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Autore: laolga    29/08/2009    4 recensioni
Ed ecco a voi un'altra ff! È una storia d'amore, un intreccio di segreti, bugie, amiche false, amori impossibili... un casino, insomma. Ma non crediate che si tratti di una storiella qualsiasi, copiata dai soliti libri -Twilight, per esempio... quanti di voi si ritrovano a leggere fic uguali a questa serie ma con nomi diversi, magari? O altri libri come Harry Potter? Quanti di voi, eh? La vecchiettina là in fondo ha alzato la mano... quindi, una persona... anche quel biondino lì... e siamo a due... poi quel tizio lì col riporto... e tre...su su non vergognatevi, alzatele manine, su!- Ehm, dicevo, non è una storiella qualsiasi, no! Perciò leggetela senza farvi pregiudizi negativi premettendo che ci ho messo il cuore, in questa ff, davvero. Vi chiedo solo di provare. Grazie.
Genere: Romantico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter nine




Quel giorno era un giovedì banale e grigio, e avevo l'impressione di dover passare una giornata terribilmente noiosa.

Avevo chiuso in faccia la chiamata con Tom e mi ero ripromessa di non sentirlo più, ma sentivo il bisogno bruciante di conoscere cosa fosse realmente accaduto, e per questo in fondo in fondo speravo mi richiamasse subito, passando ore e ore rigirandomi fa le mani il cellulare.

In classe l'atmosfera era dormiente: a parte le amichette di Cri che mi lanciavano occhiatacce perfide tutti gli altri parevano trovare le lezioni molto soporifere.

Durante l'intervallo mandai a quel paese (letteralmente) Max, e aspettai che la giornata scolastica si concludesse, in un modo o nell'altro.

Non appena squillò la campanella mi precipitai fuori dalla classe, e mi fermai solo quando, fuori dalla scuola, mi accorsi che pioveva in modo terribile, con tanto di tuoni e lampi.

Mi coprii con il cappuccio ma ovviamente non bastò, e in pochi secondi mi ritrovai completamente fradicia.

Un clacson colpì la mia attenzione e, voltandomi verso la fermata del bus, notai una macchina nera lucente e fin troppo appariscente: una BMW.

Rimasi a guardarla con l'acquolina alla bocca, e solo quando vidi il proprietario uscirne e sbattere la portiera con forza ritornai ad avere un'espressione normale.

Tom mi guardava con sguardo tagliente, coperto dal suo mantello nero e munito da un ombrello dello stesso colore, che mi ricordava tanto quello di mia nonna al funerale del marito.

-Non ti bagni, qua fuori?- mi chiese, allungandomi l'ombrello.

Lo guardai con curiosità, ma non mi mossi.

-Cosa vuoi?- chiesi, scostando dal viso alcune ciocche bagnate.

-Come cosa voglio!- esclamò, offeso. -Dovevo richiamarti, ma ho deciso di venire di persona. Per capire.-

-Capire? Tu?-

Lui annuì. -Sì. Sai, forse non te ne sei accorta, ma mi hai chiuso in faccia la telefonata.-

Ridacchiai.

Lui aprì l'ombrello, avvicinandosi a me e riparandomi.

Ebbi la tentazione di abbracciarlo e chiedergli cosa cavolo avesse combinato e soprattutto perchè, ma rimasi impassibile, senza neppure rifiutare il suo riparo.

-Io non ho capito perchè tu l'abbia fatto, né perchè tu fossi stata così ostile nei miei confronti... Se c'è in mezzo un altro ragazzo puoi dirmelo: ci rimarrei malissimo ma non ti mangerei mica.-

Arrossii, poi mi morsicai un labbro.

-Sei TU che mi devi spiegare! Innanzitutto perchè mi hai telefonata a quell'ora, se sapevi benissimo che ero a scuola, poi...-

-Ehi, è stata Irina, quindi non è affatto colpa mia!- m'interruppe, brusco.

Raggelai: allora si chiamava Irina, e aveva il coraggio di parlarmene come se nulla fosse! Evidentemente per lui era normale!

-...Irina?- ebbi solo la forza di balbettare.

