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Autore: Red_Coat    07/05/2021    1 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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"Ed ora veniamo alla cronaca: continuano le sparizioni misteriose in tutto il continente. Circa 35 abitanti di Kalm sono stati assassinati ieri notte, altri 120 sono stati trovati morti nelle loro case e nelle vicinanze della città, brutalmente assassinati da mostri dall'origine sconosciuta di cui preferiamo non mostrarvi alcuna immagine. Alcuni superstiti dichiarano di essere stati attaccati da mostri simili a umani, con grosse zanne e forti artigli.
Nel frattempo, continua ad esser udito nel territorio di Midgar quello che sembrerebbe essere l'ululato di un lupo.
I comitati di quartiere e le forze dell'ordine invitano i cittadini di Edge a rimanere in casa durante la notte e a non uscire mai da soli fuori dai confini e nelle zone periferiche.
I risultati delle indagini, per ora, rimangono riservati."
 
La voce della giornalista riecheggiò all'interno del 7th Heaven, in quel momento pieno di chiassosi commensali intenti a consumare il loro pranzo, e non appena la udirono, tutti o quasi tacquero, ascoltando preoccupati quella novità.
 
«Incredibile ...» mormorò uno di loro rivolgendosi al compagno di bevute «Non bastava il geostigma, ora anche gli zombies.»
 
Di nuovo il lupo cantò, e il suo ululato innervosì tutti, inclusa Tifa, che li osservava da dietro il suo bancone, gli occhi lucidi e il cuore in pena.
 
«Accidenti!» esclamò l'uomo che stava parlando, sbattendo il boccale di birra sul tavolo e iniziando a tossire fino a farsi lacrimare gli occhi.
 
Il compare lo incoraggiò a trangugiare il nettare a piccoli sorsi, e lentamente seguendo il consiglio riuscì a riprendersi.
 
«Sei fortunato.» disse un altro dei commensali presenti, a un paio di tavoli di distanza «Mio padre è morto ieri, a causa di quel maledetto lupo.»
«Cavolo, amico. Mi spiace.» mormorò l'interessato, asciugandosi le ultime lacrime col dorso della mano.
«Che gli è successo?» fece un altro, curioso «Lo avete visto?»
 
Quello scosse il capo tristemente, trangugiando un altro sorso di birra prima di rivelare.
 
«Nessuno lo ha visto, ancora. Sembra starsene alla larga dalla città, ma per qualche strano motivo il suo ululato rimbomba dovunque. E porta morte ... mio padre ha iniziato a star male dalla prima volta che lo ha sentito, si è incupito, e ieri un infarto non gli ha lasciato scampo.»
 
Tifa lo osservò tornare a fissare tristemente il boccale mezzo vuoto e perdersi nei suoi pensieri, mentre un mormorio inquietato seguiva quella rivelazione.
Non era difficile crederci, bastava mettere un piede fuori dalla porta, aspettare che il lupo cantasse e osservare ogni passante. Alcuni si fermavano inorriditi, altri stringevano i pugni e facevano resistenza, ma il consumo di alcolici era notevolmente aumentato da quando quella creatura aveva iniziato a tormentare la città.
Gli unici immuni sembravano essere i bambini, o almeno la maggior parte di loro, mentre chi moriva di solito era qualcuno che aveva convissuto a lungo con un peso troppo grosso per la propria coscienza.
Gli altri, come lei ad esempio, restavano immersi un'angosciosa agonia aspettando quel momento che non arrivava mai, e vivendo ogni momento come fosse l'ultimo.
Non sapeva se fosse opera di Victor Osaka o meno, ma in quel caso qualsiasi incantesimo avesse usato stava funzionando alla perfezione. Voleva che i loro rimpianti e le loro colpe li schiacciassero fino a soffocarli, e con lei ci stava riuscendo benissimo.
All'improvviso un peso le si poggiò sul petto, il respiro si fece più faticoso e i pensieri divennero più cupi. Il lupo cantò di nuovo, e ignorando i mugugni dei suoi ospiti si fiondò in bagno, chiudendo dietro di sé la porta e vomitando tutto il misero pasto che era riuscita a fare sulla ceramica bianca del lavandino.
Quel sapore amaro le riempì la bocca facendo salire un altro conato, che tuttavia non andò a buon fine. Iniziò a singhiozzare disperata.
La porta si aprì di colpo, Barret accorse a sorreggerla preoccupato, tentando di rassicurarla.
 
