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Autore: Ahiryn    07/05/2021    8 recensioni
Kieran Reed è un soldato con poche certezze nella vita, ma nessuna più ragionevole del: “mai fidarsi di Silas Vaukhram”. Non ha vissuto gli ultimi sette anni della sua vita a dare la caccia a quel bastardo per divertimento personale. Non lo ha trascinato di fronte alla giustizia sperando di cambiare idea. Nossignore. Ha fatto tutto questo per rimediare a un errore, il fatale errore di essersi fidato. Perché Silas è un traditore, un assassino, un bugiardo e la persona di cui più diffida al mondo.
Sfortunatamente è anche la sua unica speranza.

*steampunk / enemies to lovers*
[Rating arancione ma salirà a rosso più avanti]
~ Aggiornamento ogni Domenica - Lunedì ~
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Prologo
 

Era giunto alla fine di quella sanguinosa storia.
Kieran non riusciva a respirare bene. Aveva una costola rotta e il suo fiato era diventato un rantolo, ma non aveva tempo di preoccuparsene. Sentiva dolore, non vedeva bene dall’occhio gonfio e il sangue gli colava dalla testa finendogli fra le ciglia.
I piedi si muovevano incerti sul terreno pietroso, ormai imbevuto di neve e sangue.
«Perché non muori, Reed?»
Il tono smanioso dell’avversario lo fece sorridere, un sorriso tremolante ed esausto. Erano entrambi allo stremo, ma non sarebbe stato lui a cedere.
«Prima le signore» sibilò Kieran in risposta.
Gli arrivò in faccia uno sputo di sangue e saliva che non ebbe la forza di schivare. Kieran chiuse gli occhi. Indietreggiò e avvertì l’aria affilata di un fendente sfiorargli la gola. Il suo avversario non stava più usando la magia. Anche lui doveva aver raggiunto il suo limite.
Si passò la mano guantata sul viso e osservò il nemico.
Era una maschera di ferite; il carapace nero che indossava come armatura era pieno di tagli; la maschera a forma di falena si era spezzata su metà volto e rivelava un’iride viola contratta dall’odio e dalla malvagità. Con quel grottesco copricapo era una figura spaventosa che incendiava i suoi nemici in piccoli e delicati movimenti delle dita: la Falena, così lo chiamavano e bastava il nome a suscitare preghiere timorose per allontanare il suo sguardo o la malasorte che portava con sé.
Ma lui conosceva bene il volto dietro l’elmo, conosceva i contorni reali della figura da cui si dipanava la gigantesca ombra che tutti temevano.
«Arrenditi» provò a dire Kieran, «e forse avranno pietà di te».
Sapeva che erano parole vuote, ma voleva solo temporeggiare, per riprendere fiato e per rimandare l’inevitabile.
Non voleva morire.
Non voleva ucciderlo.
L’avversario non gli rispose neanche. Guardò alla sua destra, dove infuriava il campo di battaglia. Lo scontro era stato cruento. Nelle trincee la neve era pregna di sangue e interiora; si sentiva odore di cadaveri bruciati e il fumo si avviluppava minaccioso nel cielo grigio. Il pungente puzzo della polvere da sparo si mescolava a quello del sudore e della magia. Kieran era assordato dagli spari dei fucili e dei mortai, dal rumore dei fulmini scagliati contro i soldati.
Erano nelle Steppe, a Nord del continente, sotto un cielo inclemente. Aveva piovuto e nevicato in modo incessante fra i picchi rocciosi dove era iniziato lo scontro. Pioveva sempre in quel maledetto paese.
«Non ti stanchi mai di essere il loro cane ubbidiente?» sputò l’avversario, a corto di fiato.
La sua voce era una delle più vibranti che avesse mai sentito. A causa del suo sangue fatato era bassa e calda, melodica anche quando la colorava di quel tono violento.
Non gli rispose, perché sì, era stanco, ma soprattutto era furioso. Furioso con i suoi superiori che scaricavano sempre su di lui il lavoro sporco, furioso con la gente di quelle terre che dava asilo ai traditori e soprattutto furioso con la persona che aveva davanti, il traditore più spregevole che avesse camminato sulla terra.
Kieran scoprì i denti. «Sei andato troppo oltre. Sto solo rimediando a uno sbaglio.»
La risata che si levò dalla Falena era spezzata e stridente, come i suoi movimenti che iniziavano a essere rigidi e sconnessi. «Sei una tale delusione. Non ho mai visto qualcuno peggiorare così in fretta, ti hanno trasformato in uno schiavo ubbidiente. Avresti potuto essere molto più di questo.»
Nessuna fuga rocambolesca stavolta, nessuno scontro interrotto o rimandato.
Quella era la resa dei conti.
«Sempre meglio che essere un traditore.»
Lo stocco scattò verso il suo viso. Si tirò indietro e cadde nella finta, ricevendo un calcio dritto sui denti. Tossì sangue e barcollò; il sapore metallico gli invase la bocca e la gola.
Era abituato a quel sapore, era finito spesso in risse o scontri, fin da bambino. Ma solo una volta aveva sentito il sangue di un’altra persona in bocca, ed era quello della persona che gli stava davanti.
Dalle nuvole fece capolino un raggio di sole e per un attimo la figura del suo avversario sparì nella luce.
Silas.
Non la Falena, non il terrorista, non il traditore. Solo Silas.
Se assottigliava gli occhi poteva ancora fingere di avere davanti la stessa persona di undici anni prima, la sua silhouette confortevole, un’ombra in cui rifugiarsi per sentire un po’ di calore. I bordi morbidi e sfocati come solo quelli di un ricordo potevano essere.
Ma i bordi della Falena erano talmente taglienti che a sfiorarli con lo sguardo Kieran si ferì.
Lasciò cadere la pistola, impugnò la spada con due mani stavolta e si concentrò. Annegò quei ricordi nel sangue un’ultima volta.
Quel giorno finiva la storia di Kieran e di Silas.



