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Autore: Tobias Kelley    07/05/2021    0 recensioni
[Bad Ending Route]
Il mio occhio sinistro si aprì dopo molto tempo. Uno scenario tetro si mescolava in mille sfumature di grigio e nero tra le quali, di tanto in tanto, brillava una luce cupa, ma che pareva naturale. Non ebbi bisogno di abituarmi ad essa, tanto fioca quale era, ma mi volle un po' per capire che mi trovavo disteso sulla schiena a fissare un cumulo di pericolanti macerie che mi pendevano sulla testa.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Connor/RK800, Hank Anderson, Kara/AX400, Markus/RK200
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 - Detroit
 

Il mondo che mi si parò davanti, in superficie, era ancora più cupo di quanto avessi immaginato. Non era solo la torre ad essere collassata – come avevo sperato fin dal primo momento in cui avevo realizzato ciò che poteva essere accaduto –, ma anche in lontananza si distinguevano diversi palazzi crollati e l'orizzonte era rischiarato dal rossore inquietante di alcuni incendi.
«Questo è un incubo...»
«A me pare reale», ribattei con freddezza.
Luke mi scrutò con un barlume di astio negli occhi. «Devi avere davvero qualcosa che non va per comportarti in questo modo.»
Senza nemmeno pensarci gli sferrai un pugno in faccia, guardandola con piacere mentre diventava bianca nel punto in cui avevo colpito. Le mie dita restarono a contatto con il suo viso per qualche istante, poi ritirai la mano. «Oh, scusami. Mi manca Hank. Almeno lui lo avrebbe fatto al posto mio e mi avrebbe risparmiato la fatica.»
Luke era esterrefatto, ma non parve volermi attaccare. Rimase zitto per un po' mentre mi guardava fare avanti e indietro attorno al cratere dal quale eravamo emersi. Poi: «Che cosa facciamo?»
«Ce ne andiamo?» risposi canzonatorio. «A meno che tu non voglia restare...» Non che mi dispiacerebbe.
Continuai a gironzolare, finché non trovai qualcosa di interessante che giaceva splendente sul terreno smosso. Mi avvicinai e raccolsi un'asticella di metallo. «Luke! Vieni qui.»
Quando l'androide mi fu accanto, lo aggirai per trovarmi alla sua destra. «Ora stringi i denti e non fare casino, intesi?»
«Che cosa vuoi...?» Infilai l'asticella tra la sua tempia e il led, facendolo scattare e cadere a terra. Luke mi spinse via. «Perché lo hai fatto?» gridò infastidito.
«Non sappiamo com'è la situazione in città. Se gli umani ci danno la caccia, così sarà più facile nasconderci. Altrimenti basterà una bella stretta di mano...» Lasciai che la mia mano diventasse bianca e imitai il gesto appena accennato. Eseguii la stessa operazione sul mio led, ma non volli abbandonarlo al suo destino: me lo nascosi con noncuranza nella tasca dei pantaloni, unico indumento abbastanza intatto. Quel gesto mi fece riflettere «Non possiamo andarcene in giro così.» Squadrai il mio compare, anch'egli ridotto abbastanza male. «Sembriamo scampati per miracolo a una mietitrebbia e qua fuori fa davvero un freddo cane.»
Luke aggrottò la fronte. «Tu senti freddo?»
«Sono l'androide più avanzato mai creato dalla Cyberlife», lo liquidai. «Buon per te che non te ne stai qui a tremare.»
Il ragazzo non pareva convinto, ma decisi di ignorarlo. «Per il momento cerchiamo di non dare nell'occhio e troviamo dei vestiti nuovi. Siamo leggermente fuori città, ma dovrebbero esserci negozi in periferia...»
«Negozi? Cosa stai dicendo?»
Lo squadrai con frustrazione: ma era stupido o cosa? «A meno che tu non voglia rischiare di essere catturato, direi che è il caso di rubare dei vestiti puliti o, per lo meno, interi. Capisco che tu sia appena uscito dal limbo, ma non è normale andare in giro con una divisa strappata e ricoperta di thirium.» Lo squadrai con disprezzo, poi decisi di abbottonarmi gli unici due bottoni rimasti attaccati alla mia camicia, forse per difendermi dal freddo, o forse per darmi un'aria di eleganza che Luke avrebbe solo potuto sognare.
«Datti una mossa se non vuoi che ti lasci qui.»
 