-Sì, certo, mia cugina.- spiegò.

Risi amaramente. -Cioè, tu vorresti farmi credere che tua cugina mi avrebbe telefonato, che poi al telefono chi ti dava fastidio e ti toccava era sempre lei e che quindi mi hai promesso di richiamarmi per tua cugina??-

Lui mi appoggiò una mano sulla spalla, serissimo. -Esattamente, Vera. Irina è figlia di mio zio. Vivono in campagna e io ogni tanto li vado a trovare. Erano tanto affezionati a mio papà, prima...-

Spalancai gli occhi, completamente confusa.

-Vieni, entra in macchina.- m'intimò. -Ti spiegherò lì.-

Ci sedemmo sui sedili anteriori e lì, finalmente, si confidò con me:

-I miei genitori sono morti pochi anni fa in un incidente d'auto. O almeno così hanno raccontato a me e Matteò, mio fratello minore. Ora viviamo con nostra zia Susanne, sorella di mia madre, ma ogni tanto facciamo visita anche agli altri. Ero andato dal fratello maggiore di mio padre, Bob, e sua figlia Irina... ma io e lei ci odiamo: passiamo la vita a farci dispetti. Dev'essere per questo che ti ha chiamata.-

Io mi sentivo morire: avevo sospettato così ingenuamente del mio ragazzo? Perchè?

Forse perchè ero con Max, in quel momento...

Ma Tom non aveva ancora finito di parlare:

-Quando invece quella notte eri ubriaca ti ho portato nella casa del migliore amico di mio zio...Io e Fred (il proprietario della casa) siamo ottimi amici, e per questo lui mi ha lasciato le chiavi di casa sua. “Se ne avrai mai bisogno, usale!” mi aveva detto, e io l'ho fatto. Non è colpa mia se un biondino che ti aveva messo le mani addosso l'ha riferito a quella cretina della tua amica!-

Sentii il ribrezzo con il quale appellava i due personaggi e mi sentii colpevole: in fondo lui mi aveva detto tutto, mentre io...

-Cavolo, Tom, scusami!- esclamai, in lacrime.

Lui mi fissò, sorpreso. -Di cosa? Di non sapere tutta la mia vita?-

Non risposi e mi augurai che lo prendesse per un sì, poi gettai le mie braccia al suo collo, improvvisamente felice e sollevata.

Lui ricambiò l'abbraccio con calore e poi mi accarezzò il volto ancora bagnato dalla pioggia.

-Comunque il biondino si chiama Max.- aggiunsi, piano.

Lui si scostò appena, giusto per guardarmi negli occhi.

-Max?-

Sapevo cosa stava pensando: se conoscevo quel nome ci avevo parlato quasi sicuramente, e ciò non poteva che irritarlo.

-Come sai che si chiama Max?-

Sospirai.

-Ci ho parlato.-

-Ah.-

Sentii le mie mani che gli circondavano il collo terribilmente fuori posto, come il mio volto a quella vicinanza dal suo, ma non osai spostarmi per non offenderlo.

-Beh, mi sembra che chi me debba delle spiegazioni, in fondo, sei sempre tu.- Borbottò lui, sciogliendo l'abbraccio e appoggiando le mani sul volante.

-Oh, Tom, perchè quel ragazzino ti irrita tanto? Lo sai che non provo assolutamente nulla per lui...-

-No, non lo so.-

-Tom, sai che ti amo!-

Lui mi guardò negli occhi, come per accertarsi che fosse la verità.

-Forse.- ammise.

-E allora? Perchè dovrei cercare qualcosa da un altro?-

-Non lo so.-

Sbuffai. Quel discorso era pericoloso e non portava da nessuna parte.

-Eri venuto a prendermi?- chiesi, per cambiare argomento.

Lui annuì, taciturno.

-Beh, temo che i miei genitori saranno parecchio preoccupati per me.-azzardai, accarezzandogli un braccio.

Lui mi guardò per un attimo sconcertato, poi sorrise ed annuì.

Fece partire il motore e avviò l'auto in direzione di casa mia.

