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Autore: Myriru    07/05/2021    1 recensioni
Ispirato al secondo racconto del ciclo "Lady Oscar – Le storie gotiche: Il figlio del generale Jarjayes?!"
Dal testo:
«Il mio nome è Maurice. La mamma mi ha detto di venire qui da voi, padre, e di chiedervi se potete prendervi cura di me. Ha detto che voi avreste capito... sono state le sue ultime parole prima di morire »
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Generale Jarjayes, Madame Jarjayes, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il cavallo correva veloce nella notte, il vento freddo contro il viso e nella mente un solo pensiero: arrivare in tempo.
Non se lo sarebbe mai perdonato.
Quando aveva avuto tra le mani quel pezzo di carta era rimasto per un attimo confuso da quelle parole e lo aveva riletto più volte, ma quando aveva ricevuto la notizia era corso a prendere il suo cavallo con il cuore che batteva come un forsennato nel petto, così tano da fargli male.
Ti prego… fa che non sia troppo tardi
Una lacrima gli rigò il viso ma fu subito raccolta dal vento, incitò ulteriormente il cavallo a correre il più veloce possibile.
Eccolo in lontananza Palazzo Condè e si sentì sollevato. Quando si trovò in vicinanza del cancello, però, lo trovò sfondato, e i due uomini che ne facevano da guardia pestati a sangue, uno di loro aveva un coltello conficcato nella gola.
Impallidì di colpo, spaventato da quella violenza e scese dal cavallo, legando le redini accanto ad un albero del giardino antistante l’ingresso del palazzo. Anche quella porta era stata forzata, un’atmosfera tetra regnava l’intero edificio e sperò di essere solo. Si girò più volte alla ricerca di qualcuno ma la luce della luna non era sufficiente e camminò verso il piano superiore, alla ricerca di lei.
«Oscar?! Oscar! »
Era tutto sottosopra, avevano preso tutto? Com’era possibile? Non si sentiva nessun rumore se non i suoi passi sul marmo del pavimento e la sua voce chiamare disperatamente qualcuno. Non rispondeva nessuno. Arrivato davanti alla camera da letto padronale, anche quella forzata, gli bastò una piccola spinta per farla quasi cadere a terra e una polvere si alzò per tutta l’aria, facendolo tossire.
«Oscar! »
La chiamò di nuovo ma nulla, ancora il silenzio. I vetri delle finestre erano quasi del tutto rotti, in alcuni poteva vedere chiaramente il foro dei proiettili e il panico iniziò ad invaderlo tutto, le mani iniziarono a tremargli e la fronte a sudare freddo.
C’era un’aria fredda che invadeva tutto il palazzo.
«Va tutto bene… dev’esserci una spiegazione… non possono… essere arrivati prima di me… lei è salva… »
Fece ancora qualche passo, sentiva il rumore dei vetri rompersi sotto i suoi piedi e si guardò in giro alla ricerca di qualcosa, di qualche segno di vita, ma nulla. Ancora nulla.
Calpestò qualcosa di duro, non vetro, allontanò il piede e si chinò a raccogliere qualcosa che quei maledetti ladri si erano lasciati scappare, era una collana di perle. La sua, quella che le era stata regalata il giorno delle nozze. La strinse tra le mani e continuò a cercare tra le tende strappate e accasciate a terra, i mobili spostati e distrutti a terra, i libri, i materassi ma niente. Corse anche nelle cucine e le trovò anche quelle vuote e in disordine, non si erano lasciati scappare nulla. I cadaveri di alcune cameriere, del cuoco e del maggiordomo gli si palesarono davanti non appena provò ad andare verso l’ala della servitù.  
Niente.
Non c’era più nulla.
Notò fuori al giardino un falò e dei libri mantenerlo vivo, forse qualche stoffa ma da lontano non vedeva di più.
Tornò di nuovo sopra, nello studio e trovò difficile aprire la porta, forse era stata bloccata da dentro, ma con qualche piccolo sforzo riuscì ad aprirla, anche lì tutto in disordine, altri cadaveri.
Con le spalle curve e il viso provato uscì nel giardino, passando davanti le stalle vuote, e osservò il fuoco che illuminava dannato il retro del palazzo, c’era puzza di bruciato, puzza di carne bruciata.
Ed eccoli i quadri della famiglia Condé bruciare, insieme ai vestiti di seta e i merletti, cuffie e tutto quello che poteva prendere fuoco.
Cadde in ginocchio, con gli occhi sgranati. Riconobbe una stoffa, poco lontana dal focolare e la raccolse tremante. Ancora lei, una camicia di seta bianca, macchiata di sangue e strappata sul petto.
«No… non può essere… non è p-possibile io… »
La strinse al petto e questa volta non trattenne le lacrime.
«Le stalle. Erano vuote… qualcuno si è salvato… deve essere per forza così. Devo - deglutì, passandosi una mano sulla fronte - devo andare a palazzo Jarjayes… forse… è andata lì mentre la raggiungevo »
Si alzò barcollando, confuso e per un attimo speranzoso e corse verso il cavallo, liberandolo dal ramo dell’albero e salì in groppa, con destinazione palazzo Jarjayes.
Non aveva mai avuto così tanta paura come in quel momento, era sicuro che prima o poi il suo cuore sarebbe esploso o che avrebbe perso il senno. Di nuovo il pizzicore agli occhi, non poteva lasciarsi andare alla disperazione ora, c’era ancora un briciolo di speranza.
La sagoma del palazzo in lontananza, sembrava tutto tranquillo avvolto nel cuore della notte. Pensò a quello che aveva visto fino a pochi minuti prima e scosse il capo. Il cancello era chiuso e fu aperto appena lo notarono e accelero il galoppo, cadde quasi da cavallo per poter entrare nel palazzo e crollò di nuovo in ginocchio, distrutto per la fatica e le forti emozioni che gli avevano reso le gambe molli e il respiro affannoso.
«Dov’è? »
Chiesi al maggiordomo che, svegliato dal trambusto che aveva creato, si era recato subito insieme alla governante all’ingresso accanto all’uomo.
«Ho detto… DOV’È?! »
«Cos’è tutto questo baccano? »
La figura del generale Jarjayes comparve da sopra le scale, pochi passi più dietro la moglie. Deglutì e i suoi occhi incontrarono quelli del generale.
«Dov’è Oscar? »
«Prego? »
«Non me lo fate ripetere, generale »
Il suo sguardo ora era freddo, tutto d’un tratto la disperazione aveva lasciato il suo posto dando spazio alla rabbia. Strinse le mani in un pugno e trattenne il fiato, guardò il generale dritto negli occhi e lui fece lo stesso, avevano gli stessi dannatissimi occhi.
«Come osate venire a casa mia in piena notte? »
«Voi rispondete alla mia domanda »
«Non so dove sia Oscar, duca. Perché siete qui? Non dovreste essere a Parigi? »
«Hanno saccheggiato il mio palazzo e ucciso la mia servitù, ho bisogno di sapere che mia moglie è viva e al sicuro da voi, perché le stalle del mio palazzo sono vuote e quindi deduco che qualcuno si sia potuto salvare »
Il volto del generale impallidì, così come madame che, invecee, svenne quasi tra le braccia del marito e la servitù ormai sveglia si mobilitò per aiutarla. Il duca rimase in silenzio fermo dove era rimasto per parlare al generale e capì, senza forse neanche più respirare. Lo capì subito dall’espressione del generale che non stava mentendo. Chiuse gli occhi.
Ora era tutto ovattato intorno a lui, non voleva sentire più nulla e non sentiva più nulla, ne voleva guardare quello che accadeva intorno a lui. Si sentì scuotere e aprì gli occhi, quasi come risvegliato da un sogno e rivide il cognato Maurice scuoterlo, sconvolto e con le lacrime agli occhi.
«Non è vero. Quello che avete detto non è vero! Mia sorella non è morta! Lei non lo avrebbe mai permesso! Lei non- »
Il duca cacciò dalla tasca della sua divisa la collana che aveva raccolto nella loro camera da letto e Maurice sgranò gli occhi, fermando le mani a mezz’aria.
«Questa… dove? »
«A palazzo »
Rispose lui con voce atona e il ragazzo la prese, guardandola sconvolto. Altre lacrime rigarono il viso del ragazzo e anche lui, un po’, si lasciò andare.

