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Autore: Miss Phebe    28/04/2021    0 recensioni
Hermione lo aveva avvisato: cose orribili accadono quando i maghi interferiscono col tempo.
E’ un peccato che Kilian Magbob non ricordi più questa conversazione, proprio come non ricorda quale sia il suo vero nome, perché un’antica congrega lo stia perseguitando, come abbia fatto ad attirare l’attenzione del più potente mago oscuro di tutti i tempi o anche chi lo abbia maledetto con quella cicatrice a forma di saetta che ha sulla fronte. E’ determinato a svelare i misteri che si celano nel suo passato, però, e nessuno, nemmeno lo stregone che ha dato inizio alle sue disavventure, potrà fermarlo.
Comunque, nonostante tutto ciò, in qualche modo, Kilian, essendo Harry, troverà anche il tempo per occuparsi degli intrighi dei Cavalieri di Walpurgis.
«Allora, qual è il piano?» s’informò Mulciber, nervoso «Perché c’è un piano, giusto?».
«Oh, quanto a questo, puoi stare tranquillo: ce ne sono ben due» lo rassicurò Rosier con tono soave. «Quale vuoi sentire? Il piano di Magbob su come farci ammazzare o il piano di Tom su come ottenere una condanna a vita ad Azkaban?».
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alphard Black, Dorcas Meadowes, Harry Potter, Mangiamorte, Tom Riddle/Voldermort | Coppie: Harry/Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Capitolo IV
Assestamenti a Slytherin

In realtà, prima di scontrarsi con Abraxas Malfoy, Kilian aveva già avuto un piccolo alterco con Olive Hornby.

Olive era una ragazza popolare e molto carina del quarto anno. Era nera, con gli occhi azzurri, aveva buoni voti e giocava come Cercatrice nella squadra di Quidditch di Ravenclaw. Kilian ci aveva parlato un paio di volte e gli era parsa simpatica. Perciò, quando, in quella fredda domenica mattina di settembre, attraversò una radura, diretto al campo da Quidditch per assistere agli allenamenti degli Slytherin, non si aspettava di sorprenderla mentre tormentava la povera Myrtle Warren insieme a Fanny Roberts e Michelle Zabini.

Myrtle Warren (anche lei di Ravenclaw, anche lei al quarto anno) era la ragazza più differente da Olive che si potesse immaginare. Era tarchiata, aveva un malinconico viso affetto da acne, capelli dritti come spinaci e occhi piccoli nascosti da un paio di spessi occhiali. In quel momento, le sue braccia e le sue gambe erano bloccate insieme, legate con i lacci invisibili dell'Incantesimo della Pastoia.

Piangeva disperatamente e provava ad allontanarsi dal terzetto, saltellando, ma Olive, ogni volta, la colpiva con una fattura, facendola inciampare.

«Basta!» singhiozzò Myrtle col viso inondato dalle lacrime. «Vi prego, liberatemi».

Kilian non esitò. Si avvicinò a lei e pronunciò il controincantesimo. Myrtle gli rivolse uno sguardo grato, prima di correre via, con la maggiore velocità permessa dalle sue gambe tozze.

«Ok,» disse Olive, squadrandolo. «Dimmi perché lo hai fatto».

Kilian la guardò male. «Sul serio? Credi che sia io quello che deve dare spiegazioni?»

«Sì, Magbob,» replicò la Zabini con tono duro. «Sei tu quello che deve dare spiegazioni».

Kilian la ignorò e continuò a rivolgersi a Olive. Almeno con lei si poteva parlare, quanto meno, di solito. «Perché l’hai attaccata? Cosa ti aveva fatto?»

«Cosa mi ha fatto?» ripeté Olive, incredula. «E’ Mirtilla Malcontenta, ecco cosa mi ha fatto».

Kilian stava per ribattere nuovamente, sempre più arrabbiato, ma Fanny Roberts s’intromise: «Ascolta, non credo che tu conosca la Warren».

«La conosco abbastanza bene» replicò Kilian, incrociando le braccia. Sì, pensava di aver imparato tutto ciò che era necessario sapere su Myrtle Warren in quelle settimane, e la sua opinione era che essere lei fosse già una punizione sufficiente per qualsiasi cosa.

«Non quanto credi, ne sono convinta» rispose Fanny. «Ma non serve litigare, non per lei. Andiamo» aggiunse, rivolta alle sue amiche che la seguirono, anche se la Zabini fece in tempo a rivolgergli un’ultima occhiataccia.

Kilian si sarebbe dimenticato velocemente dell’episodio se, quella sera, a cena, Walburga e Roland Lestrange non lo avessero avvicinato per parlargliene.

«Michelle mi ha raccontato cos’è successo» disse Walburga, senza preamboli.

«Cos’è successo?» chiese Kilian, alzando le sopracciglia.

«Senti, Magbob,» sibilò lei, «non m’interessa, se, fino ad adesso, hai vissuto in mezzo al fango, adesso sei a Slytherin. Ogni cosa che fai, si riflette su tutti noi e noi non prendiamo le difese della feccia».

«Il suo nome è Myrtle Warren» replicò Kilian, alzando il mento.

Walburga strinse gli occhi. «Non ti conviene sfidarmi, Magbob, credimi».

«E a te non conviene sfidare me» rispose Kilian.

Walburga fece per ribattere, ma Roland Lestrange l’anticipò: «Sei sua amica?» chiese, ovviamente riferendosi alla Warren.

Kilian scosse la testa.

«E allora,» continuò Roland, «perché hai pensato che fossero affari tuoi?»

Kilian non riuscì a rispondere: in quel momento, arrivò Alphard. «Che succede?» chiese, sedendosi accanto a Kilian, e rivolgendo sguardi allarmati a tutti e tre.

Sua sorella strinse le labbra. «Educa il tuo amichetto» gli disse con tono secco. «O dovrò farlo io, per te». Poi si allontanò con Roland, privando Kilian della possibilità di dirle qualcosa di realmente offensivo.

Alphard sembrava preoccupato e dopo che Kilian gli ebbe raccontato cos’era successo, la sua espressione s’incupì ancora di più, ma non commentò subito. Si versò del succo di zucca e lo sorseggiò lentamente, cercando di scegliere le parole giuste.

«Allora, devi sapere che la Warren non piace a nessuno» disse, alla fine.

Kilian non riusciva a credere alle sue orecchie: Alphard stava cercando di giustificare quello che era successo? «E quindi? Non è una buona giustificazione per tormentarla in quel modo» disse con tono concitato. «Diamine, sono anche nella stessa Casa».

Alphard gli rivolse uno strano sguardo e poi commentò: «Beh, se cerchi la solidarietà tra compagni, Ravenclaw non è proprio la Casa giusta: sono molto individualisti».

«Sono dei bulli vigliacchi» lo corresse Kilian, sempre più arrabbiato.

«No, davvero no,» si affrettò a negare Alphard. «I Ravenclaw, di solito, non si comportano così. Olive, di solito, non si comporta così. La Warren è un’eccezione. Come ho detto, non piace a nessuno. Vedi, è Nata Babbana e… »

«Dimmi che non stai dicendo quello che sembra che tu stia dicendo» lo interruppe Kilian, in un sussurro furioso.

«Non so cosa tu pensi che io stia per dire,» rispose piano Alphard, «ma Olive ha le sue ragioni».

«Perché la Warren è Nata Babbana? Il problema sono quelle idiozie sulla purezza del sangue?» chiese Kilian, furibondo.

«No,» ribatté Alphard, «Il problema non riguarda i pregiudizi di Olive sui Nati Babbani - non credo ne abbia, suo padre è Nato Babbano e sua madre è una Mezzosangue- ma i pregiudizi della Warren su Olive».

«Che vuoi dire?»

«Olive è nera».

«Quindi?»

Alphard gli rivolse uno sguardo obliquo. «Pensavo che tu conoscessi meglio la cultura babbana». Si riempì il piatto con del pasticcio.

«A quanto pare nella comunità babbana vi sono pregiudizi legati alla tonalità della pelle delle persone. Pensa che la Warren, inizialmente, non voleva dividere la stanza con Olive e quella reazione è stata comunque poca cosa rispetto a quando ha scoperto che Fanny Roberts ha due madri». Bevve altro succo di zucca. «Poi, è venuta a sapere che l’istruttrice Jocunda Sykes, una volta si chiamava Jack Sykes e ha trascorso delle settimane in infermeria, in preda ad una crisi isterica: continuava a piangere e pregare stringendo quel suo crocifisso». Le sue labbra si piegarono in una smorfia. «Religione babbana» sussurrò con così tanto disgusto da far trasalire Kilian.

Rimasero in silenzio per un po’, poi Kilian disse: «Credo di iniziare a capire, ma il suo è stato uno shock culturale» disse, servendosi anche lui del pasticcio. «Posso immaginare che per Olive e Fanny non sia stato piacevole vivere con lei, ma questo non giustifica tutto. Non la possono ignorare e basta? Essere Myrtle Warren mi sembra già una punizione sufficiente».

Alphard scrollò le spalle. «La maggior parte dei Ravenclaw la ignora e basta, Olive e la Roberts hanno scelto un’altra strategia».

«Beh, mi spiace, ma se dovesse ricapitare, agirò esattamente nello stesso modo» disse Kilian, ostinatamente.

Alphard sospirò. «Senti, vorrei solo che tu ci pensassi due volte, prima di correre nuovamente in salvataggio di una damigella in difficoltà: le situazioni possono essere più complesse di quel che sembrano».

In seguito, Alphard si disse che avrebbe dovuto sapere quanto quel consiglio fosse sprecato.

Di fatti, la volta successiva che Kilian incrociò il cammino di una damigella in pericolo, agì esattamente nello stesso modo, anche se la “damigella in pericolo” era un ragazzo corpulento alto più di due metri.

Accadde solo una settimana dopo lo scontro con Olive e la cosa non lo sorprese. Probabilmente, eventi simili capitavano di frequente nei luoghi in cui venivano radunati centinaia di adolescenti dotati di poteri magici e costantemente incoraggiati a competere gli uni contro gli altri.

