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Autore: NorwegianWoodFields    29/04/2021    4 recensioni
Artù, un ragazzo viziato seppur di buon animo, è da sempre vissuto nell'agiatezza e si ritroverà a fare i conti con la realtà più cruda, quella dei comuni mortali, a vivere senza la sua stabilità economica e privilegi vari, cominciando a capire cosa significhi dover provvedere a se stesso, più o meno da solo, senza alcun appoggio da parte del padre.
Merlino è un ragazzo che si fa in quattro con i suoi lavori part time tentando di sostentarsi ed aiutare la madre. Conosce da sempre la realtà nella sua forma più cruda, eppure questo non gli ha mai impedito di essere una persona dalla serenità travolgente.
Entrambi cominciano con il piede sbagliato carichi uno di aggressività e l'altro di pregiudizi. Le "ragioni" della loro ingiustificata antipatia sono effettivamente inconsistenti: si contendono le attenzioni della stessa ragazza, Viviana.
Presto però, la sorte farà si che debbano cominciare a passare molto tempo insieme per lavoro. Scopriranno di essere tanto simili nonostante le loro evidenti differenze. Questa velocità con la quale si legheranno subito in un'amicizia e la rapidità con cui la chimica tra loro esploderà, sarà causa di dubbi esistenziali, paure e rivalutazioni di aspetti abbastanza personali del proprio essere.
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gwen, Merlino, Morgana, Principe Artù, Will | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione, Nel futuro
Capitoli:
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-Oggi al bar ho offerto in sacrificio un caffè a una divinità, magari ci fa la grazia che uno di voi due si da una svegliata, invece di continuare a comportarvi come nulla fosse, come se vi piacesse essere ciechi e coglioni, Merl. Prova a spingerti oltre...perché sembrate proprio una coppia di idioti. Aggiornami!


 


 

Merlino rilesse più volte quel messaggio sfacciato e sicuro di Will, un piccolo brivido di agitazione lo percorse, ripose il cellulare senza replicare, si affrettò ad entrare in classe e a prendere servizio con Artù.

Emrys aveva discusso molto con il suo migliore amico nell'ultimo mese, sull'increscioso sentimento sbocciato per l'asino e Will parve quasi illuminarsi, quando finalmente ebbe un'epifania che gli illustrò in una visione mistica, di che natura fosse quella strana complicità che notava tra lui ed il biondino, quel costante senso di fare il terzo incomodo che provava quando Pendragon passava al locale... era perché quei due idioti non facevano altro che flirtare ed essere smielati per il tempo intero, senza che nessuno di loro si decidesse ad usare un minimo di intelligenza per parlare chiaro. Era vero che con Artù, Will non si prendeva molto, ma vedeva la serenità che infondeva al moro, vedeva quanto stessero bene insieme, quindi non poteva far altro se non spronare Merlino ad assecondare quel sentimento. Ma l'ultima cosa di cui il marziano necessitava, era proprio un amico che lo incitasse a saltare addosso alla testa di fagiolo, dato che era ciò che stava tentando di evitare con tutte le sue forze. Aveva bisogno che lo tenesse coi piedi ben saldati a terra, ma l'opinione di Will, non gli sembrava affatto obbiettiva, non importava quanto Emrys sapesse che in realtà lui non avrebbe mai detto cose solo per non farlo sentire uno sfigato o per compiacerlo, ma era talmente insicuro a riguardo, che nessuna ragione gli faceva vedere la realtà per quella che era.

"Perché un giorno di questi, in una delle tante occasioni in cui state appiccicati, non provi a dargli un bacio?" Gli aveva proposto il migliore amico, tenendo a precisare inoltre, che non doveva avventarglisi, ma che poteva benissimo approssimarsi più del solito e capire se poteva permettersi di farlo, di confessargli ciò che il biondino era diventato per lui, senza usare parole. Impensabile e alquanto scorretto, si era ripetuto il moro, come se fosse stata una cosa che non avesse mai fatto prima di allora, con le sue cotte meteore. Probabilmente era quello il punto, non contava che lui fosse un ragazzo abbastanza spigliato per certe questioni, se le emozioni che provava erano incommensurabilmente più profonde e sincere di quanto non avesse mai sperimentato in passato, automaticamente quel gesto non sarebbe stato lo stesso, avrebbe avuto una sfumatura diversa e anche ponendo il caso si fosse lanciato, non lo avrebbe mai fatto con la solita scioltezza di sempre, non era per l'atto in se, non solamente, era per tutto ciò che implicava, per Pendragon provava qualcosa di differente ed ignoto, lo sapeva, lo sentiva, ne era quasi impaurito. E poi...come poteva prendersi quella confidenza! Che reazione mai ci si sarebbe potuta aspettare da un ragazzo che si era vomitato l'anima, solo perché le loro "gambe" si erano intrecciate?

Merlino non poteva continuare a nascondere le sue emozioni ancora per molto però e questo lo faceva sentire uno straccio, poiché avrebbe rovinato un'amicizia a cui teneva immensamente. Si sentiva un meschino disonesto ogni volta che Artù gli sorrideva, quando si confidava, quando lo sfiorava, perché di fronte a se aveva un ragazzo ingenuamente convinto di rapportarsi in amicizia, l'asino non poteva immaginare che invece, avesse fatto traballare il suo cuore e fatto esondare il proprio affetto, spingendolo più in la del confine; davanti al biondino, non c'era qualcuno che lo vedesse solo come un amico, il marziano si sentiva un orrendo approfittatore per lasciare che la sua persona si beasse di quei momenti insieme, desiderava parlargli il prima possibile, per fuggire all'imminente minaccia di compiere qualche azione a sproposito che avrebbe spaventato l'altro... non avrebbe mai seguito il consiglio osceno di Will! Lo avrebbe comunque perso, pure se glielo avesse espresso a parole, lo avrebbe allontanato, ne era cosciente, ma almeno non si sarebbe sentito un assaltatore! Nonostante l'urgenza di confessarsi colpevole però, non riusciva a dare un taglio a tutto ciò, non parava mai a quel discorso umiliante, non trovando, o meglio, non volendo trovare mai il momento adatto. Non riusciva neppure a limitare le loro uscite, ad evitarlo, la sua volontà si era rivelata più flebile di quanto avesse mai creduto.

Nonostante tutte le volte in cui Emrys avesse ripetuto a Will, che l'asino non contemplava neanche l'ipotesi di avere un uomo nella sua vita in quel certo modo, il suo migliore amico se ne infischiava altamente di ciò che diceva ed insisteva nelle sue visioni da sibilla cumana, perché per lui contavano i fatti! Era così convinto che Pendragon potesse ricambiare quel sentimento, che il moro incominciava ad inquietarsi da tanta sicurezza.


 


 

"Ti vedo Galvano, non sbuffare, pensi sia facile questo esercizio?" Esclamò l'insegnante, destando il marziano dai suoi ragionamenti irresoluti. Notò il collega impiegare un enorme controllo su di sé, per non scoppiare a ridere. Poco dopo Merlino si volse appena verso l'amante dell'alcool, che stava scuotendo le mani in segno di scuse e poi appiccicò il foglio sullo stiratore massiccio ed ingombrante, come se non fosse appena stato preso in giro dal docente.


 


 

"Qualsiasi cosa vi risulti visivamente con forme semplici e essenziali, non lo è assolutamente. Mai! Più una figura è stilizzata, più c'è del grande lavoro dietro, che neanche immaginate. Per questo oggi voglio che li rappresentiate con linee sintetiche, non aspettatevi di riuscirci al primo colpo, né al secondo o al terzo, è normale! Ma attendo di vedere le vostre piccole evoluzioni!" Continuò ed il ragazzo dalla folta e lunga chioma scura, lo fissò con scetticismo.


 


 

"Galvano, mi crederai appena poggerai la matita sul foglio!" Lo riprese in modo bonario.


 


 

"Non ho detto nulla!" Esclamò l'alunno, mettendo su un'espressione da angioletto. Emrys ricordò improvvisamente di quando, giorni prima, Galvano aveva esternato una sua importantissima considerazione ad alta voce, che aveva fatto piegare dalle risate la classe intera. Il ragazzo, per qualche arcano motivo, aveva trovato delle similitudini tra le funzioni dei muscoli delle spalle e quelli dei glutei, decidendo che tutto il mondo dovesse venire a conoscenza di quella sua intuizione geniale, gridando qualcosa come "I deltoidi sono le chiappe delle spalle!" Freya aveva fatto di tutto per migliorare la situazione, ma fu completamente vano tentare di tirarlo fuori da quella gaffe.

A quel ricordo, lo starnazzo del moro, risuonò nell'aula, beccandosi uno sguardo divertito ed incuriosito da parte dell'insegnante che, fortunatamente, preferì far finta di nulla e liberarlo da quella figuraccia, continuando a parlare imperterrito.