Per strada non c'era un'anima. Un lato di me era contento che le cose andassero meglio del previsto e che non dovessimo nasconderci da nessuno, ma la parte più razionale sapeva bene che tutto quello poteva significare una cosa sola: qualsiasi cosa fosse accaduta era davvero, davvero grave.
«Sei imbarazzante», commentai scrutando il giovane androide che camminava impettito davanti a me.
«Che cosa intendi?»
«Cammini come se ti avessero infilato una...» Luke si voltò, accigliato, e io decisi di tacere. Non ero Hank. E lui non era me. Quella battuta non avrebbe sortito alcun effetto. «Lascia perdere. Ma vedi di camminare in modo più naturale. Attiri l'attenzione.»
«Ci sono così tante persone in giro che davvero ho addosso gli occhi di tutti.»
«Vedo che ti hanno inserito il software del sarcasmo.» Altre parole al vento a cui risposero solo un paio di sopracciglia inarcate.
Camminando eravamo arrivati in una via costeggiata da edifici malridotti. Le case avevano le finestre spalancate, nonostante la stagione, e alcuni vetri erano frantumati. La vetrina di un negozio ancora integra era per metà coperta dall'insegna che le era crollata davanti.
«Questo può andare?» Mi indicò Luke.
«Ogni cosa è meglio di una camicia a brandelli...» Mi avvicinai a un idrante sul marciapiede: «Aiutami.»
Insieme riuscimmo a sradicarlo mentre un violento getto d'acqua inondava la strada. Luke mi aiutò a lanciarlo contro la vetrina, sfondandola assieme al manichino che presentava una presuntuosa pelliccia da donna.
Sollevai l'insegna di legno, spingendola poi di lato, e m'intrufolai nel negozio. Luke non mi seguì.
«Non vieni?»
«Non mi hanno programmato per rubare dai negozi, Connor.» Scandì il mio nome con disprezzo.
No, ti hanno programmato per starmi attaccato al culo e farmi sputare thirium... Feci spallucce, fingendo indifferenza, e cominciai a frugare tra pile di oggetti caduti e calcinacci piovuti dal soffitto.
Quando riemersi dal negozio, indossavo un nuovo paio di pantaloni e mi ero avvolto in un cappotto caldo. Nonostante fosse di una taglia più grande, il maglione sotto di esso mi avvolgeva piacevolmente il collo e la berretta di lana che mi copriva i capelli mi dava un senso di tepore alle orecchie che mi risollevò un po' il morale.
 
Livello di stress 60%
 
«Tieni. Questi sono per te.» Lasciai cadere un paio di jeans e una maglietta tra le braccia di Luke, poi mi chinai per raccogliere una giacca di pelle che era caduta ai piedi della vetrina. Gli porsi anche quella. Lui si svestì senza pudore al centro della strada e accantonò gli abiti strappati in un angolo della vetrina.
«E ora?»
Domande. Sempre domande. Perché non si prendeva anche solo un secondo per pensare a una soluzione invece di continuare a porre problemi su problemi?
«Prima di raggiungere la torre avevo promesso a Markus che sarei tornato ad Hart Plaza con tutti voi, ma ora...»
«Chi è Markus?»
«Solo il capo della rivolta che ha messo sotto sopra l'intera Detroit.» Ma tu che vuoi saperne?
«Forse dovremmo andare a controllare.»
Forse. La mia parte più razionale sapeva che, se volevamo scoprire cosa fosse successo, era il caso di raggiungere la piazza e sperare di trovarvi ancora Markus e gli androidi di Jericho. Ma la mia parte più razionale poteva anche andare a farsi fottere e dare ascolto a quei nuovi, prepotenti sentimenti che, dopo l'assalto al mercantile, mi affollavano la mente come spettri.
«Al momento credo di avere altre priorità», conclusi, incamminandomi nella direzione opposta rispetto alla piazza.
 
Arrivammo davanti alla casa di Hank quasi un'ora dopo. Luke mi seguiva tranquillo. Faceva qualche domanda, di tanto in tanto, ma come potevo biasimarlo? Era come un bambino che da poco aveva scoperto di essere al mondo. E, di certo, il mondo che gli si era parato davanti non era uno dei migliori...
La neve sulla strada era quasi del tutto sciolta e i cespugli che costeggiavano i viali ci avevano a fatica permesso di nasconderci quando un gruppo di persone ci era sfilato accanto in automobile. Andavano abbastanza veloci da impedirmi di capire se si trattasse di umani o androidi. In ogni caso, era meglio che non ci vedessero.
«Dove ci troviamo?» mi domandò l'AP700 quando si accorse che avevo arrestato i miei passi.
Non gli risposi. Non trovare l'auto di Hank parcheggiata nel vialetto mi aveva lasciato frustrato e arrabbiato. Quindi se n'era andato. Se n'era andato senza di me. Doveva essere successo davvero qualcosa di grosso per perdonargliela, dopo che gli avevo salvato la vita. Due volte.
Mi avvicinai alla porta e provai a suonare il campanello, nonostante sapessi già che non avrei ricevuto risposta. Attesi qualche secondo, poi, con un sospiro, mi avviai verso il retro della casa. Il barbecue era ancora accantonato in un angolo e la finestra che avevo sfondato qualche giorno prima era stata riparata con del nastro adesivo e del plexiglass. Lo abbattei senza nemmeno pensarci e scavalcai il davanzale. Non ci volle molto prima che un improvviso fracasso di vetri mi facesse alzare gli occhi al cielo e correre in soggiorno per vedere Luke che rotolava sul pavimento tra i resti di una finestra distrutta. E non era programmato per rubare in un negozio...
Solo la luce della cucina era rimasta accesa e gettava ombre inquietanti tutt'attorno. Hank non c'era, ovviamente, ma anche Sumo mancava all'appello. Ricordai con piacere quando mi ero chinato sul grosso San Bernardo per accarezzargli il pelo castano. Era una delle poche sensazioni che mi aveva scavato un solco nella coscienza prim'ancora di diventare un deviante. I cani erano davvero meravigliosi.
Decisi di setacciare la casa per cercare un indizio su dove si fosse cacciato il tenente. La cucina era sottosopra come al solito: il cartone della pizza di qualche sera prima era ancora aperto sul tavolo, tra uno stuolo di bottiglie di alcolici. Una lattina di birra era rovesciata e il liquido ambrato si era appiccicato sul tavolo fino a colare sul pavimento. Notai di lato la cornice della foto di Cole, ribaltata in avanti. La sollevai per tuffarmi di nuovo negli occhi azzurri di quel povero bambino, ma quello che trovai fu solo il mio riflesso su uno sfondo scuro: Hank aveva sfilato la foto del figlio.
Hank è vivo. Hank è stato qui! Sentii un sobbalzo di gioia all'altezza del petto.
 
