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Autore: Valentyna90    09/05/2021    1 recensioni
Alya Merope Black è la sorella gemella di Sirius. Ha vissuto con lui e con il fratellino Regulus gli anni dell'infanzia a Grimmauld Place, sotto la severa educazione impartita da Orion e Walburga Black, i loro inflessibili e orgogliosi genitori.
Sotto l'influenza dei rigidi dettami della sua famiglia, Alya Merope cresce come degna erede della Casata dei Black, fiera e vanitosa delle sue origini; tutto il contrario di suo fratello gemello Sirius, che le rigetta con disprezzo. Insieme, i due gemelli entreranno a Hogwarts, ma vivranno vite separate. Sirius sarà un Grifondoro, Alya Merope una Serpeverde. Un perenne velo di sdegno e indifferenza li separa.
Ma nella vita della giovane Black c'è dell'altro. Un potere arcano e sconosciuto, che nemmeno lei sa comprendere. La sua mente funziona diversamente rispetto a quella dei suoi coetanei. Soprattutto nei sogni. Qui, in questa parte sospesa dell'esistenza, dove tempo e spazio, realtà e finzione si confondono, la coscienza di Alya Merope viaggia, apprende, conosce. Ma sempre inconsapevole.
Quale sarà il destino della giovane maga?
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Merope Gaunt, Nuovo personaggio, Orion Black, Regulus Black, Sirius Black
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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LITIGI E LAPIDI

 

Giugno, 1975. Hogwarts.

 

I giorni si susseguirono tranquilli e ben presto anche il quarto anno di Alya ad Hogwarts terminò. Come sempre, i voti finali di Alya furono eccellenti in quasi tutte le materie. A eccezione di Pozioni, la materia che Alya più detestava in assoluto. Purtroppo per lei, era l’unica in famiglia ad essersi dimostrata così negata nella materia; sia suo fratello gemello Sirius che Regulus erano soliti portare a casa ottimi risultati, senza il benché minimo sforzo. Entrambi, infatti, erano riusciti ad entrare nelle grazie del pomposo professor Lumacorno, docente di Pozioni e responsabile della Casa di Serpeverde, accedendo così all’ambito Lumaclub, una specie di circolo esclusivo formato dagli alunni più promettenti e apprezzati dall’insegnante. Durante l’anno scolastico, Lumacorno aveva l’abitudine di organizzare piccoli eventi serali, riunendo i suoi protegés in piacevoli cenette private. Regulus riceveva regolarmente gli inviti da parte dell’insegnante, almeno un paio di volte al mese, e non mancava occasione per prendervene parte. Dai suoi racconti, pareva che anche Sirius si presentasse di tanto in tanto – anche se Alya sospettava che non fosse tanto per suo piacere personale, quanto più una strategia per accaparrarsi il più possibile le simpatie del professore, il quale aveva una certa inclinazione a voler difendere i suoi favoriti. Dal momento che Sirius si cacciava spesso nei guai, avere un membro del corpo docente della scuola dalla sua parte poteva essere un ottimo vantaggio.

Alya non era mai stata invitata alle serate del professor Lumacorno. Neppure una volta. Evidentemente, i suoi esiti a Pozioni erano troppo scarsi per essere notata positivamente. Nemmeno il buon nome della famiglia Black riusciva a sopperire alle sue carenze scolastiche. Nel corso degli anni, Alya si era impegnata il più che poteva durante quelle noiosissime e orripilanti lezioni, immersa in fumi puzzolenti e liquidi dai colori inquietanti. Fu tutto inutile: Pozioni era il suo tallone d’Achille.

Per questo motivo, man mano che si avvicinava l’ultimo giorno a Hogwarts del suo quarto anno scolastico, Alya si sentiva sempre più oppressa dall’idea di ritornare a Grimmauld Place. I suoi genitori, altezzosi e così attenti a mantenere intatta la buona immagine della famiglia Black, non avrebbero gradito sapere che la loro figlia era stata nuovamente esclusa da un circolo esclusivo. Ciò che Alya temeva maggiormente, erano le ramanzine di sua madre, tutt’altro che comprensiva. Di sicuro le avrebbe rammentato il suo ruolo come discendente di una delle più antiche prestigiose famiglie nel mondo magico, la sua responsabilità di tenere alto il nome della stirpe dei Black e quanto fosse riprovevole il suo fallimento in una materia così elementare come Pozioni.

