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Autore: manpolisc_    29/04/2021    0 recensioni
•Secondo libro della trilogia•
Sharon Steel ormai crede di aver scoperto tutto di sé grazie agli avvenimenti estivi che hanno caratterizzato le sue vacanze, quando in realtà non sa ancora nulla di ciò che realmente è. Sicura di aver detto addio ad una minuscola ma significativa parte della sua vita, si ritroverà ad affrontarla di nuovo, e questa volta le cose saranno troppo diverse e non sarà sicura di riuscire ad accettarle.
Dal testo:
- Era solo un sogno. - Cerca di rassicurarmi, e lo ringrazio per avermi interrotto. Non sono certa di voler dire ad alta voce quegli orrori da cui la mia mente è ormai segnata.
- Si realizzerà. - Affermo completamente sicura.
- Solo se tu vuoi renderlo realtà. -
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 10

-Sharon-

- Siamo cugini?! – Urlo, letteralmente scioccata. - Perché diamine non me l'hai detto?! Ho provato a baciarti! - Esclamo furiosa mentre Jackson mi rimprovera per il chiasso che sto facendo e tenta di zittirmi. Dovrei abbassare la voce dato che ci è voluto molto per mettere sua nonna (e anche mia zia, a quanto pare) a letto, lo so, ma come posso non urlargli contro? Non posso crederci... e pensare che mi piaceva! Avrebbe dovuto dirmelo, sarebbe stata la prima cosa che avrebbe dovuto fare. Sono stata più di un mese cotta di lui, gelosa ed arrabbiata perché aveva preferito June a me. Beh, si fa per dire, l'aveva ammaliato, ma comunque stetti male quando quei due si baciarono in piscina. Davvero faccio fatica a credere che questo sia vero, e mi sento anche sporca al pensiero di aver voluto più che una semplice amicizia dallo Gnomo. Ho cercato così disperatamente di creare qualcosa con lui, e ora che mi ha detto il vero legame che ci unisce mi sento persa e arrabbiata; non perché non potrà esserci una relazione romantica tra di noi, non la voglio neanche dato che non ho più una cotta per Jackson, ma perché avrebbe dovuto dirmelo, non c’era motivo di tenermelo nascosto. Ogni volta che lo guardo in faccia non posso credere che è mio cugino, di primo grado per giunta dato che mio padre e sua madre erano fratelli! Lo prenderei a schiaffi sul serio. Non so neanche come comportarmi con lui e con Lizzie. Dovrei chiamarla zia da un giorno all'altro? È tutto troppo strano. La mia testa gira, così come lo stomaco che è sottosopra. Non posso credere che mi abbia mentito riguardo qualcosa di così importante, sapendo i problemi che avrebbe potuto creare e che alla fine ha reso reali, infatti mi ero presa una cotta per mio cugino!
- Io non sarei dovuto rimanere lì, non era il mio posto. Ero solo venuto a controllarti, ma poi quel mostro, quell'Adaro, ti ha attaccato, e poi quelle Ek Ek, e mi era impossibile non dirti che sei un Elementale. Non ti ho detto del nostro legame di parentela perché me ne sarei andato e non avrei dovuto più vederti… – Quindi gli conveniva rimanere in silenzio, in altre parole.
- ... ma poi la persona più intelligente della nostra famiglia, la sottoscritta, ha fatto ragionare Jacky. Ringraziami se ti sta dicendo che siamo tutti cugini qua, altrimenti avrebbe continuato a star in silenzio. - Conclude Avery, nascosta nelle tenebre. Il suo piccolo e malvagio sorriso, però, è fin troppo evidente. Rimane appoggiata al muro, con le braccia incrociate al petto e i capelli che le coprono il viso a ogni folata di vento caldo. A differenza sua, io e Jackson siamo seduti sulla panchina in legno bianco in un piccolo spazio tra tutto il verde di quel giardino enorme, pavimentato con mattonelle chiare, dove sono presenti anche un tavolo in marmo nero e diversi vasi bianchi e beige. Avery ha proposto di uscire fuori a parlare per evitare di disturbare di nuovo la nonna e sua madre, che già dorme. Da quanto ha detto la Silfide, in casa vivono i genitori di Jackson, anche se questa sera sono fuori a una cena, Sally Bannet (la madre di Ronald Mitchell), Avery e la madre, Diana mi sembra, che è la sorella di Ronald. E credo anche Harry, anche se ora non è qui, purtroppo.