 
 
Prima parte:
 
la Fuga
 

 

 
 
 
 
 
Cap. 1
 
Il Processo del secolo
 
 
 
«Non stai per vomitare, vero Kieran?»
Kieran stava effettivamente per rimettere la colazione, ma si guardò bene dall’ammetterlo.
Aveva indossato la sua divisa da cerimonia, la giacca blu notte con le controspalline frangiate, le spille di merito e il berretto; non era riuscito a pettinare bene la zazzera di capelli rossi e aveva voluto accertarsi di arrivare sudato dalla testa ai piedi al processo, ci teneva a essere sempre inadeguato alle occasioni importanti.
«Io? Nient’affatto.»
Dalia Tucker sfilò una sigaretta dal portasigarette dorato e usò un fiammifero per accenderla, gli occhi neri brillarono appena davanti alla fiamma. Gli batté la spalla per dargli coraggio, ma ci mise troppa forza come suo solito.
Erano arrivati. Il palazzo di giustizia si trovava nel centro di Eisenburgh, alla fine di viale Stahl, vicino alle sedi delle Corporazioni e lontano dalle fabbriche e dai fumi di scarico.
Osservò con delusione il cielo uggioso. Aveva sperato che quel giorno non piovesse, sebbene il pizzicore al braccio destro e alle vecchie cicatrici presagisse il contrario. Ultimamente pioveva di continuo.
All’arrivo l’autista rivolse loro un saluto educato sollevando la bombetta, poi con uno sbuffo meccanico le ruote della vaporetta ripartirono in una scia di fumo.
«Dico sul serio Kieran, stai bene o devo, non so, darti uno schiaffo o farti annusare dei sali…»
«Sto bene.»
Dalia sgrullò la sigaretta, mentre il vento sollevava le ciocche bionde. «La mia divisa?»
Kieran la studiò. «Mi sembra tutto in ordine. La mia?»
L’amica gli sistemò il colletto e poi raddrizzò il berretto. «Sei impeccabile vecchio mio. Siamo pronti per il teatrino.»
Thomas era già in piedi sul primo gradino ad aspettarli e gli faceva cenno di sbrigarsi.
«Siete in ritardo. È così irragionevole chiedervi di essere puntuali almeno in queste occasioni?» li riprese con tono petulante.
Thomas Dale era sempre calmo nei modi, preferiva prendere un bel respiro e sistemarsi gli occhiali tondi piuttosto che iniziare a inveire, ma sapeva essere piuttosto lamentoso a volte.
Dalia indicò Kieran con il pollice mentre espirava una boccata di fumo dal naso. «L’ho recuperato stamattina mezzo svenuto per l’alcool sul sofà. Ringrazia che gli abbia fatto indossare la divisa e sia riuscita a portarlo qui!»
«Sei una sporca traditrice» borbottò Kieran.
Thomas sospirò e scosse la testa. Guardò verso il cielo grigio, circospetto, poi poggiò gli occhi morbidi sui lividi sbiaditi che Kieran ostentava ancora in viso. «Nervoso?»
«Affatto.»
«Sei un po’ pallido» gli fece notare la sua amica mentre salivano i gradoni del palazzo di giustizia.
Le statue di bronzo degli eroi del passato li osservavano in silenzio, il rosso del metallo ormai quasi del tutto ossidato e coperto di verde.
«Rilassati. Sei la star del momento.»
Gli fece aria con le mani e Kieran la scacciò con le dita dando il via a uno scontro di dispetti.
«Fate i buoni» li richiamò Thomas, paziente.
C’erano diversi gentiluomini che sostavano sui gradoni del tribunale e parlavano fra loro; più su apparivano alcune guardie a sorvegliare l’ingresso e un nutrito gruppo di curiosi.
«Sono molto rilassato, devo solo sedermi e assistere al processo, nulla di complicato.»
Suonò talmente falso anche a sé stesso che ebbe la sensazione di essere giudicato con durezza dalle statue lungo i gradoni.
Dalia scansò un ragazzino che gridava a gran voce le ultime notizie e sventolava i giornali da vendere.
«Ecco cos’era quell’espressione sulla tua faccia, e io che credevo stessi per fartela sotto.»
«Che ne dite di mettere da parte il sarcasmo per cinque minuti e comportarvi da ufficiali quali siete?» li rimbeccò Thomas.
