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Autore: May90    28/08/2009    2 recensioni
Io ero il suo Cavaliere Prediletto, eppure sembrava avesse paura di me. Mi chiedevo cosa di me le provocasse tanto timore, tanto terrore da lodarmi con tutti in mia assenza, ma da voltare sempre la testa quando mi trovavo vicino a lei.
La Divina Sposa del Dio della Vita. Un po’ l’incarnazione della Terra Madre, anche se in quelle semplici sembianze umane. Umili solo rispetto all’immortale realtà divina, in realtà più gloriose di qualunque idea che un essere finito può farsi degli dei.
Solare. Intoccabile. Sublime. Eterea. Parole insufficienti, sempre parole inadatte…
Genere: Romantico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*"* Il Cavaliere e la Dea *"*



Mi ero chiesto a lungo perché non mi guardasse mai negli occhi.

Tutti mi dicevano che il suo sguardo era brillante e incantato e che sembrava portare il cuore il più vicino possibile al mondo degli dei. Io non sapevo davvero che dire a tal proposito, ma loro credevano che il mio ruolo mi permettesse di conoscere meglio di chiunque altro quei sentimenti splendidi.

Io ero il suo Cavaliere Prediletto, eppure sembrava avesse paura di me. Mi chiedevo cosa di me le provocasse tanto timore, tanto terrore da lodarmi con tutti in mia assenza, ma da voltare sempre la testa quando mi trovavo vicino a lei.
La Divina Sposa del Dio della Vita. Un po’ l’incarnazione della Terra Madre, anche se in quelle semplici sembianze umane. Umili solo rispetto all’immortale realtà divina, in realtà più gloriose di qualunque idea che un essere finito può farsi degli dei. Solare. Intoccabile. Sublime. Eterea. Parole insufficienti, sempre parole inadatte…
Io minimizzavo sempre il suo splendore. A chi mi chiedeva di Lei mi limitavo a riportare le stesse parole vuote svolte dai poeti e dai cantori. Tanto nessuno poteva comprendere davvero. Chi posava gli occhi impuri sul suo volto una sola volta nella vita, nel giorno scelto dal tempio, non poteva andare oltre il constatare, meravigliato, quanto fosse bella e generosa. Poco. Troppo poco.
Lei mi negava ogni attenzione, ogni sguardo, ogni possibilità di percepire la sua completa beatitudine superiore, ma questo non significava che non posassi continuamente, spassionatamente, gli occhi su di Lei, su ogni suo gesto, su ogni luce e ombra che passava sul suo volto fine e delicato, sempre un po’ abbassato se si trovava di fronte a me.

Io sono il suo Cavaliere Prediletto, così dicono. Molti mi invidiano. Altri non capiscono perché Lei mi apprezzi tanto. Altri ancora credono che io sappia molte cose di Lei. Nessuno capisce che cosa significhi davvero… Le malelingue immaginano che noi abbiamo chissà quale proibita intimità…
Nessuno sa la verità.…



Tornavo dalla mia noiosa missione di perlustrazione. Un orribile e insensato tour ordinato dai Sacerdoti.
Galoppavo con calma su un destriero preso in prestito in un villaggio poco lontano. Andavo avanti senza fretta, sia perché non conoscevo il cavallo, sia perché non sentivo il bisogno di affrettarmi…