 


 

"Per riuscire a sintetizzare una forma, in questo caso dei corpi umani, dovete avere una sicurezza tale...un'ampia conoscenza dell'anatomia e degli snodi delle varie articolazioni, così da far risultare quella sintesi coerente, riconoscibile e piacevole, mettetevi alla prova! Apprenderete che le cose che sembrano semplici molto spesso danno più rogne che altro!" Esclamò convinto. Quell'ultima frase colpì particolarmente Artù, era un qualcosa che di certo poteva estendersi alla quotidianità stessa, oltre che al contesto accademico. Ciò che sembrava una situazione facile, poteva risultare complicata da capire. Ad esempio l'amicizia era una cosa naturale e semplice, tipo Leon e Mithian gli davano un senso di familiarità e complicità che lui adorava, sapeva fosse così anche per loro, ma Merlino...il proprio cervello non riusciva a spiegarsi cosa ci fosse di strano, andava tutto bene, c'era una forte intesa, eppure rispetto agli altri due amici che il biondino aveva, c'era un che di notevolmente diverso, non contava da quanto si conoscessero, era qualcosa che andava oltre il tempo e la percepiva, pur non avendo la benché minima coscienza di ciò che fosse. Pendragon adorava la mente dell'altro, il modo in cui pensava, agiva, il suo gesticolare mentre parlava, con quel giovane uomo era tutto più leggero, anche quando aveva un umore nero; si sentiva a casa con lui, ovunque fossero ed era appagato dalla consapevolezza tacita, che Emrys provava lo stesso. Era così bello ciò che stavano facendo l'uno all'esistenza dell'altro, senza compiere effettivamente nulla di complesso, niente che non fosse nella norma della routine quotidiana, c'era un continuo scambio, scambio che si era ritrovato ad amare, qualsiasi nome esso avesse.


 

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Artù prese un respiro profondo nel pigiare sul pulsante del citofono della sua vecchia casa, sentì il proprio cuore tamburellare violentemente e le budella contorcersi, quando il cancello esterno si aprì, non una voce uscì dall'altoparlante, in fondo aveva avvisato il padre che sarebbe passato, non serviva perciò che Uther rispondesse, gli bastava accertarsi tramite la telecamera installata sul citofono, per sapere con anticipo chi avesse suonato.

Prima di entrare, il biondino si girò ad incontrare lo sguardo del suo amico e si stupì di come quell'agitazione diventasse più sopportabile se c'era anche lui al suo fianco, a sorridergli fiducioso. Probabilmente, se il marziano non lo avesse accompagnato, non avrebbe mai più messo piede in quell'abitazione, non avrebbe mai osato tornare, nemmeno per poche ore, anche se quello avesse significato perdere per sempre tutti i libri della madre, i tomi ed i fumetti che lui stesso aveva acquistato negli anni. Ma il suo amico era li, nonostante l'ansia e la paura di dover rapportarsi con quell'uomo, Artù sentiva che alla fine, sarebbe andato tutto bene, perché la sua presenza lo faceva sentire l'individuo più coraggioso al mondo.

Uther, come un avvoltoio, era rimasto attento a fissare il ragazzo attraverso la telecamera, con una raggelante pazienza che nascondeva un che di spietato, il biondino aveva delle scatole da trasloco ancora piatte e da montare, sotto un braccio. Poté notare anche una figura maschile, coi capelli un po' troppo lunghi, accanto a suo figlio, ghignò amareggiato al solo pensiero che sangue del suo sangue fosse così codardo e fragile, da aver avuto bisogno dell'accompagno di un capellone. Quell'ammasso dinoccolato che il figlio si era portato appresso come un cagnolino vecchio e rognoso, sfiorò appena il dorso della mano di Artù, in un gesto che, alla superficie poteva sembrare casuale, ma per l'intuito di Uther Pendragon, non lo era affatto. Serrò la mascella con sdegnosa collera, quando vide il tipo di espressione che suo figlio aveva rivolto al pezzente, c'era un qualcosa di insopportabile nella sfumatura adorante che avevano preso i suoi occhi ed il suo sorriso, nell'esternare il proprio affetto nei confronti dello strambo. Non poteva essere...non poteva essere quel qualcosa che un uomo, per le regole della naturalezza, era portato a provare esclusivamente per le donne.

Allora non era lui ad aver sbagliato come genitore, era colpa dei suoi due figli, se erano cresciuti entrambi marci e putrescenti. Lui era un uomo sano, da integerrimi principi, aveva provato a correggere quei due ragazzini, da sempre. Se avesse intuito prima, li avrebbe potuti raddrizzare? Forse degli esseri deviati non avrebbero mai compreso il giusto, ma erano già destinati in partenza alla perdizione.


 


 

“Buongiorno.” Sussurrò incerto il biondino all'uomo che aveva davanti, non appena furono entrati nell'abitazione. Uther gli aveva insegnato a non mostrare mai le proprie debolezze, avrebbe dovuto provare delusione nel ritrovarselo in casa, così pateticamente vulnerabile, ma al contrario, ghignò sadico nell'udire la voce del figlio tremolare come una foglia. Artù non era più sotto la sua ala, non era più guidato dai suoi insegnamenti di vita, il moccioso aveva rinnegato l'educazione rigorosa che gli aveva zelantemente tramandato, o almeno che aveva provato ad imporgli, saperlo timoroso e pappamolle lo compiaceva. L'uomo era inorgoglito nel constatare che, se il biondino non era più sotto la sua casa, della sua persona, rimanesse solo un perdente; con lui, suo figlio avrebbe potuto risplendere e divenire un uomo potente, degno di rispetto e del cognome che portava, senza di lui, meritava solo di vivere nei panni di un mediocre esserino senza spina dorsale, che faceva gli occhi teneri ad un altro ragazzotto dappoco e mezzo frocio probabilmente, come se Artù fosse stato anch'egli un insulso e schifoso finocchio. Se non altro adesso sapeva il perché avesse difeso Morgana con le unghie e con i denti. Non poteva dire se lo infastidisse più lui o il suo amichetto, ma se non fosse stato che l'uomo desiderava liberarsi di tutte quelle cianfrusaglie inutili che il figlio aveva lasciato li, nemmeno gli avrebbe permesso di rimettere piede nella sua abitazione, dopo il disonore che gli aveva arrecato.

Emrys sentì un temibile gelo irrigidirgli il corpo, nell'accorgersi che non avrebbero udito alcuna risposta. Tutto di quella figura austeramente tirannica, pretendeva una cieca sottomissione, la sua attitudine era quella di chi era abituato da sempre ad ottenere una passiva obbedienza, grazie alla sapiente comunicazione a suon di terrore che gli apparteneva e che era in grado di trasmettere anche nei gesti o nei discorsi più tranquilli all'apparenza. Persino chi lavorava con lui da molto tempo, a stento sapeva riconoscere la sete di manipolazione dispotica mirata a ricevere una riverente obbedienza e devozione, che si nascondeva dietro quella facciata quasi ammirevole, di professionale severità e dedizione al dovere. Il biondino trattenne il respiro nel superarlo e si diresse veloce verso quella che una volta era stata la sua stanza, seguito dal marziano. Il moro temette per la propria vita quando, per errore, sbatté le scatole di cartone ancora appiattite, sul ginocchio del padrone di casa. Fu solo in quel momento che lo degnò di uno sguardo truce ed il ragazzo avrebbe di certo preferito evitarsi quell'esperienza agghiacciante. Degli occhi stupidi di un vecchio pomposo, erano stati in grado di farlo sentire a disagio, Uther lo aveva guardato come se avesse avuto tra i piedi, l'essere più immondo dell'universo, che avrebbe solo meritato di essere pestato a morte e, per un istante, era persino riuscito a fargli credere di essere davvero quel mostro.

I due ragazzi desideravano al più presto scrollarsi quella sensazione di oppressione che pareva aver imbastardito la dimora per intero, iniziarono così a montare le scatole di cartone, riponendoci con accuratezza i libri ed i fumetti. Sebbene la stanza fosse ormai inutilizzata ed abbandonata, Merlino non percepiva quella asfissiante invasione di prevaricazione che sembrava essere il marchio di Uther Pendragon sulle cose che gli appartenevano o a cui era vicino; la vecchia cameretta del suo amico emanava familiarità, accoglienza, bontà, aveva tutta l'aria di essere una piccola oasi, forse proprio perché si era plasmata sul carattere di chi, evidentemente doveva averci passato molto tempo dentro. Il marziano si distrasse dal suo compito, senza nemmeno rendersene conto, l'attenzione era stata calamitata dal suo collega che stava sistemando i tomi con zelo. Non importava se fino a poco prima avesse beffeggiato l'asino, dicendogli che somigliasse ad un'ape gigante con quella maglietta a maniche corte dal giallo ridicolo e con quei pantaloni neri attillati, in realtà lo trovava comunque fantastico. Una ginestra, pensò Emrys, se Artù era riuscito a sbocciare con così tanta purezza e gentilezza, in un ambiente sterile ed aspro come quello, doveva proprio essere una ginestra, così come probabilmente anche sua sorella.