Il tribunale consisteva in un’enorme sala ad anfiteatro, con al centro una pedana di metallo runico dove sarebbe stato incatenato l’imputato. Di fronte a lui il Gran Consigliere e i restanti membri del Consiglio sedevano su seggi rialzati di ferro, imponenti e minacciosi.
Sui muri di metallo ottonato erano appesi quadri e dipinti, mentre a fianco dei seggi principali si innalzavano le statue simbolo della Gardena, le otto statue delle Corporazioni.
«Persino i gendarmi ti fanno il saluto militare, è come vedere un gatto che fa una riverenza a un cane» gli bisbigliò Dalia.
La sala straripava di persone. Ogni Corporazione aveva il suo posto, indicato dagli stendardi, e c’era un gran vociare che riverberava fra le pareti. Alla destra dei Consiglieri sedeva la Gendarmeria, con le loro divise verde smeraldo e i bottoni dorati lucidi.
La tribuna dei guerrieri di Ferro, la sua tribuna, gli fece un applauso quando varcò la soglia, al che Kieran reagì con un sorriso impacciato. I suoi commilitoni indossavano le divise cerimoniali, con armi lucidate e medaglie sul petto. La Generale Bervana gli rivolse un cenno di saluto e un sguardo incoraggiante.
Oltre le tribune delle Corporazioni erano accalcati funzionari, aristocratici, storici, studiosi e diversi articolisti. Volti noti e meno noti, ma tutti fra i più alti incarichi, la maggior parte appartenenti a illustri famiglie o Corporazioni.
Un signore ben vestito era nell’angolo con la sua ingombrante macchina fotografica poggiata su un cavalletto, pronto a rendere immortale quel momento.
«Neanche per le cerimonie più ambite viene tutta questa gente» bofonchiò Dalia.
«Stai parlando di Silas Vaukhram. Era scontato che anche il suo processo venisse trasformato in una festa mondana» rispose scontento Kieran.
Se fosse stato per lui il processo avrebbe contato cinque persone in tutto, e fra quelle cinque persone Kieran sarebbe stato esentato dal partecipare. Sarebbe durato dieci minuti, il tempo massimo per cui tollerava di guardare Silas senza logorarsi.
Kieran salutò il Consiglio con il saluto militare e subito dopo rivolse lo stesso gesto ai suoi superiori.
Thomas andò a salutare alcuni membri della Corporazione dei forgiatori sulle tribune. «Tieni duro» gli disse con un sorriso di conforto, prima di allontanarsi.
L’atmosfera era ancora preparatoria e molti dei presenti erano in piedi a discutere. Kieran iniziò il giro di saluti, cercando di ricordare i nomi di quelle persone. Dalia alle sue spalle gli suggeriva i cognomi con un colpetto di tosse. A volte sbagliati per vederlo scusarsi e arrossire.
Qualcuno gli strinse la mano vigorosamente: «complimenti, Maggiore, ah no, Colonnello adesso, giusto? Se non ci foste stato voi, avremmo perso anche tutto il Mirna».
Non fece a tempo a ringraziare che qualcun altro gli afferrò la mano. «È una fortuna che un guerriero del Ferro fosse insieme ai bersaglieri dei gendarmi alle Steppe. Ho sentito che avevano dieci maghi Sanguemisto nelle loro fila!»
«Erano presenti anche fate?»
«Avete davvero sconfitto la Falena da solo? So che può lanciare fulmini dagli occhi.»
«Le foto dei giornali non vi rendono giustizia. Ancora scapolo, giusto?»
«Chi riceverà le spoglie nemiche? Ecco io vorrei avanzare la mia richiesta…»
Iniziò a non prestare più ascolto alla moltitudine di voci che gli si rivolgevano. Non aveva mai sentito il suo nome sulla bocca di così tante persone, come se fosse la merce più comune ed economica sul mercato. Nessuno pronunciava con altrettanta leggerezza il nome della Falena.
Era sempre fuori luogo in momenti come quello, Kieran non era come loro e forse era a questo che doveva la sua popolarità. Le persone importanti non lo vedevano come una minaccia, mentre quelle meno importanti si sentivano ispirate. Che farsi una posizione fosse questione di fortuna sembrava averlo realizzato soltanto lui.