Più o meno nel momento in cui dovevo intraprendere la via del ritorno, ero stato assaltato da banditi. Banditi vestiti di nuovo, freschi e profumati. Pagati dai Guerrieri della Vita, pretendenti al mio posto.
Pensavano davvero di prendermi di sorpresa sbucando dalla boscaglia come leoni imbranati. Penosi. Li sconfissi in un secondo. Solo non mi ero accorto del filo spinato. Il mio cavallo ci mise lo zoccolo e cominciò a scalciare, riuscì a disarcionarmi e meglio che niente si ruppe anche una gamba. Dal canto mio, mi ritrovai a cadere sulla schiena, per fortuna senza danni, a parte lo stordimento.
Eppure così avevo tardato di vari giorni.
La signora della tenuta a cui mi ero rivolto era stata fin troppo generosa e sollecita nell’offrirmi aiuto e cure. Sembrava non volesse proprio farmi ripartire. Non le avevo permesso di mandare un messo al Tempio per informare delle mie condizioni. Prima di tutto perché era inutile dato che stavo più che bene dopo qualche giorno di riposo, poi perché sembrava solo una sua vanteria, una ragione per mettersi in mostra. Come un proclama della generosità con cui accoglieva un cavaliere ferito... Pietosa…
Me ne accorsi subito, non appena apprese che arrivavo dal Tempio…
“Posso sapere il vostro nome?”
Domanda trabocchetto, ma dovetti rispondere, per ragioni evidenti di cortesia: “Noi non possediamo più nomi propri… Vossignoria dovrebbe saperlo…”
E io non sopportavo ricordarlo, perché mi dimostrava più di ogni altra cosa a quanto avevo rinunciato per essere quello che ero. Non più un essere umano normale, ora ero solo una vita votata a Lei.
“Oh, dei… Non mi ricordavo più…” esclamò, gaia, ma non distolse minimamente lo sguardo ansioso da me.
“Però, secondo la nostra gerarchia,” continuai, rassegnato, secondo le necessità imposte dal retto comportamento “io sono il Cavaliere Prediletto…”
Immaginavo lo scatto di gioia che puntualmente arrivò, seguito dalle solite domande, sempre le stesse.
Risposi cortesemente, ma qualcosa di amaro, sadico, doloroso si faceva strada con veemenza nel mio animo, più forte del solito, facendomi a tratti perdere il mio atteggiamento educato.
In fondo, io non sapevo molto più delle persone comuni riguardo a Lei. Perché ostinarsi a chiedere?
Io potevo ripetere a memoria ogni verso rivolto alla sua immagine ineffabile. Io potevo crogiolarmi in quel titolo tanto onorifico da richiedere sospiri e desiderio in tante persone. Io potevo adorare teneramente, in quel modo stupido e insensato quella figura tanto distante.
Continuavo a farlo, come se non provassi dolore nel sentire il timore che Lei aveva nei miei confronti. Andavo avanti per inerzia a farmi tormentare con domande che creavano voragini nel mio cuore tormentato e alle quali rispondevo con convenzioni odiose anche a me stesso.
Improvvisamente mi domandai perché non avessi voluto avvisare il Tempio di ciò che mi era successo. Avevo pensato ingenuamente che Lei si sarebbe preoccupata. Idiota. Quante idee stupide e insensate. Inevitabili, ma pronte a condurmi all’autodistruzione.

Infine, mi svincolai da quella donna così sollecita e vanesia.
Con il cavallo che mi aveva prestato, giunsi infine al Tempio, senza aspettarmi minimamente ciò che vi sarebbe successo.
Il giovane Generale da me nominato, l’unico Cavaliere della Vita che potevo considerare mio alleato, mi corse incontro, ansioso come non mai. Non appena scesi dal cavallo, mi abbracciò, dichiarando, disperato, che tutti mi credevano morto.
“Che novità…” sbuffai “Non è la prima volta che cercano di uccidermi o che spargono notizie errate…”
Lui mi fissò per qualche momento, poi disse piano: “Ma cosa avete, Maestro…?”
Vidi il suo sguardo indugiare sulla mia espressione e diventare sempre più preoccupato.
“Cosa c’è? Ho qualcosa sulla faccia?” commentai, serissimo.
“Maestro… Cosa vi è successo? Dov’è finita la vostra serenità?”
“Cosa intendi?” chiesi.
Ma ora che me l’aveva detto, lo sentivo anch’io… Il mio tono era netto, amaro, cupo, vuoto…
“E’ che… Perché siete così triste? Perché…” indugiò, rendendosi conto che non sapeva cos’altro dire, in che modo esprimere ciò che vedeva nei miei occhi.
Io potevo solo immaginarlo… Pessimismo, dolore, disillusione, carenza…
Scoprii che quelle sensazioni, che non mi ero accorto di provare, ora mi invadevano senza pietà.
Non riuscì a fare altro che scuotere la testa, inerte.
Lui esitò di fronte alla mia espressione. Poi improvvisamente scattò, come se avesse ricordato qualcosa di importante.
“Maestro! Non abbiamo tempo di stare a parlare! Mi stavo dimenticando!”
“Cosa succede?” sussurrai, sfiduciato.
“Sta succedendo ora! Siete arrivato appena in tempo!” esclamò, fuori di sé “Proprio ora si sta svolgendo la Cerimonia per l’investitura di un nuovo Cavaliere Prediletto!”