L’ultima sera a Hogwarts, dopo il Banchetto d’Addio, Alya fu perseguitata dalla vocina assillante di sua madre, che la definiva il disonore della famiglia, per tutto il tempo in cui preparò i bagagli. La vocina si era fatta così insistente, che per un momento Alya temette che Walburga fosse davvero nella sua stanza del dormitorio, dietro le sue spalle. I rimproveri della madre non si placarono nemmeno durante la notte, tormentando i sogni di Alya anche mentre dormiva. Il mattino seguente, la ragazza si svegliò già stanca, come se non avesse dormito per niente, di pessimo umore e con un grande peso che le gravava sullo stomaco. Non c’era nulla al mondo che detestava quanto essere fonte di delusione per i suoi genitori.

Quando Alya salì sul treno, scarlatto e brillante, il suo umore non migliorò. Anzi, parve pure peggiorare. Si rintanò in uno scompartimento vuoto, con l’intenzione di starsene isolata per il resto del viaggio. Alya era fatta così: quando qualcosa la faceva sentire insicura, cercava di porre quanto più distanza possibile tra lei e il resto del mondo. Nessuno aveva il diritto di prendere parte alla sua vulnerabilità. Ogni volta che uno studente tentava di entrare nel vagone, Alya prontamente mentiva asserendo che tutti i posti erano occupati, invitando il malcapitato di cercare altrove. Se qualcuno osava mettere in dubbio la sua parola, guardando di sbieco l’assenza di bagagli nell’apposito ripiano, Alya lo fulminava con il suo sguardo più minaccioso. Questo, in aggiunta alla sua fama come ottima lanciatrice di incantesimi, nonché la più veloce, bastava per far desistere anche l’alunno più caparbio.

Per un’ora intera del viaggio, Alya riuscì a godersi una solitaria tranquillità, fino a quando la porta scorrevole dello scompartimento non si aprì di nuovo con un sonoro scatto. Alya era sul punto di aggredire verbalmente il disturbatore di turno, ma quando si accorse che si trattava di suo fratello Regulus, si morse la lingua. In quei momenti di umore cupo, Regulus era l’unica persona che Alya riusciva a sopportare. Il giovane Black si accomodò senza troppi ringraziamenti nel sedile di fronte alla sorella, la quale lo accolse con un serrato mutismo. Si limitò ad affondare il suo naso dritto ed elegante, come quello di sua madre, tra le pagine di un libriccino, sfilato a caso dalla sua borsa, intitolato Antiche leggende del popolo dei Goblin. Ostentò un profondo interesse nelle pagine che le scorrevano davanti agli occhi, sfogliandole con accurato e studiato tempismo, per dare l’impressione che stesse leggendo veramente. In realtà, Alya non aveva nessuna intenzione di perdere il suo tempo in una lettura simile. Il suo unico scopo era avere un buon pretesto per non conversare con nessuno, nemmeno con suo fratello minore. Da parte sua, Regulus rispettò l’assenza di loquacità di sua sorella e incollò lo sguardo, attento e di un grigio scintillante, sul paesaggio in movimento che fluiva oltre il vetro del finestrino. Uno sgargiante sole estivo illuminava mari d’erba verde rigogliosa, sovrastati dall’azzurro limpido del cielo. Il tempo caldo e vivace sembrava farsi beffe del tetro umore di Alya.

Passò un’altra mezz’ora e Regulus decise d’affrontare una conversazione. Il viaggio era ancora lungo e quel silenzio forzato cominciava a diventare pesante.

“Ti stai preoccupando per niente.” disse il ragazzo, scostandosi con gesto raffinato una ciocca di capelli scuri che gli ricadeva sul viso.

