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Autore: Dalybook04    05/05/2021    0 recensioni
Il vasto impero dei Vargas un tempo si estendeva su metà del globo. L'intero Westeros, da Grande Inverno al mare, era proprietà di un unico uomo.
Romolo Augusto Vargas. Un re che, con le sue forze e la sua intelligenza, era riuscito ad assogettare tutto il mondo conosciuto, ad eccezione giusto della sconfinata Essos.
Un uomo che poi era stato brutalmente ucciso dal suo stesso amante, insieme a tutta la sua famiglia.
Tutta la sua famiglia, tranne due bambini, che furono portati via, lontano, dove neanche il loro nonno grande e forte era riuscito ad avventurarsi.
Ora il maggiore dei due fratelli si ritrovava sulle sue spalle di giovane uomo appena sedicenne il compito di riprendersi ciò che era suo. E per farlo doveva fare dei sacrifici.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Lovino, sdraiato sul dorso del suo lupo, aveva sempre più voglia di ordinare ai suoi cuccioli di aggredire quella faccia di merda di suo marito, che ogni dodici secondi (li aveva contati) si girava a guardarlo preoccupato.
Non lo so, rendilo più palese! Vuoi urlarlo? Forse gli estranei nel Vero Nord non se ne sono ancora accorti, vuoi andare a dirglielo?
Facciamo un passo indietro e cerchiamo di esplorare i motivi della sua lievissima scocciatura.
Primo: il risveglio era stato un trauma. Non aveva mai sentito così tanto male in vita sua. Braccia, busto, gambe e didietro. Soprattutto didietro.
Neanche riusciva a muoversi. Cioé, ci riusciva, ma poi sentiva delle fitte così forti di dolore che era costretto a bloccarsi. Se irrigidiva i muscoli, poi... ahia, meglio evitare.
Per carità, Antonio era stato dolce. Aveva fatto del suo meglio: dopo un po' di coccole, lo aveva aiutato a fare il bagno (e non aveva allungato le mani nel frattempo. Cosa che mandò in confusione i due partiti nella testa di Lovino: uno apprezzava il gesto, l'altro, una minoranza tuttavia rumorosa, voleva saltargli addosso e farsi sbattere nell'acqua calda come un tappeto impolverato), e mentre lui si riposava un altro po' nel letto era andato a prendergli la colazione. Dolce, a suo modo. Lovino era irritato, ma c'era anche una certa... tenerezza, ecco. Era intenerito, diciamo le cose come stanno.
Poi erano cominciate le rotture di coglioni.
Erano usciti dalla tenda (con una certa fatica da parte sua, ammettiamolo. Antonio si era proposto di portarlo in braccio, ma aveva ancora una certa dignità e non avrebbe fatto la parte della principessa in difficoltà) e Lovino con un fischio aveva richiamato i suoi lupi, che erano accorsi (alcuni guardando male Antonio. Evidentemente avevano percepito il dolore del loro padrone e ne avevano individuato la causa). Lovino era salito sul più grande e aveva cercato una posizione comoda. Gli c'era voluto un po', ma alla fine era riuscito a trovarne una abbastanza buona: si era sdraiato a pancia in giù sul dorso dell'animale, che povera bestiola aveva dovuto sopportare tutti i suoi spostamenti, aveva appoggiato la testa sulla sua e aveva lasciato ricadere le gambe sui fianchi della bestia. Insomma, praticamente era seduto normalmente, ma si era chinato e aveva sistemato il sedere in modo che non gli facesse troppo male (perché stare seduto dritto era assolutamente, innegabilmente fuori discussione). Per fortuna quel giorno aveva messo un paio di pantaloni per il viaggio, o avrebbe mostrato il culo all'intero villaggio, e non sarebbe stato esattamente il massimo.
La cosa più fastidiosa? Antonio che lo scrutava preoccupato manco fosse un fottuto neonato.
-smettila- bofonchiò contro il pelo dell'animale -ti ho detto che sto bene. Non serve guardarmi come se avessi chissà che brutta malattia.
-scusami, mio sole e stelle- rispose Antonio, lasciandogli una carezza tra i capelli. Roma gli mostrò i denti -è che non riesco a fare a meno di pensare che... sì, che sia colpa mia.
Nooooooo, ma davvero? Che idea assurda!