Eravamo quasi arrivati che vidi l'auto dei miei genitori sfrecciare in direzione opposta alla nostra, e riconobbi mia madre col vestito buono che usava per i viaggi seduta al fianco di papà, che mentre guidava gesticolava ampiamente.

-Oddio!, sono loro!- bisbigliai, rannicchiandomi sul sedile.

-Loro chi?- mi chiese subito Thomas, preoccupato.

-I miei! Non ti voltare, però!!-

La macchina passò oltre senza che miei genitori si accorgessero di me, e io ringraziai le divinità celesti per aver avverato i miei desideri.

-Dove andavano?- mi chiese Thomas, già sotto casa mia.

-Accosta pure qui... Non lo so, saranno andati come sempre a lavorare. Vanno e vengono così, sai.-

Lui mi guardò perplesso, ma poi accostò dove gli avevo accennato e fu tutto preso dalle manovre.

Finalmente fermi, scendemmo dal mezzo.

-Quindi...i tuoi non ci sono?- chiese lui.

Sorrisi, maliziosa.

-No. La casa è tutta per noi!- esclamai, improvvisamente allegra.

Tom rise alla mia reazione e mi seguì mentre cercavo di aprire il portone con le chiavi di casa.

Salimmo le scale di corsa, e ci fermammo al secondo ostacolo, ovvero la porta d'ingresso.

Trovai le chiavi e ci misi qualche minuto, sentendo Tom che, alle mie spalle, derideva la mia goffaggine.

-Eccoci!- esclamai, quando finalmente la porta si spalancò di fronte a noi.

Thomas rise e mi sorprese appoggiando le sue mani attorno ai miei fianchi.

Imbarazzata, da prima non mi mossi, poi entrai come se nulla fosse accaduto, e gli presentai la sala e lo stretto corridoio che portava alla mia cameretta.

-...e qui c'è camera mia!- aggiunsi, indicandogli la porta decorata da poster infantili.

Lui mi sorrise, incitandomi ad aprirla.

Trattenni il fiato e sperai con tutto il cuore di aver tolto almeno le mutande sporche dal pavimento.

Aprii la porta e la camera in tutto il suo disordine si presentò ai nostri occhi.

-Ehm...-mormorai solo, imbarazzata. Poi mi precipitai all'interno e raccattai il più velocemente possibile i reggiseni, le calze, le mutande, i peluches e tutto ciò che intralciava il cammino su quel pavimento stracolmo.

Preso tutto quanto, lo gettai nel mio armadio e poi rivolsi un sorriso accogliente a Thomas.

Lui mi guardò, le sopracciglia inarcate e la bocca aperta, ma poi ricambiò il sorriso ed entrò come se si trovasse in un lussuosissimo museo d'epoca.

-Allora?- domandai, ancora ansante.

Lui per tutta risposta mi abbracciò e mi concedette un bacio sulla fronte.

Ero al colmo della felicità: Tom non mi aveva tradito, mi aveva spiegato tutto o quasi e ora mi abbracciava in camera mia.

Cosa si poteva chiedere di più? Speravo solo che quel momento durasse il più possibile, e che niente e nessuno lo rovinasse.


Mangiammo ciò che mia mamma si era curata di lasciarmi in frigo, e nel bigliettino che trovai vicino al telefono lessi che sarebbero tornati “non prima di dopodomani sera. Fino ad allora NON potrai andare fuori per feste, o con ragazzi sconosciuti. Quando torneremo ne potremo discutere, ma prima cerca di non fare danni.”.

Mi sentivo baciata dalla fortuna.

Dopo pranzo Tom mi costrinse a fare i compiti di scuola, ma fu ugualmente divertente poiché lui stesso mi aiutò, e fu allora che scoprii che era terribilmente secchione, il che era solo un bene, perchè, come mi aveva promesso, mi avrebbe aiutato quando avrei voluto.

Dopodichè sembrava che fosse giunto il momento di rilassarsi, i compiti finalmente finiti e una compagnia strepitosa.

-Tu dormi al pomeriggio?- chiesi.

-Il pisolino, intendi?-

Annuii, sorridendo.

-Veramente no, ma farei volentieri un'eccezione...-

Risi.