La vittima, questa volta, era un ragazzo del secondo anno di Gryffindor con cui Kilian non aveva mai parlato, ma che aveva notato perché notarlo era inevitabile. Era altissimo, grosso e muscoloso, con infossati occhi scuri e una folta e selvaggia massa di capelli neri.

Intimoriva al primo sguardo, ma una volta, dopo una lezione di Erbologia, Kilian lo aveva sorpreso mentre, rannicchiato nel campo delle zucche, curava l’ala ferita di un uccellino.

Kilian stava attraversando la galleria delle armature, diretto all’ufficio di Miranda, quando sentì un mugolio disperato e delle risate provenire da una stanza alla sua destra. Aprì la porta chiusa a chiave con un Alohomora ed entrò in quello che sembrava un incrocio tra un’aula abbandonata e uno sgabuzzino ingombro di sedie, banchi, scope, stracci e provette di vetro vuote. Dentro c’erano cinque persone che Kilian conosceva.

Abraxas Malfoy, che aveva capelli biondi lunghi fino alle spalle e gli stessi occhi azzurri della sorella, era seduto languidamente sulla scrivania e quando Kilian entrò, lo guardò con scarso interesse.

Al suo fianco, c’erano un ghignante Paris Selwyn e Quentin Rowle, del sesto anno, che rideva sguaiatamente mentre il povero Rubeus Hagrid era disteso a terra con delle antenne che gli spuntavano dalla testa: strisciava, gemeva e sbavava, come un lumacone gigante.

L’uomo che Kilian non comprendeva cosa ci facesse lì, né perché non fosse già intervenuto in soccorso di Hagrid, era Apollyon Pringle, il custode della scuola. Il mago, di circa quarant’anni, stava in piedi, poggiato in un angolo dell’aula e osservava la scena con un’espressione vacua.

«Ti serve qualcosa, Magbob?» chiese Malfoy, alzando un sopracciglio. Kilian non capiva come riuscisse a pronunciare il suo cognome facendolo sembrare un insulto, comunque lo ignorò e si avvicinò a Hagrid. Cercò di sollevarlo sulle spalle, ma era molto pesante, inoltre si agitava, riluttante all’idea di alzarsi in piedi. Kilian stava decidendo come trasportarlo in infermeria, quando Rowle intervenne. «Ehi, guarda che non abbiamo finito» disse avvicinandosi con aria minacciosa.

Kilian non indietreggiò: «Io dico che avete finito, invece».

Successe tutto molto velocemente. Rowle alzò la bacchetta, ma non fece in tempo neanche a pensare a che incantesimo voleva usare perché Kilian lo aveva già disarmato. Quest’ultimo sentì Malfoy e Selwyn muoversi alle sue spalle e, chinandosi, evitò un fiotto di luce rossa e uno di luce azzurra, poi si girò velocemente e colpì Selwyn con un Impedimenta; nello stesso istante, Malfoy provò nuovamente a colpirlo, ma Kilian respinse la sua fattura con uno Scudo, infine, prima che Malfoy potesse attaccarla nuovamente, urlò: «OPPUGNO!». Fu allora che le scope radunate nella stanza presero vita e cominciarono a colpire i tre Slytherin ferocemente, un paio si diressero anche dal custode, risvegliandolo dallo stato di trance in cui sembrava essere.

Prima che potessero riuscire a liberarsi, Kilian lanciò un “Mobilicorpus” sul corpo di Hagrid e, come se una serie di fili invisibili fossero stati legati ai suoi polsi, al suo collo e alle sue ginocchia, quest’ultimo si rizzò in piedi, sospeso a pochi centimetri da terra. Piuttosto soddisfatto di sé stesso, Kilian lo portò in infermeria.

L’infermiera del castello, la signora Daisy Twonk, li accolse senza fare domande, riconoscendo immediatamente gli effetti della Fattura dell’Insetto. Allargò uno dei letti, in modo che il Gryffindor potesse starci sdraiato comodamente e poi gli diede una pozione da prendere. Dopo un po’ Hagrid cominciò a calmarsi e le sue antenne iniziarono a rimpicciolire. Fu in quel momento che arrivò Lucretia Black.

Lucretia era una cugina di terzo grado di Alphard, aveva la stessa età di Walburga ed era un Prefetto. Era molto bella e aveva gli stessi occhi grigi di Dorea. Le disse che il professor Slughorn desiderava parlargli. Immediatamente.

Kilian, senza sospettare nulla, scese con la ragazza nei sotterranei, verso le stanze di Slughorn. Lucretia gli chiese cos’era successo e
Kilian le raccontò di Malfoy e della sua cricca e di cosa stavano facendo al povero Hagrid.

Alla fine del racconto, la ragazza scosse la testa. «Sai, tu non mi dispiaci, in fondo. Mi auguro sinceramente che imparerai, prima o poi» disse prima di bussare alla porta dell’ufficio di Slughorn.

Kilian non capì cosa intendesse.

Le stanze del Direttore di Slytherin erano ingombranti e soffocanti: ovunque Kilian posasse lo sguardo vedeva soffici poltrone, cuscini vaporosi, poggiapiedi infiocchettati, bibite e dolci. 

Slughorn era seduto su una poltrona di pelle verde posta dietro alla scrivania e osservava Kilian accigliato.  «Ti ringrazio, Lucretia» disse, sorridendo alla ragazza. «Ora, puoi andare».

«E’ stato un piacere, professore» rispose lei e uscì dalla stanza.

Il sorriso di Slughorn era scomparso quando disse a Kilian: «Siediti».

Kilian obbedì e si accomodò su una bassa poltroncina.

«Abraxas e il signor Pringle mi hanno riferito cos’è accaduto».

Kilian lo guardò, sorpreso.

«Li hai colpiti con una fattura Oppugno» continuò Slughorn. «Dico bene?»

«Beh, sì,» iniziò Kilian, «ma solo perché loro avevano attaccato Rubeus Hagrid».

«Dopo che Rubeus Hagrid li aveva aggrediti» ribatté Slughorn.

«Cosa? No! Io…»

«Il custode Pringle,» lo interruppe l’insegnante «mi ha riferito che Hagrid ha aggredito alla babbana il signor Malfoy, il signor Selwyn
e il signor Rowle. Loro si stavano difendendo con la magia, ma tu hai aiutato Hagrid, cogliendoli di sorpresa alle spalle, con varie
fatture. Quando il signor Pringle ha provato ad intervenire, hai colpito anche lui».

«No! Le cose non sono andate così, professore. Lo avevano colpito con la Fattura dell’Insetto. Per questo sono intervenuto».
Slughorn annuì. «Sì, questo me lo hanno raccontato, ma lo hanno colpito con la Fattura dell’Insetto perché Hagrid aveva tirato un pugno al signor Selwyn».

Questo zittì momentaneamente Kilian: poteva essere vero? Eppure, la scena era sembrata inequivocabile. Tre ragazzi stavano maltrattando un ragazzino di dodici anni (perché Hagrid, anche se enorme, aveva pur sempre solo dodici anni) e un uomo adulto assisteva alla scena senza intervenire.

«Non è neanche la prima volta che succede» continuò Slughorn. «Hagrid ha un pessimo record, ma» aggiunse con un’espressione dura e delusa al contempo, «nessun studente della mia Casa gli aveva mai dato manforte».

«Io… Credevo lo avessero attaccato senza un motivo» disse Kilian sinceramente.

Slughorn sospirò piano. «Sei nuovo a Hogwarts, gli errori di giudizio sono comprensibili, ma temo che dovrò comunque metterti in punizione. Inoltre,» aggiunse con un evidente tono contrito, «dovrò togliere cinquanta punti a Slytherin. Mi auguro che questo, t’insegnerà a riflettere prima di agire».

Slughorn gli riferì anche che non avrebbe potuto recarsi a Hogsmeade con gli altri studenti a fine ottobre, ma Kilian continuò a sentirsi dalla parte della ragione.

Appena Slughorn lo congedò, tornò in infermeria, da Hagrid, il quale si stava riprendendo velocemente. Lui lo ringraziò in lacrime e lo strinse a sé, facendogli anche un po’ male: l’infermiera dovette tirarglielo via di dosso, con la forza. Hagrid («Chiamami Rubs, mi chiamano tutti così») gli raccontò che Malfoy e la sua banda avevano offeso i suoi genitori, e che, a causa di quegli insulti, aveva spinto Paris Selwyn contro il muro. Malfoy, poi, lo aveva colpito con un incantesimo. Non sapeva, con certezza, cosa fosse accaduto in seguito: si era sentito disorientato, non riusciva a camminare, aveva perso il controllo del suo corpo, ma ricordava Kilian. Ricordava che lo aveva difeso, ricordava che lo aveva aiutato. Mentre il ragazzino si soffiava il naso in un fazzoletto enorme (giallo con i pois arancioni), Kilian si chiese come avrebbe potuto pentirsi di averlo aiutato e, anzi, quella sera, a cena, provò una certa malsana soddisfazione nel notare i lividi violacei che aveva lasciato sulle carnagioni pallide di Malfoy e Selwyn e su quella gialliccia di Pringle.

Avrebbe scoperto presto, che il resto della sua Casa la pensava diversamente. Mentre, con tutti gli altri studenti, erano impegnati a fingere che l’accaduto non gli avesse turbati minimamente; nella Sala Comune, a porte chiuse, gli Slytherin erano tutti ansiosi di dimostrare a Kilian quanto fossero irritati con lui per aver perso ben cinquanta punti. Molti erano impegnati a fingere che non esistesse, altri lo insultavano apertamente, i più infantili gli tiravano scherzi: un ragazzo del sesto anno di nome Crabbe gettò nella sua borsa una pozione corroborante che distrusse i suoi compiti della settimana. Neanche il fatto che i Gryffindor avessero perso la stessa quantità di punti (a causa di Hagrid), era servito a risollevare il morale generale perché comunque adesso Slytherin si ritrovava più in basso nella classifica della Case rispetto ad Hufflepuff e, a quanto pare, questo era inaccettabile. A Kilian spiaceva per la Coppa delle Case, ma realmente non comprendeva come fosse possibile che Malfoy e Pringle l’avessero passata liscia.