-non sono una bambolina di pezza- ringhiò, e sembrava davvero uno dei suoi lupi -né una principessa in difficoltà. Quindi smettila di fare quella faccia o te la strappo via con le mie mani.
Antonio annuì, leggermente impallidito, e non lo guardò più per il resto del tragitto, anche se aveva un piccolo sorriso compiaciuto sulla bocca. Se ne avesse avuto la forza, Lovino gliel'avrebbe tolto a suon di schiaffi.
L'altra cosa irritante si presentò quando raggiunsero il resto del villaggio.
Perché? Perché Lovino si sentiva tutti i loro cazzo di occhi di merda puntati addosso.
Cercò di mettersi dritto, per mostrare un minimo di dignità, e sentì chiaramente dei sussurri. Sbuffò, cercando di ignorarli.
Suo fratello si avvicinò, con al suo fianco Venezia -ehm, fratellone...
-che vuoi, testa di minchia?
-ehm, ti sei visto allo specchio?- Feliciano aveva il tono di un servo che diceva al re ubriacone che era finito il vino. Lovino aggrottò la fronte.
No, in effetti no. L'unico specchio che avevano in tenda era quello affianco alla vasca, ma mentre faceva il bagno quella era alle sue spalle. Cominciò a chiedersi se Antonio non l'avesse fatto sedere lì a posta per impedirgli di guardarsi -no, perché? Ho qualcosa in faccia?
Feliciano deglutì. Poi si indicò il collo.
Lovino aggrottò la fronte, con un sospetto sempre peggiore. Si posò la mano sul collo, sfiorandosi la pelle con i polpastrelli. Per qualche centimetro non sentì nulla. Poi, un lieve rigonfiamento (che nulla aveva a che fare con il pomo d'Adamo) e, all'incirca al centro, delle piccole incalanature, più o meno tutte delle stesse dimensioni. Sentì la vena sulla tempia pulsare. Continuò a toccarsi il collo, trovando prima uno, poi due, tre, quattro altri segni simili.
Cinque cazzo di segni lì, in bella vista, sul collo. E il bastardo non gli aveva detto nulla. Oh, questa gliela avrebbe fatta pagara carissima.
Ecco spiegate tutte quelle occhiate.
Gli uscì il secondo ringhio della giornata. Disse al suo lupo di accelerare e raggiunse suo marito, quello stronzo... stava parlando con alcuni soldati. Lo affiancò.
-maritino mio...- lo chiamò, con tono dolce. Antonio lo guardò, sorpreso.
-dimmi, mio sole e stelle.
-ti dispiacerebbe dirmi cosa cAZZO HO SUL COLLO?
Antonio impallidì e sforzò una risata -niente, amore...
Il lupo gli ringhiò, percependo puzza di stronzate. Lovino si lasciò sfuggire un sorriso soddifatto, che bravo cucciolotto.
-ecco... uhm... potresti avere qualche piccolo e insignificante segno di... ehm...
-piccolo e insignificante?!- guardò malissimo i soldati dietro suo marito, che stavano ridacchiando -fatevi i cazzi vostri, voi. Tra marito e marito non mettere il dito- tornò a rivolgersi al capotribù -riguardo a noi...
-sono i segni dell'amore che provo per te- lo interruppe. Lovino sentì l'occhio sinistro contrarsi in uno spasmo -dovresti andarne fiero.
Non riuscì a trattenersi: gli diede un calcio, forte, sul fianco. Sorrise -anche questo è segno dell'amore che provo per te. Dovresti andarne fiero.
Antonio, piegato in due, non replicò.
-la prossima volta, magari, avvertimi, coglione- gli spettinò i capelli, poi se ne andò. Doveva trovare una sciarpa. Puntò lo sguardo sul sole cocente e sospirò. Sarebbe stata una lunga giornata.
Tutto il viaggio, in realtà, fu una rottura di coglioni. Dopo aver legato delle imbracature ai suoi lupi per portare i carichi più pesanti (che per loro non erano un grande sforzo, a dirla tutta. Erano carini con quei carichi, sembravano dei cani da slitta, solo che lì faceva un caldo porco e neve non ce n'era), non è che avesse molto da fare. Per la cronaca, in realtà non è che non sapesse del tutto dei segni che gli aveva lasciato suo marito la sera prima. Ne aveva notati diversi sul petto ma, appunto, pensava fossero solo lì, e li aveva coperti con una tunica di lino. Sperava che si fosse trattenuto almeno sui posti visibili!