«N-non ... n-non è niente.» annaspò lei cercando un contegno che non riusciva ad avere.
«A chi vuoi darla a bere, Tifa?» le rispose lui, burbero ma paterno «È da quando quella bestia si è fatta viva che stai così. Sei debole, se continuerai di questo passo ...»
«S-sto ... S-sto bene Barret...» lo prevenne, aggrappandosi alle sue mani «Davvero.» mormorò, in lacrime.
 
Ma la sua immagine allo specchio la contraddisse. Pallida, appena un po’ più magra del solito, occhiaie nere sotto agli occhi tristi.
Wallace la fissò in silenzio per qualche minuto, poi annuì, fingendo di accogliere quella tacita richiesta di crederle.
 
«Va bene.» disse «Ma oggi chiudiamo prima.» le disse «E riapriremo non appena ti sarai rimessa in piedi. Devi farti visitare da un medico.» le impose prima che lei potesse obiettare.
 
Ci provò comunque.
 
«Ma questa gente ha bisogno di distrarsi. Il 7th Heaven è fondamentale per loro.»
«Anche tu lo sei. Vederti così non fa piacere a nessuno.» le fece notare, sorridendole.
 
E a quel punto, riflettendoci, lei non potè che concordare, anche se controvoglia.
Annuì, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano guantata.
 
«Va bene ...» si arrese «Lascia almeno che mi occupi di Denzel e Marlene.» rispose «Non posso lasciarli soli.»
«Ce ne occuperemo insieme.» assentì l'uomo, poi l'abbracciò forte e concluse, stringendole le spalle «Ora vai a riposare. Ci penso io a chiudere.»
«Sicuro?» domandò preoccupata lei.
«Cos'è non ti fidi?» le rispose, strappandole una risata che aveva più il suono di qualcuno che sta cercando di non affogare.
 
\\\
 
Seduti sui gradini di fronte all'uscio di entrata del locale, che era anche la loro unica casa, Denzel e Marlene osservavano distrattamente la folla che riempiva la strada, e quando il lupo cantò di nuovo, videro le persone resistere per un pelo al panico che li travolse.
Fu un attimo, ma per quel singolo istante quando li videro fermarsi tutti insieme a guardare il cielo azzurro sopra di loro, temettero davvero il peggio.
Si presero per mano e stavano per alzarsi e rientrare quando tutto tornò più o meno alla normalità.
Si guardarono stupiti, poi si lasciarono andare ad un sorriso sollevato.
 
«Come ti sentì?» si preoccupò Marlene, nonostante la sua stretta di mano fosse salda e sicura.
«Sto bene, geostigma a parte.» sorrise il giovane, tentando di sdrammatizzare la sua situazione.
 
Ne aveva passate tante, il geostigma non era che la sua ultima fatica, eppure nonostante tutto non aveva ancora smesso di sperare. Probabilmente era merito di questa sua forza interiore se il lupo non aveva effetto su di lui. Nonostante tutto, non aveva alcun rimpianto. Anche Marlene non ne aveva, tranne quello forse di non aver mai conosciuto i suoi genitori, ma Tifa e Barret erano stati bravi, perciò quando il lupo cantava ciò che sentiva era solo una punta impercettibile di tristezza, non sufficiente ad intaccare il suo sorriso dolce.
Denzel poi, anche se era arrivato da poco, era diventato come un fratellino maggiore, capace di darle forza. Si sentiva al sicuro quando c'era lui, e durante le sue crisi, quando il geostigma aveva il sopravvento, la piccola rimaneva al suo capezzale per tutto il tempo aspettando che la tempesta passasse.
Lui dal canto suo, era grato di aver trovato una sorellina così premurosa. Aveva cambiato più volte il suo status, da quando era nato. Prima figlio dell'upset, poi orfano dei bassifondi e ora era stato con loro. Tutto ciò che aveva vissuto gli aveva fatto capire che per ogni giorno di felicità doveva esser grato al cielo, perciò anche se la malattia lo stava divorando, era grato a Cloud per averlo trovato e a loro per averlo accettato senza troppi ripensamenti. Era arrivato al punto di voler fare qualcosa per ricambiare, ma non sapeva cosa. Era fiducioso però che prima o poi il destino gli avrebbe dato la risposta, se fosse stato abbastanza sveglio da coglierla.
 