- Smettila di fare la rompipalle. - Replica Jackson, scocciato. - Perché non vai a letto, Avery? -
- Oh, no. Ora arriva la parte più bella. - Controbatte con lo stesso sorriso in volto. Sa qualcosa che io non so, ovviamente, e non vede l'ora che io ne venga al corrente. Credo che brami l'attimo in cui possa godersi la mia ennesima reazione. Non penso che Avery mi odi sul serio, ma dai suoi atteggiamenti ha reso chiaro che non le sto tanto simpatica. Non ho idea del perché, non ci siamo mai viste e lei non mi conosce, come fa a giudicarmi? Beh, dal mio ultimo gesto, ovvero quello di prendere un aereo per venire fin qui, ci può anche stare che pensi che sia un tantino svitata, ma se Jackson mi avesse detto che siamo cugini tempo fa non avrei fatto questa stupidaggine. È vero, una parte di me ancora mi trascinava verso di lui, sebbene cercassi di reprimerla, ma ora allontanarmi mi è reso ancora più difficile dalla parentela.
- Quale parte? – Chiedo mentre alterno lo sguardo da Jackson a mia cugina, per poi posarlo sul biondo.
- Credo che sia meglio se ne parliamo domani. Sei stanca e hai fatto un lungo viaggio... - Comincia Jackson. Conosco fin troppo bene questo tono vago, sempre pronto a nascondermi tutto, ma sono stanca di questi segreti. Se ho intrapreso quel viaggio era per sapere la verità, non ulteriori bugie. Sì, okay, un po' l'ho fatto anche per lui, per rivederlo, ma ora mi sento così stupida per ciò. Non ho mai lasciato che i miei sentimenti per qualcuno mi annebbiassero la vista, soprattutto il cervello, eppure è successo. E mi vergogno di me stessa. Mi faccio schifo da sola per questo, e ora si è aggiunto anche il ribrezzo alla rivelazione di Jackson.
- Sharon non è il tuo vero nome. – S’intromette Avery, noncurante di quello che stava dicendo Jackson, per arrivare dritta al punto. Io la guardo confusa mentre lei mi osserva con occhi privi di emozione, ma con una scintilla di determinazione a voler distruggermi prima di tornarsene a letto affinché io non possa chiudere occhio. Da un lato la ringrazio di semplificarmi le discussioni con Jackson riguardo quello che mi sta tenendo nascosto, però così diventa fastidiosa. - Cioè, sì. - Accenna un ghigno beffardo, quasi antipatico. - Ma non era quello che tua madre voleva darti. Avevo due anni quando tu nascesti e quando successe tutto, ma zia Lizzie mi raccontò ogni cosa. -
- Io però lo ricordo. - La interrompe Jackson, guardandomi con aria triste negli occhi. - Ho ventun anni, quindi ricordo ciò che accadde, però voglio che mi presti la tua massima attenzione e che tu non dia di matto appena finisco, ti prego. - Mi supplica, ma già sto cominciando a innervosirmi anche perché mi ha mentito perfino sull’età, facendomi credere che fosse un diciassettenne. Avery scoppia a ridere.
- Come potrà non dare di matto? È assurdo tutto questo. -
- Stai un po' zitta? - Mi volto verso di lei, abbastanza irritata. - Cominci col dirmi che il mio nome... beh, non è il mio e poi rimani in silenzio su quello che è successo e che io non so. O parli seriamente, o stai zitta. - Avery mi rivolge un’espressione dura e colma d’ira per cercare di intimorirmi, ma non le do questo piacere. Sostengo lo sguardo finché non è lei a distoglierlo, non aggiungendo altro. Jackson, invece, mostra la sua gioia con un gran sorriso appena si rende conto dell'aria abbastanza imbronciata che ha assunto la cugina. Non credo che Avery sia quel tipo di persona che si ammutolisce facilmente, cosa abbastanza evidente dati i suoi modi, quindi non mi meraviglio che Jackson ne sia felice.