Alphard provò a spiegarglielo, anche se non con molto successo.

«Il padre di Abraxas è nel Consiglio della scuola» disse.

«Dovrebbe importarmi?»

«Importa a Slughorn e anche molto».

Erano entrambi seduti sul letto di Kilian. Tra di loro, c’era Gaheris che li guardava con sguardo intento, come se capisse ogni parola e teneva la testa appoggiata alla coscia di Kilian. Quest’ultimo lo stava grattando dietro le orecchie.

«Adora Abraxas. E’ tra i suoi studenti preferiti. Non solo è un Malfoy, con tutto ciò che questo nome implica, ma è anche un pozionista molto abile. Quest’anno, addirittura,» continuò Alphard «presenterà un progetto su una nuova versione della Pozione Senza Sogni alla
Straordinaria Società dei Pozionanti. Invece, Hagrid non fa altro che combinare guai. Sai che l’anno scorso ha picchiato mio fratello?».
Kilian sentì il suo stomaco affondare e smise, per un attimo, di accarezzare Gaheris: questi cominciò a mordicchiargli il dito, indispettito. «No, non lo sapevo. Mi dispiace» disse.

Alphard scrollò le spalle. «Bada bene, conosco Cygnus, lo avrà sicuramente provocato, ma questo non giustifica Hagrid. Si comporta sempre in questo modo. Infrange le regole in continuazione, si fa costantemente beccare, è irascibile e manesco. Né Dippet, né Slughorn si fidano minimamente di lui».

Kilian sbuffò. «Ma cosa c’entra? Un atto non è più o meno grave a seconda di chi lo compie».

«Sì, invece: si chiama reputazione» disse Tom, entrando nella stanza, con Icarus al seguito.

Per un istante, Tom fissò Kilian ed Alphard con uno sguardo indecifrabile, poi si diresse sul suo letto. Icarus si sedette su una sedia, lì vicino.

«Allora,» disse Tom «sei riuscito, da solo, ad avere la meglio contro Malfoy, Rowle e Selwyn?»

«La professoressa Goshawk mi ha insegnato a duellare» spiegò Kilian.

«Notevole, mi sarebbe piaciuto assistere, dev’essere stato un bello spettacolo. In un altro momento, Slughorn sarebbe rimasto impressionato».

Kilian si sentì momentaneamente rincuorato dalla lode, ma Tom continuò: «Tuttavia, nella posizione in cui ti trovavi, non sono certo che ne sia valsa la pena».

«Non valeva la pena aiutare Rubeus?» scattò Kilian. «Lo sapete anche voi che sicuramente non è stato lui ad iniziare. Conoscete quei tre».

Cercò d’incrociare lo sguardo di tutti, uno ad uno, ma Alphard, ora, teneva la testa china e fissava Gaheris, che era sempre accoccolato tra loro, e Icarus sembrava fortemente a disagio e aveva occhi solo per Tom. Quest’ultimo, seduto nella posa più elegante e regale che si potesse assumere su un letto, fu l’unico a non evitare i suoi occhi e, con franchezza, disse: «Non ha importanza chi ha iniziato. Malfoy è un Prefetto del sesto anno».

«E’ un idiota, ecco cos’è» replicò Kilian.

«E’ uno degli studenti migliori della scuola» continuò Tom come se l’altro non avesse aperto bocca, «e può vantare una condotta esemplare: non ha mai ricevuto una sola punizione, neanche per aver consegnato un compito in ritardo o per aver infranto il coprifuoco».

«Solo perché è bravo a non farsi beccare!»

«Inoltre è un Malfoy» concluse Tom, guardandolo e scuotendo la testa con aria lievemente sconsolata.

«Che c’è?» gli chiese Kilian, socchiudendo gli occhi.

«Niente» ripose lui. «E’ solo che comincio a capire chi tipo di persona sei e mi chiedo come tu sia sopravvissuto fino ad oggi, tutto solo, nel grande mondo cattivo. In effetti, non comprendo neanche cosa tu ci faccia a Slytherin, se non riesci a capire che, semplicemente, agire non sempre è la scelta migliore».

«Tom, smettila» intervenne Alphard.

Tom lo ignorò. «Ad esempio, sei consapevole quanto ti aiuti avere sempre un Black al tuo fianco? Sai che la tua vita sarebbe stata più difficile dopo che ti eri schierato al fianco di Myrtle Warren, tra tutte le persone, se non fossi amico del fratellino di Walburga?»
Kilian sentì qualcosa bruciargli nello stomaco e comprese che era vergogna. Guardò di sottecchi Alphard: era vero? Lui lo stava difendendo? Aveva bisogno della sua protezione?

Alphard, però, continuava a evitare il suo sguardo. Fissava Tom e anche se la sua espressione era neutra, i suoi occhi, che continuavano a cambiare colore in maniera repentina e violenta, tradivano la sua irritazione. Gaheris, avvertendo il nervosismo del suo padrone, iniziò a soffiare in direzione di Tom e a far schioccare la coda leonina.

Icarus si schiarì la voce, sempre più a disagio. «Kilian, Alphard, Tom vuole solo dire che… » esitò e, poi, dopo aver deglutito a vuoto ed essersi leccato nervosamente le labbra, concluse: «Mio zio diceva sempre che nessuno è mai riuscito a far condannare un Malfoy per un crimine: “neanche quando venivano trovati sul luogo del delitto con in mano una bacchetta incriminata”».

«E bisogna ammettere» disse Tom, «che questo è un modo furbo di vivere. Ottieni maggiori risultati quando eviti di essere tanto ovvio su chi sei e cosa vuoi».

«Parli per esperienza personale?» replicò Kilian.

«Sì,» ammise Tom con tutto il candore con cui si poteva fare un’ammissione simile. «Non è stato intenzionale e non ne sono particolarmente lieto, ma devo ammettere che in questi anni, ho imparato molto da Malfoy».

Meravigliato da questa dichiarazione, Kilian osservò Tom più attentamente e con occhio critico.

Era vestito in maniera impeccabile, come sempre, e non importava cosa facesse, riusciva sempre ad apparire elegante e disinvolto. Era alto, magro ma non ossuto, aveva un naso dritto, zigomi alti, i suoi occhi erano molto espressivi e i capelli neri formavano un contrasto piacevole con la sua carnagione diafana.

Ma non era solo il suo aspetto fisico. Era tutto. Era lo studente migliore della scuola, aveva un enorme talento e eccelleva in ogni disciplina, senza apparente sforzo; era affascinante e molto popolare. I suoi amici più stretti potevano essere quasi tutti di Slytherin, ma in realtà era in ottimi rapporti anche con gli studenti delle altre Case, persino i Gryffindor non riuscivano a trovare nulla da ridire su di lui.

Tom era, in qualche modo, perfetto, o comunque era la persona più vicino alla perfezione Kilian avesse mai conosciuto (sì, certo, conosceva poche persone, ma era convinto che anche dopo aver riacquistato i suoi ricordi, non avrebbe cambiato opinione). Quante probabilità c’erano che una sola persona possedesse in abbondanza così tante ottime qualità?   

E questa domanda, alla luce della recente confessione di Tom, portava ad un’altra: Tom fingeva, in qualche modo? Il suo atteggiamento era studiato? Per qualche ragione, ogni volta che lo guardava, continuavano a tornargli in mente le sue due versioni oniriche; il ragazzo incontrato durante il viaggio astrale, tremendamente bello, ma con indosso logori vestiti grigiastri e un’aria sofferente, sola, vuota; e il ragazzo dell’incubo con il bel viso deformato in un ghigno crudele, la risata stridula, gli occhi rosso sangue…

Kilian scosse la testa, e assunse un’espressione dura e decisa. «Se essere uno Slytherin vuol dire che devo lasciar fare a gente come Malfoy quello che gli pare, non m’interessa essere uno Slytherin».

«No, assolutamente, non stavo dicendo questo» obiettò Tom. «Anzi, mi raccomando, non fare questo, a meno che tu non voglia trascorrere i prossimi quattro anni, prostrandoti ai piedi di qualcuno. Combatti pure le tue battaglie, ma dovresti tenere a mente che le battaglie che hai più probabilità di vincere, sono le battaglie pianificate». Le sue labbra si piegarono in un piccolo ghigno. «In effetti, se ti viene in mente una buona idea, potrei anche darti una mano».

Icarus sorrise dopo quelle parole, Alphard sembrava preoccupato, ma Gaheris tirò con una zampa la maglia di Kilian e gli leccò le dita, come se avesse compreso la conversazione e volesse offrire anche lui il suo aiuto.

Kilian non sapeva come rispondere a questa offerta, ma, al momento, c’era un’altra questione che voleva chiarire: «Cos’ha Pringle?
Voglio dire, era lì, ma sembrava che stesse dormendo in piedi e poi, perché non ha fatto nulla?».

Dalle loro espressioni, Kilian comprese che gli altri tre ragazzi sapevano benissimo cosa intendesse e conoscevano anche la risposta alle sue domande.

«Beh, ecco, questo è tipo un segreto, anche se nella nostra Casa, lo sanno quasi tutti» disse Icarus.

«Ma non vogliamo che lo scoprano gli insegnanti» sottolineò Tom.

«Pringle, praticamente, è sul libro paga di Malfoy» rivelò Alphard. «E’ per questo che ti avevo detto di stare lontano da lui».

«Malfoy paga Pringle per poter fare quello che vuole?» ripeté Kilian, incredulo.

«Pringle ha una dipendenza da pozioni psichedeliche costosa da mantenere e Malfoy lo aiuta con gli avanzi della sua paghetta mensile» disse Tom.

«Quali pozioni psichedeliche?» chiese Kilian, incuriosito.

«Beh, al momento vanno di moda i Come d’Incanto: ti permettono di fare sonni ad occhi aperti molti realistici. In pratica entri in un mondo ideale dove puoi essere e puoi avere tutto ciò che desideri» gli rispose Icarus.

«E perché, esattamente, state aiutando a nascondere che Pringle ha una dipendenza e che Malfoy ha l’abitudine di corromperlo?»

