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Autore: heliodor    02/05/2021    1 recensioni
Valya sogna di diventare una grande guerriera, ma è solo la figlia del fabbro.
Quando trova una spada magica, una delle leggendarie Lame Supreme, il suo destino è segnato per sempre.
La guerra contro l’arcistregone Malag e la sua orda è ormai alle porte e Valya ingaggerà un epico scontro con forze antiche e potenti per salvare il suo mondo, i suoi amici… e sé stessa.
Aggiunta la Mappa in cima al primo capitolo.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Sonno Nero
 
“Mi sei costata parecchio” stava dicendo Ros mentre arrancava per la salita. Faticava a tenere il passo di Isira che camminava a passo svelto senza voltarsi né esitare.
Ogni volta che arrivavano a una piazza o a una svolta ne sceglieva una senza mostrare dubbi. Mai, nemmeno una volta avevano rallentato e Ros, che non mangiava dalla mattina e non si era seduto se non per poco su delle scale, iniziava a sentire le gambe pesanti.
“Isira” disse sbuffando. “Non sembra un nome di Ferrador. E nemmeno di Talmist” aggiunse cercando di attirare la sua attenzione. “Da dove vieni?”
“Sono nata qui. Credo.”
“Credi? E i tuoi genitori?”
“Morti.”
Ros sentì un groppo alla gola. “Mi dispiace. Non volevo farti ricordare cose spiacevoli.”
“Io non li ricordo. Ero piccola quando sono morti.”
“Quanti anni avevi?”
“Sei.”
“Non hai qualcun che si occupi di te?”
Isira scosse la testa. “No. Sono sola.”
“Allora dovresti essere in un orfanotrofio.”
 Sembrò esitare. “Il prete dell’Unico disse che dovevo andare in una casa dove c’erano altri bambini come me, ma io non ne avevo voglia e andai a nascondermi. Non ricordo per quanto tempo mi sono nascosta, ma sono uscita solo quando ho visto che nessuno mi cercava più.”
Ros cercò di immaginare una bambina che cresce da sola in quei vicoli e sentì un brivido corrergli lungo la schiena. “Quindi sei davvero tutta sola?”
Isira annuì di nuovo.
Ros la seguì fino a un palazzo dalla facciata rovinata dal tempo. Aveva n livello in legno oltre a quello di pietra alla base.
Isira indicò l’entrata. “Lì ci sono le scale. Deff ti aspetta in cima.”
Ros guardò le scale, poi la ragazzina. Prese dalla sacca legata in vita una moneta e gliela diede. “Prendila. Compraci dei dolci o del pane.”
Isira allungò la mano e la prese, gli diede le spalle e si allontanò a passo svelto.
Ros non si mosse finché non sparì dietro un angolo. Ancora pensava a lei quando raggiunse la cima delle scale, un pianerottolo che dava su una porta chiusa da un telo.
“C’è qualcuno?” chiese prima di entrare.
“Entra” rispose una voce.
Scostò il velo ed entrò. La casa era immersa nella penombra e c’era un intenso odore di incenso bruciato che aleggiava nell’aria.
Nella luce soffusa del tramonto notò due giacigli sistemati vicino a un muro, un tavolo con due sedie di legno e un focolare spento.
“Mettiti comodo” disse la stessa voce di prima.
Solo allora Ros notò che c’era una porta sul muro opposto, anch’essa protetta da un telo colorato. Prese una sedia e si accomodò.
Il telo si mosse attirando la sua attenzione.
“Ma tu guarda che sorpresa” disse Deff osservandolo dalla soglia della porta.
Ros lo ricordava dal giorno in cui lo aveva aiutato a trovare l’accademia di Ferrador. Aveva la stessa faccia grinzosa e il sorriso pieno di vuoti.
“Il mio amico venuto da fuori.”
Ros scattò in piedi. “Io ti saluto.”
Deff fece un gesto vago con la mano. “Resta comodo, Rosen. Non c’è bisogno che ti alzi.” Prese l’altra sedia e sedette di fronte a lui. “Isira diceva che volevi parlarmi. Devo dire che mi ha sorpreso sentire parlare di te. Sei poi riuscito a entrare nell’accademia?”
“Sì” rispose Ros. “Anche se non tutto è andato come speravo?”
“Hai avuto problemi con quegli eruditi?”
“Loro non c’entrano.” Non voleva raccontare tutta la sua storia a Deff. “E in ogni caso adesso lavoro per Jangar.”
“Jangar” esclamò Deff a voce alta. “Come sta quel simpatico imbroglione? Si diverte ancora a far scoppiare le cose?”
“Credo di sì.”
“Spero non gli sia accaduto niente di brutto. Sai” disse abbassando la voce e sporgendosi in avanti. “Molti di quei reagenti glieli ho forniti io. In un certo senso mi sento responsabile.”