Alya non mosse gli occhi dal suo libro, incollati imperterriti alle pagine.

“Non so di cosa parli, Reg.” mentì altezzosa.

Ma Regulus conosceva troppo bene sua sorella. Sapeva su cosa la sua mente si stava lambiccando con ferocia.

“Mamma e papà non daranno alcun peso ai tuoi voti in Pozioni e non ti rimprovereranno per non essere entrata nelle grazie di Lumacorno.” insisté Regulus con fermezza.

Alya chiuse rumorosamente il libriccino.

“A mamma e papà importa eccome! Ma per te è facile. Sei il cocco del professore!” sbottò brusca. Come sempre, Regulus aveva centrato il nocciolo della questione.

“Te lo ripeto. Nessuno di loro due ci farà caso. Fidati.” asserì, con l’espressione di chi la sapeva lunga.

“Sai qualcosa che io non so?” domandò Alya, guardandolo con occhi stretti.

“Diciamo che l’altra sera ho chiacchierato con Lumacorno…”

“Pfui! Il vostro stupido circolo esclusivo.” sbuffò Alya sprezzante. Regulus la ignorò.

“...e mi ha – involontariamente – rivelato che il nostro amato fratello Sirius si è cacciato spesso nei guai quest’anno. La lista delle punizioni sembra essere assai lunga.” spiegò con aria compiaciuta.

“Sembra che siano state inviate alcune lettere da parte del corpo docenti ai nostri genitori in cui spiegano la mancanza di disciplina di Sirius...Mi sembra di sentire già le urla di nostra madre!” sorrise maligno Regulus.

“E Lumacorno ti ha raccontato tutte queste cose...involontariamente?”

“Bè, il professore ha la tendenza a lasciarsi andare in confessioni quando alza un po’ il gomito. E io non mi sono preso la briga di interrompere la sfilata dei suoi bicchierini. Alla fine della serata si è pure raccomandato di dare una mano a nostro fratello. Secondo lui, la mia buona condotta potrebbe essere un ottimo esempio per Sirius e come suo fratello minore ho la responsabilità di sostenerlo e di aiutarlo per farlo diventare un grande mago, degno di rispetto, quale è destinato a essere.” aggiunse Regulus, imitando il tono pomposo del professore di Pozioni.

Ora fu il turno di Alya a sorridere beffarda. Scoppiò persino in una risatina di scherno, priva d’allegria.

“Quello stupido tricheco baffuto! Non ha capito nulla di Sirius. E nemmeno della nostra famiglia.” constatò con voce amara.

“Ci aspetta un’estate movimentata, temo.” Regulus emise un lungo sospiro rassegnato, prima di tornare ad osservare con sguardo assente il paesaggio che scorreva veloce oltre il vetro.

Alya smise definitivamente di far finta di leggere il libriccino sulle leggende del popolo dei Goblin e si unì al fratello nel guardare distrattamente fuori dal finestrino. Nessuno dei due parlò più per quasi tutto il resto del viaggio, rimuginando ciascuno sulle complicate dinamiche della loro altolocata famiglia. Alya, in particolare, pensò a quanto fosse stupido suo fratello Sirius a comportarsi in modo così inopportuno, rischiando di minare il buon nome dei Black. Ma, probabilmente, era proprio quello il suo scopo.

 

***

 

Inizio di luglio, 1975. Grimmauld Place.

 