Dopo una lunga e attenta analisi (tanto non è che avesse altro con cui tenersi occupato), stabilì che non è che fossero i segni in sé a dargli fastidio... in qualche contorto e strano modo, gli davano una sensazione simile a quella dell'anello che portava al dito. Una sorta di... appartenenza? Una conferma della sua unione con quel dolcissimo e stronzissimo bastardo, ecco, e non gli davano fastidio di per sé. Gli dava fastidio che tutti li fissassero, ecco. O, per meglio dire, che tutti lo fissassero. Odiava essere al centro dell'attenzione di troppe persone, lo faceva sentire come un fenomeno da baraccone. Certo, se erano attenzioni positive (tipo quando aveva addestrato i lupi) li sopportava, ma in generale preferiva starsene nel suo angolino senza farsi notare. E, si rese conto, gli dava fastidio anche il fatto che Antonio non gli avesse detto nulla. Era una cazzata, ma se cominciava a nascondergli anche le stronzate... chissà che gli avrebbe nascosto entro qualche anno.
Scosse la testa. Ma che mi prende? Non si erano sposati per amore, per niente. Da quanto si conoscevano... due, tre giorni? Erano solo andati a letto, com'era normale tra sposi. Fine. Antonio non lo amava, e lui non lo amava.
In realtà non è neanche così sbagliato, ve lo dico. Non si amavano ancora, si piacevano (parecchio) e basta. In fondo dai, il colpo di fulmine è una stronzata. L'amore si costruisce piano piano, di questo era convinto Lovino, non certo andando a letto una volta e litigando per un paio di morsi.
Seppellì il viso contro il pelo del suo lupo, frustrato. Eppure gli dava così fastidio! Quanto altro gli nascondeva quel bastardo? Magari aveva altre mogli e centinaia di figli. Magari era un suo cugino segreto. Magari...
Accelerò leggermente e lo raggiunse. Neanche si era reso conto di aver ordinato al lupo di farlo.
Antonio sembrò sorpreso, ma sorrise -ehi, amore...- gli prese la mano, e il più giovane glielo lasciò fare -come ti senti?- domandò a bassa voce, cercando di non farsi sentire dal resto della tribù, che era a qualche metro di distanza. Lovino sbuffò -meh.
-mi dispiace. Se vuoi quando ci fermiamo per la notte ti faccio qualche massaggio- sembrò accorgersi di qualcosa, e sospirò, divertito -lo so, lo so, non sei una principessa da salvare, lo so benissimo- il livido sul suo fianco concordò -ma ciò non toglie che ci prendiamo cura dell'altro a vicenda, no?
Lovino grugnì. In effetti non sarebbe stato male...
Dopo qualche minuto di silenzio, Antonio cominciò a preoccuparsi.
-c'è qualcosa di cui volevi parlarmi?- chiese, in tono gentile. Lovino chinò la testa, in modo che i capelli gli ricadessero sul viso per coprirgli le guance rosse.
-uhm... perché... ecco...- sospirò, frustrato, e si sistemò una ciocca dietro l'orecchio -perché non mi hai detto niente?
Antonio sembrò confuso -di... dei segni?- Lovino annuì, sempre più rosso. Il capotribù scrollò le spalle -non volevo che ti arrabbiassi, e non mi sembrava qualcosa di così importante. E poi...- gli rivolse un sorrisino colpevole. Colpo basso -mi piace vederteli addosso.
-uhm... però...- abbassò il tono della voce fino, praticamente, a sussurrarlo -non mi piace che mi nascondi le cose.
Antonio sbatté le palpebre, cercando di interpretare le sue parole. Poi sembrò capire -ooh. Che carino che sei Lovi!- gli strizzò la guancia, facendolo pentire enormemente di essere venuto a parlargli -non preoccuparti, non ti nasconderò più nulla!
-ecco- gonfiò le guance, offeso. Antonio aveva notato che lo faceva spesso, e ogni volta era più adorabile della precedente. Lovino gli strinse la mano -bravo, bastardo. Ora io, uhm, torno al mio posto- e rallentò il passo, fino a tornare nella posizione precedente.

Francis sospirò di sollievo quando vide il castello di Grande Inverno.
Cioé, non era particolarmente contento di essere lì, anzi. Avrebbe preferito essere da qualche parte con Arthur, a dirla tutta. Ma odiava viaggiare, soprattutto su quel cavallo scomodo e puzzolente, e fermarsi per un po' non poteva che fargli piacere.