«Hey, voi due.»
 
La voce di Barret li risvegliò. Si voltarono e lo videro sorridere loro. Non era un sorriso sereno, forse il lupo aveva influito anche su di lui, ma gli adulti cercavano sempre di non darlo a vedere, chissà perché.
 
«Andate di sopra, mentre io chiudo il bar, forza. Tifa ... si è sentita poco bene.» rivelò, impacciato.
 
Entrambi si alzarono, preoccupati.
 
«Cos'ha avuto?» chiese Denzel, ma non ottenne risposta.
«Su, su. Svelti.» li incoraggiò l'uomo «Marlene, aiutami a servire gli ultimi clienti. Denzel, tu inizia a pulire. Te la senti?»
 
Il ragazzo annuì, sorridendo. Tanto insistere non avrebbe portato a nulla.
 
\\\
 
Bassifondi settore 7
Ore 20:20
 
Assorto nel buio e nella pace della piccola chiesa, disteso al centro del piccolo prato fiorito che dominava il centro della navata, proprio di fronte all'altare, con gli occhi pieni di lacrime Cloud Strife fissava il cielo di latta di sé, nella mente mille domande e sul cuore un fardello troppo pesante per una persona sola.
Da quando Victor Osaka si era fatto risentire, lui sembrava essersi paralizzato. Non era paura, almeno non credeva, ma quel lupo continuava ad ululare e lui aveva troppi scheletri nell'armadio per ignorarlo.
Il rimpianto di non aver potuto salvare Zack e Aerith quando aveva potuto, il rimorso di aver mentito per tutto il resto della sua vita da mediocre, quello di non aver soccorso Elmyra, o almeno averci provato, anche se fosse stato troppo tardi. Ma soprattutto il rimorso verso la sua indifferenza, che ora più che mai sembrava prevalere. Uno scudo o una scusa, qualsiasi cosa fosse era ben radicata e una parte di lui ci stava bene, mentre l'altra lottava per riuscire a sconfiggerla. Per ora, e questo era un altro rimorso, stava vincendo la prima.
Non gli era mai importato più di tanto, ma ora Tifa e gli altri ... si ritrovò a pensare anche a loro, a pensare che non era stato in grado nemmeno di esserci ora.
E come se non bastasse, Sephiroth tornò a tormentarlo.
 
«Finalmente ti stai rendendo conto di ciò che sei. Una nullità. Un burattino che non può far altro che eseguire gli ordini. Come ti senti? Ora che non ne hai, perché non fai di testa tua? Forse perché non ci riesci ...»
 
Ridacchiò maligno, e le labbra del biondo si piegarono in una smorfia addolorata.
 
«Sta zitto ...» mormorò strozzato, un filo di voce.
 
Ma della solita sfrontatezza che lo aveva portato ad essere colui che aveva sconfitto la sua parte peggiore non vi era traccia.
"Forse non tutto è perduto, forse posso ancora rimediare." pensò, in un momento di lucidità, ma il lupo tornò a cantare e tutto s'infranse. Tutto il lavoro che aveva fatto su di sè, vanificato da un singolo ululato.
No, non poteva.
"Non sono un eroe, non lo sono mai stato. Quello era Zack, non io. Zack ..."
E in silenzio, arrendendosi, ricominciò a piangere.
Fino anche il trillo del telefono non gli impose di riaversi.
 