Ros decise che quello era il momento giusto per fare la sua richiesta. “Proprio per questo sono venuto da te.”
“Quindi si tratta di affari” rispose Deff deluso. “Non di una visita di cortesia.”
“Tu ti occupi di far entrare qualsiasi tipo di merce in città.”
“Non qualsiasi” lo corresse l’altro. “Solo quelle che mi chiedono di far entrare. E ha un costo, ovviamente.”
“Ovviamente” gli fece eco Ros.
“C’è qualche richiesta particolare da parte di Jangar? O tua? In tal caso posso farti un prezzo da amico.”
“In effetti è proprio quello che mi serve.”
Deff sorrise. “Allora sei venuto dalla persona giusta. Dimmi cosa devo far entrare.”
“Ho bisogno che tu faccia uscire qualcosa dalla città.”
L’altro si accigliò. “È una richiesta insolita, ma non rara. La via è percorribile in entrambi i sensi, quindi non dovrebbero esserci problemi. Vuoi fare uscire qualche reagente che Jangar ha promesso a un acquirente all’esterno? Nessun problema.”
“No” disse Ros esitando.
“Che cosa allora?”
“Me.”
Deff lo fissò interdetto. “Credo di non aver capito.”
“Devi fare uscire me” disse Ros. “Devo lasciare la città. E in fretta.”
“Non si può fare, amico mio.”
“Perché no? Hai detto che puoi fare entrare e uscire qualsiasi cosa, no?” chiese disperato.
“Qualsiasi cosa, appunto. Un oggetto piccolo, una pozione, magari una cassa. Ma una persona.” Scosse la testa. “È molto, molto più complicato.”
“Quanto complicato?”
Deff trasse un profondo sospiro. “Già prima che la governatrice chiudesse i cancelli cittadini era difficile far entrare certe sostanze, ma ci siamo adattati. Per le persone non c’era problema, perché chiunque poteva andarsene quando voleva, a meno che non stesse cercando di scappare e in quel caso diventava molto più complicato. E costoso. Ma adesso…”
“Cos’è cambiato?”
“Tutto, amico mio. Prima dell’attacco la gente voleva venire a Ferrador. Facevano la fila davanti ai cancelli per entrare e quando venivano chiusi restavano lì per giorni aspettando che la governatrice desse il permesso di riaprirle. Adesso che i cancelli sono chiusi, tutti vogliono andare via.” Scosse la testa affranto. “Nessuno che sia mai contento di restare dove si trova. Guarda il povero Deff. Lui è felice di stare qui, ha tutto quello che gli serve.” Si alzò per prendere qualcosa da una credenza e quando tornò reggeva due coppe di legno e una bottiglia. Mise una coppa davanti a sé e una davanti a Ros e le riempì con un liquido di colore bruno. “Quasi dimenticavo le buone maniere. Si usa offrirgli da bere quando si riceve la visita di un amico.”
Ros fissò la coppa piena di liquido. “Che cos’è?”
“Liquore fermentato” rispose Deff. “Viene da Nazdur. La persona che l’aveva fatto portare in città non ha potuto pagare e ho dovuto tenermi io la cassa. Non è andata sprecata.”
Deff alzò la coppa e bevve un sorso. “Provalo. È buono.”
Ros ricordò che anche suo padre, a Cambolt, amava bere liquore la sera, davanti al focolare mentre scaldava le piante dei piedi. Di solito lui o uno dei suoi fratelli erano costretti a servirlo e riempirgli la coppa finché non crollava ubriaco.
“Ho bisogno di lasciare questa città” disse fissando la coppa. “Se non lo faccio mi succederà qualcosa di brutto.”
“A Deff dispiacerebbe molto se ti capitasse qualcosa di spiacevole” rispose l’altro. “Ma non può fare niente per te. Dovrai trovare un altro modo.”
“Ce ne sono?”
“Temo di no.”
Dall’esterno giunse una voce. “Deff? Sei lì dentro?”
Deff si alzò. “Scusami, uno dei miei soci vuole parlarmi.”
Andò alla porta e scostò il velo. “Che cosa vuoi? Sto bevendo in compagnia di un vecchio amico.”
Amico, pensò Ros. Non ne ho mai avuti. E non ho mai avuto una famiglia o dei fratelli o qualcuno sul quale contare.
Strinse i pugni sotto il tavolo, la rabbia che gli montava dentro. Fuori era quasi buio e non aveva idea di dove avrebbe potuto passare la notte. Non mangiava e non beveva dalla mattina e si sentiva stanco e disgustato da tutto quello che gli stava succedendo.
E tutto per aver cercato di salvare un ragazzo che era stato avvelenato, si disse.