Fu come un fulmine nella mia mente. La rabbia, l’irritazione e la volontà di rivincita schiacciarono ogni altra emozione.
Mi credevano morto. Mi avevano fatto passare per morto. Poco importava come o perché, ma mi stavano sostituendo di mala grazia. Presto non sarei più stato il più nobile tra i Cavalieri, presto non sarei più stato nulla, presto non avrei più potuto essere la sua guardia del corpo.
Per un attimo pensai che l’idea potesse essere sua. A pochi giorni dalla mia scomparsa, un così frettoloso rito era una decisione drastica che solo la Sposa del Dio poteva accettare e compiere. Una freccia crudele sembrò trafiggere il mio petto, ma digrignai i denti, furioso, e feci tacere il mio animo.
Mi misi a correre verso la cima del colle, fino al portone enorme, sigillato dalle quindici serrature appositamente per il rito. Sbraitai furiosamente contro il custode. Inutilmente, comunque, perché non appena mi ebbe visto capì la situazione e si attivò subito ad aprire le serrature.
Stavo sfogando la mia rabbia, prima di entrare e fare una disastrosa e indegna scenata. Non aveva importanza cosa Lei desiderasse. Non si sarebbe liberata di me. Io, che ormai non avevo più una mia identità o un’altra ragione di vita, sarei stato suo servo per sempre. A qualunque costo.

Spalancai con una spinta energica e irata entrambi i lati del vasto portone.
Il silenzio invase la sala. I sacerdoti tacquero, fissandomi sconvolti. Il candidato, inginocchiato poco lontano, mi guardava con gli occhi spalancati, come se avesse visto un fantasma.
Avanzai prepotentemente tra le schiere, fino a trovarmi oltre il confine dell’Area Sacra. Solo allora alzai lo sguardo, baldanzoso e crudele, verso di Lei.
Stavo rovinando il suo desiderio di liberarsi di me. Stavo spezzando la sua unica speranza di sottrarsi al controllo della sua guardia tanto temuta. Stavo obbligando la donna che adoravo ad accettarmi, suo malgrado.
“Volevate disfarvi di me, Mia Diletta Signora!” urlai, improvvisamente, dando libero sfogo alle mie frustrazioni.
Di sicuro mi stava odiando. Con ragione, probabilmente. Quindi non mi importava di parlare con rabbia e violenza. Non mi importava di essere oltraggioso. Tanto ormai non poteva volermi peggio di così.
Eppure, con mia immensa sorpresa… Accadde qualcosa di incredibile…
“Siete vivo…” sussurrò la voce più dolce dell’universo.
E la vidi improvvisamente.
I suoi occhi, grandi e brillanti più di stelle, mi fissavano, finalmente. Mi trasmettevano pace, serenità, dolcezza, anche se vi percepivo ansia, disperazione e… Lentamente vi lessi il sopraggiungere del sollievo… Lacrime cristalline si formarono in quei magnifici punti di cielo, mentre le sue mani correvano a nascondere il suo viso, che però aveva fatto in tempo a mostrarmi un sorriso meraviglioso, pieno di gioia…
Non riuscii a dire nulla.
Mi inginocchiai ai suoi piedi e ringraziai gli dei tutti per avermi permesso di vedere il suo volto, finalmente…