«Perché fa comodo a tutti avere un membro del personale che con un po’ d’oro, è disposto a guardare da un’altra parte quando è necessario» disse Tom con fare impassibile.

«Da quando è stato assunto, il numero di punizioni che la nostra Casa riceve sono calate drasticamente» commentò Icarus allegramente.

Non aggiunse “E speriamo che tu non rovini questo record”, ma Kilian sentiva che era sottointeso.

Sarebbero trascorse settimane prima che gli Slytherin iniziassero a perdonarlo, ma nel frattempo Kilian scoprì che l’accaduto lo aveva reso popolare tra i Gryffindor.

Quella sera stessa, tre ragazzi del quinto anno di Gryffindor, Minerva McGonagall, la sorella maggiore di Malcolm, Dustin McKinnon e Augusta Gamp si avvicinarono a lui, poco prima di cena, in segno di solidarietà. Minerva e Dustin erano Prefetti e gli dissero che consideravano Rubs una loro responsabilità, ma che era davvero difficile proteggerlo perché si cacciava costantemente nei guai.  

«Rubeus ha il cuore al posto giusto,» sostenne Minerva «ma deve decisamente imparare a controllare i suoi impulsi».

«Non ha avuto una vita facile, sai» aggiunse McKinnon. «Sua madre è morta quando era piccolo e suo padre è… beh, è un uomo un po’ eccentrico».

Kilian approfittò dell’incontro per chiedere a McKinnon se conosceva qualcuno di nome “Kilian McKinnon”, ma questi non seppe dirgli niente di più di quello che gli aveva già detto Dumbledore. Dustin conosceva un solo Kilian McKinnon: suo padre che era un erbologo.

Il giorno dopo, altri Gryffindor manifestarono un nuovo rispetto nei confronti di Kilian.  

A colazione, Benjamin Fenwick (settimo anno, Prefetto e Battitore) lo raggiunse al tavolo di Slytherin per ringraziarlo; un Prefetto Gryffindor del sesto anno, Elizabeth Abbott, gli assegnò dieci punti per aver aiutato una matricola a trovare la strada per l’aula d’Incantesimi; Virginia Ogden e Marlene McKinnon (due ragazze del terzo anno con cui Kilian non aveva mai scambiato neanche una parola) lo cercarono durante l’intervallo per congratularsi; Malcolm McGonagall sembrava aver superato qualsiasi problema avesse avuto nei suoi confronti e Susan Bennet e Bedwyr Weasley, con grande imbarazzo di Kilian, applaudirono al suo passaggio per tutto il giorno.

«Era prevedibile» disse Alphard con un sorrisino caustico. «Hai difeso uno studente della loro Casa da Malfoy, hai fatto perdere a Slytherin cinquanta punti e sei finito in punizione: per i canoni di Gryffindor, ora sei praticamente un eroe».

Un altro fattore positivo fu che la punizione assegnatagli fu tutto sommato piacevole. Kilian dovette solo trascorrere una notte di luna piena col professor Pyrites per aiutarlo a purificare una gran quantità di rame con delle uova di rana. Il professor Pyrites era l’insegnante di Studi Alchemici, un corso che potevano seguire solo gli studenti MAGO; aveva gli occhi color ferro ed era alto e calvo. Indossava sempre lunghe vesti con ricami argentati e dei guanti bianchi. 

Era stato uno Slytherin e Kilian si ritrovò a parlargli di quanto, al momento, i suoi rapporti con i suoi compagni fossero tesi.
Pyrites annuì comprensivo. «Oltre a stimolare una sana competizione, la Coppa delle Case ha lo scopo di disciplinare gli studenti sfruttando la pressione sociale del gruppo».

«Pensa che mi odieranno per sempre?»

L’uomo sorrise: «No, lo escludo, ma dovresti davvero imparare come si combattono certe battaglie».

Che, in pratica, rifletté Kilian, era ciò che gli aveva detto Tom.

Mentre Pyrites verificava la purezza raggiunta dal rame con delle fiamme blu che tirò fuori da un barattolo, il ragazzo pesò altre uova di rana e fu allora che gli venne in mente un modo per vendicarsi di Malfoy.

Il giorno dopo, Kilian, che era rimasto sveglio fino a tardi, si alzò verso le undici del mattino e si mise subito alla ricerca di Tom. Lo trovò velocemente. Era in un angolo della Sala Comune e chiacchierava con Dorcas, Icarus, Balthazar e Mulciber. Esitò, fermo a un paio di metri dal gruppetto: potendo scegliere, avrebbe preferito non avere un pubblico.

Tom dovette avvertire il suo sguardo perché alzò la testa e la volse nella sua direzione. Kilian non sapeva come, ma l’altro ragazzo, semplicemente, capì. Si rivolse nuovamente ai suoi amici e borbottò qualcosa, poi si alzò e si diresse verso di lui. Senza scambiarsi neanche una parola, Kilian e Tom decisero di ritornare nel loro dormitorio, che al momento era vuoto, per poter parlare senza uditori.

Mentre si allontanavano, Kilian sentì quattro paia di occhi fissi sulla sua schiena. 

«Allora, di cosa volevi parlarmi?» chiese Tom dopo che furono entrati nella loro stanza ed ebbero chiuso la porta.

Kilian rimase in piedi, davanti a lui, un po’ nervoso, e cominciò a torcersi le mani. «Hai detto che se mi fosse venuta in mente una buona idea per rivalermi su Malfoy, mi avresti dato una mano» cominciò. «Dicevi sul serio?»

«Certo,» rispose Tom, appoggiato alla parete. «Non sei l’unico ad avere dei conti in sospeso con lui».

«Beh, ecco, mi è venuto in mente che sabato prossimo verranno a Hogwarts, Fleamont Potter e Damocles Belby della Straordinaria Società dei Pozionanti per valutare il lavoro di Malfoy con la Pozione Senza Sogni».

Tom annuì, ascoltando con attenzione.

«Malfoy ci tiene parecchio, vero?»

«Certo,» rispose Tom «se il suo lavoro è davvero notevole come sostiene, potrà pubblicare uno studio: è un risultato ragguardevole per uno studente del sesto anno. Inoltre, sarebbe un primo passo per diventare il più giovane socio dell’organizzazione».

Per un attimo, l’ombra del dubbio offuscò la determinazione di Kilian, ma fu scacciata via dal ricordo di Rubs che piangeva e si dimenava sul pavimento di quell’aula in disuso. Non stava rovinando la carriera di Malfoy, solo ritardando un suo successo.

«Malfoy preparerà la pozione venerdì e questa resterà a riposare fino a sabato nell’aula di Pozioni» continuò. «Stavo pensando che potrei intrufolarmi nell’aula venerdì notte e rovinarla in qualche modo».

Le labbra di Tom si aprirono in un lento sorriso. «Mi piace,» disse «hai cercato di comprendere Malfoy e di capire come potevi danneggiarlo. Prima regola: conosci il tuo nemico. Ma» aggiunse «questo piano presenta numerose problematiche. Te ne rendi conto, vero?»

Kilian annuì.

«Ad esempio… ?» Tom lo incoraggiò a continuare.

«Ad esempio, Slughorn non avrebbe contattato la Società se non si fidasse delle capacità di Malfoy. Potrebbe capire che la pozione è stata manomessa e, visto che ho avuto da poco uno scontro con lui, io sarei il primo sospettato. Mi serve un alibi».

Tom sembrava soddisfatto. «Hai già pensato a qualcosa?» chiese.

«Non proprio» borbottò Kilian. «Nel pomeriggio, assisto la Sykes durante le lezioni di Volo dei ragazzi del primo anno, ma il resto della sera…»

«Alla sera, resterai in Sala Comune, dove tutti ti potranno vedere».

«Ottimo. E come faccio a stare nel dormitorio mentre m’intrufolo nell’aula di Pozioni?»

«Semplice» rispose Tom. «Non lo farai. Non manometterai il lavoro di Malfoy, lo farà Ted».

Kilian fissò Tom, sbigottito. «Perché dovrebbe?»

«Perché glielo chiederò io» rispose Tom come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Inoltre, Malfoy non gli piace più di quanto non piaccia a te. Io ed Icarus gli spiegheremo come manomettere la Pozione, senza che un intervento esterno risulti troppo ovvio. Lui dovrà solo eseguire. Comunque, ovviamente c’è un altro problema» continuò Tom.

Kilian si morse il labbro inferiore. Sapeva qual era l’altro problema. «Slughorn è solito sigillare la porta dell’aula con un incantesimo, la sera» disse. «Serve la chiave per aprirla».

«Esatto» convenne Tom. «In questo può aiutarci Gaheris».

Kilian si ritrovò nuovamente a fissarlo sbigottito. «Gaheris?».

«E’ un kneazle» spiegò Tom. «Non è in grado di capire come si altera una pozione, ma di certo, è abbastanza intelligente da riuscire a intrufolarsi nell’ufficio di Slughiorn, rubargli la chiave e poi restituirla».

«E come dovrebbe entrare Gaheris nell’ufficio di Slughorn?»

Tom scrollò le spalle, con noncuranza. «Dalla canna fumaria? Sono certo che troverà il modo, anche perché la maggior parte degli incantesimi studiati per impedire un accesso funzionano solo sugli umani».

Kilian aggrottò le sopracciglia. «Gaheris è di Alphard. Dovrei chiederglielo».

Tom liquidò la questione velocemente. «Chiediglielo. Credi che ti direbbe mai di no?» Kilian non fece in tempo a rispondere, perché l'altro continuò: «L’ultima problema, ovviamente, è che tutto questo serve a far sapere a Malfoy che contrariarti ha un prezzo, in modo che la prossima volta che vi scontrerete, ci penserà due volte prima di denunciarti a Slughorn».

Kilian annuì.

«Quindi non deve sapere che sei stato tu e, soprattutto, non deve poterlo provare, ma…»

«…Lo deve sospettare» concluse Kilian.

