stesso, anche se in versione ridotta. Se qualcosa accadeva nella casa del calzolaio, tempo due giorni e l’avrebbe saputo il fruttivendolo e da lì fino all’ultimo dei visitatori di passaggio alla locanda.
Immerso in quei pensieri giunse a uno degli ingressi. I soldati di guardia sembravano in numero maggiore rispetto all’ultima volta, anche se non li aveva contati.
Ros aveva riflettuto su come entrare a palazzo e farsi ricevere e la soluzione più semplice a cu era giunto fu di presentarsi alle guardie e chiedere di Valya.
Cammin con calma, sperando di non sembrare aggressivo o pericoloso. “Io vi saluto” disse alle guardie.”
Il più anziano dei sei, un soldato dai folti baffi marroni e il mento a punta si staccò dagli altri. “Che cosa vuoi?”
“Sarebbe possibile accedere al palazzo? Dovrei conferire con una persona al suo interno.”
Aveva usato la stessa formula la sera in cui aveva incontrato Valya ed era certo che avrebbe funzionato anche quella volta.
Il soldato lo guardò perplesso. “La governatrice ha vietato l’accesso a chiunque.”
“Potreste mandare un valletto a chiamare la persona con la quale devo parlare?”
“Forse non ci senti o sono io che parlo una lingua diversa dalla tua” disse il soldato. “Ti ho appena detto che nessuno può entrare né uscire dal palazzo. E ci è stato ordinato di restare qui all’ingresso fino a nuovo ordine. Non andrò a chiamare nessun dannato valletto.”
“È accaduto qualcosa di grave?”
“No e di certo non verrei a dirlo a te. Ora vattene o ti mettiamo in una cella dei sotterranei.”
Ros non voleva rischiare di essere arrestato per una sciocchezza del genere. Poteva attendere qualche altro giorno che Valya andasse da lui a riferirgli quello che era successo dopo essersi separati.
“Chiedo scusa” disse con un inchino. “Non avevo compreso quanto fosse grave la situazione.”
“Ora che hai compreso vattene o ti faremo comprendere noi” rispose il soldato.
“Vi chiedo ancora scusa.” Fece un passo indietro e si allontanò.
La bottega di Balun sorgeva ai confini della zona del mercato ed esponeva la merce su bancarella all’esterno. All’interno era fresco e riparato.
Ros ci entrò quasi in punta di piedi.
Balun era un uomo corpulento che si spostava da una bancarella all’altra parlando con i clienti e consigliando questo o quell’alimento.
“Le mie mele sono le migliori, signora Quyane. Assaggi le mie carote, signor Kadyn. Porti i miei omaggi a suo marito, signora Shatrina.”
Quando si accorse di Ros la sua espressione cambiò.
“Sei tu. Oggi niente credito, quindi o paghi o puoi andare via.”
Ros gli mostrò le monete che Jangar gli aveva dato.
Balun le prese con espressione diffidente. “Queste possono pagare metà del debito.”
“Non è quello che ha detto Jangar” protestò Ros.
“Jangar dice un sacco di sciocchezze” disse Balun dandogli le spalle. “Ma io i conti li so portare. Mi deve ancora quattro monete e tre soldi.”
“Mi ha detto di prendere pane, latte e uova.”
“Se li vuoi, dovrai andare da qualcun altro.”
Ros pensò in fretta a una risposta da dargli. “Se proprio non vuoi più fare credito a Jangar, vuol dire che andremo da Phocles.”
Phocles era un venditore che si trovava più all’interno del mercato, nella zona dove si facevano affari migliori e i prezzi erano più alti. Per questo Jangar si era sempre rifiutato di rifornirsi da lui.
Balun rise. “Phocles? La sua merce non è migliore della mia. E i suoi prezzi sono più alti. Preferisci farti derubare da lui?”
“Meglio essere derubati che morire di fame” rispose Ros. “Lui sarebbe lieto di farci credito. Sa di certo che abbiamo sempre ripagato i nostri creditori e lo vedrà come un investimento avendo guadagnato un nuovo cliente.”
Balun sospirò e digrignò i denti. “E va bene, ti farò credito. A solo per stavolta. E dovrete ripagarmi entro questa Luna o sarà l’ultima volta che prenderete qualcosa dalla mia bottega.”
Ros scelse con cura le uova e il pane facendo mettere il latte in due caraffe chiuse. Mentre stava per andarsene Balun non smise di brontolare.
“Chi ti ha insegnato a trattare gli affari in quel modo?”
“Mio padre è un mercante” rispose Ros uscendo dalla bottega.
Con le braccia piene di roba si mise in cammino per la piazza dove giunse mentre il sole iniziava a scendere verso l’orizzonte.
Ci ho messo più del dovuto, si disse. Se Jangar non mi avesse mandato a comprare quella roba avrei fatto prima. Vuol dire che dovrò lavorare fino a tardi per preparare le pozioni. E domani non sarà diverso.
Alzò gli occhi verso la bottega e vide i sei soldati fermi davanti all’ingresso. C’era anche una folla di curiosi che osservava da lontano, ma nessuno osava avvicinarsi a meno di venti o trenta passi.
Ros rallentò fino a fermarsi poco prima di svoltare l’angolo. Da quel punto poteva vedere la piazza e l’entrata della bottega. Se i soldati avessero guardato dalla sua parte, avrebbero visto solo una figura ferma vicina all’incrocio.
Dalla bottega emersero tre figure. Una era quella di un uomo alto e imponente, con una spada legata al fianco. La seconda un soldato. Tra i due c’era Jangar.
Il soldato lo spinse verso la strada facendolo inciampare. Jangar cadde ai piedi dell’uomo armato.
“Ti ho chiesto dove è andato il tuo allievo.”
“Non lo so” rispose Jangar. “È uscito per fare delle commissioni.”
“Dove?”
“Al mercato, credo” rispose Jangar con voce tremante.
“Se ci stai mentendo finirai appeso fuori dalle mura.” Fece un cenno ai soldati. “Cercate in tutta la bottega. Voi due invece andate al mercato e chiedete a tutti di quel Chernin.”
Ros si ritrasse dietro l’angolo, il cuore che gli batteva forte nel petto. Poggiò a terra il pane e il latte e si incamminò per la strada da cui era venuto. Svoltato un angolo accelerò il passo.

 
  
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