Lasciò che i propri occhi indugiassero su di lui, come non si concedeva da parecchio ormai, poiché si era obbligato a non farlo. Le sue braccia scoperte che sorreggevano i libri, le labbra rosee leggermente premute, sicuramente per la concentrazione che stava impiegando nelle azioni. I suoi occhi grandi che guizzavano eleganti, leggeri; quel naso deciso che lo caratterizzava, rendendolo unico, influenzando con armonia il resto dei suoi tratti somatici, lo faceva quasi somigliare ad una figura mitologica forte, sicura, profonda...mozzafiato. Seppur lo vedesse nudo quasi quotidianamente, il moro non poté fare a meno di arrossire nel soffermarsi sui pantaloni che avvolgevano l'amico, che gli esaltavano le forme. Non aveva bisogno di fantasticare su nulla o immaginare, a lui non servivano di certo un paio di pantaloni stretti per capire quanto bell'aspetto vi si nascondesse sotto eppure era in imbarazzo, anche se il marziano conosceva a fondo il corpo dell'altro, come si conosceva il corpo di un amante, quasi fosse il proprio. Loro non erano amanti però, Merlino era convinto non lo sarebbero mai stati e avrebbe voluto resettare quell'immagine dai suoi ricordi, perché con quel tipo di conoscenza, sembrava che tra loro fosse più intimo di quanto non era in verità.

Il biondino alzò lo sguardo casualmente sull'altro, che si affrettò a distogliergli gli occhi di dosso con vergogna e frustrazione. Mirino prese a rigirarsi un libro tra le dita, lo sfogliò e tentò di risultare il più naturale possibile quando iniziò ad interessarsi alla trama, ma ci mise alcuni istanti prima di capire di starlo a tenere al rovescio. Lo posizionò nel verso giusto e lesse, non capendo mezza parola per quanto fosse diventato nervoso, per una cosa così da poco. Quanto avrebbe resistito ancora, prima di fare qualche cazzata?


 


 

“Se evitassi di ficcanasare sulla trama di qualsiasi cosa che ti capita sottomano, forse andiamo via prima di dopodomani!” Scherzò Pendragon, vedendolo in difficoltà. In fin dei conti era con Merlino e Merlino andava punzecchiato! Era adorabile quando faceva le sue solite facce piccate, non poteva mica privarsene!


 


 

“Vedo se c'è qualcosa che mi interessa...e poi sono curioso sui tuoi gusti! Posso essere curioso sui gusti di un amico?” Si giustificò con voce acuta, tentando di non rimuginare sulla figura di merda.


 


 

“Lo so io che stai facendo...aspetti solo di beccare qualche lettura compromettente, per avere una scusa in più per percularmi!” Ribatté e l'altro si girò verso la libreria pur di non dargli la soddisfazione di vederlo ridere.


 


 

“Questa casa mi da una sensazione negativa...ma la stanza tua è diversa, è rimasta disordinata, c'è tanta roba, è luminosa e mi mette a mio agio!” Esternò Emrys.


 


 

“Sai che questi discorsi sulle sensazioni positive e negative degli oggetti o dei posti, mi ricordano le strane chiacchiere di Morgana?” Parlò Artù ed il marziano sbuffò rumorosamente, in segno di dissenso.


 


 

“Secondo me siete i figli illegittimi di Wanna Marchi!” Continuò l'asino.


 


 

“Wanna Marchi non c'entra con quello di cui ti parlo! Non sono solo chiacchiere! A volte ti complichi troppo la vita tentando di spiegare tutto con il cervello. Esistono le impressioni emotive e se facessi più caso al tuo stato, capiresti che intendo!” Rispose con tranquillità, ma da come il biondino aveva aggrottato le ciglia e serrato le labbra, il moro comprese che stava prendendo seriamente quel discorso, ci stava riflettendo su, trovando chissà quale collegamento intricato ed insensato con qualcos'altro.


 


 

“Quindi...se ci fosse qualcosa che non so spiegarmi razionalmente, secondo te dovrei dar retta alle sensazioni?” Domandò con tono serio.


 


 

“Alle volte è essenziale trovare un bilanciamento tra ragione e istinto no? Lavorano bene insieme. Ma per riuscire a sentire bene, devi essere sincero con te stesso...altrimenti non avrebbe senso!” Rispose, iniziando a sospettare che Pendragon avesse qualche questione in sospeso di cui non gli aveva ancora raccontato. Se avesse smesso di impegnarsi così tanto a fare il cieco, come spesso lo rimproverava Will, avrebbe capito che il soggetto dei dubbi dell'amico, era proprio lui.

Artù presagiva che qualcosa fosse sfuggito ai suoi occhi, nonostante il rapporto con Merlino fosse così semplice, banale ma straordinario, c'era un piccolo dettaglio nella loro amicizia che lo infastidiva, non lo coglieva, eppure era li, davanti ai suoi occhi, ma non vedeva cosa fosse. Sapeva che quel qualcosa stonasse tra i due, tuttavia non era esattamente una nota che andava a rovinare l'armonia, perché non c'era nulla di distruttivo nella loro amicizia. Ci pensava e si arrovellava, non venendone mai a capo, ma a volte, quando si trovavano in certi momenti di particolare confidenza, il biondino era sfiorato dal pensiero che tra di loro ci fosse qualcosa che somigliasse solamente all'amicizia, ma che non lo fosse del tutto, non era convinto che fosse quel sostantivo a rispecchiarli. L'asino aveva un vitale bisogno di definizioni minuziose, necessitava che il suo cervello riconoscesse in modo razionale cosa gli accadeva, cos'era lui con Emrys, cos'era per Emrys.

Avrebbe dovuto essere più sincero con se stesso, sembrava facile a dirsi! Ma sotto sotto sapeva, quanto si fosse premurato di non scavarsi troppo a fondo pur di non dare un nome ai suoi sentimenti, pur di non ammettere che ciò che la sua amica più volte aveva insinuato sottilmente o più esplicitamente, potesse essere la pura verità...


 


 

“Chi te lo ha scritto?” Chiese il moro, picchiettando col dito su una pagina bianca di un fumetto, nella quale spiccava una sorta di augurio in una calligrafia ferma e sicura. L'altro si destò dai suoi interrogativi e si avvicinò per controllare, pur immaginando già a quale frase si riferisse il marziano. Pendragon era abituato a prendere regolarmente quel volume tra le dita, per rileggere ciò che Mo ci aveva scritto, spesso aveva bisogno di ricordare quella breve dedica, che lo aveva da sempre rassicurato ed acquietato.


 


 

“È stata Morgana! È una citazione alla storia del manga in realtà, lei la trovava una cosa molto da me. Era un periodo strano ecco...Non importa quanto è banale, mi ha sempre dato un non so che di speranza! Lo so che non sembra un incoraggiamento ma...”


 


 

“Oh no...è molto bella!” Asserì Merlino ed il collega ridacchiò appena, preso da chissà quale ricordo.


 


 

“Leggevo i suoi volumetti di questo fumetto e una volta mio padre mi aveva sgridato perché era 'roba da femminucce' saranno stati ormai dieci anni fa più o meno. Non lo aveva fatto con rabbia, era abbastanza casuale, ma insomma, lo hai visto, ti fa sentire in colpa anche se respiri!” Emrys lo guardò stupito, doveva essere una liberazione essersene andato via da Uther, anche se notava come Artù si portasse appresso gli strascichi di quella violenza psicologica, la freddezza ed il bigottismo con cui era stato abituato a riflettere e a rapportarsi con gli altri. Ma il biondino desiderava evolvere la propria mentalità, ci stava lavorando, sapeva ampliare le sue vedute quando capiva di aver sempre ignorato determinati punti di vista su un argomento, o quando comprendeva che qualcosa fosse affine alla sua persona, ascoltava e valutava ed era anche per questo che aveva rapito il cuore del moro. Era per la sua meravigliosa sete di comprensione e di immedesimazione nelle situazioni degli altri, che Artù era un uomo splendido agli occhi poco neutrali di Merlino e decisamente migliore dei tipi squallidi ed aridi come era il padre.


 


 

“Mia sorella aveva sentito il commento retrogrado, allora per ripicca mi comprò tutti i volumi del manga, in un'edizione diversa da quella che aveva lei e ci scrisse quello...” Continuò, sorridendo imbarazzato ripensando a quanto si sentisse il ragazzino più trasgressivo sulla faccia della terra, per aver letto un fumetto che il suo papà, senza neanche sapere di cosa trattasse, non aveva approvato per lui, come se non avesse potuto eleggere da solo in base ai propri gusti. Forse fu l'atto più trasgressivo che avesse mai fatto con consapevolezza e ciò la diceva lunga.


 


 

-Se la tristezza dovesse tornare ancora e circondarmi improvvisamente,
le sorriderò, come se dovessi salutare ed accogliere un amico.