«Esatto» disse Tom e si diresse verso il suo baule da dove estrasse una spilla verde a forma di serpente che gli consegnò. «Tienila sempre appuntata ai tuoi vestiti, in questi giorni, assicurati che Malfoy ti veda. Diremo a Ted di lasciarla nell’aula di Pozioni. Non costituirà una prova, è un accessorio abbastanza comune e potremo sempre dire che l’hai dimenticato durante la nostra ultima lezione di Pozioni. Ma se sabato prossimo, ti avvicinerai a Malfoy e, sorridendo, gli chiederai com’è andata la dimostrazione, non potrà che dubitare di te».

Il loro piano funzionò. Ted accettò la missione con entusiasmo, Alphard, anche se senza l’entusiasmo di Ted, acconsentì a prestargli Gaheris, Gaheris riuscì a intrufolarsi nell’ufficio di Slughorn dal camino e rubò la chiave, per poi restituirla. Ted, seguendo le istruzioni di Tom e Icarus, alterò la pozione di Malfoy.

Sabato a pranzo, Slughorn entrò in Sala Grande accompagnato da Fleamont Potter e Damocles Belby. Kilian non avrebbe saputo dire chi fosse l’uno e chi fosse l’altro, nessuno dei due assomigliava molto a Charlus, ma il più alto, quello che indossava vestiti sgargianti dall’aria costosa e aveva lunghi e lisci capelli neri, si sedette tremando al tavolo delle autorità, con l’aria stravolta. Alphard gli spiegò che quello era Fleamont Potter. A quanto pare aveva testato su sé stesso la pozione di Malfoy, ma questa, invece, di assicurargli un sonno senza sogni, gli aveva fatto vivere parecchi incubi. Slughorn pensava che Malfoy avesse sbagliato a calcolare la giusta quantità di sciroppo di elleboro.

La notizia che Abraxas Malfoy aveva fatto una figuraccia con la Straordinaria Società dei Pozionanti fece il giro della scuola velocemente e anche se nessuno era tanto coraggioso (o tanto stupido) da prenderlo in giro apertamente, era evidente che molti trovavano l’accaduto divertente.  

Kilian fece come aveva consigliato Tom: impavidamente, si avvicinò a Malfoy, quello stesso pomeriggio, in biblioteca, e gli chiese com’era andata la dimostrazione. Malfoy non lo degnò di una risposta, ma il modo in cui i suoi occhi saettarono sul punto della veste dove non c’era più la spilla che aveva indossato costantemente nell’ultima settimana, confermò che era riuscito a piantare il seme del dubbio nella sua mente.

Kilian era euforico, Tom estremamente soddisfatto e quella notte, i due decisero di festeggiare la loro piccola vittoria.

Poco dopo le undici di sera, grazie a un paio di passaggi segreti, sgattaiolarono di nascosto fuori dal castello, e arrivarono fino alla stazione, spuntando da dietro la statua di un gargoyle. Tom, poi, guidò Kilian lungo un sentiero ripido e stretto, fiancheggiato da folti alberi. Kilian riuscì a capire cos’avesse in mente Tom solo quando, girando una curva, il sentiero si spalancò sul bordo del grande lago.
Da lì, si poteva ammirare Hogwarts, appollaiata in cima alla montagna: le finestre brillavano contro il cielo pieno di stelle.

«Wow!» esclamò Kilian, fissando il castello con meraviglia. Non riusciva a distogliere lo sguardo e il suo respiro era diventato affannato: era stupenda, era la cosa più bella che avesse mai visto.

«Non posso restituirti i tre anni che avresti dovuto vivere a Hogwarts,» disse Tom «ma ho pensato che meritassi di vivere questo. Andiamo».

Raggiunsero una piccola barca che si trovava sulla riva del lago e salirono. Questa partì, scivolando sul lago. Kilian rimase in silenzio, per ammirare il castello che si avvicinava sempre di più, che torreggiava su di loro, maestoso, imponente, ricco di magia e custode di segreti. A un certo punto, Tom gli offrì la mano, sorridendo, e Kilian la strinse, ricambiando il sorriso.
 
***
 
L’allenamento mattutino era andato bene. Alphard stava uscendo dallo spogliatoio stanco, ma relativamente soddisfatto quando sua sorella lo richiamò con tono imperioso: «Al, aspetta. Ti devo parlare».

Roland incrociò il suo sguardo e mimò con le labbra “Mi spiace”, prima di uscire, insieme a Ted, Nyx, Xenos Avery e Howard Goyle.

Alphard rimase nello spogliatoio con Walburga che lo fissava con piglio deciso e le braccia incrociate.

«Ho fatto qualcosa che ti ha contrariata, sorella cara?» le chiese con tono lezioso.

«Non intenzionalmente, fratello mio adorato,» rispose lei con un tono simile «ma la tua assenza di buon gusto mi disturba. Potevo capire la curiosità inziale, ma adesso stai esagerando».

«Di che parli?» chiese Alphard, anche se in realtà sapeva di cosa stava parlando.

Walburga sbuffò. «L’ingenuità non ti dona, fratellino» ribatté lei. «Sei un Black. Magbob ti pare una compagnia adeguata? Non si sa da dove venga, ma è evidente che non ha ricevuto nessuna educazione, non sa come ci si comporta. Merlino, non lo avrei mai detto, ma ti preferivo quando stavi sempre per conto tuo e non parlavi con nessuno».

«Ne prendo nota» le assicurò Alphard. «Non mi farò altri amici, ma con Kilian ormai è tardi. Ora posso andare?»

Purtroppo, Walburga non aveva finito. «Ha manomesso la pozione di Malfoy?» chiese stringendo gli occhi. «Lo ha fatto?»

Sì, lo aveva fatto, e con l’aiuto di Tom, ma visto che ad Alphard, Kilian piaceva com’era (con tutti gli arti al posto giusto), non poteva condividere quest’informazione con sua sorella.

«Perché t’interessa?» le chiese. «Tu e Malfoy non siete mai stati amici».

«Non ha alcuna importanza» rispose lei, aprendo la porta dello spogliatoio, e iniziando a incamminarsi verso il castello. «Tralasciando il fatto che sarebbe stato un onore per Slytherin, se Malfoy avesse avuto successo; il punto è che nella nostra Casa c’è una gerarchia da rispettare».

Alphard riuscì a evitare di sbuffare e, con tono tranquillo, disse: «Non credo sia stato lui».

Walburga gli rivolse uno sguardo storto. «Ma se fosse stato lui, ti andrebbe bene» lo accusò.

Dire che gli andasse bene, era un’iperbole. Tutt’ora, aveva dei dubbi sull’intera faccenda. Kilian, di fatto, aveva dichiarato guerra a Malfoy, Malfoy non era il tipo di persona da lasciar perdere e Alphard non vedeva come Kilian avrebbe potuto vincere. Aveva accettato di aiutarlo solo perché aveva compreso come si sentiva il suo amico: Kilian aveva bisogno di sapere che non era inerme.

Certo, Walburga non intendeva chiedergli se era preoccupato per le possibili conseguenze che la piccola vendetta orchestrata da Kilian e Tom avrebbe potuto avere su Kilian. Sua sorella, semplicemente, era fermamente convinta che loro, e i Malfoy, e i Lestrange e i Selwyn fossero equiparabili ai membri di una famiglia reale e non riusciva ad accettare che ragazzini nati in orfanotrofi babbani e mocciosi senza nome, anche se smistati a Slytherin, potessero osare sfidarli.

Alphard non riusciva neanche ad incolparla. La sua arroganza era il frutto del modo in cui era stata educata, era ciò che le era stato insegnato. Beh, in realtà, tutti loro erano stati educati in quel modo, ma persone come sua sorella, Malfoy e Paris Selwyn erano stati allievi particolarmente zelanti.

«E’ così, no?» insistette Walburga distogliendo Alphard dai suoi pensieri.

«Beh, sì» ammise Alphard mentre raggiungevano la scalinata del castello. «Sapere che è stato lui, non mi toglierebbe il sonno». Scrollò le spalle. «Non m’interessano queste cose, lo sai».

«Io devo ancora capire cosa t’interessa» replicò lei.

Alphard stava per rispondere, ma Walburga lo afferrò per le spalle e lo strattonò forte, quasi dolorosamente. «Sono stata estremamente generosa, fino ad adesso,» disse «ma la mia pazienza non è illimitata. Dico sul serio, fratellino, assicurati che il tuo amichetto sappia che ci sono regole che deve rispettare».

«Le tue regole?»

«Sì, come sempre» rispose lei, liberandolo dalla stretta e risalendo i gradini velocemente, quasi correndo: i suoi lunghi capelli neri svolazzarono dietro di lei.

Alphard aspettò che raggiungesse la Sala d’Ingresso, prima di ricominciare a salire.

Era vero. Alphard aveva sempre rispettato le regole dettate da Walburga, tra di loro funzionava così: Walburga era la leader; Cygnus e
Orion, i suoi fedeli accoliti; Roland la sua spalla e, quando era necessario, il suo stopper. Alphard e Lucretia, di solito, cercavano di non farsi coinvolgere, ma, comunque sia, non si opponevano mai.

Appena, fu entrato nella Sala d’Ingresso, vide Kilian spuntare fuori dalla scala che conduceva ai sotterranei: incrociò lo sguardo di Alphard e gli fece un sorriso enorme, prima di correre verso di lui.

«Com’è andato l’allenamento?» gli chiese mentre entravano insieme in Sala Grande.

«Non mi lamento,» rispose Alphard, sedendosi al loro tavolo, «ma se ci fossi stato tu, sarebbero andati meglio».

Kilian ghignò: «Ne dubito».

Non era un argomento nuovo. Quando Kilian era tornato dalla sua prima lezione di volo, dichiarando che la Sykes lo aveva promosso immediatamente e che gli aveva anche chiesto di diventare il suo assistente, Alphard si era incuriosito. Il giorno dopo, avevano volato insieme e il Portiere di Slytherin aveva potuto constatare che sì, Kilian volava in maniera impressionante. Da allora, continuava ad offrirsi di andare a parlare con Walburga per fargli ottenere un posto in squadra.