- Qualche giorno prima di partorire te, tua madre fu attaccata da un mostro. Succede spesso con gli Elementali perché purtroppo ci sono un sacco di creature che si cibano di feti. Comunque, tuo padre perse la vita per proteggerla. Beh, non morì esattamente, cioè la sua morte fu così violenta che si trasformò in un mostro, in un Bhuta. È una specie di vampiro ma, a differenza di quest’ultimo, si ciba d’interiora o escrementi, e può diventare tale solo dopo una morte davvero violenta, senza la necessità di bere sangue da un vampiro o un altro Bhuta. Harvey, meglio dire quell’essere, voleva vendetta ovviamente, ma voleva ottenerla uccidendo te perché ti vedeva come la causa della sua morte, anche se non è così. Tua madre di certo ti avrebbe protetto a tutti i costi, non avrebbe mai permesso a lui di farti del male. -
- E non voleva neanche perderlo. Dici per bene la storia, Jackson, falle capire quanto sua madre sia stata egoista. Avremmo potuto uccidere Harvey e basta, sarebbe finito tutto, ma no. - Si intromette nuovamente Avery, prolungando quella 'o' finale in un verso veramente fastidioso.
- Avery smettila! - Questa volta è Jackson a sbraitarle contro. -Non sei l'unica vittima in tutto questo. Smettila di fare la bambina capricciosa del cazzo! - Lei continua a squadrare il cugino per qualche secondo, poi si stacca dal muro senza aprire bocca, si avvicina alla porta-finestra ed entra in casa, sbattendola dopo averla fatta scorrere per chiuderla. Il biondo la segue con lo sguardo, poi sospira. - Scusala, non è davvero così insopportabile. Non sempre, almeno. – Annuisco, sebbene stia elaborando ciò che Jackson mi sta dicendo e sto cercando di capire perché non mi senta triste o male riguardo ciò che sia capitato a mio padre. Non lo conoscevo, ma non posso essere tanto indifferente. Forse sono ancora turbata per il fatto che Jackson sia mio cugino e non riesco ad esserlo per qualcosa che è accaduto addirittura prima che nascessi. D’altra parte sono sollevata di sapere finalmente la verità riguardo cosa è successo a mio padre. Tuttavia, dentro di me è più intenso il desiderio che mi spinge a capire cosa abbia fatto mia madre di così orribile per guadagnarsi l’odio di Avery. - Continua. - Lo incito. Ero sicura che mia madre mi tenesse nascosto dell'altro, ma non pensavo che ritornasse di nuovo a mio padre. In effetti, quando ne parlammo, lei si limitò a raccontarmi che fu ucciso da un mostro, ma non ritornammo mai più sull'argomento e non concludemmo mai il discorso, su che fine avesse fatto ad esempio. Quando chiedevo, lei mi liquidava con le stesse parole che mi ha sempre detto: è stato bruciato come tutti gli Elementali.
- Beh, è vero quello che ha detto Avery, non voleva neanche perderlo. Così mia nonna ha proposto a tua madre l'unico modo per evitare che qualcuno si facesse male cercando di uccidere tuo padre. - Si ferma per un attimo e prende un respiro. - Sei sicura che vuoi saperlo ora? Abbiamo tutto il tempo domani. -
- Ti prego, Jackson. Se sai qualcosa sulla mia vita, dimmelo. Non credi di avermi tenuto fin troppe cose nascoste? - Lo imploro con lo sguardo. Lui sospira e incastra i suoi occhi nei miei, leva i piedi dalle infradito e incrocia le gambe sulla panchina, girandosi verso di me. – Che cosa ha proposto tua nonna a mia madre? -
- Zia Taylor non rispettò la regola fondamentale degli Elementali, ovvero uccidere ogni malvagità, e mia nonna ne approfittò, da brava strega. Qualche settimana dopo la tua nascita, nonna riuscì a catturare il mostro in cui tuo padre si era trasformato e lo uccise, squarciandogli l'anima, ma un pezzo di quell'anima demoniaca riuscì a scappare e ha cercato l'anima più vulnerabile e pura a cui legarsi. - Pian piano, non appena lui comincia a guardarmi con occhi pieni di compassione, i miei iniziano a sgranarsi. No, non è vero quello che sta per dirmi. - Mia nonna legò insieme l'anima di tuo padre con la tua, e tua madre non si oppose, sebbene sapesse quanto rischioso sarebbe potuto essere se, beh, tu non fossi riuscita a controllarlo e a sottometterlo. Tua madre ti chiamò Nora, ma affinché le anime si fondessero completamente ed evitassero di slegarsi, serviva qualcosa che caratterizzasse entrambe, tipo un nome. Per la magia i nomi hanno un potere immenso su ogni persona. Quindi ci aggiunsero le iniziali di tuo padre: HS, Harvey Steel. - Mentre parla afferra il suo cellulare dalla tasca ed apre le note per trascrivere il mio nome: Sharon. Poi si alza e mi fa segno di seguirlo fino alla porta-finestra. Ci si ferma davanti e pone lo schermo del cellulare verso di essa, mostrando il mio nome al contrario: norahS. Fisso ancora quelle parole riflesse sul vetro della finestra, senza aprire bocca. Se prima pensavo di sentirmi persa, ora mi sento anche vuota, rotta. Non riesco neanche a respirare come vorrei, mi viene da rimettere davvero anche l’anima. Sono un mostro, praticamente, metà vampiro, demone, o qualunque ibrido sia per un egoismo d'amore di mia madre. Ora capisco perché Avery ce l'abbia tanto con lei: avrebbe dovuto uccidere mio padre, anche lui avrebbe voluto lo stesso. Io avrei voluto lo stesso. Mia madre sa meglio di me quali sono le regole che devono essere rispettate e invece è riuscita, con una sola decisione, a infrangerle tutte.