Recitava la scritta e sembrava seriamente esser stata creata a pennello per Pendragon, che era un ragazzo molto tendente a scivolare in pensieri malinconici ed accoranti. Fu grazie a lui, se Emrys era stato in grado di cogliere la differenza sostanziale tra due concetti che si somigliavano molto, tanto da dare l'erronea parvenza di essere la medesima cosa. Una cosa era l'emozione di tristezza, scaturita da fattori e fatti esterni alla persona; una sfumatura peculiare che differiva, era invece la tristezza, l'atteggiamento di mestizia dell'animo. Due cose distinte seppur non estremamente contrarie. Artù piano piano stava riuscendo ad accettare quel suo modo di esistere e di essere, ad un occhio esterno poteva risultare sgradevole o errato che qualcuno dovesse abituarsi ad essere a quella maniera, a rassegnarsi ad essa e trattarla come una vecchia amica, ma quella mestizia era parte del biondino, non poteva separarsi da lei, come non poteva separarsi da qualsiasi altro lato del proprio carattere. Lui non avrebbe mai smesso di essere di natura gentile, premurosa, cocciuta, empatica, razionale; ugualmente, non avrebbe mai potuto smettere veramente di essere così, quella sfaccettatura lo accompagnava sempre, perché era in sé, era sé, la sua essenza. E non si poteva essere nessun altro se non se stessi, non si poteva fingere di non essere ciò che si era, non per troppo tempo almeno.


 


 

“Hai ancora paura di lui? Anche quando sai che non potrà mai più mettere bocca sulla tua esistenza?” Domandò Emrys con tono pacato e dolce.


 


 

“È da stupidi, lo so!" Si giustificò Pendragon abbassando il volto frustrato e rispondendo indirettamente.


 


 

“Non lo è!” Parlò convinto il marziano, lasciando sulle sue gote, una delicata carezza.


 


 

“Succede ogni tanto, che penso a qualcosa...di strano ecco, o a qualcosa che vorrei avere il coraggio di fare, roba che se sapesse...e mi sale l'ansia come se lui potesse vedere cosa ho in mente, cosa provo, spero o desidero! E si Merlino è stupido, non venirmi a dire il contrario!”


 


 

“Non lo è! Ti libererai della sua ombra, non metterti fretta, la fretta potrebbe portarti a farti solo credere di essertelo lasciato alle spalle. Fai molto per essere te stesso, non te ne rendi conto? Ci riuscirai del tutto, lo so che riuscirai a non sentire costantemente il suo fiato sul collo, a infischiartene delle aspettative che ti ha buttato addosso senza rispettare la tua personalità, le tue inclinazioni, ce la farai a vivere la vita che tu e solo tu vuoi per te! Ti accetterai, chiunque tu sia Artù, non dipenderai mai più né sarai l'ombra di un uomo che ti ama solo se sei come vuole lui!” Disse velocemente, avvicinandosi impercettibilmente all'amico ed Artù lo fissava come se avesse appena ascoltato la voce di un angelo che gli rivelava il senso viscerale della vita.


 


 

“Devo imparare a essere più sincero con me stesso!” Mormorò, quasi più a sé. Il biondino contemplò intensamente il moro, ma quello gli si allontanò con urgenza, dandogli le spalle, così la testa di fagiolo tornò a dedicarsi alla libreria.

Merlino si morse un labbro con violenza, ammonendosi per l'ennesima volta, per aver approfittato della fiducia che l'asino riponeva in lui e per avergli riservato quel gesto. Ogni volta che ne aveva l'occasione, non se la faceva sfuggire, anche se si riprometteva che non avrebbe mai più tratto beneficio dall'amicizia col ragazzo di cui era innamorato, puntualmente se poteva sfiorarlo o abbracciarlo, nascondendosi dietro la facciata da amico, lo faceva. Era un codardo incapace di confessargli la vera natura del suo interesse, lo stava ingannando, senza mezzi termini e posticipava perché in fondo non voleva perderlo, anche se questo contrastava con il suo essere schietto e leale.

Il marziano aprì la finestra e vi si poggiò, come una vecchietta, poi ammirò il paesaggio lasciandosi sfuggire fiochi e patetici lamenti di autocommiserazione. Pendragon aveva detto che a volte aveva pensieri e desideri strani, che suo padre non avrebbe mai accettato e che lo facevano star male, gli facevano provare ansia, quindi idee non contemplate dalla sua rigida educazione. Emrys spalancò la bocca, quando una stupida discussione avuta con Will, gli si ripropose peggio di una peperonata. Il suo migliore amico era riuscito ad instillargli un dubbio, alquanto importante, che se si fosse rivelato fondato, avrebbe dato un significato nuovo a tutto ciò che era stato detto o fatto: Quell'episodio, quell'incidente in camerino... l'idea che Artù fosse esploso in un attacco di ansia perché magari avesse provato suo malgrado, un certo piacere, la medesima ambigua ed intima curiosità che egli stesso aveva sentito, non aveva mai sfiorato i pensieri del moro, non prima dell'insinuante conversazione con Will.

Nel fantasioso caso in cui avesse avuto ragione, non sarebbe stato peggio? Se il biondino avesse provato una cosa tanto genuina e naturale, eppure non fosse riuscito ad accettarsi, non era forse più grave di un comprensibile disinteresse?

Nella vita capitava di non essere ricambiati, Merlino si era adagiato su questa consapevolezza, pur avendo fatto tutto da solo, senza interpellare l'altro, come un perfetto idiota, ma, anche se sconfitto in partenza, una cosa era certa, non avrebbe mai provato rancore verso Pendragon. Nessuno poteva costringere qualcuno a ricambiare tali passioni, così come nessuno poteva evitare di essere sfiorato dal sentimento, anche quando questo, era destinato a rimanere a senso unico.

Un rifiuto da parte dell'altro, per Emrys era più che lecito, non lo era però fuggire dalla consapevolezza del proprio affetto verso qualcuno, mentendo a se stessi, non era nulla di più se non umiliarsi ed infliggersi del male. Il solo dubbio che anche il collega potesse essersi innamorato di lui, ma che si reprimesse e sentisse sbagliato, a causa di strascichi di una tirannica educazione a vecchio stampo, era insostenibile, inaccettabile. Il moro non si sarebbe mai perdonato per non averlo aiutato ad uscirne fuori, per averlo lasciato in un cantuccio, a precludersi scioccamente una cosa tanto ineluttabile, splendida e genuina, d'altra parte, non poteva mica andare da Artù, bombardandolo con una serie di congetture presuntuose ed urlargli in faccia "Ti piaccio, lo so, non è un male, una cosa così non è sbagliata!" Sarebbe stato pietoso e si sarebbe beccato un ceffone sul viso, era stato davvero un arrogante e pieno di sé per aver creduto, anche se per brevi istanti, di essere così rilevante nella vita del biondino.

Merlino aveva coscienza del fatto che fosse fin troppo comune per una persona bisessuale fraintendersi, al punto magari di arrivare a capirsi più tardi rispetto agli altri, quella era una sessualità che veniva ancora vista per la maggior parte come promiscua e, nel migliore dei casi, come una mera fase di indecisione, passeggera, che andava superata e bisognava risolverla prendendo una scelta. Era perciò molto facile che alcuni tendessero a lasciare latente l'attrazione verso qualcuno del loro stesso sesso, convincendosi più o meno inconsciamente di riuscire a dividersi, come se quelle sfumature di uno stesso aspetto, fossero due parti che potessero essere scisse. Era semplice quindi fingersi eterosessuali, non totalmente sbagliato e talmente facile, da far rimanere impantanati in una bugia di distruttiva portata anche per molti anni. Ma poi, chi era fortunato e sincero con se stesso, prima o dopo capiva che una sfaccettatura non poteva esistere senza l'altra a renderla completa; non erano parti da eleggere singolarmente, l'esclusione sarebbe stata una sorta di mutilazione.

Emrys aveva osato pensare che quello poteva essere stato il caso di Pendragon, tutti quei momenti di ansia che lui aveva, allo stesso modo quegli slanci strani, contraddittori, quei tocchi premurosi e fin troppo affettuosi, quegli sguardi amorevoli... La sua maniera di trattarlo, a volte lo lasciava segretamente sperare che provasse lo stesso, ma poi si ravvedeva, il fatto che reputasse veritiero e fondato il proprio ragionamento, non significava che quello fosse il caso di Artù, non era una certezza che lui stesse combattendo una grande guerra interna e recondita alla ricerca dell'accettazione della propria sessualità.

Il moro preferiva non far caso all'evidente attrazione che il biondino provava per lui, tanto meno Pendragon voleva vederla, ostinandosi a nasconderla dietro i nomi di “Oggettività” e “Amicizia”

Se solo Merlino avesse saputo come l'altro reprimeva le proprie emozioni, costringendole in una camicia di forza, avrebbe capito che i momenti in cui si credeva un pazzo presuntuoso, erano in verità sprazzi di lucidità in cui riusciva a comprendere la realtà istintivamente, più che mai.