-Ok.-

Ci sdraiammo sul divano della sala, e cercammo una posizione comoda.

Quando finalmente la trovammo, però, (io sdraiata su di lui, soffocandolo, e lui senza lamentarsi di nulla) il sonno parve essere l'ultima delle preoccupazioni.

Cominciammo a parlare, dapprima chiedendoci a vicenda le vecchie storie e i vecchi amori, dove scoprii che Tom, prima di me, era sempre stato con ragazze più grandi, delle poco di buono, l che mi stupì molto, poi passammo a situazioni presenti, ben più serie.

-Non è la prima volta che dormiamo assieme.- constatai, giocherellando con un filo della sua felpa.

-Beh, se questo lo chiami dormire...-

Ridacchiai.

-Ti avevo poi detto quanto si è arrabbiata mia mamma nel sapere dove avevo passato la notte?- chiesi.

Lui scosse la testa.

-No, ma lo immagino... non ti avrà mica mandato da un dottore!-

Io annuii, pensosa.

Tom sbuffò, inondandomi con il suo alito caldo.

-Scusami, lo so che avrei dovuto portarti subito a casa, ma sono stato terribilmente egoista...-

Lo guardai, stupita. -Ma cosa ti scusi! Mi hai solo fatto piacere!-

Lui sorrise, e mi accarezzò il volto.

-Sai, parlavi nel sonno...- mormorò.

-Oh, davvero?-

-Sì. Credo che quella notte tu mi abbia sognato. Mi chiamavi con insistenza per nome e sembravi anche terrorizzata.-

Rabbrividii.

-I miei incubi...- borbottai.

-Ne hai tanti?-

-Beh...praticamente tutte le notti. Ma ormai non ci faccio quasi più caso: ci sono abituata.-

Tom era preoccupato, cercava i miei occhi per farmi capire coi suoi che non era felice di come stavano le cose.

Ma non volevo ricambiare quello sguardo, non volevo rovinare quel momento.

-Non è che forse dovresti andare da uno psicologo? Dicono che curino anche i sogni.-

Sbuffai.

-Io da uno strizzacervelli? Per farmi dire che sono stressata, ho bisogno di calmanti preziosissimi dal costo di tremila euro la boccetta?-

Tom ridacchiò ma poi tornò in fretta serio, e mi disse, sussurrando:-Se è un problema di soldi posso pagare io...-

Divenni immediatamente furente di rabbia, scostandomi un poco da lui.

-Non ho mica bisogno di soldi, sai?- sibilai.

Lui arrossì, capendo immediatamente di aver sbagliato.

-Scusa scusa...davvero, è che di problemi come questi se ne occupa mio zio e...-

-No, grazie.-

Trattenni parole che mi avrebbero fatto passare sicuramente dalla parte del torto e forzai un sorriso.

Sentii la mia coscia destra cominciare a vibrare e presi immediatamente il cellulare, ancora prima che la suoneria partisse.

-Pronto?- feci, ansiosa.

-Pronto, sono Cri.-

Mi sentii male. Lanciai un'occhiata a Tom e mi alzai.

-Cosa vuoi?-

-Nulla di concreto. Solo... mi mancavi.-

Risi.

-Sai, non sembrava proprio! Con le tue amichette non avete fatto altro che prendermi in giro!-

-Sì, appunto!-

-Appunto che? Così cercavi di riconquistare la mia fiducia così??-

-No. Ma è conosciuto: chi prende in giro è invidioso. Io avevo bisogno di te e cercavo di dimenticarti odiandoti. Ma non ci sono mai riuscita.-

Sentii Tom sbuffare ed immaginai cosa pensava.

Mi avvicinai alla finestra e scostai una tenda, illuminando la sala.

-Oh... e cosq ti spinge a questa inusuale confessione?-

-Vera, è morto mio padre.-

Rimasi senza parole, interdetta.

Guardai con orrore Tom e lui ricambiò con occhi a forma di punto di domanda.

-Ommioddio, Cri...mi dispiace un sacco!! Ma quando è successo??-

La mia voce era alterata, incredula.