«Ti divertiresti tantissimo» ripeté Alphard per quella che doveva essere la millesima volta. «E se ci aiutassi a battere i Gryffindor, tutti dimenticherebbero il tuo scontro con Malfoy».

«Non voglio che dimentichino» ribatté Kilian, «inoltre, davvero, mi spiace, ma non entrerò in una squadra che ha come capitano tua sorella: non ho intenzione di trascorrere in sua compagnia un solo secondo in più dello stretto necessario».

In quel momento, Tom entrò nella Sala Grande, accompagnato da Dorcas e Icarus, e si sedette di fronte a Kilian. Si salutarono e poi Icarus cominciò a parlare del compito di Aritmanzia. Tom intervenne per spiegare come aveva risolto le funzioni logaritmiche e come suddette funzioni potevano essere usate per misurare la scala di acidità di una pozione. Alphard, seppur interessato, ascoltava solo a metà.

Un’altra conseguenza spiacevole dello scontro con Malfoy, era che adesso Tom sembrava pensare che Kilian si fosse candidato per unirsi al suo gruppetto. Alphard riconosceva il modo in Tom cui si comportava con lui: lo aveva già visto all’opera con Ted, Dorcas e Icarus. Era gentile, sempre apparentemente interessato a cosa Kilian aveva da dire, sempre disponibile ad aiutarlo, ma nello stesso tempo lo sondava, cercava di comprenderlo e lo metteva costantemente alla prova, valutando il suo ingegno, il suo coraggio e la sua lealtà. Alphard rivolse uno sguardo obliquo a Dorcas, che pendeva dalle labbra di Tom, e a Icarus, che lo fissava con gli occhi a forma di cuore. L’idea che il suo amico, un giorno, sarebbe potuto diventare così, non gli piaceva neanche un po’. Ovviamente, Kilian non sembrava qualcuno a cui si poteva dare ordini, ma neanche Dorcas Meadowes lo sembrava. Lei era forte e brillante e dotata e…  attorcigliata attorno al dito mignolo di Tom Riddle.

Si versò del tè. Certo, con ogni probabilità, ciò che inizialmente aveva attratto Dorcas verso Tom e che loro due erano gli unici (nel loro anno, di Slytherin) ad essere sia orfani, che cresciuti dai Babbani, che poveri. “Ma tutto questo” pensò Alphard, aggrottando le sopracciglia, “vale anche per Kilian”.

Finirono la colazione e poi, tutti e cinque insieme, si diressero verso l’aula di Aritmanzia. Kilian era visibilmente eccitato e lo rimase per tutto il giorno perché quella sera avrebbe avuto luogo l’evento che attendava dalla sua prima lezione di Difesa: la prima riunione del trimestre del Club dei Duellanti.

Era la professoressa Merrythought a presiedere il Club. Quella sera, dopo aver augurato il benvenuto ai nuovi iscritti, annunciò che durante quell’incontro si sarebbero esercitati con armi bianche.

Era un club molto frequentato, da studenti di tutte le Case. Si riunivano in una grande aula che si trovava al secondo piano e, per l’occasione, l’insegnante aveva appeso a una parete una gran quantità di spade di tutti i tipi e di tutte le dimensioni. Li invitò a sceglierne una, spiegando che nell’antichità i maghi potevano duellare usando sia la bacchetta che la spada e che, questa capacità veniva tutt’ora richiesta ai duellanti professionisti.

«Ma anche se non intendete diventare duellanti, imparare ad utilizzare le armi bianche può esservi utile: vi aiuterà ad allenare i riflessi e l’istinto» concluse la strega dopo che tutti ebbero afferrato una spada (il piccolo Filius Flitwick, senza imbarazzo, aveva scelto un pugnale).

La Merrythought dopo averli fatti esercitare sulle basi, li divise in coppie: studenti di Slytherin contro studenti di Ravenclaw dello stesso anno; ragazzi di Gryffindor contro coetanei di Hufflepuff. Gli studenti cominciarono ad esercitarsi gli uni contro gli altri mentre lei passava loro in mezzo, fornendo consigli e correggendo posture e impugnature. Alphard, che aveva scelto una spada lunga e sottile con un’impugnatura a forma di lupo, si esercitò con Sowa Shacklebolt. Shacklebolt era in gamba, e, con ogni probabilità, proprio come Alphard, da bambino aveva ricevuto lezioni di scherma, ma in quanto giocatore di Quidditch, Alphard aveva riflessi migliori dei suoi.

Kilian lavorava con Alexander Bagman, uno dei Cacciatori di Ravenclaw. I suoi movimenti erano lievemente incerti, ma aveva una buona postura, naturale, ce la stava mettendo tutta e sembrava che si stesse divertendo. Le stoccate di Bagman, invece, erano veloci e precise, ma galantemente, riconoscendo la carenza di esperienza del suo avversario, si tratteneva e, invece di provare a batterlo, cercava d’istruirlo. Sembravano andare d’accordo: a un certo punto, Bagman s’inchinò in maniera scherzosa e, dopo uno scambio di battute, entrambi scoppiarono a ridere.

Con la coda dell’occhio, Alphard notò che anche Tom, che aveva appena sconfitto Millicent Bagnold, li stava guardando.

Dopo un paio d’ore, la Merrythought mise fine alla riunione e li invitò a partecipare anche la settimana successiva.

Le settimane seguenti trascorsero serenamente. Kilian non si mise nuovamente nei guai e anche se Walburga, evidentemente, disapprovava ancora l’amicizia di suo fratello con il ragazzo apparso dal nulla, per il momento, aveva deciso di non agire: Alphard sospettava di dover ringraziare Roland per quella clemenza.

Ottobre arrivò e passò velocemente. Alphard, che aveva la sensazione che quel trimestre stesse trascorrendo più velocemente del solito, in segno di solidarietà, decise di non recarsi all’uscita ad Hogsmeade programmata per Halloween e lui e Kilian passarono un piacevole sabato in un castello spopolato, giocando a scacchi, facendo i compiti e volando.

Alphard si sarebbe ricordato della facilità con cui Kilian aveva afferrato la Pluffa dopo una picchiata di venti metri su una delle vecchie scope della scuola quando, la settimana seguente, i Gryffindor li batterono a Quidditch. Gli Slytherin stavano vincendo per centonovanta a sessanta, quando Minerva McGonagall aveva individuato il Boccino e lo aveva fregato a Howard Goyle con un doppio giro della morte.

Alphard voleva disperatamente Kilian nella squadra, ma non sapeva cosa fare. Aveva già provato innumerevoli volte a parlare a Walburga del talento di Kilian, per convincerla a dargli una possibilità, e aveva anche provato a parlare a Kilian; ma entrambi erano testardi e inamovibili e, a causa di ciò, Slytherin stava perdendo quello che potenzialmente era il miglior Cercatore della scuola.

Alphard non riusciva ad accettarlo e la sera seguente alla partita, mentre nella torre di Astronomia osservavano Venere entrare in congiunzione con la Luna, provò a riprendere l’argomento.

«Al, basta» disse Kilian, un po’ sbuffando, un po’ ridendo.

«Ma ami volare,» disse lui «lo vedo».

«E infatti, volo» ribatté Kilian. «E assisto anche la Sykes: probabilmente, se entrassi in squadra non potrei più farlo».

Alphard sospirò pesantemente. Aveva anche pensato di rivolgersi a Slughorn, come Direttore aveva maggiore autorità sulla gestione della squadra di sua sorella, ma sapeva che Walburga non glielo avrebbe mai perdonato.

Kilian allungò la mano per afferrare un sandwich da un vassoio d’argento che avevano “rubato” dalle cucine, e, improvvisamente, cominciò a emettere degli strani sibili.

Alphard si scostò dal cannocchiale per guardarlo. Kilian fissava deliziato un serpente, dalle dimensioni di una vipera, verde con dei rombi neri. E stava parlando in Serpentese. Alphard rimase a osservarlo ammutolito, ma l’altro ragazzo, che sembrava essersi dimenticato dove fosse e con chi fosse, continuava a sibilare col serpente che lo guardava con aria attenta e, ogni tanto, sibilava in risposta. A un certo punto, Kilian allungò il braccio e la vipera si avvicinò a lui per attorcigliarsi su di esso. Quando si voltò e incrociò lo sguardo di Alphard, Kilian sbiancò.

«Sei un Rettilofono» disse Alphard. Subito dopo, si rimproverò per quell’affermazione tanto ovvia.

Kilian annuì, lentamente.

Gli occhi del serpente erano fissi su di Alphard che cominciava a sentirsi un po’ a disagio. «Perché non me lo hai detto?» chiese.
Kilian scrollò le spalle. «Non stavo cercando di tenertelo nascosto» disse. «In parte, mi era passato di mente, in parte non mi piace parlarne».

Alphard sorrise. «Ti eri dimenticato di essere un Rettilofono». Era talmente da Kilian…

Quest’ultimo arrossì lievemente. «Probabilmente, me n’ero dimenticato perché non mi piace parlarne» precisò.

«Lo sapevi già? Quando ti sei risvegliato intendo, te lo ricordavi?»

Kilian scosse la testa. «No, l’ho scoperto quando… Quest’estate, ho visitato un serpentario».

«Beh, penso che sia grandioso. E’ un dono molto raro, soprattutto in Europa».

Kilian gli rivolse uno sguardo scettico, mentre accarezzava la testa del serpente. «Indica una predisposizione alla magia oscura» disse.

«Così ho letto,» convenne Alphard, «ma quale sarebbe il problema?»

«Pensi che la magia oscura non sia un problema?»

«No,» rispose Alphard francamente. «Tu sì? E prima di rispondere,» aggiunse velocemente «chiediti: penseresti male di qualcuno che usa la magia oscura per difendersi?»

Kilian gli rivolse uno sguardo storto. «E’ diverso. Sai che usare la magia oscura, non ti rende necessariamente un mago oscuro».

«Tecnicamente, un mago oscuro è solo qualcuno molto bravo ad usare la magia oscura. Diventi bravo ad usare la magia oscura, studiandola e praticandola, non parlando coi serpenti. Sul serio, Kilian non è un grande affare».

«Dici così, ma sembri nervoso» sottolineò Kilian.