Emrys inoltre, era all'oscuro di quanto il cuore del suo amico accelerasse, ogni volta che tornava a casa, con quella stupida paranoia di passare davanti alla propria cassetta delle lettere e di ritrovarci scritto "Frocio" nuovamente, non sapeva di come Artù allungasse sempre il passo, davanti la porta di quel ragazzino maleducato, era solo un moccioso e ne aveva timore. Quello li, gli aveva sbattuto in faccia, non ciò che non era, bensì quello che preferiva non essere.

Al moro non aveva mai raccontato, di quanto ultimamente sognasse di essere recluso in una minuscola cantina umida, buia, senza finestre, ricoperta da incisioni di quel susseguirsi di lettere ingiurianti e lui non poteva uscire di li, finché non le avesse cancellate tutte. Puntualmente non ci riusciva mai, le unghie gli si consumavano, le perdeva, la carne delle sue dita gli doleva, poi Uther entrava, urlandogli che gli faceva schifo, che sua madre fosse morta per nulla, per dare alla luce un'insulsa mezza checca, poi prendeva a ghignare in modo raccapricciante mentre lo soffocava, burlandosi di lui. Quegli incubi erano tutti simili, quasi fosse stata una pena dell'inferno, era diventato così suscettibile ed assillato da quell'assurda questione e non ne cavava neanche una motivazione ammissibile...

Il biondino odiava e allo stesso modo era divertito dal fatto che la gente non trovasse plausibile che qualcuno, qualcuno che davvero era così, potesse fare una colossale fatica per accettarsi ed amarsi. Era vero che fosse un momento della storia positivo rispetto al passato, quello era un piccolo primo passo, importantissimo, per un miglioramento, ma non significava affatto che si fosse arrivati, anzi, era solo l'inizio. Stavano in una fase di passaggio, che poteva comprendere nei soggetti che si scoprivano non eterosessuali, due reazioni estremamente differenti: la presa di coscienza nella più totale tranquillità, oppure il terrore generato da eco lontane, ma non poi così tanto, derivate da secoli e secoli di giudizi aberranti, mortificanti ed oppressivi.

Con gesti estremamente rispettosi, Pendragon prese un libro, era uno tra i suoi preferiti in assoluto, tra l'altro quel volume era appartenuto a sua madre, era come un ricordo, ma uno mai avuto, di esperienze mai vissute. Da giorni, desiderava donare al suo amico, quell'oggetto dall'importanza inestimabile per lui. Sapeva quanto fossero allevianti degli spunti dall'esterno, che sembravano arrivare proprio nei momenti più adatti. Quante volte Artù aveva letto, visto o sentito cose per lui giuste, al momento giusto? Ed era rimasto davvero grato da tali coincidenze, che lo avevano portato a riflettere su cose che in seguito lo avevano arricchito, o che gli infondevano sollievo. Quel libro era giusto per Merlino, il biondino lo aveva saputo nell'attimo in cui lo aveva ascoltato confessargli a cuore aperto, delle sue paure e le sue fisse più angoscianti o strane, che non avrebbe mai pensato potessero frullare nella zazzera del marziano. Era vero che l'asino avrebbe potuto comprargli un'edizione nuova, non c'era bisogno che si privasse di un ricordo così caro, ma scioccamente sentiva di volergli offrire proprio il suo tomo, un oggetto che era già passato sotto le dita, gli occhi e le emozioni di qualcun altro. Regalare quel libro, era come donare un po' di se stesso ad Emrys e Pendragon sentiva di volerlo fare, ne aveva un ardente desiderio. Gli si avvicinò, con il presente in mano, si poggiò anche lui in finestra, come una vecchietta spiona. Mirino era probabilmente immerso nei suoi pensieri, poiché non parve rendersi conto che l'altro si fosse avvicinato.


 


 

“A che pensi ultimamente angioletto, eh?!” Domandò Artù, facendo sobbalzare l'amico, un po' perché non si era accorto della sua presenza, un po' per aver percepito le dita della testa di fagiolo sulla sua pelle. Gli aveva portato una ciocca di capelli mossa e scura, dietro le orecchie a sventola, toccandolo con la solita attenzione che impiegava quando si sfioravano, quasi avesse paura che il moro potesse spezzarsi da un momento all'altro.


 


 

“Guardo le nuvole!” Farfugliò incerto, parole a caso. Sbarrò gli occhi quando incontrò quelli del biondino che gli stavano dedicando la sua totale considerazione, da una distanza fin troppo scarsa.


 


 

“Ma il cielo è limpido oggi!?” Replicò l'asino nascondendo un sorrisetto curioso ed il collega si costrinse a fissare il paesaggio. Avrebbe dovuto apprendere ad inventare cavolate più plausibili e a farsi uscire un tono fermo e deciso quando le pronunciava. Rimasero in silenzio, Merlino con gli occhi rivolti all'esterno e Pendragon verso di lui, senza ritegno alcuno.


 


 

“È un peccato che tu non possa vederti adesso...” Sussurrò la testa di fagiolo, si sentiva uno stupido, ma lo pensava, era una pena che il marziano non si rendesse conto di quanto potesse letteralmente rubare la vista da qualsiasi altro soggetto, umano o meno, con la sua bellezza insita e non artificiosa.


 


 

“Smettila di prendermi in giro e di fissarmi, è da maleducati!” Lo rimproverò Emrys, impiegando una lieve pressione contro il braccio dell'altro, già appiccicato al suo, per spintonarlo appena.


 


 

“Allora te ne sei accorto! Aspettavo...” Disse con un tono ammaliante. Il moro quasi trattenne il respiro nel vederlo mordersi un labbro, con estrema lentezza...scherzava, scherzava e basta, era per quello che sembrava così ambiguo, non doveva soffermarsi sul gesto, o sulla sua espressione equivoca.


 


 

“Che?”


 


 

“Di cogliere il tuo sguardo.” Continuò, come se fosse un'ovvietà. Merlino oscillò una mano all'aria, per minimizzare e tornò a concentrarsi sul paesaggio, tentando di non farsi venire strane idee ottimiste a riguardo.


 


 

“Oh...sta zitto!” Imperò, Mirino fissando il cielo limpido.


 


 

“È un ordine?” Chiese sconvolto.


 


 

“Perché, ti piace?” Si fece uscire dalla bocca, voltandosi a fissare l'asino, rimpossessandosi della sua maniera impudica di comportarsi e fu sollevato nel vedere che finalmente era l'amico ad arrossire, come non accadeva da tempo.

Quando Artù riuscì a farsi passare lo sconcerto e a richiudere la mandibola, gli porse il libro, come se fosse un rito solenne.


 


 

“Mi stai dicendo che dovremmo tornare al nostro lavoro?” Domandò Emrys, pensando che fosse una sorta di messaggio subliminale.


 


 

“No. Voglio che sia tuo.” Confessò e l'altro lo guardò negli occhi con meraviglia, boccheggiando inutilmente, con le labbra tirate da un sorriso gioioso e fu da quella reazione che il biondino capì che lui fosse la persona giusta...a cui regalarlo. Nel suo volto vedeva l'emozione di qualcuno che aveva colto a fondo quanto significasse per lui un gesto simile.

Il moro sentì al tatto la copertina spessa, ruvida e seguì con le dita il titolo, curioso.


 


 

“Forse penserai che sono cretino e che non sia appropriato darti proprio questo, con 'sta sorta di titolo...ma ti assicuro che non sono pazzo, se vorrai leggerlo comprenderai perché...dopo un po'!" Si giustificò.

Magari con quel “Veronika decide di morire” che spiccava nel mezzo della copertina rigida, poteva non parere il regalo più geniale da porgere proprio a quel ragazzo. Merlino gli aveva confidato di rivolgere spesso il pensiero alla morte, in generale, aveva il terrore che esistesse seriamente una sorta di vita eterna, sperava che le loro anime non fossero inestinguibili, che il loro epilogo fosse veramente una fine. Si auspicava che si smettesse di esistere completamente, era la cosa migliore, avrebbe preferito non essere mai esistito, piuttosto che essere destinato a farlo per sempre. Non voleva morire troppo in la con l'età, perché temeva tutto ciò che la vecchiaia comportava, in particolar modo, le malattie degenerative della mente; però, era inquietato dall'ipotesi di spegnersi da giovane, era la morte in se a turbarlo. La morte lo angosciava e ugualmente faceva, la prospettiva di esistere per troppo tempo.

Gli era capitato di lavorare in casa di persone con demenza senile, cosa che per i più, era male interpretata come semplice smemoratezza. Era tanta la gente che non sapeva che una malattia del genere portava ad essere come un adulto nei panni di un bambino di un mese, con la tragica e struggente differenza però, che quegli anziani avevano avuto un passato, sviluppato una personalità, probabilmente avevano creato una famiglia e quegli stessi individui giungevano ad uno stato per il quale, tutto quello che avevano costruito a stenti, era ormai inesistente, annientato, poiché non ne rimaneva traccia nella propria mente e se non ce n'era la più vaga ombra, era come se non fosse mai accaduto, come annullare il proprio essere. Se alla fine dei conti non si poteva più avere controllo sui ricordi, sui pensieri, se si decedeva senza la coscienza di esistere e muoversi in un tempo presente, se non si possedeva più la consapevolezza di tutto ciò che si era fatto o meno, non era un po' come non aver mai vissuto? Come se tutto fosse stato vano?