- Sono un mostro. - Mormoro con sguardo vitreo, puntato verso la porta-finestra. Verso il cellulare. Verso il mio vero nome. Noto Jackson dalla finestra scuotere la testa.
- C'è il rischio che tu possa diventarlo sul serio, che lui possa prendere il controllo sul tuo corpo in qualsiasi momento. - Mi mette una mano sulla spalla in modo da farmi girare e guardarlo. Sbatto più volte gli occhi per cercare di riprendermi da quello che mi sta dicendo. Non può essere uno scherzo, perché dovrebbe farmene uno del genere? Ma non può essere neanche la verità. È tutto fin troppo assurdo, anche se dovrei sapere che nella mia vita nulla più è impossibile ormai. Eppure questo peso all'altezza dello stomaco è troppo difficile da sopportare. E non mi riferisco solo al male fisico che sto provando per quel senso di nausea. - Quando ti dissi che dovevi controllare la rabbia, altrimenti avresti preso fuoco, mentivo. - "Che novità", vorrei rispondergli. - Se ti fossi arrabbiata troppo e avessi perso il controllo, ti saresti potuta trasformare. - Ricordo che Jackson, prima di abbandonarmi, mi disse che doveva assicurarsi che questo mostro non avesse già preso il posto di comando e che riuscissi ancora a controllarlo. In effetti non è ancora successo nulla, ma non posso gioire completamente di ciò. Ho pur sempre l'incertezza che potrebbe avvenire tra qualche secondo, tra un'ora, o tra mesi. Ora capisco anche perché mia madre non mi abbia neanche mai messo le mani addosso: perché ha sempre temuto di perdere me e di lasciare che il Bhuta mi sottomettesse.
- Però anche Luke mi ha parlato di questo mostro con cui convivo. Se è un segreto di famiglia, come fa lui a saperlo? - Chiedo confusa. È stato il primo a menzionarlo, ma non ci prestai tanta attenzione allora. Con la presenza di zia Tess nella mia vita, soprattutto in quel periodo, pensare che il mostro fossi io era un'opzione da scartare immediatamente. Eppure, a conti fatti, lei è più umana di me. Non so neanche più cosa sono. Un Elementale? Beh, sì, ma anche un mezzo vampiro, un mostro, seppur Jackson continui a sostenere il contrario.