Sentì una forte pacca sulla schiena e se non fosse stato alto e allenato sarebbe finito lungo per terra.
Oh no, di nuovo quest’avvoltoio.
Il capo redattore della Cronaca Oggi gli sorrideva sornione, intenzionato di nuovo a non mollare l’osso. Kieran non voleva parlare con la stampa, voleva tornarsene in qualche accampamento sperduto a fare il soldato, o in qualche posto isolato a vivere come gli eremiti.  Con più alcool e meno capre da mungere.
«Eccolo qui il nostro Campione, l’ospite d’onore!» esordì sorridendo, la stessa familiarità con cui avrebbe potuto rivolgersi a un vecchio amico. Impugnò la penna stilografica come se volesse ciecargli un occhio.
Aveva all’incirca una sessantina d’anni, nascondeva la calvizie sotto un parrucchino ed era talmente attivo e instancabile che Kieran si augurava di avere quell’energia fastidiosa alla sua età.
«Beh, più o meno, visto che non siete voi l’imputato» e si fece una grossa risata.
Questa conversazione sarà l’elemento migliore della giornata e questo è già di per sé molto deprimente.
«Allora Maggiore, ehm, volevo dire Colonnello, siete emozionato? Spaventato? Credete che i sigilli che hanno applicato alla Falena basteranno a tenerlo buono?»
«I sigilli e le misure coercisive hanno sempre funzionato, non sarà in grado di usare la magia in alcun modo. Inoltre era ferito gravemente dopo lo scontro e dubito si sia ripreso del tutto» rispose efficiente.
Quello annuì spiccio. «“Coercitive”» lo corresse affabile.
Kieran arrossì appena e si schiarì la gola. «Avete ragione, perdonatemi.»
Non perdevano mai occasione di riprenderlo sul linguaggio. Era stato difficile per uno come lui migliorare l’eloquio e non gli avevano reso semplice adattarsi.
Iniziò a scribacchiare. «Il Campione ritiene che sia necessario non abbassare la guardia, perché la Falena è un incantatore molto dotato.»
«No, io veramente non ho mai detto…»
«Ad ogni modo capisco la vostra calma, ma non temete una vendetta? Avete inflitto una bella sconfitta alla Legione, quelli non ci vanno per il sottile! Solo qualche giorno fa hanno assaltato i cantieri navali del giudice Gideon Atwood e hanno appeso il suo corpo nel porto. Avete pensato a una scorta?»
Guardò Dalia sperando nel suo aiuto, ma l’amica era andata a parlare con la Generale. «Non me ne preoccupo al momento.»
La penna ricominciò a scrivere: «il Campione non teme i terroristi, anzi li sfida apertamente ad attaccarlo.»
«Ehm, esagerate.»
Il giornalista era ormai su di giri. «Secondo alcune voci voi e la Falena eravate amici ai tempi dell’Accademia, anche allora sospettavate di lui? E com’è stato portarlo finalmente alla giustizia?»
Ah! Sapevo che me lo avrebbe chiesto. Dalia mi deve dei soldi.
«Ci conoscevamo di vista, ma non ci eravamo mai scambiati più di semplici saluti fra cadetti. No, non sospettavo di lui o lo avrei fermato molto prima.»
Ancora una volta la penna iniziò a scrivere. Kieran riuscì a cogliere solo “un dovere inflessibile contro il compagno di banco in Accademia”.
Sospirò rassegnato e sperò che quel supplizio finisse presto.
«Proprio tre mesi fa la Falena ha preso la città di Mardille e ha giustiziato arbitrariamente il governatore. La rabbia di questo gesto così cruento vi ha spinto a ottenere la vittoria?»
Si portò le mani dietro la schiena, valutando una risposta più seria. Non era rimasto sorpreso dal gesto della Falena. In quegli anni di lotta aveva imparato a capire il suo comportamento e il suo modo di agire. Era un assassino, un terrorista, un traditore.
Ripeterlo è quasi un mantra.
«Insieme a tutto il resto, immagino di sì» rispose incerto e quando lo vide scribacchiare vendetta per l’efferato crimine si affrettò ad aggiungere: «ora dovrei andare al mio posto È stato un piacere, buona giornata, signore».