Tutto pur di allungare una vita che urlava la necessità di giungere ad un termine al più presto, perché aveva dato. Tutto pur di allontanare a distanze chilometriche l'ultimo respiro da esalare, in cambio di cosa? Se si perdeva l'autonomia del proprio pensiero, era proprio necessario rallegrarsi di quell'aspettativa di vita elevata? Emrys aveva visto quanto fosse umiliante per un essere umano ridursi in quel modo, era ingiusto, ma era normale dicevano, quello era uno stato accettabile, fingevano. Degrado e disumanizzazione, non era nient'altro se non quello, per lui.

Non era durato molto con tale lavoro, sapeva che non sarebbe mai stato abbastanza forte da poterlo reggere, ogni volta immaginava di avere davanti un ex bimbo superstite dalla seconda guerra mondiale e non poteva far altro se non scoppiare in lacrime per il fatto che quel ragazzotto che era scampato alla morte e distruzione di quell'epoca, avesse ora bisogno di lui, che lo lavava, vestiva ed imboccava con lentezza perché ormai si era tramutato in un'ameba, perché versava in uno stato che lo privava di qualsiasi umanità.

Non poteva non piangere di nascosto, quando una signora, che nell'infanzia era riuscita a superare la polmonite nei primi anni trenta, sottoposta a quel pericoloso e dubbio trattamento con le sanguisughe dietro la schiena, da vecchia aveva bisogno di lui che la aiutasse a fare i suoi bisogni essenziali, che la riprendesse quando imboccava per le scale con l'intento di tornare a casa dai genitori, sicuramente venuti a mancare da decenni, non potendo prenderne coscienza.

Mai come in quella breve esperienza, aveva compreso quanto fosse ingiusto che il mondo se la prendesse a prescindere con i familiari che non potevano e non reggevano una situazione così straziante, se solo avessero passato un'ora con dei soggetti afflitti da tale malattia, avrebbero capito quanto i loro, fossero giudizi sputati all'acqua di rose, avrebbero compreso la sofferenza da cui si era impossessati, nell'assistere al prolungamento della vita di un caro, in quel modo, a quelle condizioni.

Oltre il fatto che non riuscisse a non piangere durante tutto il servizio per dei perfetti sconosciuti, un evento in particolare lo aveva spinto a lasciare. Una donna gli aveva chiesto un aiuto con suo padre, durante alcuni giorni della settimana in cui lei lavorava e non poteva seguirlo, sembrava ancora tutto semplice e gestibile, poiché l'uomo era in una fase iniziale di quel deterioramento. Ma era proprio in quella fase in cui gli venivano concessi ancora degli sprazzi di lucidità e di senso della realtà a tratti, che egli poté accorgersi di star marcendo a poco a poco, ciò lo aveva buttato in uno stato di forte depressione e...quel primo stadio di coscienza aveva portato e permesso all'anziano di eleggere la fine per la propria esistenza.

Fu da egoisti l'aver trovato sollievo nel fatto che quel suicidio non fosse avvenuto quando c'era lui con l'uomo. Per evitare che potesse avvenire in futuro, era fuggito. Ma dopo qualche settimana iniziò a credere che se ci fosse stato lui con il vecchio, forse non sarebbe mai accaduto, magari lo avrebbe evitato e la cosa più orrenda era che il moro non si sarebbe mai dato pace sapendo di essersi intromesso scongiurando quella disperata azione, una salvezza assolutamente non richiesta. Non si sarebbe mai perdonato per non avergli lasciato la libertà di porre fine alle proprie tribolazioni, per non averlo rispettato e anzi, di avergli imposto di continuare a vivere ancora quando quell'uomo non desiderava altro se non spegnersi, prima che non potesse più avere padronanza della sua anima.


 

Eppure Pendragon sapeva, che nonostante le apparenze, quel libro era per lui e che non gli avrebbe fatto del male, anzi, tutt'altro.


 


 

“Oh...io...cioè sono lusingato, ma non posso, andiamo, era di tua madre no?Prestamelo! È troppo importante per te!”


 


 

“Non te lo avrei mai detto se anche tu non lo fossi per me.” Mormorò e quasi non avesse avuto più controllo su se stesso, gli sfuggì un'ultima considerazione, sussurrata ancora più flebilmente.


 


 

“Lo sei... importante per me.” Agitato dalle proprie parole, il respiro di Artù si fece più affannoso, non era solamente averlo detto a Merlino che gli faceva battere il cuore come se volesse scappargli su per la trachea, o temere di non riuscire più a respirare, ma anche e soprattutto perché lo stava ammettendo a se stesso. Ed era spaventoso, altrettanto spaventoso ed inaspettato fu lo sguardo di Emrys su di lui, come se non stesse aspettando altro da lui. L'asino distolse lo sguardo e gli tornò alla mente l'insinuazione di Mithian. Ogni volta che il biondino tornava da un'uscita con il marziano e gli capitava di chiacchierare con lei del più e del meno per telefono, la testa di fagiolo cercava spesso di nascondere quella sciocca euforia che gli rimaneva addosso, ma non era in grado di dissimulare più di tanto le proprie emozioni, poiché comunque finiva per raccontare molto di quel ragazzo, anche indirettamente, sapeva che lei aveva capito quanto il moro gli piacesse, quanto evidentemente ci stesse bene insieme, quanto l'amicizia con lui fosse cresciuta a dismisura giorno dopo giorno. Quel marziano aveva trovato progressivamente, un posto sempre più ampio e accogliente nel cuore di Pendragon, tanto che, forse ad un occhio esterno poteva sembrare un poco ambiguo. Mithian spingeva molto su una certa battuta "Ma ti stai innamorando di lui per caso?" Artù faceva finta di non capire, quanto dietro quella burla, l'amica esprimesse una convinzione. La conosceva troppo bene per non sapere che era solita buttarsi in ipotesi celate da scherzi, per sondare il terreno. Il biondino non le aveva mai risposto a quella domanda, né aveva osato ribattere tra se e se nei suoi pensieri. Eppure li era libero, li nessuno lo controllava, poteva essere più chiaro con se stesso, poteva darsi del sollievo e smetterla di opprimersi come se vivesse ancora nel medioevo. Se fosse stato vero? Se si stesse...ma a lui i ragazzi non piacevano! Aveva avuto così timore, da aver imposto dei limiti alla propria sincerità, ma in un modo o nell'altro, tutti quei sentimenti che aveva ben bene frenato e lasciato marcire nell'inconscio, avrebbero straripato.


 


 

“I...io non so che dire...ti ringrazio! Non pensavo che...cioè che tu...che tu anche...” Farfugliò Merlino, sinceramente in difficoltà per quella sorta di confessione. Ma non doveva montarsi la testa, no! Per “importante” non intendeva ciò che avrebbe inteso lui, parlava di amicizia, punto, era palese.

Pendragon decise che fosse meglio tornare a comportarsi come di consueto, stuzzicando il collega e smetterla con quei dubbi sciocchi, la migliore amica doveva avergli fatto un lavaggio del cervello con tutta quella smania di inclusione che voleva espandere su tutto e tutti!

Mirino trasalì quando percepì la ruvidezza dei polpastrelli dell'asino, passargli tra il colletto della maglietta che portava sotto ed il collo.


 


 

“Ti viene il vaiolo così! Una maglietta sotto la felpa...Ma davvero senti tutto questo freddo?” Lo punzecchiò Artù.


 


 

“Vorresti sfilarmela magari?” Gracchiò innervosito, rendendosi conto troppo tardi che potesse sembrare un commento fraintendibile.


 


 

“Mi fai solo sentire caldo...a vederti così!” Sibilò.


 


 

“Non guardarmi allora, bifolco! Hai miliardi di altre cose su cui poggiare lo sguardo, non rompermi le palle!” Replicò, tentando di nascondere al meglio la sua acidità con una voce ed un'espressione scherzose.


 


 

“È divertente!” Ridacchiò il biondino.


 


 

“Un giorno è la ricrescita, un giorno i miei calzini bucati, le labbra screpolate, i capelli spettinati, un giorno le mutande rosse che per qualche arcano motivo, non vanno bene... vuoi venire a vivere da me, così la mattina presto mi passi tu la lametta sulla barba, mi rappezzi gli indumenti? Mi consigli un burro di cacao, Artù fashion stylist!?”


 


 

“Oddio che schifo!” Esclamò, mettendo su una faccia raccapricciata.


 


 

“Hai detto bene...che schifo!” Gli fece l'eco il marziano.


 


 

“Vorrei vivere in una fattoria sperduta però!” Confessò la testa di fagiolo.