Al civico numero dodici, accuratamente celato da potenti incantesimi tra le sporche pareti dei numeri undici e tredici, Alya e Regulus si godevano un pigro pomeriggio estivo, poltrendo nel loro salotto. Le lunghe tende, nere e pesanti, che coprivano la alte vetrate della stanza, erano state tirate tutte da un lato in modo da permettere alla luce del sole di entrare e inondare l’ambiente con il suo calore. Il maestoso pianoforte, laccato di nero, brillava sfavillante, come una grossa pietra di onice, al centro della sala. Regulus sedeva dietro di esso, le sue dita delicate ed eleganti quanto quelle di sua madre, erano intente a suonare una melodia dalle note malinconiche che ricordavano una canzone per bambini. Alya lo ascoltava distratta, distesa fiacca sul divano, il viso rivolto verso l’intricato albero genealogico che serpeggiava tronfio sull’antico arazzo di famiglia, appeso ad una delle quattro pareti. La ragazza riconobbe subito le note intonate dal fratello: si trattava del motivetto per bambini in lingua francese, che Walburga aveva insegnato a entrambi alcuni anni prima. Per Regulus era diventata una piacevole abitudine strimpellare le note malinconiche della canzone insegnatagli dalla madre, nei suoi momenti di pigro svago. Come sempre, Sirius mancava all’appello, rinchiuso nella sua stanza, in punizione. Come aveva giustamente predetto Regulus, durante il viaggio di ritorno da Hogwarts, non appena Sirius aveva varcato la soglia di casa, sua madre Walburga lo aveva quasi aggredito, inorridita e furiosa per via di tutte le lettere ricevute dalla scuola che la informavano della cattiva condotta del figlio. Loro padre, Orion Black, uomo distante e rigoroso, aveva optato per una reazione più silenziosa, ma non meno crudele. Aveva deciso di ignorare completamente Sirius, primo erede del suo nome, trattandolo alla stregua di un qualsiasi mobile d’arredamento. Quell’atteggiamento sovversivo e da ribelle, era da considerarsi indegno di qualsivoglia attenzione. Da quel momento in poi ogni riguardo, lode e considerazione furono riservati esclusivamente a Regulus, il cui comportamento decoroso lo faceva apparire agli occhi del padre l’unico vero e degno discendente della nobile stirpe dei Black.

Il gravoso compito di arginare i danni causati da Sirius fu, quindi, lasciato nelle mani di Walburga, la quale si vide costretta – anche se per niente dispiaciuta – a inasprire le punizioni da infliggere al figlio maggiore. La vita di Sirius in Grimmauld Place non differiva molto da quella di un criminale rinchiuso in una cella; non gli era permesso uscire dalla sua stanza per nessun motivo, se non per andare al bagno o per mangiare in compagnia della famiglia, nella lugubre cucina. Ogni movimento era strettamente sorvegliato dalla madre o dal suo fedele galoppino elfico, Kreacher, il quale non vedeva l’ora di subissare il giovane padrone con biascicati insulti velenosi. In alcun modo gli era consentito avere contatti con l’esterno. Niente lettere, niente gufi. Ogni volta che veniva recapitata posta destinata a Sirius, Walburga si occupava personalmente di intercettare ed esaminare qualsiasi foglio di pergamena. Ovviamente, tutte le missive spedite a Sirius venivano inesorabilmente distrutte, senza mai giungere nelle mani del diretto interessato. Lo scopo principale di Walburga, ovviamente, era impedire a Sirius di mettersi in contatto con il suo gruppetto di amici. Ma Alya nutriva forti dubbi sul fatto che suo fratello gemello si facesse scoraggiare così facilmente e che lui, insieme a quell’arrogante di James Potter, avesse trovato metodi alternativi per comunicare. Tuttavia, Sirius soffriva la forzata prigionia imposta dalla madre e dava segni di insofferenza, diventando, come c’era da aspettarsi, sempre più irascibile e insolente.

La melodia infantile che Regulus si ostinava imperterrito a suonare non era in grado di coprire le urla rabbiose che provenivano dall’ultimo piano di casa Black.

“NON PUOI TENERMI RINCHIUSO QUI PER SEMPRE, VECCHIA MEGERA!” gridava Sirius con livore.

“TU NON USCIRAI DA QUESTA STANZA! NON FINCHÉ CI SARÒ IO!” ribatté Walburga, inflessibile.

Alya canticchiava svogliata le parole in francese che accompagnavano la canzoncina che aveva imparato da bambina. Dovette sforzarsi non poco per seguire il flebile ritmo intonato da Regulus al pianoforte.

“NON PUOI IMPEDIRMI DI VEDERE O SENTIRE I MIEI AMIC!”