“Un impostore!”
Una voce rombò nella sala silenziosa. Era possente, aspra, piena di risentimento. Indimenticabile e più che mai riconoscibile, tanto che non dovetti neanche alzare la testa per capire chi aveva parlato.
“Ammettete la sconfitta, Comandante in seconda.” sentenziai.
“Voi non siete chi dite di essere!”
Solo allora lo guardai e sperai che bastasse il mio sguardo ad incenerirlo. In realtà, non lo scalfì neanche, cosa che fece ulteriormente salire di grado il calore aggressivo che sentivo in tutto il corpo.
I Sacerdoti, ancora increduli sulla mia ricomparsa, lo guardavano come un messia.
“Il Cavaliere Prediletto è morto! Voi siete solo un impostore che qualche sortilegio ha reso simile a lui! Poco altro siete che un truffatore meritevole di vergogna!”
“Voi siete degno di vergogna per aver attentato alla mia vita!” ringhiai, incapace di trattenermi.
“Mi accusate? Di cosa, di grazia? Di che mi può accusare un impostore…?”
Odiavo quella parola. Più la ripeteva, con quel ghigno soddisfatto, più una nausea insopportabile premeva su di me, provocandomi le vertigini. Digrignai i denti e sbottai.
“Mettetemi alla prova, essere indegno! Vedremo chi è il vero Cavaliere!”
I Sacerdoti presero a parlottare, ma non presero iniziative. Fu la Divina ad scattare in piedi, angosciata:
“Non è questo il luogo, non è questo il giorno… Vi prego…”
“Non potete fidarvi di lui, Divina Signora!” esclamò lui, lisciandosi la tunica preziosa e prendendo tra le mani ingioiellate la spada intarsiata “Credetemi! Per questo lo sconfiggerò!”
“Nei vostri sogni, forse, traditore!” esclamai, estraendo dal fodero la spada sobria e leggera che tenevo sempre legata alla vita.
“La sconfitta dimostrerà a tutti la vostra vera natura! Quando mangerete la polvere, non potrete più fingere di essere chi non siete!”
Era quello il suo piano, chiaramente. Se io, Il Cavaliere Prediletto, avessi perso contro di lui, la mia vera identità non avrebbe più avuto importanza… Sarei stato svergognato e in ogni caso nessuno mi avrebbe più riconosciuto per quello che ero…

Fui io ad attaccare per primo. Non potevo attendere la sua mossa e studiare una tecnica. La rabbia mi faceva pulsare la testa.
Schivò agilmente le mie prime stoccate. Questo mi calmò e mi spinse a ragionare. Non mi ricordavo che fosse così abile. Farsi prendere dall’irritazione non mi avrebbe aiutato.
La sua spada, al contrario, fu molto più minacciosa. Non scherzava per nulla. Il primo colpo puntava al cuore e feci molta fatica a saltare a lato prima che la lama mi infilzasse malamente. Il secondo puntava alla gola e questa volta i riflessi mi permisero di pararlo con la spada. Non abbastanza bene comunque, perché mi procurò comunque un taglio sulla guancia. Bruciava parecchio e sicuramente grondava sangue.
Tutti nella sala trattennero il respiro. Avrei voluto vedere l’espressione della Mia Signora, ma ne avevo il tempo. Le cose si mettevano male e io riuscivo solo a pensare che la sconfitta significava perdere la mia Dea per sempre. Ma ora era il mio turno e se desideravo davvero fare qualcosa di buono dovevo concentrarmi sul mio avversario.
Io puntai al suo fianco sinistro, che ricordavo essere sempre stato il suo punto debole in allenamento, ma lui era preparato a fronteggiarmi. Coprì perfettamente quel lato con un semplice colpo della sua spada. Aveva anche rimediato alle sue difficoltà. Ora capivo perché aveva tutta quella fiducia in sé stesso.
Tuttavia, avevo notato una cosa importante…
Scambiai ancora un paio di stoccate prive di scopo e attesi che lui riprendesse l’iniziativa. Accadde prestissimo.
Si avventò su di me, ardito e sicuro questa volta di riuscire a trafiggermi come una bestia feroce. Eppure aveva già firmato la sua condanna.
Con una torsione del braccio riuscii a parare il suo colpo e a trovarmi allo stesso tempo in una posizione abbastanza favorevole da sferzare il suo fianco destro.
Aveva messo tanto impegno nel sistemare le sue debolezze a sinistra, da dimenticare l’importanza di coprirsi anche sul lato opposto. Patetico.
Tuttavia, non avevo intenzione di far scorrere il suo sangue nero e schifoso su quel terreno consacrato, sotto gli occhi della Sposa del Dio della Vita. Mi imposi di non colpire e all’ultimo appoggiai solamente la lama nel lato piatto al suo fianco.
“Avete perso, Comandante in seconda. Arrendetevi.” sentenziai.
“Credete…” disse, ma prima ancora che finisse la frase afferrai con la mano libera l’elsa della sua arma.
“Provate ad approfittare della mia gentilezza per colpirmi a tradimento e state tranquillo che il mio Generale si prenderà la vostra vita.”
I suoi occhi sgranati scorsero il mio giovane alleato alla soglia del Tempio, la mano già pronta ad estrarre la scimitarra.
“Datemi la vostra spada e accettate la sconfitta.” aggiunsi, minaccioso.
E quel gioiello pesante e arzigogolato che era stato il suo vanto e orgoglio divenne mio.    