Livello di stress 45%
 
Anche il gigantesco sacchetto di croccantini che Sumo aveva lacerato la sera in cui avevo trovato Hank svenuto a terra era scomparso, segno evidente che il tenente doveva aver prelevato il cane e aver avuto il tempo di caricare in auto anche il suo cibo. Una cosa sola non mi tornava: perché la sua rivoltella era ancora sul tavolo? Che Hank se ne fosse dimenticato? Sperai che avesse almeno portato con sé la sua pistola d'ordinanza...
Raccolsi l'arma, constatando che al suo interno c'era ancora l'unico proiettile con cui Hank pareva sollazzarsi nelle giornate no, e la infilai nella stessa tasca in cui avevo riposto il led dopo che mi ero cambiato i vestiti.
Un rumore nel salotto mi riscosse e osservai Luke mentre armeggiava col telecomando: in televisione nessun programma pareva funzionare e lunghe bande orizzontali di varie sfumature di grigio si susseguivano senza un ordine logico. Lui mi guardò senza capire e io feci spallucce.
«Aspettiamo che faccia giorno», gli proposi. «Dormiamo qui e domani riprenderemo la ricerca.»
«Dormire?»
«Per quanto tu magari non ne senta il bisogno, beh... Preferisco uscire di nuovo quando ci sarà il sole. Devo fare qualche tappa in città.»
Luke non mi rispose e riprese ad osservare il televisore e le sue bande grigie. Mi chiesi se sarebbe rimasto a guardarlo tutta la notte: magari il giorno dopo lo avrei trovato ipnotizzato sul divano e sarei potuto andarmene senza che se ne accorgesse.
«Se resti qui, io vado di là. Ho bisogno di riposare.»
«Va bene. Ci vediamo domattina.» Luke mi sorrise e, per la prima volta, scorsi un briciolo di umanità dietro ai suoi occhi chiari. Mi sforzai di sorridere di rimando e mi allontanai verso la stanza che ricordavo essere il bagno.
Davanti allo specchio mi sciacquai quel po' di sangue che mi era rimasto incrostato sulla fronte. Ora che avevo addosso dei vestiti puliti e avevo usato i resti di quelli vecchi per ripulirmi il thirium dal corpo, non avevo poi un aspetto così brutto: i capelli erano in disordine, ancora umidi, ma non avevo ferite sul viso che lasciassero scoperta la mia pelle bianca. Senza il led, poi, sembravo quasi un umano. Mi asciugai rapidamente i capelli e mi avviai verso la camera di Hank.
In disordine come la prima volta che l'avevo vista, alcuni vestiti erano stati abbandonati sul letto, mentre le ante dell'armadio spalancate emettevano un cigolio sinistro, sospinte dallo spostamento d'aria che io stesso avevo provocato al mio passaggio. Sbirciai all'interno. Hank si era portato via solo la camicia che avevo scelto per lui la sera dell'Eden Club e pochi altri indumenti. Decisi di radunare il resto in uno zaino: magari ne avrebbe avuto bisogno, una volta trovato.
Mi andai infine a sedere in un angolo del letto matrimoniale, vicino al comodino. Di fianco alla lampada era stato abbandonato un libro dalla copertina colorata: non conoscevo il titolo, ma sorrisi constando che si trattava di un volume cartaceo. Non ne avevo visti molti...
Lo raccolsi e, accoccolato contro la testata del letto cominciai a leggere di gruppi jazz mai sentiti in vita mia.
   
 
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