Si defilò prima che potessero insorgere altre domande scomode e andò a sedersi vicino alla Generale, dove gli era stato ordinato di posizionarsi benché i suoi gradi fossero inferiori.
Si sporse dietro, verso Dalia. «Non comprare mai più la Cronaca Oggi.»
Il Gran Consigliere prese la parola e i presenti sciamarono nei propri seggi, mentre il brusio si estingueva. Cominciò con alcune comunicazioni tradizionali; i giuristi presero posto e il processo iniziò.
Kieran si isolò presto dalla situazione e cercò di pensare a qualcosa che lo distraesse da quel senso di oppressione che aveva nel petto. Era strano, perché i ricordi sicuri e felici iniziavano a essere troppo pochi, legati a eventi tragici, a tradimenti.
Ripensò all’ultima serata con Dalia, Thomas e gli altri del dipartimento investigativo. Lo scontro di pugilato dentro il pub, le birre, i cori, Thomas che aveva starnutito birra dalle risate. Si era divertito.
«E ora fate entrare l’imputato.»
Il ricordo si dissolse come fumo e tutto venne invaso da Silas.
Silas.
La sua mente, i presenti, gli sguardi. Non c’era modo di schermarsi dalla sua presenza.
Sulla sala calò il silenzio mentre il prigioniero avanzava, trascinato dalle catene. I polsi erano incatenati; aveva stracci logori addosso, macchiati di sangue e sporco. Niente a che vedere con gli abiti eleganti e pregiati che indossava quando era in libertà, i paltò rossi, i trench scuri, i guanti di tessuto morbido, l’esuvia nera che ricordava il carapace di una falena, che metteva fiero quando doveva assaltare una fabbrica o un treno. Ora era una figura logorata, macilenta, eppure conservava un portamento regale. Camminava a testa alta con le labbra appena incurvate, i capelli nerissimi e sporchi che ricadevano fino al bacino, mentre gli occhi violetti saettavano su Kieran come calamitati. Aveva lo zigomo spaccato e un grosso livido violaceo sul lato del viso; il colletto era inzuppato di sangue e aveva croste rosse sotto l’orecchio a punta e sulle unghie. Le guardie ci erano andate pesanti.
Non dava cenni di dolore o cedimento, avanzava guardando in faccia i presenti con calma, come se stesse scegliendo quale divorare per primo. Alcuni distoglievano lo sguardo, altri gli rivolgevano occhiate di odio. Raggiunse il suo posto al centro della sala, sulla pedana, senza proferire parola.
L’ospite d’onore.
Diavolo, se lo sembrava.
Nessuno riusciva a parlare. Anche con il corpo ricoperto da sigilli magici la sua energia vibrava potente e selvaggia, riempiva la sala come un profumo bruciacchiato. Magia primordiale delle fate. Scorreva a piccole dosi in ciascuno di loro dopo la Grande Migrazione avvenuta secoli e secoli prima, ma pochissimi potevano vantare l’origine di Sanguemisto. Silas era uno di quelli, uno dei pochi a essere il figlio diretto di una fata Antica.
Non era soltanto la sua magia, anche il suo aspetto aveva creato quel vuoto di rumori. Alcuni non lo avevano mai visto e forse non si aspettavano che il vicecapo del gruppo terroristico più famigerato fosse tanto efebico. Con quella pelle scura e opaca, i tratti affilati, il volto elfico, le orecchie a punta e gli occhi freddi, allungati. Come gli occhi di una volpe. Aveva sentito definirli così da una donna. Un paragone troppo delicato per il suo sguardo. Silas era attraente come un paesaggio spettrale, una quercia contorta. Come in tutte le fate, nel suo aspetto c’era qualcosa di disturbante, alieno, qualcosa che ricordava a tutti che l’imputato non era del tutto umano, e parte del suo sangue, il suo icore, valeva una fortuna.