“Conducetelo via.”
Due Cavalieri si fecero avanti dalla folla rumoreggiante e silenziosamente trascinarono fuori quello che era stato il loro superiore, tenendolo per le spalle.
“Io mi ritiro nella Sala Verde. Tutti voi siete pregati di ritornare alle vostre attività. Vi ringrazio.”
Anche nell’impartire ordini la sua voce era soave e generosa, anche se in quel momento tremava un po’, forse a causa degli avvenimenti di cui era stata testimone poco prima. Mentre la sala lentamente si svuotava, la sua voce lieve mi indirizzò un invito: “Vi devo parlare… Venite con me…”
Il suo sguardo vagava altrove, ma sapevo a chi si riferiva.
“Come desiderate…”

Non appena mi chiusi la porta alle spalle, mi rimisi in ginocchio. L’umiltà che volevo mostrare era l’emozione più sincera che mi fosse concesso muoverle.
Lei era in piedi proprio di fronte a me e taceva. Proprio per questo mi decisi ad alzare la testa, per quanto non fosse troppo rispettoso.
Incrociare i suoi occhi ancora una volta fu per me come raggiungere la beatitudine. Ma fu solo un attimo, perché poi toccò a Lei abbassare la testa, intimidita. Lei, la più divina delle creature, sembrava ancora aver timore di me.
“Siete vivo, Mio Prediletto…”
La sua frase fu espressione di una presa di coscienza che tardava a venire.
“Avete ancora dubbi, Mia Signora?” chiesi, risentito.
“Ho paura… Non riesco… a farne a meno…” sussurrò, la voce incrinata.
Io allungai una mano per chiedere la sua. Notai solo allora che si stava stropicciando le fini dita le une con le altre, in tensione.
Allora me la porse e io la portai alla bocca, sfiorandola solo con le labbra.
“Vi è sufficiente come prova?” sussurrai, mentre lasciavo a malincuore il suo palmo delicatissimo.
“Ora si… Ora si…” disse piano, tra un singhiozzo e l’altro. Non so se fosse gioia o dolore quello che provai nel momento in cui rivolse ancora i suoi occhi pieni di lacrime sul suo umile servo.
“Abbiate pietà di me, Mia Signora. Non piangete.”
“Come potete pretendere questo…? Vi…credevo… morto… Vi siete… ferito… Sanguinate…”
Avevo dimenticato la ferita alla guancia, ma ora non mi importava.
“Credevo sarebbe stato un sollievo per voi… Non avermi più…”
“Mai… Non pensatelo mai…” mi bloccò, mentre le lacrime inondavano le sue guance. E non riuscì più a sostenere il mio sguardo.
“Così in fretta avete cercato il mio sostituto…”
“Mai… Mai…” continuava a ripetere, ostinatamente, coprendosi il viso con le mani.
“Così in fretta avete cercato di dimenticarvi di me…”
“Sigh…”
“Così in fretta avete creduto che fossi morto…”
“Me l’hanno fatto credere… Mi hanno obbligato a cercare qualcun altro… Senza di voi ero perduta… Non riuscivo più a fare nulla… Non ho potuto che lasciare che loro facessero e… organizzassero… Il Comandante in seconda era così sicuro…”
Le sue parole, nonostante la frenesia con cui aveva preso a giustificarsi, uscivano a fatica dalle labbra lievi, piegate dal pianto.
“Infami… Esseri indegni…” bisbigliai, stringendo i pugni.
“Non arrabbiatevi, vi prego… Loro hanno cercato di fare del loro meglio… Abbiate pietà…”