-Pochi giorni fa. Ha avuto un attacco di cuore.-

La sua voce, invece, era piatta ed impassibile.

Solo allora ricordai che da qualche giorno, effettivamente, la mia ex-amica era assente da scuola.

-E...e tu ora dove sei??-

-A casa. Mamma piange da quando è morto senza fermarsi.-

Mi si strinse il cuore pensando a quella donna che avevo odiato tanto e immaginandola sul letto in lacrime.

-È orribile!! Davvero, Cri, mi dispiace un sacco!!!-

-Non dirlo a me. Non ho ancora avuto la forza di piangere.-

-Beh, non è obbligatorio...-

-No, invece. Tutti i parenti mi guarderanno male al funerale. Oh! Non ci voleva proprio che papà...-

-Tranquilla, io ci sono. Vuoi che venga a casa tua?-

Thomas si era alzato e mi guardava male, avendo capito che parlavo con Cri.

Stranamente, mi dissi, tutti odiavano Cri: i miei genitori, mio fratello Jonathan* che le poche volte che sentivo dal college mi chiedeva con ironia come stava la mia amichetta, e persino Tom, l'angelico e buono Thomas era capace di odiarla.

-Sì...se potessi mi faresti un gran piacere, davvero.-rispose Cri.

-Ok, sarò lì fra un secondo.-

-Ciao.-

-Ciao, a subito.-

Riattaccai.

-Cosa voleva la peste?- chiese Tom, ironicamente.

Lo fulminai con lo sguardo.

-È morto suo padre, Tom.-

Lui mi guardò improvvisamente mortificato e serio.

Com'era facile far cambiare espressione sul viso delle persone, mi dissi, aspettando una sua reazione.

-È per questo che vai da lei?-

Annuii.

-E se non fosse vero? E se lo dicesse solo per riaverti nelle sue grinfie?- azzardò lui.

Una seconda volta la mia ira lo incenerì da capo a piedi e lui arrossì all'istante.

-NO!!...se io andassi tu non mi aspetteresti qui né verresti con me?- chiesi poi, riaddolcendomi come se nulla fosse accaduto.

-Di andare a casa di Cri non ci penso neanche...ma se vuoi posso tornare da te per cena. Matteò si starà preoccupando...- rispose.

Annuii, sollevata di aver trovato una soluzione.

-Ok, allora io vado a prepararmi. Tu prendi le tue cose...usciamo di qui assieme?-

-Certo.-

-Ok. Vado in bagno...-


Presto sarei arrivata da Cri e non sapevo proprio come comportarmi.

Mi ero vestita di nero e avevo tolto la matita che avevo messo, e mi preparavo a sorbirmi i suoi monologhi che forse sarei riuscita ad ascoltare.

Avevo salutato Tom con un bacio a fior di labbra e gli avevo chiesto di farmi uno squillo non appena avrebbe raggiunto le vicinanze del mio palazzo.

Scesi dall'autobus che avevo preso e corsi al portone della casa di Cri, temendo di essere arrivata in ritardo.

Suonai il citofono e dopo pochi minuti il portone si aprì. Salii con l'ascensore e trovai la porta d'ingresso spalancata.

Entrai e vidi la madre di Cri come non l'avevo mai vista: gli occhi rossi e gonfi, i capelli arruffati e fra le mani chili di fazzoletti bgnati.

-Oh, Vera!, Grazie al Cielo tu ci sei ancora!!- esclamò con voce rauca, e mi corse in contro abbracciandomi.

Rabbrividii e sorrisi, comprensiva.

Ciò che mi aspettava non era certo nulla di allegro.

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NOTE:

*Jonathan è il fratello maggiore citato nel secondo capitolo, dove ho da poco aggiunto che per tre mesi si era trasferito in America in un College.


RINGRAZIAMENTI:

Grazie mille alle quattro recensitriciiii!!!!!!!!!!!


E ringrazio anche i/le otto che hanno salvato la mia storia fra le preferite e anche fra le seguite!!!



Fatemi sapere le vostre opinioni su questa storia. I consigli sono sempre ben accetti!

Al prossimo capitolo, per chi ci sarà =)

Arrivederci!!

   
 
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