«Come sta madame? »
«È ancora addormentata, la notizia l’ha sconvolta parecchio, ha sconvolto tutti in realtà »
«Il nipote della governante ieri sera ha raggiunto il palazzo del duca perché la duchessa l’aveva chiamato. Ho paura che anche lui sia stato coinvolto »
«Sempre se non è stato lui a condurli a quel palazzo, vi ricordo che André ha sempre amato quella donna, forse era geloso »
«Così tanto da ucciderla?! Spero tu stia scherzando! Povera donna, comunque, Marron. Dopo il figlio e la nuora ha perso anche il nipote… che destino crudele »
Maurice abbassò il capo e continuò a camminare per i corridoi del palazzo cercando di evitare le cameriere in lacrime, i dottori che si occupavano di madame e le malelingue che, nonostante tutto, non mancavano mai. Guardò la collana che il cognato gli aveva dato e ricordò il momento in cui, qualche ora prima, il duca era andato via senza neppure avvertire il generale e comprese che forse, quello, sarebbe stato l’ultimo momento in cui lo avrebbe rivisto, vivo.
Sospirò.
Incrociò lo sguardo della governante per le scale e sentì un nodo alla gola. Forse anche lei, quella notte, aveva perso un caro come era capitato a lui e se ne dispiacque. Quando lei lo notò gli sorrise, posando una mano sulla sua spalla e Maurice accennò un piccolo sorriso, confortato dalla figura quasi materna della governante.
Poi, d’improvviso, si avvicinò al suo orecchio e Maurice rimase fermo, stupito e il viso impallidì.
«Oscar e André sono salvi »

   
 
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