- Purtroppo questa voce si è sparsa tra gli Elementali, anche se non ho idea di come sia successo. Il motivo per cui ti stava per rapire quella sera al cinema penso sia abbastanza palese: sei un mostro, Sharon, ma anche un Elementale. Quale prova migliore da mostrare per gli scopi dei Cacciatori Oscuri se non tu? Sei la persona più buona al mondo nonostante tutto, e sappiamo entrambi che i Cacciatori Oscuri credono in un mondo in cui mostri ed esseri umani possano convivere. Sei la prova perfetta. - Mi allontano da lui e prendo un respiro. L'aria sembra essersi bloccata nei miei polmoni, le gambe mi tremano e la testa mi sta ammazzando come non mai. Mi lascio cadere sulla panchina e mi passo le dita tra i capelli, incastrandocele dentro. Tutto questo non può star succedendo davvero. Infilzo di poco le unghie nella nuca, magari il dolore mi farà svegliare da questo incubo, ma sono ancora su questa fredda panchina e purtroppo anche in questo freddo corpo. Mi piacerebbe scappare da questa scatola che è il mio organismo e che ormai di umano non ha più nulla, ma sono ancora imprigionata qui. Non riesco a capire chi dei due sia davvero in controllo, se io o mio padre. Forse mi sta facendo credere di essere io quella a comandare, mentre aspetta il momento perfetto per causare danni. Ormai ciò che è dentro di me non è più mio padre. Forse aver attirato tutti quei mostri a Ruddy Village è stata solo colpa mia: l'odore di un Elementale e di un Bhuta insieme sono perfetti per l’appetito di altre creature. Però ancora non riesco a spiegarmi perché solo con l’arrivo di Jackson il mio odore ha cominciato a fare più effetto. Almeno ora capisco quella sensazione disumana che ho sempre provato: non era legato al mio essere Elementale, bensì al mio essere mostro. Sono più di quanto ho sempre creduto, ma sfortunatamente non posso dire in senso positivo. Mi chiedo se sia stata un’idea mia o di mio padre quella di bruciare Harry pur di evitare di essere uccisa da lui alla festa di June. Però riuscii anche a fermarmi, forse Jackson ha ragione: non sono così cattiva in fondo. Il fatto che abbia un Bhuta dentro di me non cambia quello che effettivamente sono, giusto? Vero?
Non riesco neanche a pensare razionalmente. Perché deve sempre essere Jackson a causarmi queste crisi? Sono diventata la mia paura peggiore.
- Non può essere... cioè. Questo intreccio con la mia anima... non è vero. – Balbetto mentre alzo lo sguardo su di lui che rimane in piedi accanto alla panchina e con le braccia incrociate al petto, a fissarmi in modo triste.
- Quando mio padre mi spiegò meglio cosa fosse successo, anch'io stentavo a crederci, ma questa è magia e non so nulla al riguardo. Posso dire che mia nonna è nata strega e... – S’interrompe quando nota le condizioni in cui mi trovo. Ho lo sguardo su di lui, ma è come se non lo stessi osservando, non lo stessi ascoltando. Infatti la sua voce arriva come un eco lontano alle mie orecchie. Nella mia mente ormai viaggiano senza sosta ricordi ed eventi in cui forse non avevo completamente il controllo sul mio corpo. Ad esempio, non può essere che alla festa di June sia stata io a bloccarla al muro non appena si è rivolta in modo minaccioso verso Harry. Non posso avere altri poteri, ma non può che essere stato mio padre, quel Bhuta, anche se non capisco ancora in che modo. Ho la testa che a tratti sembra scoppiare. Ho creduto in fin troppe cose, ma questa le batte tutte. Va davvero oltre tutto ciò che di più razionale c’è, e mi sto sentendo così male da non riuscire neanche ad avere una crisi come si deve. Mi sento esplodere dentro, ma non riesco a farlo fuori.
- Io ancora non ci credo... - Jackson si siede accanto a me non appena riprendo la testa tra le mani, poggiando i gomiti sulle mie gambe. Mi mette un braccio attorno alle spalle in segno affettuoso e mi stringe a lui.
- Lo so, è troppo per chiunque, ma è meglio se provi a dormire. Continuare a torturarti non ti fa bene. Ti accompagno in camera di Avery. Ha un altro letto. -
- Ma se mi odia. – Sbotto mentre mi passo le mani sul volto. Lui sogghigna e mi accarezza la spalla.
- Non ti odia. È solo costantemente mestruata. Su, hai bisogno di riposare. - Si alza e mi tira su con lui, afferrandomi dal braccio. Con la testa da tutt’altra parte ormai, e il corpo che sento di non controllare neanche più, mi accompagna fino in camera di Avery, l'ultima stanza sulla sinistra al piano superiore, e mi augura la buonanotte, poi entra nella camera di fronte. Come se riuscissi a dormire, poi.
Apro comunque la porta abbastanza timorosa: non ho dubbi che Avery mi potrebbe far fuori senza molta fatica. Non so quali problemi questa faccenda le abbia causato, ma mi dispiace per lei. Non ho mai voluto ferire nessuno, come avrei voluto? Eppure ora so che ne sono perfettamente capace.