“AMICI? QUEL BRANCO DI TEPPISTI, LURIDI MAGHETTI INDEGNI DEL PROPRIO SANGUE?”

“NON OSARE…” voce di Sirius si trasformò in un ringhio minaccioso. Andava su tutte le furie quando qualcuno si azzardava a offendere ai suoi amici.

“NESSUNO DEI MIEI FIGLI, NEMMENO TU, SI MESCOLERÀ A GENTAGLIA SIMILE! NON MINERAI L’ALTO ONORE DI QUESTA FAMIGLIA!”

“ONORE? BAH! I MIEI AMICI VALGONO CENTO VOLTE DI PIÙ DI VOI, PIÙ DI TE! SONO LORO LA MIA FAMIGLIA! E NON QUESTO BRANCO DI STUPIDI OTTUSI!” sbraitò Sirius, con tutto il disprezzo di cui disponeva.

Un sonoro sciaf attraversò inequivocabile i tre piani che separavano la stanza di Sirius dal salotto dove bighellonavano pigri Alya e Regulus. Walburga lo aveva colpito con violenza in pieno viso. Se Sirius si adirava per gli insulti rivolti ai suoi amici, lo stesso valeva per Walburga per quelli espressi nei confronti della sua famiglia. Per quanto lottassero su fronti opposti, madre e figlio si assomigliavano in modo sorprendente.

“COME TI PERMETTI, RAGAZZINO INDEGNO! OFFENDERE IL TUO SANGUE...IL TUO NOBILE SANGUE!”

Sirius rispose allo schiaffo di sua madre ridendole in faccia, sprezzante.

Tre piani più in basso, Alya e Regulus si scambiarono un’eloquente occhiata di silenziosa rassegnazione. Alya aveva ormai rinunciato al suo tentativo di distrarsi canticchiando. Regulus continuava ostinato a suonare al piano, ma sbagliava nota ogni volta che Sirius o Walburga strillavano i loro insulti.

“Hai già preparato i bagagli per domani?” chiese Alya. Il giorno seguente, la famiglia Black al completo – compreso Sirius – sarebbe partita per raggiungere i placidi paesaggi che circondavano la tenuta estiva di Arcturus Black, in Cornovaglia.

“Ho messo dentro le ultime cose stamattina. Ho il baule stipato di libri. Non si sono risparmiati con i compiti quest’anno.” rispose Regulus, mentre affondava le dita tra i bianchi tasti del pianoforte.

“SEI IL DISONORE DI QUESTA CASA!” la voce fredda di Walburga echeggiava implacabile.

“A chi lo dici! Temo che passerò tutto il mio tempo a studiare.” sbuffò Alya contrariata.

“QUESTA NON È UNA CASA, È UNA PRIGIONE!” gridava Sirius in preda alla collera.

“Speriamo che almeno il tempo sia buono. Ho sentito dire ci sarà pioggia la prossima settimana.” commentò Regulus.

“OGNI TUA PAROLA, OGNI TUO FIATO È UN INSULTO ALLA NOBILE STIRPE DEI BLACK!”

“Bè, non mi dispiacerebbe un po’ di pioggia...sempre meglio del caldo afoso di Londra! Inoltre, ho proprio bisogno della tranquillità di campagna.” replicò Alya.

“E IL TUO FIATO È UN INSULTO AL MIO OLFATTO, VECCHIA BACUCCA PUZZOLENTE!” ringhiò Sirius beffardo.

Seguì un altro sciaf. Questa volta definitivo. Walburga aveva concluso la loro litigiosa discussione. Non era donna da lasciarsi insultare senza reagire. Voltò le spalle al figlio e uscì dalla stanza, chiedendo con decisione la serratura. Da dietro la porta, Sirius continuava il suo elenco di improperi. Nella sua voce, ormai rauca per il troppo urlare, si poteva percepire una nota di disperazione. Walburga scese le scale con il suo cipiglio regale inalterato, sorda alle parole oltraggiose del figlio. Ogni gradino, un insulto. Ad ogni piano, il tono Sirius diventava più combattivo. Imprecazioni scurrili e piene di astio, che Alya non avrebbe potuto ripetere nemmeno se si fosse trasformata nel più volgare degli orchi.