 


 

“Beh si, sarebbe meglio che stare con me per prenderti cura della mia immagine pubblica!” Acconsentì.


 


 

“Veramente intendevo...di viverci con te...” Disse Pendragon con naturalezza ed Emrys rischiò seriamente di strozzarsi con la sua stessa saliva nel guardare l'espressione seria e trasognata dell'altro esternare certe cose, che non facevano altro che indurgli un volo di fantasia, su immaginari bucolici e romantici, decisamente irrealizzabili, con lui.


 


 

“Così fai tu il lavoro pesante!” Puntualizzò la testa di fagiolo. Chiaro! Era per quello, cosa poteva mai credere che fosse?


 


 


 

“Sappi che voglio le mucche e delle galline...senza gallo però che me le rendono nervosucce!” Seguitò Artù.


 


 

“Anche a me stanno sul cazzo i galli. Niente ovini e caprini! Ah e le mucche le alleviamo di quelle avana non pezzate e con le corna! Quelle che, la gente che le vede solo in TV, scambierebbe per tori, nonostante le mammelle che toccano il suolo! ” Gli diede corda, facendo ridere l'altro.


 


 

“Stato brado?”


 


 

“Stato brado! ...Aspetta però!” Si arrestò il moro, desideroso di tornare coi piedi a terra.


 


 

“Credi che io abbia così poche aspettative, da finire a fare da badante a te e alla tua donna angelo che porterai? Vorrei qualcosa di più di questo!”


 


 

“Oh no, nessuna morosa. Rimango scapolo!” Parlò in fretta il biondino, trovando strano appena dopo, il proprio impulso di precisare una cosa simile. Il suo discorso suonava quasi come una rassicurazione, nello sciocco ed idilliaco sogno, non era presente nessuna donna angelo e si destabilizzò nel notare che Merlino sorrise di sollievo per tale assenza. Perché, non aver incluso nessun altro a parte loro due, avrebbe dovuto rasserenare il suo amico? Come se anche lui non volesse nessuno tra i piedi, sempre seguendo la logica bambinesca di quella stravaganza utopica. L'asino si grattò la testa inquieto, riusciva ad impantanarsi anche per le cavolate fittizie e non concrete come era quella. Era un gioco puerile, non doveva farsi tutte quelle inutili domande.


 


 


 

“Ti credo che rimani scapolo se ti metti con un extraterrestre come me, ti si allontanano tutte!” Annunciò ridendo. Pendragon parve essere a disagio, abbassò i suoi grandi occhi sul davanzale candido della finestra. Forse la scelta di quelle parole non era stata tra le migliori... in pratica Emrys si era appena fatto sfuggire un “se ti metti con me” anche se Artù era sicuro non intendesse affatto in quella determinata maniera, non poté far a meno che andarci a parare con la mente, ipotizzando come sarebbe stato, se si fosse riferito a ben altro. Come era essere amati dal moro? Come era potersi permettere di amarlo, avere la libertà per farlo? Chi mai sarebbe stato così pazzo, da pensare di riuscire ad abituarsi al suo modo di essere o alle sue attenzioni? Non era affatto in grado di immaginarselo più dolce di quanto già non fosse quando lo accarezzava, quando gli riservava qualsivoglia gesto, quando lo guardava, quando gli parlava e passavano del tempo insieme.

Il biondino prese a tracciare con le dita, i tagli saturi di luce, che colpivano il profilo dell'amico, rimasto immobile per lunghi attimi, pareva come quelle caprette che fingevano di essere morte quando percepivano di essere in pericolo. Pericolo...allora anche Merlino aveva un certo sentore che qualcosa tra di loro stesse sfuggendo! Il marziano ad un tratto, scattò col volto verso di lui, fulminandolo con un'espressione di sfinimento, come se fosse giunto al limite di chissà cosa. Poi parve stupirsi, come se vedesse il volto di Pendragon per la prima volta, oppure, come se non avessero avuto la possibilità di guardarsi senza filtri o freni, da molto ormai. Emrys lo contemplava con sguardo soffuso di tentazione, come se stesse per dirgli tutto senza però la più piccola intenzione di proferire parola, proprio quello che aveva temuto maggiormente. Quando Artù si approssimò ulteriormente, il moro si leccò le labbra voluttuoso, pur non avendo la minima premeditazione nelle sue azioni, non ne aveva il controllo, figurarsi farlo appositamente per suscitargli dei colossali dubbi. Il povero asino si stava figurando interrogativi assolutamente fuori luogo, non riuscendo a zittire i propri impulsi irrazionali. Chissà come doveva essere, sapere di essere desiderati da lui, sarebbe stato bello se avesse potuto baciarlo, senza dover dare spiegazioni a nessuno né a lui, né a se stesso, evitando di scendere a conclusioni paurose, sarebbe stato meraviglioso avere il potere di privare quell'azione intima, del suo significato più evidente. Come era sfiorare o lambire le sue labbra piene, che la luce in quel momento rendeva più sensuali del solito? Brillavano invitanti, a causa del fatto che le avesse inumidite con quel gesto tanto disarmante. Cosa si provava a sentire il suo corpo addosso al proprio, poter...il biondino scosse il capo, come se quello potesse farlo smettere e dimenticare quei pensieri inauditi...era meglio non spingersi oltre.


 


 

“Non guardarmi così, per favore...” Sussurrò sfinito Merlino, prima che potesse fare qualcosa per cui pentirsene. Pendragon non avrebbe dovuto concedergli quegli sguardi, lo ammirava quasi come se anche lui provasse lo stesso, come se fossero entrambi innamorati ed il marziano ormai non aveva abbastanza lucidità per allontanarglisi volontariamente, o quel ragazzo avesse smesso di trattarlo a quella maniera, o non avrebbe retto tanta vicinanza. Lo stolto ignorava la reale urgenza di quella sorta di supplica e non pose fine allo scambio. Artù non avrebbe saputo raccontare cosa mai gli avesse detto la testa, quando col proprio pollice percorse la forma aggraziata della sua bocca e fu investito da un osceno piacere nel percepire che l'umidità ancora presente sulle sue labbra, andasse a diradarsi nella propria pelle. Una flebile eccitazione lo percorse nel vedere la morbida pelle dell'amico, assecondare e piegarsi appena sui movimenti delle proprie dita. Quando Emrys gli prese delicatamente il volto, il biondino temette che le ginocchia gli avrebbero ceduto da un momento all'altro. Il moro lo accarezzò con impellente bramosia, la stessa che Pendragon incontrò nelle iridi languide e socchiuse per l'inebriamento, seminascoste sotto le folte e lunga ciglia scure. Cosa avrebbe dato Artù per poter ricordare per sempre quello sguardo penetrante e desideroso di trasmettergli i suoi sentimenti, di donargli quella particolare attenzione dolce, sensuale, pura, ardita e la speranza di essere trattato ugualmente, con la stessa passione. Merlino protese il viso verso il ragazzo, che gli strinse con frenesia le dita dietro la nuca, invitandolo ad inclinare appena il capo, così da permettergli di avvicinarsi meglio, accomodando entrambi. Sentì il biondino trasalire quando le loro bocche furono così prossime da dargli l'illusione di toccarsi. Emrys si sporse e sfiorò le labbra con le proprie, il suo calore era così etereo, era stordito dalla loro consistenza, inebriato da tale tocco e aveva la necessità che divenisse un bacio, ancora non lo era, poiché somigliava più ad una eccezionale carezza, profonda, delicata, emozionante. La realtà gli piombò addosso come una doccia gelida, quando le mani di Pendragon, che fino ad un attimo prima lo avevano accolto ed invitato, gli piombarono prepotenti sul petto, a spingerlo via. Il marziano sbatté la testa al muro ma non ci fece caso, voleva solo scomparire, che cazzo aveva fatto...era un pezzo di ipocrita, si era ripetuto e costretto a non farlo...eppure gli era saltato addosso, anche se pareva che Artù ci stesse, che lo desiderasse veramente. Lo aveva frainteso e aveva mandato tutto a puttane a giudicare dall'espressione dell'altro, che si poggiò sfinito sulla piccola concavità del davanzale, ansimando come se avesse corso per chilometri. Però...però non era giusto che il pentito lo facesse sentire come se avesse fatto tutto da solo, non era così, poteva giurare che non fosse così! Come avrebbe potuto interpretare diversamente quelle tenerezze?

Entrambi si voltarono di scatto verso la porta della stanza quando si spalancò, mostrando la figura del padre padrone in tutta la sua altolocata rozzezza.


 


 

“Esigo che vi sbrighiate, vi voglio via di qui entro venti minuti, se vi ho permesso di mettere piede qua dentro, è perché dovevate liberarmi da questi libri polverosi, non ve l'ho concesso per starvene in finestra a chiacchierare!” Disse severo, trafiggendoli entrambi con sguardo gelido, poi Uther uscì, richiudendo l'uscio con una potenza tale, che le mura avrebbero potuto sgretolarsi e crollare, così come l'animo dei due.