\\\
 
Denzel e Marlene avevano trascorso il resto della giornata a cercare di risollevare il morale a Tifa, e in buona parte ci erano anche riusciti coinvolgendola in scherzi e giochi da tavola.
Dopo cena però il ragazzo si era sentito di nuovo male, e tutti si erano di nuovo dovuti prendere cura di lui.
Alle dieci di sera erano già tutti a letto, distrutti da quella giornata sfiancante, e nonostante il lupo continuasse la sua nenia, i grande erano comunque riusciti ad addormentarsi.
Marlene invece continuava a guardare Denzel dormicchiare nel letto affianco al suo. Aveva la febbre, anche se ora si era abbassata. Ed era molto debole.
La piccola stava per addormentarsi quando un bisbiglio la scosse.
Vide il ragazzo guardarla e farle segno con la mano di avvicinarsi, obbedì senza pensarci.
 
«Prendi il telefono di Tifa e chiama Cloud.» gli disse sottovoce «Fagli sapere che sono peggiorato.»
 
Marlene sgranò gli occhi, inorridita.
 
«Ma non è vero.» mormorò preoccupata.
 
Denzel sorrise, annuendo e accarezzandole una mano da sotto le coperte.
 
«Lo so, ma forse così verrà. Tifa ha bisogno di lui.» le disse, e a quel punto la piccola si convinse.
 
Si avvicinò di soppiatto al comodino della donna, prese il telefonino e uscì dalla stanza.
La prima chiamata andò a vuoto, così come la seconda e la terza. Alla fine, in un ultimo disperato tentativo, decise di lasciargli un messaggio in segreteria sperando avesse almeno il tempo per leggerlo.
 
\\\
 
Il giorno dopo ...
 
Il 7th Heaven era vuoto, causa la chiusura anticipata decisa da Barret. Denzel stava meglio, così verso l'ora di punta lui e Marlene decisero di tornare sulla gradinata ad attendere. Mezzogiorno passò senza novità, così come il pomeriggio, mentre loro discutevano sull'esito più o meno positivo della loro missione.
Denzel era più ottimista, mentre Marlene un po’ iniziava a disperare.
Calò la sera, e proprio quando stavano per rientrare, il rombo di una moto richiamò la loro attenzione.
Si voltarono e finalmente videro il tanto atteso ritorno.
Cloud fermò il veicolo a pochi centimetri dalla breve scalinata e tolse gli occhiali, guardandoli stupito. Quel ragazzo non doveva essere a letto?
Marlene e Denzel urlarono entusiasti il suo nome e corsero ad abbracciarlo.
Li lasciò fare senza troppo entusiasmo.
 
«Ti sei ripreso?» chiese al ragazzo, un po’ contrariato.
 
Denzel sorrise.
 
«Scusami, ma era l'unico modo per farti tornare.» si schermì «Tifa sta male, è a causa del lupo.»
 
Un ululato profondo squarciò il silenzio della notte. Cloud rabbrividì.
Che lei lo sapesse o meno, sarebbe stata una bella fatica farsi perdonare il ritardo, ora.
 
\\\
 
«Tifa...»
 
Per un istante, assorta nei suoi pensieri a fissare il buio oltre la finestra, sentendo quella voce chiamarla la ragazza credette di aver appena assistito ad un'allucinazione, la prima di tante.
Invece voltandosi vide quegli occhi azzurri infusi di mako fissarla nella luce che proveniva dal corridoio fuori dalla porta, e le lacrime iniziarono a sgorgare senza che potesse controllarle.
Il primo istinto fu quello di correre ad abbracciarlo, ma usò tutto il suo autocontrollo per non farlo.
 
«Sei tornato, finalmente.» mormorò, in quello che Cloud percepì come un leggero tono di accusa.
«Tardi, lo so.» replicò abbassando il capo «Scusami.»
 
Tornò a guardarla, sforzandosi di sorridere.
Ma l'atmosfera era tesa. Come sempre con lei, tuttavia quel lupo l'aveva innervosita ancor di più.
 