L'accoglienza non fu delle più calorose, ma d'altronde il posto non era dei più calorosi, quindi c'era una certa coerenza. Il soldato che l'aveva accompagnato lì ("sei di una famiglia prestigiosa, figliolo, e questo è il minimo della protezione che devi avere") affidò i suoi bagagli ad alcuni facchini, mentre altri due uomini portarono nelle stalle i loro cavalli.
Poi Francis fu travolto da un tornado albino.
-Fran!- Gilbert lo strinse a sé con un braccio, spettinandogli i capelli -come sei diventato grande! Kesesesese!
-non, i miei capelli!- strillò, cercando di spingerlo via. Gilbert rise più forte.
-sempre la solita donnicciola! Kesesesese!
-Gilbért, lasciami!- si ritrovò a ridere anche lui. Gilbert era sempre il solito.
Una mano agguantò l'albino per il colletto della maglia e lo tirò via -bruder, non è il momento.
Francis inquadrò il suo salvatore e sgranò gli occhi -Ludwìg?
Il biondo annuì. Francis non riusciva a crederci. Se lo ricordava piccolino, magrino, un biondino con gli occhioni azzurri sempre fissi su un libro più grosso di lui. Di certo non pensava che lo avrebbe mai superato in altezza, di sicuro non così tanto, e tanto meno si immaginava che fosse così muscoloso! Gli unici aspetti invariati erano i capelli biondi, tenuti corti, e gli occhi azzurri, che però erano più severi, più maturi.
Ludwig annuì, tendendogli la mano -è un piacere averti qui.
-uhm, sì...- gliela strinse, cauto. La mano era ricoperta di calli e incredibilmente fredda -sei... cresciuto parecchio.
Ludwig scrollò le spalle larghe -me lo dicono spesso.
-quando, ehm, partiamo?
-domani, se non ti dispiace. Dobbiamo fare il più in fretta possibile.
Annuì -certo, nessun problema. Ma... se venissero a cercarci?
-ho detto di dire che siamo in missione nel Vero Nord per discutere di alcune faccende con i bruti.
-oh. Va bene.
Gilbert gli circondò le spalle con un braccio -ti accompagno in camera tua, sarai stanco. Abbiamo tanto di cui parlare!
Francis lo seguì, ridacchiando -direi proprio di sì.
-allora...- quando furono lontani, Gilbert abbassò la voce -con Arthur?
-Arthur?- cercò di non andare nel panico. Erano sempre stati attenti a non farsi beccare, Gilbert non poteva saperne niente, no? -che c'entra quel bruco insolente?
-be', da piccoli eravate molto legati, e con legati intendo "avevate una palese cotta l'uno per l'altro ma non volevate ammetterlo". Ora come state messi? Dite ancora di odiarvi?
Oh, pensò Francis, se potessi raccontarti tutto... non riusciresti neanche a guardarmi in faccia.
-lo vedo poco, per fortuna. E ci odiamo, tanto per la cronaca.
Gilbert roteò gli occhi -certo, come no.
-dico davvero.
-sì sì.
-invece di giudicare me, con Eliza come va?- il padrone di casa non rispose. Aprì una porta, e Francis si ritrovò in una stanza piuttosto grande, dove erano già stati lasciati i suoi bagagli.
Gilbert sospirò -un giorno sarà mia.
-più che altro sarà lei ad avere te. Conoscendola...
-dettagli. E comunque mi deve dei soldi.
-perché?- aprì un baule e fece una smorfia. I vestiti si erano tutti spiegazzati!
-lei diceva che tu e Arthur stavate insieme- un brivido freddo gli corse lungo la schiena -ma a quanto pare no.
-già. Voglio parte di quei soldi.
-sempre che me li dia. Conoscendola, no. Vorrà la prova definitiva.
-la mia parola non basta?
-no. Perché sei un ottimo bugiardo, e lei lo sa bene.
Francis roteò gli occhi, divertito -io? Figurati. Perché dovrei mentirvi?
-perché dai, o vorresti dare, il culo ad Arthur, ma lo neghi.
-ti ho detto che non mi piace.
-ceeeeeeeerto.
-davvero.
-mhmh.
-sono serio.
-andrei avanti, ma ho fame e tra poco è ora di cena. Andiamo, su.

   
 
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