Il suo viso affranto e misericordioso tentò di fare breccia nel mio cuore. Vi riuscì. Sentii la rabbia sciogliersi, lentamente. Fino a che mi ritrovai a provare solo pena per i suoi sensi di colpa. Al punto che mi azzardai ad un gesto che mi ero sempre negato.
Mi alzai in piedi e presi le sue mani tra le mie, gentilmente.
“Come voi desiderate… Ora vi scongiuro… Non piangete…”
Ma Lei iniziò a tremare. Ancora una volta non riuscì a rivolgermi la sua attenzione, fissando il pavimento. Ciò che avevo fatto l’aveva spaventata a tal punto…?
Non resistetti. Mio malgrado finii per stringere più forte le sue mani.
“Ma… Vi prego… Non fate piangere neanche me…”
Strinsi i denti, sentendo di nuovo il noto dolore, la nota ansia.
“Non negatemi la gioia infinita di potervi guardare negli occhi… Non abbiate paura di me… Io sono vostro fedele servo… Per favore…”
“Io non posso.”
Sgranai gli occhi. Disperatamente cercai di percepire la sua espressione, senza però poterla distinguere sul suo volto abbassato.
“Perché?”
“Non posso e basta…”
Due piccole lacrime caddero dal suo volto sulle mie mani. Erano così belle e pure che sentivo il disperato desiderio di berle, come acqua di fonte.
“Vi prego… Ditemelo…”
Volevo abbracciarla. L’avrei fatto, a dispetto delle regole. Ma solo a patto di non provocarle disgusto, solo a patto di non urtare la sua sensibilità.
“Perché… Voi… Mi fate male…”
Aprii la bocca sperando di trovare qualcosa da dire, ma non ci riuscii. Rimasi ansioso ad aspettare di capire. Perché? Perché? Sentivo la domanda rimbombarmi in mente.
“Guardarvi… mi fa male… Perché… non posso…”
“Non potete, cosa?” chiesi, frenetico, inquieto. Le sue mani tremavano tra le mie, nonostante le stringessi.
“Non posso… provare… quello che sento… Più… vi vedo… più lo sento… e non devo… Non… posso… volervi più… bene che… a chiunque altro…”
Fu improvviso. Fu un lampo nell’oscurità. Un’intuizione tanto folle da mozzarmi il fiato. La mia reazione fu istantanea e del tutto istintiva.
“Io vi amo…” dissi, in un sussurro.
“Cosa…?”
La sua voce vibrò lieve, piena di insicurezza, ma le sue mani mi restituirono per la prima volta la stretta.
“Io sbaglio… Io mi comporto male… Io per primo vi amo, Mia Signora...”
“Non è vero… Non dovete…”
“Non posso altrimenti…” sorrisi amaramente verso di Lei, anche se in realtà ancora non mi guardava “Sono ammaliato da voi… La mia Dea adorata…”
“Io… Io… Non posso amare nessuno…”
Suonava come una nota stonata quel riferimento alla sua condizione. Ma tanto reale da pesare come un macigno.
Era una Santa, una Sposa del Dio. E io ero solo un uomo, che nonostante tutti i suoi desideri non aveva neanche davvero il diritto di posare gli occhi su di Lei.
“Lo so…” sussurrai, come se quella ammissione fosse la mia condanna a morte.
“Ma… Non posso altrimenti…” sospirò piano, ripetendo le mie parole di poco prima.
Alzò piano, con calma, il viso. Una dolce vampata di felicità invase la mia anima a quel semplice gesto.
“Ecco,” disse piano, fissandomi negli occhi, un sorriso delizioso sulle labbra “ora sto sbagliando tutto… Se vi guardo così, fisso… Non posso più smettere di farlo…”