«Sei tornato ... per me, o per Denzel?» si sentì chiedere.
 
Non seppe cosa rispondere, quindi tacque. La verità sarebbe stata troppo dura, una bugia troppo evidente.
La vide farsi ancor più seria e domandare, come se volesse dargli un ultimatum.
 
«L'hai fatto per Aerith, vero? È per lei che lo hai portato qui.»
 
Sospirò.
 
«Sei stanca. Ne riparliamo.» risolse, e stava per andarsene ma lei lo bloccò.
«No, Cloud. Basta scappare!» sbottò «Aerith non c'è più, ma noi si. Noi ... possiamo combattere insieme se solo tu volessi. Perché non ce lo permetti? Pensi di poterlo evitare in eterno?»
 
Si voltò a guardarla. Era in lacrime, tremava, e quando proprio in quell'istante il lupo cantò di nuovo esplose in lacrime, cadendo in ginocchio e prendendosi il volto tra le mani.
Accorse a soccorrerla, ma fu respinto.
 
«Sono stanca di aspettarti. Se vuoi davvero aiutarmi, resta.» gli disse, prendendogli le mani «Combattiamo insieme, Cloud. Come l'ultima volta.»
 
Il biondo abbassò lo sguardo. Peccato che le cose fossero molto diverse dall'ultima volta.
 
«Tifa ...» mormorò, ma lei lo prevenne.
«Lo so. Lo sappiamo tutti, Victor ti sta cercando. È opera sua questa, vuole vendetta.»
 
All'improvviso quella consapevolezza gli fece quasi paura.
 
«Per questo non posso restare.» le disse, ma lei sorrise.
«Ma sta cercando anche noi.» disse «Abbiamo sconfitto Sephiroth insieme, quindi adesso non è più solo una questione tra voi due. Ci siamo dentro tutti.» gli fece notare.
 
Dietro di loro, Barret s'intromise.
 
«Tifa ha ragione, Cloud.» gli disse «La battaglia non è ancora finita. L'abbiamo iniziata insieme, e insieme dobbiamo vincerla.»
 
Erano soli. I due bambini erano rimasti al piano di sotto con Cid e Shera, ormai ospiti abituali nonostante avessero ottenuto una casa loro a pochi isolati da lì.
Strife rimase per un istante in bilico, poi però si convinse fosse la soluzione giusta.
 
«Resterò.» decise.
 
Ma non aveva alcuna intenzione di combattere. Non contro Victor Osaka. Non più.
 
***
 
Se Edge era la rinascita, la città ai suoi piedi erano le vecchie ceneri dalla quale la popolazione stava cercando di riemergere, con molta fatica.
Midgar era buia e silenziosa, spettrale. Lì dove prima c'erano insegne accese e un via vai di persone intente a vivere la vita notturna, ora c'erano solo ombre e fantasmi.
La Midgar che aveva conosciuto e vissuto Victor Osaka non esisteva più. Rimanevano le strade e gli scheletri dei palazzi. Primo fra tutti, ancora incombente nonostante fosse stato spezzato e privato della sua maestosa cupola, il quartier generale della Shinra.
In silenzio, con passo deciso, Osaka guidò i suoi fratelli lì dove gli altri non osavano avventurarsi, perché le radiazioni dei reattori fuori uso erano ancora alte e soggiornarvi anche solo una notte significava andare incontro a una morte lenta e atroce.
Seguendo una via alternativa scesero fin dentro le viscere, nel mercato dei bassifondi, li dove ancora chiusa con un pesante catenaccio rimaneva quasi intatta la sua vecchia palestra.
Il mercato sembrava un vecchio circo in decadenza, la palestra spiccava ancor di più in quel grigiore, tra macerie e gli scheletri delle vittime del disastro, come una fortezza inespugnata.
Nessuno aveva pensato di saccheggiarla, perciò dopo aver fatto saltare il catenaccio con un colpo di pistola all'ex first class non restò che entrare e dirigersi sicuro verso il grande baule in fondo alla sala, mentre i suoi fratelli si guardavano intorno stupiti e affascinati.
 