Il biondino camminò svelto e stizzito verso la libreria, afferrando tremolante, i libri rimanenti, riempiendo l'ultimo cartone. Un preoccupante colorito paonazzo sulla faccia e l'espressione di chi aveva appena visto un fantasma. Ognuno trascinò uno scatolone fino all'auto, senza che si azzardassero a rompere il silenzio tra loro per tentare di darsi una spiegazione.


 


 

“Artù...” Sussurrò l'altro timoroso, dopo momenti di mutismo che sembrarono infiniti. Non potevano ignorarsi, non potevano far finta che non stessero per darsi un bacio, Pendragon non riuscì neanche a sostenere lo sguardo, volgendolo al suolo, sbuffando chissà cosa.


 


 

“Per prima...” Seguitò.


 


 

“Non è successo niente, prima. Niente!” Esclamò rabbioso Artù.


 


 

“Oh cazzo, ma tu stai fuori!? Vuoi far finta di nulla seriamente? Vuoi cancellartelo dalla memoria? Dimmi che mi sei caduto addosso, lo accetto, che eri curioso e ti sei ricreduto, che mi stavi prendendo in giro, dillo! Ma non puoi comportarti come se non avessimo nulla da discutere! Dimmelo, dimmi quello che già so, ho frainteso, colpa mia, mi dispiace, sono serio, perdonami, ti chiedo scusa, non avrei dovuto prendermi certe libertà, credevo che...”


 


 

“Credevi che?! È colpa tua! Sei tu, tu mi stai influenzando con tutte quelle cose ambigue, mi confondi ok! Mi stai deviando! Tu e tutti quelli come te pensano che gli altri siano uguali a voi! Io non sono così, lo sai benissimo! A me i ragazzi non piacciono!” Lo accusò, scuotendo energicamente le mani, provò a guardarlo negli occhi mente gracchiava, ma non ne fu capace.


 


 

“Io ti sto deviando? Portando su una strada sbagliata? Cos'è sbagliato Artù!? Porca puttana, pensavo fossi diverso!”


 


 

“Diverso da te sicuro!”


 


 

“Ho frainteso, capisci? Non l'ho fatto con malizia!”


 


 

“Se a te piace il cazzo sono problemi tuoi Merlino, lo sai che io non sono frocio!” Parlò il biondino con un'inquietante fermezza nella voce bassa, piena di risentimento e collera, ormai incontenibili.


 


 

“Oh...a me piace il cazzo? Questo è quello che hai capito di me? Ah pezzo di coglione, pensi che se avessi potuto scegliere mi sarei innamorato di te?! Di uno a cui faccio schifo, perché non mi interessa niente del tuo genere!?” La delusione e la mortificazione spezzarono la voce del moro, non poteva farsi ferire da quei discorsi, non poteva permettersi di abbandonarsi al forte impulso crescente di urlare come un forsennato e piangere di rabbia e frustrazione fino a quando non fosse crollato a dormire con un insopportabile mal di testa. Era così accecato da un turbine di emozioni contrastanti, che ignorò il fatto di essersi dichiarato nel momento e nella maniera meno adatti, aveva dato un nome preciso ai suoi sentimenti per lui, lui che a quanto pareva non era abbastanza maturo per trattarlo con riguardo, era semplicemente pietoso, ridursi così.

Fu in quell'attimo, che Pendragon riuscì a sostenere il suo sguardo...innamorato, così l'altro aveva detto. Eccolo, quel qualcosa che non era riuscito a cogliere, era quello ciò che faceva differire il loro rapporto da una semplice amicizia. Lui non lo aveva compreso, o forse aveva preferito non farlo e si sentì cadere in un terrorizzante oblio nello scorgere sofferenza ed infelicità nei tratti cupi e burrascosi di Merlino. Prese coscienza a scoppio ritardato, dell'attitudine con cui lo aveva offeso ed umiliato, quelle urla ingiuste, non poteva ricacciarsele dentro, non poteva annullarle, era troppo tardi. Guardò il libro che il ragazzo stringeva tra le dita angosciate e gli tornò in mente il perché glielo avesse donato, Emrys era importante per lui, così si era sentito dire con la propria voce, quindi non avrebbe dovuto permettersi di insultarlo, di trattarlo come un degenerato, non poteva davvero aver riservato quel trattamento vile ad una persona tanto meravigliosa, doveva aver perso il lume della ragione!


 


 

“Ho sbagliato, ho capito male, ma non ho tredici anni, lo accetto un rifiuto. Se ne avessimo parlato, mi avresti potuto respingere civilmente! E per quanto sia un sentimento a senso unico il mio, non credere di avere il diritto di trattarmi come una merda, io voglio che tu mi rispetti, io lo merito, darmi del frocio, del deviato, dell'insinuatore, credi che siano argomentazioni? Anche se fosse? Anche se ti faccio ribrezzo, non sei proprio nessuno per farmi sentire un mostro! Potevi dirmi che non ti interesso, invece hai bisogno di insultarmi, perché sei un bigotto del cazzo! Non scavalcare la mia dignità, non te lo permetto! Non ti azzardare, mai più!” Si sgolò imbestialito, afferrandolo per un lembo della maglietta all'altezza del petto e con una violenza che non gli apparteneva, lo spintonò addosso alla macchina. Artù si sarebbe preso a sprangate da solo, se fosse servito a tornare indietro, perché il moro aveva ragione, non doveva osare privarlo della sua dignità, urlandogli certe cose, non lui che era suo amico. L'asino percepì un groppo in gola quando vide i suoi occhi velarsi di lacrime, come diamine avrebbe potuto riparare allo stato d'animo in cui lo aveva fatto versare? Con quale coraggio poteva pretendere che bastassero un paio di scuse, con quanta codardia rimase zitto invece, senza nemmeno tentare, evitando di discolparsi a prescindere. Merlino si allontanò, era meglio che andasse via di sua spontanea volontà, piuttosto che attendere che fosse il biondino a cacciarlo, ci mancava quell'umiliazione.


 


 

“Dove vai?” Domandò Pendragon, irritandosi del suo stesso comportamento.


 


 

“Affanculo!” Rispose risentito, la sua insoddisfazione crebbe, quando l'altro lo afferrò per una manica della felpa.


 


 

“Lasciami stare, o diventi mezzo frocio, ti contagio no?! Io ti devio no?! Stammi lontano!” Lo intimò Emrys, sfilandosi con ira dalla presa dell'altro.


 


 

“Merlino, non sai nemmeno dov'è la stazione, quale bus prendere, non sai dove andare!”


 


 

“Non sai nemmeno dov'è la stazione!” Gli rifece l'eco, incominciando a camminare svelto, cosa si aspettava? Che sarebbe salito sulla sua auto e si sarebbe fatto dare un passaggio, dopo tutto quello che gli aveva sputato addosso?


 


 

“Non so dove andare io, ma so che tu dovresti andare a farti fottere, stronzo!” Continuò ad alta voce, poiché ormai era lontano e aveva bisogno che Artù sentisse. Non avrebbe mai dovuto aprirsi così tanto a quel bigotto.

Il biondino non riuscì ad avere un pensiero di senso compiuto sul da farsi e così rimase immobile per molto tempo, accanto la sua macchina, stordito, scioccato nel ripensare a quello che gli aveva detto, angustiato dalla consapevolezza che tutto quello che aveva sempre creduto, gli insegnamenti con i quali si era formato, le sicurezze che pensava di avere, improvvisamente gli erano crollati da sotto i piedi, facendolo sprofondare in una caduta ignota, profonda, che non sapeva affatto in che modo affrontare. Non aveva la minima idea di come avrebbe lavorato per costruirsi un altro terreno più stabile, a sostenerlo, capiva solo che fosse necessario rinascere, migliorare. Farsi perdonare dal moro, riuscire a risanare la ferita che gli aveva squarciato in mezzo al petto, nell'orgoglio, nella dignità.

Aprì la rubrica e fissò il contatto del suo amico come uno stoccafisso, Merlino era in una città che non conosceva, ad un paio d'ore di mezzi pubblici da casa sua, il biondino avrebbe dovuto chiamarlo, cercarlo con la macchina e farlo venire con lui, ma non ci riuscì, non riuscì ad avviare la chiamata, così provò a digitare un messaggio di testo: “Dimmi dove sei e fermati li” Che ben presto si trasformò in un “Avvisami quando sei a casa” ed ancora più in la, diventò una semplice schermata bianca.


 


 

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Ciao!

In realtà “Veronika decide di morire” è del 1998, quindi è inesatto, almeno di un anno, dire che fosse stato della madre, ma ho preso comunque questa libertà, spero me la passiate :D

Il manga citato che parla in quel modo della tristezza ovviamente non poteva che essere “Maison Ikkoku” o “Cara dolce Kyoko” dipende delle edizioni.

Sono stata abbastanza pesante, ma spero che vi siate immedesimati e che abbiate provato boh, qualcosa.

Alla prossima!

   
 
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