«Sono nervoso perché il serpente che stai coccolando come se fosse un gattino, continua a fissarmi e, per quel che ne so, potrebbe essere velenoso».

Kilian scoppiò a ridere. «Non ti morderebbe mai. Nagini è una ragazza beneducata, non è vero, Nagini?» disse continuando ad accarezzare la testa del serpente, Nagini.

«Sai,» disse Alphard, «se Walburga sapesse che sei un Rettilofono, forse si ammorbiderebbe nei tuoi confronti».

Kilian scosse la testa con decisione. «No, Alphard, ti prego, non dirglielo, non voglio che si sappia. Almeno fino a quando non scoprirò cosa significa».

Alphard sapeva cosa intendeva Kilian. «Parlare la lingua dei serpenti è un dono magico ereditario tipico delle famiglie purosangue arabe e indiane» disse.

«Ma io sono britannico» sottolineò Kilian.

«E, che si sappia, c’è una sola famiglia britannica in cui scorre il sangue dei Rettilofoni».

«La famiglia Slytherin» concluse Kilian.

Alphard annuì. «Salazar Slytherin era anche di ascendenza araba».

«Insomma,» disse Kilian, strattonandosi i capelli nervosamente, «credi sia possibile che… ?»

«Non lo so» disse Alphard piano «e non so se sia possibile scoprirlo. Nessuno è riuscito a ricostruire la discendenza di Salazar Slytherin, anche se sono molti gli storici che ci hanno provato».

Kilian stava per dire qualcosa, quando sentirono delle voci avvicinarsi. Si scambiarono un rapido sguardo: erano abbastanza sicuri di non essere autorizzati a recarsi nella torre di Astronomia al di fuori delle lezioni e senza supervisione. In mutuo accordo, rapidamente, con degli incantesimi di levitazione, nascosero il vassoio coi sandwich in cima alla libreria e sollevarono un grande globo lunare dal pavimento, s’infilarono nella stretta botola che nascondeva e poi riposizionarono il globo. Erano premuti uno contro l’altro e Nagini era strettamente attorcigliata attorno a Kilian, ma riuscivano a respirare e anche a sentire le voci di chi era entrato nella torre.

«Credevo di aver sentito qualcuno parlare» disse una voce flebile che apparteneva al preside. Sentirono due paia di piedi camminare sul pavimento sopra di loro: evidentemente si stavano guardando attorno.

«In ogni caso Albus,» disse il preside, «credo che sia anche un po’ irresponsabile. Doveva tenere d’occhio il signor Magbob. Costantemente. Invece, solo perché non le piace viaggiare in treno, lo ha lasciato andare da solo a King’s Cross. Esattamente, cosa le ha impedito di accompagnarlo almeno fino al binario?»

Alphard sentì Kilian irrigidirsi contro di lui.

«Ammetto che è stata una leggerezza da parte sua» rispose Dumbledore. «Ma devi ammettere che nessuno avrebbe potuto prevedere quello che è accaduto».

«Forse no,» ribatté Dippet. «ma quello non è l’unico problema. Miranda non sa come rapportarsi con gli studenti».

«Gli studenti MAGO stanno facendo enormi progressi».

«Invece, gli studenti del primo anno non sanno ancora eseguire l’incantesimo di levitazione, due del terzo anno sono scoppiati a piangere durante una lezione, neanche la metà degli studenti del quarto anno ha imparato l’incantesimo di Appello e gli studenti del quinto rischiano di non passare i loro GUFO».

«Beh, ora non esageriamo» intervenne Albus e dal suo tono si poteva intuire che stava sorridendo.

Dippet non era divertito. «Lo so che alcuni studenti ce la faranno comunque, ma tu sai come la penso: se un insegnante è capace, si vede con gli studenti peggiori. Con quelli dotati, brillanti e volenterosi sono bravi tutti».

«Armando, sono convinto che Miranda abbia solo bisogno di un periodo di assestamento» disse Albus col suo solito tono quieto. «Ti chiedo solo di aspettare la fine dell’anno prima di emettere giudizi».oDippet sospirò rumorosamente. Alphard e Kilian potevano sentirli dirigersi verso l’uscita. «Alla fine dell’anno, per gli studenti che hanno i GUFO sarà tardi» borbottò Dippet, in lontananza.
Non sentirono cosa gli rispose Dumbledore. Aspettarono vari minuti, poi Alphard provò a spostare leggermente il globo lunare per dare un’occhiata alla torre: se n’erano andati realmente. Spostarono totalmente il globo e, aiutandosi con mani e piedi, uscirono dalla botola, poi rimisero tutto a posto.

Alphard volse uno sguardo a Kilian: aveva l’aria scossa e si stava torturando il labbro inferiore.

«Credimi, non la licenzieranno» la rassicurò. «Dumbledore ha sempre la meglio nelle loro discussioni».

«Sì, forse» borbottò Kilian.

Alphard, oramai, lo conosceva sufficientemente bene da sapere che non poteva finire lì. Infatti, il giorno dopo, Kilian andò a parlare con Miranda, portò alla sua attenzione il fatto che non riusciva a gestire i ragazzi più piccoli e si offrì di aiutarla a strutturare meglio le lezioni. Alphard, inizialmente, aveva dei dubbi sulla questione. Un paio di volte, aveva assistito alle lezioni di Volo e aveva avuto modo di constatare che effettivamente, Kilian sembrava avere un dono per l’insegnamento -era paziente, sapeva farsi ascoltare, gli bastava poco per comprendere i pregi e i difetti di ogni aspirante flyer-, ma Alphard era convinto che non si potesse insegnare senza una conoscenza profonda della materia. Tuttavia, scoprì presto che il binomio Kilian-Miranda funzionava. Col passare delle settimane, la qualità del corso di Miranda aumentò e nessuno studente scoppiò più a piangere durante le sue lezioni.

Un mattino di dicembre, Hogwarts si risvegliò coperta da una coltre di neve alta più di un metro, il lago divenne una spessa lastra di ghiaccio e il castello cominciò a riempirsi di alberi di Natale e ghirlande d’agrifoglio.

L’ultimo sabato prima delle vacanze di Natale, era stata organizzata un’uscita a Hogsmeade. Kilian era felice di poter finalmente visitare il villaggio e, mentre attraversavano High Street, ammirava incantato i negozi e i piccoli cottage col tetto spiovente.

«Starai bene?» gli chiese Alphard.

«Perché non dovrei?» rispose Kilian, stupito.

Alphard alzò le spalle. «Mi spiace lasciarti solo per Natale. Mia madre, però, non mi avrebbe mai permesso di restare a scuola. Ti avrei invitato a Grimmauld Place, ma… »

«Walburga» concluse Kilian per lui. «Al, starò benissimo. Non sarò solo: rimane anche Tom». Per qualche motivo, questo pensiero non faceva sentire meglio Alphard. «E Dorcas e Balthazar» concluse Kilian per poi guardarsi attorno con trepidazione. «Allora, da dove iniziamo?».

Alphard lo portò da Mielandia, dove assaggiarono degli enormi cioccolatini ripieni, poi da Zonko, dove provarono il loro nuovo set di bacchette finte e infine a fare una passeggiata nel parco che si trovava in cima alla collina. Fu lì che videro Roland. Lui non si accorse di loro. Era appoggiato ad una sequoia, teneva gli occhi chiusi e stava baciando una ragazza coi capelli scuri punteggiati dai fiocchi di neve che Alphard riconobbe subito nonostante fosse di spalle: era Olive Hornby.
Alphard si portò un dito alle labbra per chiedere a Kilian di non parlare. Poi gli afferrò il braccio e lo trascinò nuovamente verso High Street, sperando che Roland e Olive non si fossero accorti di loro.

Quando furono ritornati vicino all’Ufficio Postale, Kilian chiese: «Tutto bene?»

«Sì, scusa per averti strattonato in quel modo».

«Figurati, ma qual era il problema?» Sorrise. «Non hai mai visto due ragazzi che si baciano?»

«Il problema è che Roland non dovrebbe baciare Olive».

«Oh! Lui e tua sorella sono...?»

«Non che io sappia» rispose Alphard incamminandosi verso i Tre Manici di Scopa. «Ma conosco i genitori di Roland. Non vogliono una ragazzina mezzosangue come nuora. In effetti, anche se nessuno lo dice, probabilmente si aspettano che, un giorno, Roland e Walburga annuncino un fidanzamento».

«E potrebbe accadere?»

Alphard scrollò le spalle. «Loro non mi hanno mai detto nulla e io non ho mai chiesto».

«Tira a indovinare» lo incoraggiò Kilian.

«Se dovessi indovinare, direi di no» disse Alphard.

«Ma pensi che le vostre famiglie abbiano intenzione di organizzare un matrimonio combinato?»

Alphard fissò Kilian, perplesso. «Nessuno organizza matrimoni combinati. Un matrimonio è un contratto magico vincolante, sarebbe una barbaria costringere qualcuno a sposarsi contro la sua volontà, possiamo sposare chi vogliamo».

«Allora qual è il problema?» chiese Kilian.

«Possiamo sposare chi vogliamo all’interno di una ristretta e determinata cerchia di persone di cui Olive Hornby non fa parte».
Kilian aggrottò le sopracciglia. «Perché? Cos’ha che non va? E’ bella, in gamba e non è neanche… sai, figlia di Babbani».

«Il problema è che Roland è l’erede di una delle nostre più antiche famiglie, ha ricevuto un certo tipo di educazione e ci si aspetta che sposi la discendente o il discendente di un’altra antica famiglia, non la figlia di un Nato Babbano» Alphard si passò una mano tra i capelli. «Senti, solo, per favore, non dirlo a nessuno. Forse non è niente di serio, ma se si sapesse, potremo mettere Roland in una situazione difficile. In particolare, non dire nulla a Walburga».