«Quindi è qui che ti allenavi?» chiese Loz «Ci sono un sacco di giocattoli.» ridacchiò, guardando il manichino vestito da fante al centro dell'arena.
 
Il loro Niisan tuttavia si limitò ad un leggero sorriso per sciogliere la tensione che aveva sul volto.
Kadaj lo osservò tirar fuori dal grosso baule uno alla volta con espressione seria dei sacchetti chiusi con un laccio. Aveva perso il sorriso da prima del loro arrivo in città, nell'esatto momento in cui si erano fermati ad osservarla dall'altopiano che la circondava.
Nel silenzio, aveva visto il suo Niisan combattere contro le lacrime e rivestire il suo volto con una maschera inespressiva. Ora notò che le sue mani tremavano leggermente.
 
«Victor ...» lo chiamò, riuscendo a farsi rivolgere uno sguardo quasi supplicante.
 
"Non ... chiedermi di parlare."
Non lo fece, stringendo i pugni e rispettando quel momento. Ci pensò Yazoo, seppur inconsapevole, a dargli l'occasione di pensare a qualcosa di più "piacevole".
 
«Quindi li porteremo qui?» chiese.
 
L'ex first class scosse il capo.
 
«Questa zona è troppo difficoltosa da raggiungere con un ostaggio, e le radiazioni li ucciderebbero prima di aver concluso il lavoro.» spiegò «Dovremmo trovare un'altra sistemazione al di sopra del piatto.»
«Ci penseremo noi.» si offrì volenteroso Kadaj.
 
Victor gli sorrise e annuì.
 
«Trovatela e portateci quei cani schifosi. Io ...» si prese un istante, sospirando profondamente «Ho qualcosa da fare, prima.» concluse torvo, attirando su di sé gli sguardi preoccupati dei suoi tre fratelli.
«Sicuro non vuoi che veniamo con te, Niisan?» fece il più piccolo.
 
Lui scosse il capo, serio.
 
«È una cosa che devo fare da solo.» rispose.
 
Certi incubi meglio affrontarli faccia a faccia senza interferenze.
 
\\\
 
Nonostante il disastro, la strada era rimasta intatta, o forse era lui a ricordarsela ancora bene, dopo tutto quel tempo.
I lampioni erano spenti e i palazzi sventrati, sull'asfalto scintillavano cupi, alla luce di una mezzaluna coperta da qualche nuvola passeggera, i resti dei vetri di qualche finestra e ogni tanto, qua e là, spuntava lo scheletro di un qualche animale randagio.
La desolazione ed il silenzio erano tali che per un breve istante sperò di non trovare più nulla, perché farlo avrebbe significato rivedere la morte in faccia.
Invece il palazzo si ergeva ancora alto in mezzo agli altri, in piedi come un reduce che aspettava il suo ritorno.
Era quasi ... una macabra allegoria della sua vita. Ma non era l'unico ad attendere.
Restò in piedi di fronte a quella che una volta era stata la sua casa, sua e della sua nuova famiglia, ricordando i momenti belli vissuti con loro. Fino a quando una voce fin troppo familiare lo riscosse, alle sue spalle, inducendolo per un istante a pensare che tutto questo non fosse altro che l'ennesimo incubo.
Suo padre. Era lì, di fronte a lui, e gli sorrideva.
Rimase senza fiato, chiedendosi come fosse possibile. Non era … lui … lui non poteva vederlo, era un maledetto. Controllò il suo polso, il marchio c’era ancora. Eppure uno spettro era proprio lì, di fronte a lui.
 
«Papà ...» mormorò, la voce pericolosamente incrinata.
 
Gli occhi si riempirono di lacrime, l’immagine del fantasma di suo padre fu offuscata dal suo sgomento.
Questi lo guardò con tenerezza, allargando appena le braccia.
 
«Sapevo che prima o poi saresti tornato.» disse «Bentornato a casa, figliolo.»

 
   
 
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