«Silas Alexander Richard Vaukhram, l’imputato» dichiarò il portavoce, presentandolo. «Adottato della famiglia Vaukhram e nominato secondo erede, poi diseredato e condannato per i seguenti delitti: alto tradimento, spionaggio, lesa maestà, omicidi plurimi, attentati a danno delle Corporazioni, terrorismo, associazione a delinquere ai fini di attaccare le difese della Gardena, utilizzo improprio della magia e ricorso a fatture proibite dal codice della Buona Condotta…»
La lista continuò ancora per un po’ e a ogni accusa Kieran sprofondava di più nella tribuna. Silas invece non pareva toccato dalle accuse, era silenzioso. Non gli aveva rivolto più alcuno sguardo, la sua mente sembrava altrove.
«Non si rende neanche conto che questi sono i suoi ultimi momenti di vita, ha il cervello andato quel figlio di puttana.»
Non capì da dove fosse arrivato il commento crudo, qualcuno alle sue spalle.
«Lo avranno drogato o imbottito di ferro, ai meticci fatati li rovina.»
«Ma lui era un guerriero di Ferro come noi, e noi assumiamo ferro di continuo per combattere le fate.»
«Forse lui era esentato. Non vedo l’ora di vederlo impiccato.»
La prima regola che veniva insegnata a un guerriero di Ferro era legata al loro stesso nome: il ferro è l’unica vera arma contro le fate. In grado di indebolirle, di avvelenarle, di renderle inoffensive.
Un precetto semplice ed essenziale su cui era stata costruita la loro intera società, per non soccombere al caos e alla magia delirante delle fate che dominavano gli spazi incontaminati della natura.
C’era la società del ferro, umana, ordinata, meccanica, e c’era la società delle fate, magica, selvaggia, spaventosa.
Kieran sapeva che Silas ai tempi dell’Accademia non era esentato dall’assumere ferro, ma, in quanto fata a metà, subiva spesso le ripercussioni; aveva dovuto far abituare a poco a poco il suo organismo.
Non era stato drogato, era provato, ma cosciente della situazione. Lo vedeva dai suoi occhi rassegnati. In quegli anni aveva visto Silas in molti modi durante gli scontri, furioso, divertito, arrogante, ma mai lo aveva visto perdere la sua ferocia. Ora sembrava un guscio vuoto ed era Kieran il responsabile.
«Come ci si sente?» gli bisbigliò la persona accanto.
«Eh?»
«A vedere il proprio nemico giurato venire condannato a morte dopo tanto tempo.»
Ah. Giusto.
Le persone attorno a lui non erano tenute a mostrarsi solidali alla tempesta che lo stava divorando.
Loro non sapevano. Loro non avevano quei ricordi a tormentarli.
Nemici giurati. Erano stati nemici per così tanto tempo, aveva perso il conto di quanti uomini aveva mandato sulle sue tracce, senza che facessero ritorno. Non ricordava più quanti rifugi aveva setacciato per trovarlo, quante piste aveva seguito, quante volte era riuscito a scovarlo per poi trovarsi scaraventato contro un muro dalla sua magia, mentre Silas scappava da una finestra. C’erano stati rocamboleschi inseguimenti, duelli sporchi e sanguinanti in luoghi improbabili che si concludevano sempre con ferite gravi e intromissioni. Quante volte era scampato per miracolo alle aggressioni mortali di Silas, la sua risata infestava gli incubi di Kieran e sussultava, teso, quando lo vedeva muovere anche solo le dita per grattarsi.
La loro storia aveva appassionato molte riviste che avevano ricamato sui loro scontri, e questo era in parte causa di quella confusione.
Ma loro conoscevano solo episodi disordinati e romanzati di quel racconto, il suo contenuto era qualcosa che riguardava Kieran e Silas soltanto. Li invidiava. Li invidiava perché quando guardavano Silas, vedevano solo uno squilibrato violento, un incantatore fuori controllo, un ingrato che aveva ripudiato la sua stessa famiglia amorevole per unirsi a dei terroristi.
Non conoscevano altro di lui.
Kieran invece era pieno di ricordi che avrebbe voluto stracciare come lettere ammuffite in una scatola. Soltanto che non poteva.
«Stanco» mormorò a stento e socchiuse gli occhi.
A breve sarebbe tutto finito.