“Hai ragione.” disse Regulus, con voce amabile, in netto contrasto con il tono laido del fratello maggiore, che inveiva ostinato ad una madre ormai assente. “Londra sta diventando sempre più caotica.”

 

***

 

Agosto, 1975. Tenuta di Arcturus Black, Cornovaglia.

 

Grazie alla tediosa quiete che aleggiava sui vasti territori che circondavano l’imperiosa dimora estiva della famiglia di Alya, anche gli aspri rapporti tra Sirius e Walburga si erano attenuati. Immersi nelle tranquille e silenziose campagne, madre e figlio avevano trovato un modo alternativo per esprimere il loro reciproco disprezzo. Le loro urla rabbiose e piene di insulti avevano ceduto il posto ad una più gelida e austera, ma quantomeno silenziosa, indifferenza.

Tuttavia, sebbene gli animi sembrassero in apparenza più calmi, la severa e imperturbabile Walburga non cedette sul castigo di Sirius, nemmeno giunti alla tenuta estiva dei Black. Come in Grimmauld Place, il figlio primogenito continuava la sua vita da esiliato, rinchiuso nella sua stanza durante le ore di svago di Alya e Regulus, con il permesso di uscire solo nei momenti dei pasti. Kreacher lo marcava stretto, sorvegliandolo in ogni momento della giornata, scrutandolo perennemente con il suo sguardo torvo e arcigno, quasi speranzoso di coglierlo in flagrante in una delle sue marachelle. Ma Sirius era più furbo. Con un’obbedienza quasi teatrale, Sirius seguiva gli ordini della madre senza più opporsi. E per Alya questo voleva dire solo una cosa. La posta destinata al fratello maggiore cessò di arrivare alla dimora dei Black. Nessuna lettera. Nessun messaggio. Neanche una cartolina. Secondo Walburga, la perpetua opera di setaccio doveva aver indotto i mittenti a lasciare perdere. Un’espressione di malevolo trionfo illuminava il bel viso della donna ogni volta che, a pranzo, annunciava il nome dei destinatari delle varie missive recapitate dai gufi in mattinata: Orion Black, Regulus Black, Alya Merope Black...buste candide, decorate da ordinate scritte svolazzavano attorno agli interessati allegre e un po’ insistenti, in trepida attesa di essere aperte e lette. Gli occhi glaciali di Walburga non mancavano di soffermarsi a lungo su Sirius, come per porre enfasi sul fatto che lui non ne aveva ricevuta alcuna. Il figlio, orgoglioso e inflessibile quanto la madre, ignorò le silenti frecciatine di Walburga, con una tenacia che Alya non poté fare a meno di ammirare.

Ma la ragazza conosceva troppo bene suo fratello. E si era fatta un’idea precisa anche sulla piccola banda con cui egli bighellonava a scuola. Se qualche settimana prima aveva provato solo dei dubbi, adesso ne era certa: Sirius e Potter avevano certo escogitato un subdolo stratagemma per rimanere sempre in contatto. Rinchiuso nella sua stanza, lontano dal mondo, ma anche da occhi indiscreti, chissà quante risate si faceva Sirius alle spalle della signora Black. Ma Alya si guardò bene dal condividere la sua idea alla madre. Nulla desiderava di più che godersi un po’ di tranquillità. Innescare l’ennesimo litigio tra Walburga e suo figlio avrebbe rovinato la falsa, ma idilliaca quiete di quel luogo.

Fu durante uno di quei placidi pomeriggi estivi che Alya incontrò di nuovo Merope. Era passato parecchio tempo dall’ultima volta.

Alya era accoccolata sotto la grande quercia del cortiletto interno. Era sola, immersa in un noioso libro di Storia della Magia; un lungo tema l’attendeva alla fine della lettura. Regulus, più meticoloso e organizzato, aveva già terminato la maggior parte dei compiti e si godeva un pomeriggio di svago, allenandosi con il padre a Quidditch, fuori dalla tenuta. Il suo intento di battere Potter non l’abbandonava neppure durante la pausa estiva.