La camera è minuscola e interamente buia; non si vede nulla eccetto una pallida luce celeste di un cellulare sul lato sinistro della stanza. Appena chiudo la porta, Avery mette il cellulare sotto il cuscino. Non ne sono sicura, ma sembra esserci qualcos'altro lì dato il piccolo bagliore di luce riflesso non appena ha voltato il cellulare. Qualunque cosa sia, spero che non la usi su di me mentre “dormo”. Ha detto che far fuori mio padre avrebbe risolto tutto, non voglio di certo che ora uccida me. O forse un po’ sì.
- Che cosa vuoi? - Mi chiede in modo scontroso quella che sembra la versione femminile di Harry, quando invece è solo mia cugina. - Cosa ci fai nella mia stanza? -
- Jackson ha detto che posso dormire qui. - Lei fa un verso di scherno e accende la luce del comodino, illuminando lievemente la stanza. Non c'è quasi nulla qui dentro. Ci sono solo due letti agli estremi della stanza: uno addossato alla parete sinistra, quello di Avery con le lenzuola blu scuro, e uno alla parete destra, con le lenzuola verde scuro. Entrambi hanno un comodino accanto e in mezzo a questi c'è una finestra, ma la luce della Luna viene bloccata dalle tende nere. Sempre contro il muro di sinistra c'è un grande cassettone di legno scuro, poi basta. È una stanza abbastanza triste e povera.
- Il letto è lì. Non darmi fastidio. Se parli durante il sonno ti trascino per i capelli in camera di Jackson. Buonanotte. - Spegne la luce nuovamente e si rigira nel letto, dandomi le spalle. Striscio i piedi fino al letto e butto lo zaino ai suoi piedi, poi mi ci butto sopra.
- Avery... - Sento lo strofinio delle lenzuola, poi si volta a guardarmi. Anche se è buio, sono sicura che la sua faccia non stia esprimendo gioia in questo momento, tantomeno felicità di aver ritrovato una cugina. In effetti mi sono presentata qui all'una di notte e l’ho svegliata. Non mi meraviglio se prima ha passato mezz'ora a lamentarsi di quanto infantile e stupida sia stata a intraprendere un viaggio da sola, in una nazione che non conosco e senza nulla dietro tranne le poche cose che ho nel mio zaino. So perfettamente di aver sbagliato e me ne pento, ma non so cosa mi sia successo. Sembravo non essere io in quei momenti, ma solo una bambina innamorata che avrebbe fatto di tutto per il ragazzo. Per il cugino. Ho così tanti pensieri nella mia mente, così tante cose da cercare di capire, che non so dove sbattere la testa per prima.
- Avevo detto che dovevi star zitta. -
- Lo so, ma volevo chiederti scusa per mia madre. Non voglio che tu sia arrabbiata con me per le sue decisioni. Neanche io avrei voluto questo. - Per un paio di secondi rimane completamente in silenzio, senza neanche muoversi, poi sento di nuovo quel fruscio delle lenzuola, infine silenzio tombale. Sospiro e mi accascio sul letto mentre il mio cellulare vibra. Lo afferro e controllo lo schermo, dove c’è un nuovo messaggio di Albert:
"Cosa diamine sta succedendo? Chiamami al più presto."
Mi sfilo le scarpe e mi metto sotto le coperte nel più assoluto silenzio, senza voler neanche cambiarmi. Vorrei sapere anch’io cosa sta accadendo, perché nella condizione in cui mi trovo non riesco a capire nulla, sebbene Jackson mi abbia spiegato tutto ormai. Lo spero almeno, perché non sarei in grado di reggere altre verità. Non sono neanche sicura di riuscire a sopravvivere a questa. Non riesco a trovare pace nella mia testa. Vari ricordi ed episodi che caratterizzano la mia vita ora sono ritornati a galla e ruotano come una centrifuga mentre cerco di darci un senso. Quello che più volte si sta distinguendo dagli altri, e mi sta provocando la pelle d’oca, è un ricordo legato a questo giugno, in quel parcheggio con Jackson ed Harry. Non era solamente attrazione fisica quella che mi spingeva verso lo Gnomo, davvero dentro di me era impresso il suo ricordo, il suo nome. Il mio sesto senso, che credo essere ciò che rimane di mio padre a questo punto, stava cercando di avvisarmi, non so di cosa, o solamente voleva che prestassi attenzione a quel ragazzo. E magari tutte quelle volte che avevo un ricordo nella mia mente, che sapevo non essere mio, non mi sbagliavo. Non ero pazza: ero solo al punto di partenza per capire cosa ero, e cosa sono, realmente.
   
 
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