 


Ciao a tutti! Mi chiamo Ahiryn e questa è la prima storia originale che provo a pubblicare, e che fatica ç_ç.
La storia ha subìto una riscrittura.
Vi ringrazio tantissimo se avete retto questo primo capitolo, l’inizio è sempre un bel cruccio per me. Sarà una storia senza troppe pretese, davvero, qualcosa che intrattenga e faccia divertire, ma mi impegnerò il più possibile!
Vi avviso fin da subito che sarà una storia d’amore, che ci saranno anche scene erotiche prima o poi, ma sarà una slow burn per, beh, ovvie ragioni.
Cercherò di aggiornare frequentemente :D. Per chiunque leggerà la storia, vi inviterei, se ne avete voglia ovviamente, a farmi correzioni, darmi consigli, scrivermi se non capite qualcosa del world building, segnalarmi se qualcosa vi stona, non vi piace, o vi sembra mal fatto, anche per messaggio se non avete voglia di recensire, ho tanto bisogno di indicazioni ç__ç, mi sento sempre alla deriva. Metterò qui la storia nella speranza di migliorarla il più possibile grazie alle vostre critiche e consigli, quindi se vi va mi farebbe davvero tanto tanto piacere, spero che andando avanti diventerò più capace e sciolta. Ma vi ringrazio tanto in anticipo anche solo per averla letta <3, grazie di cuore.
Alcuni chiarimenti che vi possono interessare:
Il titolo è una parola inglese che indica l’odore forte che segue la pioggia, specialmente quando cade su un terreno secco e caldo, e la sua etimologia in greco è pietra e icore, l’icore è il sangue degli esseri immortali.
Silas Vaukhram si pronuncia nella mia testa SAilas Vokhram, ma voi leggetelo nella vostra mente come preferite ^^.
Ancora grazie di cuore per aver letto!
 
   
 
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