Il sole irradiava rovente tutto ciò che i suoi raggi toccavano. Le ampie fronde, verdi e rigogliose, riparavano Alya dal calore afoso. Non era facile concentrarsi nello studio in giornate come quelle: il canto degli insetti, il ronzio delle instancabili api che si poggiavano di fiore in fiore attorno alla giovane Black sembrava intensificarsi ogni minuto che passava, diventando quasi assordante. Alya rilesse la stessa riga, della stessa pagina almeno cinque volte prima di carpirne il concetto essenziale. La sua mente pareva intorbidita, rallentata. Passò alla frase successiva: le parole cominciarono a mescolarsi tra di loro, formando scritte indistinte, prive di significato. La vista si annebbiò, piano, gradualmente. Alya nemmeno se ne accorse. Come non si accorse che le sue palpebre si erano fatte pesanti come macigni. Senza accorgersene, Alya scivolò in un sonno profondo. Una remota oscurità la inghiottì come un guanto di velluto nero e la sua mente già viaggiava in luoghi lontani, sia nel tempo che nello spazio. Il corpo della ragazza giaceva addormentato sotto la grande quercia del suo giardinetto; il suo animo, invece, si trovava altrove.

Come sempre, una cupa notte gravava sopra di lei. Alya riconobbe subito il cortile trasandato in cui camminava. Le erbacce incolte, mai estirpate, sembravano essere aumentate dall’ultima volta che le aveva viste. Il profilo malridotto della vecchia casa di Merope si rivelò sotto la luce di una pallida luna. Il cadavere di un piccolo serpente penzolava floscio, inchiodato alla porta di legno. Ma non era lo stesso rettile, il colore delle squame era differente. Evidentemente Morfin, il grottesco fratello di Merope, doveva aver sostituito la carcassa del povero animale. Alya non impiegò molto tempo a scorgere un’altra figura che si mescolava con la tetra oscurità. Seduta a terra, avvolta nella sua solita vestaglia logora e cenciosa, Merope sembrava attendere il suo arrivo.

Sei arrivata, finalmente! Non sai quanto ti ho aspettata!” esclamò gioiosa Merope in Serpentese, vedendo Alya avanzare nella notte.

Che ci fai fuori di casa? Se tuo padre ti scopre…” disse Alya ignorando i convenevoli. Il ricordo dell’ultimo sogno, le grida di dolore e di disperazione che si propagavano per tutto il cortile, le ritornarono vivide alla memoria, come se le avesse vissute fino a un attimo prima.

Non c’è problema...mio padre e mio fratello dormono come neonati. Con un piccolo aiutino, non si sveglieranno fino a domani.” la rassicurò Merope alzando le spalle con semplicità. Alya le lanciò un’occhiata interrogativa.

Ho aggiunto un ingrediente speciale alla loro zuppa di stasera: due gocce di veleno, estratto dalla bocca del serpente che mio fratello ha catturato oggi pomeriggio. Ha potenti proprietà soporifere nelle giuste dosi. Letali se si sbaglia la quantità.” spiegò compiaciuta, facendo cenno al cadavere appeso alla porta.

E non hai paura che possano scoprirti?” chiese Alya non poco preoccupata, senza però nascondere il suo orgoglio nel notare quella vena d’audacia nella sua amica dei sogni.

Scherzi? Loro mi considerano un’inetta con la magia, una Magano. Non immaginano quanto sia brava con intrugli e pozioni. Non abbiamo nulla da temere.” Merope si alzò in piedi, scrollandosi alla meno peggio la sua vestaglia.

Ora andiamo. Non abbiamo tempo da perdere.” annunciò infine, avviandosi a passo deciso verso il cancello.

C-cosa? E dove vorresti andare a quest’ora di notte?” protestò Alya, incredula. Dov’era finita la sua timida amica insicura, timorosa della sua stessa ombra?

È una sorpresa. Seguimi!” la esortò Merope trepidante.