«Non lo avrei fatto comunque» assicurò Kilian mentre entravano ai Tre Manici di Scopa. Come al solito, la locanda era affollata e rumorosa. In un angolo c’erano il Prefetto McGonagall e il Prefetto McKinnon con Augusta Gamp e il suo ragazzo, l’apprendista Auror Jasper Longbottom; alcuni insegnanti, tra cui Slughorn e Beery, erano seduti al bancone e chiacchieravano con l’avvenente barista; in un altro angolo del locale, alla loro destra, Walburga sorseggiava una burrobirra, circondata dalle altre ragazze del quinto anno di Slytherin: Lucretia, Julia Flint e Samantha Goyle. Alphard e Kilian stavano cercando un tavolino libero, possibilmente lontano da Walburga, quando, dal fondo del locale, una femminile voce squillante attirò la loro attenzione.

«Kilian! Alphard! Qui ci sono dei posti liberi».

Il Metamorphmagus si lasciò sfuggire un’imprecazione a mezza voce. Kilian gli rivolse uno sguardo dispiaciuto, ma non c’era modo d’ignorare chi li aveva chiamati senza essere tremendamente rudi e Kilian era un bravo ragazzo.

Alphard volse lo sguardo verso la sua destra e incrociò gli occhi scuri e furiosi di Walburga: questa l’avrebbe pagata durante le vacanze. Sospirò e si diresse con Kilian verso il fondo del locale, dove con visi sorridenti e enormi boccali di burrobirra li aspettavano l’enorme e stupido Rubeus Hagrid, l’irritante Malcolm McGonagall, il timido Chester Bones e due ragazze Nate Babbane. La ragazza che li aveva chiamati era, ovviamente, Susan Bennet che, per qualche ragione, a un certo punto, aveva deciso che lei e Kilian erano amici. Kilian per lo più, la sopportava pazientemente. L’altra ragazza Nata Babbana, invece, era Clementine Cox, una Hufflepuff vestita in modo lezioso e coi capelli a caschetto, che seguiva i loro stessi corsi di Aritmanzia e Erbologia. Alphard realizzò in quel momento che Bones e la Cox, a un certo punto, dovevano essersi messi insieme quell’anno, visto che si tenevano per mano e stavano dividendo un biscotto a forma di cuore.

«Vi prendo da bere!» annunciò Hagrid quando si furono seduti e si precipitò verso il bancone, fondendo facilmente la folla, senza neanche chiedere loro cosa preferissero. Kilian sorrise.

McGonagall ghignò in direzione di Alphard: «Allora, Black, vi siete ripresi dalla sconfitta?»

«Oh, no, vi prego, basta parlare di Quidditch» sospirò la Cox. Alphard, di solito, la trovava fastidiosa, ma in quel momento le fu grato: quanto meno gli aveva evitato di dover rispondere all’ovvia provocazione di McGonagall.

«Vi serve un nuovo Cercatore» commentò la Bennet, comportandosi come se la Cox non avesse parlato. Alphard lo trovò vagamente interessante: era inconsapevole di essere maleducata o non le piaceva la Cox?

Hagrid tornò in quel momento, con due boccali di burrobirra.

«Kilian è bravo,» disse Alphard afferrando uno dei boccali «ma non vuole entrare in squadra».

Kilian gli lanciò un’occhiataccia.

«Non vuoi entrare in squadra?» ripeté la Bennet con tono incredulo, strabuzzando gli occhi.

Kilian scrollò le spalle. «Walburga Black non mi vorrebbe comunque, e poi sono impegnato: assisto la Sykes».

«Sì, me lo ha detto mio fratello Robb» commentò McGongall.

«Certo. Robert McGonagall, primo anno, Hufflepuff. Mi ero chiesto se foste cugini o fratelli» disse Kilian. «Mi piace, è molto
simpatico».

«Ma non ha talento» replicò McGonagall, senza pietà.

«Beh, soffre di vertigini» lo difese Kilian.

«Non soffre di vertigini» disse McGonagall con un movimento brusco della mano, come se volesse cacciare la parola. «Ha solo paura di cadere, credimi. Comunque,» continuò «ha detto che sei bravo. Mi piacerebbe vederti giocare».

«Anche a me» intervenne la Bennet con entusiasmo. «Dovremo organizzare un’amichevole tra noi».

Sia Alphard che Kilian risposero con un mugugno non impegnativo.

 Nel frattempo, la Cox cominciava a spazientirsi: stava pestando freneticamente il piede sul pavimento e stringeva forte il braccio del suo ragazzo. Bones provò coraggiosamente a cambiare argomento.

«Kilian, come ti trovi a Hogwarts?» chiese.

Lui gli sorrise. «Bene, l’adoro».

«Gli Slytherin ti fanno brutte cose?» disse Hagrid.

Alphard non comprendeva come si potesse essere tanto sciocchi: Hagrid si ricordava che anche loro erano degli Slytherin?

Kilian, però, non sembrava essersi offeso. «No e comunque so difendermi».

«Avete letto il nuovo libro di Fifi LaFolle?» intervenne improvvisamente la Cox, senza soluzione di continuità.

Comunque, riuscì nel suo intento. Oltre a lei, nessuno a quel tavolo era appassionato di romanzi d’amore (Hagrid e Kilian non sapevano neanche chi fosse Fifi LaFolle), ma questo non le impedì di raccontare minuziosamente la trama di Incontri Incantati e dopo ciò, iniziarono tutti a discutere di altri romanzi e fumetti che avevano letto di recente. Alphard, ben presto, perse ogni briciolo d’interesse per la conversazione e cominciò a mostrare segni d’insofferenza.

Kilian se ne accorse e provò a salvarlo: «Oh, mi sa che si è fatto tardi, è passato il tramonto. Dobbiamo andare. Alphard deve ancora finire di preparare i bagagli e stasera dobbiamo andare alla festa di Slughorn».

«Parteciperò anch’io» disse la Cox, eccitata. «Come dama di Chester» aggiunse, rivolgendo uno sguardo smielato al suo ragazzo. Bones era un membro dello Slugh Club a causa del padre, che era il Direttore dell’Ufficio per la Regolazione e il Controllo delle Creature Magiche. «Ho sempre desiderato partecipare alle feste dello Slugh Club. Non sapevo che anche tu fossi un membro, Kilian» concluse.

«Non lo sono» rispose lui. «Accompagno Alphard e basta».

«Oh! Voi due…»

«No» la interruppe Kilian, velocemente. «Andiamo come amici».

«E cosa indossi?» indagò la Cox, comunque eccitata.

Dopo essersi fatta descrivere fin nei minimi dettagli la veste formale che Alphard aveva regalato a Kilian, la Cox decise che era arrivato il momento che anche lei tornasse a scuola per prepararsi. Di conseguenza, alla fine, uscirono dalla locanda e cominciarono a incamminarsi verso il castello, tutti e sette insieme.

Risalirono High Street con altri studenti. McGonagall, la Bennet e Hagrid stavano parlando di qualche baggianata quando un freddo intenso calò su di loro. Alphard lo sentiva penetrare sotto la pelle, insinuarsi fino al cuore, mozzargli il respiro…

Era come se la sera, improvvisamente, fosse diventata più buia, non si sentiva più alcun rumore, le sue ginocchia erano deboli e la sua vista si stava annebbiando.

Alla loro destra, attraverso gli alberi, si stavano avvicinando un centinaio di creature ammantate completamente in lunghi mantelli neri.

«NON OSARE! NON PERMETTERTI! TU NON SEI NIENTE!». Suo padre che gridava contro sua madre.

«SONO TUA MOGLIE! E ti giuro, Pollux, che se quella puttanella rimane incinta, le strapperò il bambino dal ventre!»

Puntarono le bacchette l’uno contro l’altra e Irma ebbe la meglio. Pollux aveva un grosso taglio che gli squarciava il ventre, ma continuava ad attaccare la moglie. Lei rideva con voce stridula ed evitava facilmente i suoi colpi. A un certo punto gli lanciò un’altra fattura, Pollux sbatté contro il muro e cominciò a vomitare sangue.

Alphard aveva cinque anni, era sulle scale, piangeva e si dimenava, voleva andare ad aiutare il padre, ma Walburga lo stava abbracciando forte e lo teneva fermo sulla scalinata, lontano dai loro genitori, al sicuro.

Alphard era lì, su quella scala, stretto tra le braccia di sua sorella, con le urla dei suoi genitori che gli rombavano nelle orecchie e, in qualche modo, era a Hogsmeade, con quei demoni che si avvicinavano sempre più. Sentì qualcuno gridare, altri piangere, ma nessuno sembrava in grado di scappare o reagire, o almeno nessuno sembrò in grado di farlo, fino a che una figura minuta e bruna si fece avanti, estrasse la bacchetta e urlò: «EXPECTO PATRONUM!».

Un accecante cervo d’argento galoppò verso gli alberi, abbassò il capo e cominciò a caricare i demoni che ora scappavano, si disperdevano, si ritiravano nell’oscurità, sparivano. Il cervo d’argento si voltò e trottò verso Kilian, abbassò la testa per strofinarla giocosamente contro di lui e poi sparì.

Erano ancora tutti lì, tremanti, spaventati, col respiro affannato. Alphard non avrebbe saputo dire quanto ci misero a registrare cos’era successo, quanto ci misero a riprendersi. Gli parvero ore.

A un certo punto, qualcuno venne, abitanti del villaggio, dei professori, altri studenti. Portarono cioccolata e coperte. Spiegarono che centinaia di Dissennatori avevano attaccato Hogsmeade e poi erano spariti nell’oscurità, respinti dai Patronus. Supponevano che fosse stato tutto orchestrato da Grindelwald. Nessuno era stato baciato.

Li accompagnarono al castello, Alphard poteva sentire la Bennet, McGonagall, Bones, la Cox e Hagrid spiegare cos’era successo a loro e come Kilian li aveva salvati, ma non riusciva a prestare attenzione. I suoi occhi erano fissi sul volto pallido di quest’ultimo che mangiucchiava la cioccolata con aria distratta. I loro sguardi s’incrociarono: il cambiamento era appena percettibile, ma Kilian stava cominciando a riacquisire un po’ colore sulle guance. Sorrise, o quanto meno ci provò e Alphard provò a ricambiare.  

Quella sera, non andarono alla festa di Slughorn. 
   
 
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