“Neanch’io… “ risposi, senza poter evitare che la gioia sfociasse in un sorriso.
“E per me è un sacrilegio…” osservò, stringendo le labbra “Voi siete disposto a compierlo con me…?”
Questa era la sola domanda importante. Ma non avevo bisogno di risponderle perché sapeva già, perché vedeva già nella mia espressione l’unica risposta. Potevo affrontare qualunque cosa, anche la maledizione del Dio della Vita. Ma non potevo rinunciare a Lei. Soprattutto non ora che anche i suoi sentimenti erano stati rivelati…
“Ogni istante ho sperato in un miracolo che potesse rendermi felice… Sapevo che voi siete un miracolo…”
Non so come trovai il coraggio di alzare la mia mano e depositarla sulla sua guancia, mai sfiorata da alcuno. Mi sentivo l’uomo più fortunato di quella terra. Finalmente, dopo essere stato il più disgraziato.
“Io credevo di non poter mai più essere serena, quando ho saputo della vostra morte… Siete vivo… Grazie al Dio della Vita, siete ancora con me…”
E ripeté il mio stesso gesto, posando le sue dita immacolate sulla mia guancia ferita.
“Non sporcatevi le mani di sangue... Non le vostre bellissime mani…” sussurrai.
Ma a quel punto un dolce calore si diffuse sul mio volto e quando tolse la sua mano vidi che era perfettamente pulita.
“Non potevo lasciare quella ferita sanguinante sul vostro viso… Vi ho solo guarito…” sorrise, dolcemente, appoggiando la sua mano guaritrice sulla mia, che ancora accarezzava il suo viso, senza sosta.
Allora sollevai anche l’altra ed entrambe si soffermarono sulle sue guance leggermente colorate di un grazioso rosso che mi stringeva il cuore. Le accarezzavo con tutto l’amore che provavo…
I suoi occhi dolci, anche se un po’ arrossati dal pianto, si chiusero. Questa volta, per la prima volta, non per evitare di guardarmi, ma per sentire appieno il tocco delle mie mani.
Poi, non so dire quanto tempo dopo, semplicemente alzò le braccia e le legò al mio collo. Io lasciai allora il suo viso e risposi all’abbraccio, stringendola alla vita.
Per un lunghissimo momento restammo così, stretti forte l’uno all’altra in quella sala vuota. Finché l’ultimo desiderio impellente si fece strada dentro di noi, quasi contemporaneamente.
Perché insieme alzammo la testa, guardandoci ancora, fisso, come mai non avevamo potuto. Ormai potevamo farlo. Eravamo pronti a rischiare tutto. Nulla importava più di ciò che provavamo l’uno per l’altra.
Lentamente, le nostre bocche si avvicinarono, fino ad unirsi, teneramente, in un bacio che sembrava non finire mai…



Eravamo soli in quella sala, per fortuna.
Tutto resterà un segreto, almeno per un po’. Si spera per sempre, ma non per chissà quale vergogna. Solo perché così nessuno potrà mai metterci i bastoni fra le ruote.

Però non possiamo illuderci. Già da prima le malelingue immaginavano, a vuoto e maliziosamente, che noi avessimo chissà quale proibita intimità…
Nessuno sa la verità.…
Nessuno sa cosa significa amare la Dea. Nessuno.
 
  
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