Quel pensiero lo colpì come uno dei pugni nello stomaco di Rezan.
Avvelenato, pensò. È tutta colpa del veleno. E il veleno potrebbe salvarmi.
Girò la testa verso l’ingresso, dove Deff stava parlando al suo socio con voce sommessa. Con dita tremanti frugò nei sacchi appesi alla cintura alla ricerca di quello che gli serviva.
Mentre lo faceva mormorava gli ingredienti.
“Due parti di erba serpentina. Quattro di olio di pesce di palude. Tre di farina di ossa.”
Soppesò il mucchietto di polveri nel palmo della mano e gettò una rapida occhiata all’ingresso. Deff e il suo amico stavano ancora discutendo. Fece scattare la mano verso la coppa del suo ospite e vi versò dentro la polvere che si mescolò con il liquore.
Quando tornò al suo posto, la schiena contro l’appoggio della sedia, tremava e la fronte era madida di sudore. Deff tornò qualche istante dopo e gli scoccò un’occhiata incuriosita.
“Stai bene amico mio?”
Ros lottò per mantenere ferma la voce. “Bene? Sì, credo di sì. Problemi col tuo socio?”
“Niente che non si possa risolvere. Non bevi dalla tua coppa?”
Ros la fissò con sguardo assente.
“Hai paura che ci abbia messo dentro del veleno?” chiese Deff sorridendo.
“No, no” rispose Ros con voce tesa. “Siamo tra amici, giusto?”
“Giusto.”
Ros prese la coppa e la alzò. “Allora beviamo.” Diede un sorso abbondante al liquore. Un istante dopo sentì la gola ardere ma represse l’istinto di tossire. Invece si costrinse a ingoiare il liquido.
Deff prese la sua e la bevve con una lunga sorsata. Appoggiò la coppa sul tavolo facendolo sussultare. “Com’era? Buono, vero?”
Ros annuì. “Molto buono.”
Deff tornò a sedere. “Dunque, come ti dicevo prima che ci interrompessero, proprio non posso aiutarti. Se fossero stati tempi diversi, avrei certamente trovato un modo per farti uscire dalla città.” Tossì. “Ma da quando quella dannata donna.” Altro colpo di tosse, stavolta più violento. “Ha chiuse le porte, gli affari non vanno molto bene per noi.” Due colpi di tosse in rapida successione lo costrinsero a piegarsi in avanti. “I miei soci.” Quando sollevò la testa, era rosso in viso.
Ros lo fissò in silenzio. Stava contando i battiti del cuore per assicurarsi che tutto stesse andando come aveva previsto.
“Credo” disse Deff deglutendo a fatica. “Credo di non sentirmi troppo bene.”
“Lo credo anche io” fece Ros alzandosi.
Deff cercò di fare altrettanto ma ricadde sulla sedia.
“Ti senti stanco? Privo di forze?”
Deff annuì. “Che cosa?” Non riuscì a finire la frase.
“Si chiama Sonno Nero” disse Ros guardandosi attorno.
Deff si accigliò.
“È un veleno” spiegò Ros cercando di restare calmo.
L’altro guardò la coppa di liquore. “Lo hai messo lì dentro? Mentre stavo parlando?” La sua voce era simile a quella di un ubriaco.
Ros annuì.
“Perché lo hai fatto? Non eravamo amici?”
“Lo siamo noi due?” fece Ros con tono d’accusa. “Ti ho chiesto aiuto e tu me lo hai negato. E io devo lasciare questa città, Deff.”
“Mi hai avvelenato per questo? Se muoio non ti potrò aiutare di certo.”
“Non morirai, se mi farai uscire da Ferrador. Il Sonno Nero agisce lentamente ma è inesorabile. Il primo segno è la tosse, quindi il senso di debolezza. Tra poco ti sembrerà di sentirti meglio, ma è solo il veleno che sta facendo effetto aumentando i battiti del tuo cuore. A un certo punto batterà così forte che si spaccherà in due, letteralmente.” Sottolineò l’ultima frase prima chiudendo la mano a pugno e poi aprendola all’improvviso. “Ma ha un antidoto che richiede una lunga preparazione ed è raro. Io ho già gli ingredienti pronti, ma mi serve quel passaggio fuori città. Ora sta a te Deff. O trovi il modo di farmi uscire o morirai.”
Deff respirava a fatica e sembrava sul punto di svenire. “Che tu” disse come arrancando. “Che tu sia maledetto, Rosen. Bell’amico che sei. Forse.” Deglutì a fatica. “Forse è meglio se sparisci da questa città. Sì, ti aiuterò. Tu prepara quel dannato antidoto e io ti farò uscire, fosse l’ultima cosa che faccio.”

 
  
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