Alya decise di assecondarla, anche se riluttante. L’ultima volta che si erano avventurate al di fuori della camera di Merope, la situazione era finita nel peggiore dei modi.

Le due amiche oltrepassarono silenziose come gatti il piccolo cancello arrugginito che segnalava l’ingresso della proprietà di Merope. L’una accanto all’altra proseguirono lungo il piccolo sentiero che costeggiava il giardino celato dalla coltre oscura degli alberi. Tutto era avviluppato da dense tenebre, i contorni sfocati da una leggera nebbia, che si levava dalla terra umida. Non si vedeva anima viva e il silenzio governava sovrano, opprimente. L’unico rumore era prodotto dai passi svelti di Merope e di Alya. Quest’ultima non riusciva a smettere di lanciare occhiate furtive dietro le proprie spalle; una tetra inquietudine le si era appiccicata alla pelle e la seguiva fedele come un’ombra.

Merope, dove mi stai portando?” provò a chiedere, tentando di apparire meno spaventata di quanto fosse realmente.

Ti ho detto che è una sorpresa! Devi aspettare. Comunque non manca molto, siamo quasi arrivate...di qua!” disse Merope, svoltando improvvisamente a destra per imboccare una stradina ancora più piccola. Non poteva nemmeno definirsi un sentiero, il percorso era appena percettibile, e solo grazie alle impronte di chi vi era passato in precedenza. Alya deglutì a fatica, sempre più preoccupata, chiedendosi quali diamine fossero le intenzioni della sua strana amica dei sogni.

Dopo aver falcato una manciata di metri fangosi, le due ragazze giunsero davanti ad un basso cancello, incrostato di ruggine quanto quello della casa di Merope. L’ingresso era segnato dalla presenza di due alte colonne in pietra, anch’esse divorate dalla decadenza tipica dell’abbandono. Numerose crepe serpeggiavano sulla dura e porosa superficie. Alya guardò oltre la cancellata e trasalì quando scorse che cosa giaceva in quel luogo desueto. La nebbia sembrò svanire come un tetro sipario, rivelando gli inconfondibili contorni di bianche lapidi storte. Merope l’aveva condotta in un cimitero.

Dài, entriamo!” la incitò Merope, con convinzione.

Ma sei impazzita?” ribatté Alya, guardandola con i suoi scintillanti occhi grigi sgranati per l’incredulità.

Che c’è? Non avrai paura dei morti?” replicò Merope con tono sfida.

Punta sul vivo, Alya balbettò qualcosa del tipo:

No...certo che no!” ostentando l’orgoglioso coraggio di famiglia. Era una Black, non poteva certo mostrarsi impaurita come una fifona. Seguì l’amica oltre il cancello ed entrò in quel piccolo pezzo di terra, sotto la quale dei babbani defunti e sconosciuti dormivano il loro eterno riposo.

È questa la sorpresa? Un insignificante cimitero babbano, dimenticato dal mondo?” domandò Alya con disprezzo.

No...ma c’è una cosa che voglio mostrarti...una cosa che si può vedere solo da qui.” rispose Merope enigmatica.

Entrambe superarono un paio di lapidi scheggiate, lasciate a loro stesse, come suggerivano i corpi molli di fiori appassiti che le adornavano. Era troppo buio per poter leggere le effigi, ma Alya era sicura che non avrebbe trovato nomi di maghi su quelle tombe. Alla sua destra, riconobbe il profilo di una piccola chiesetta, anch’essa lasciata in uno stato d’abbandono. Alya si chiese ancora una volta il motivo per cui Merope l’avesse condotta in un luogo simile.

Ecco, ci siamo! Guarda laggiù!” annunciò Merope, rispondendo inconsapevole al suo pensiero. Raggiante, aveva teso il suo indice ossuto verso un punto lontano nell’orizzonte oscuro.

Alya dovette aguzzare non poco la vista per notare in lontananza l’imperiosa figura di una bella villa antica, che si stagliava gloriosa in cima alla collina che si affacciava sull’intero villaggio lì accanto.

È la casa dei Riddle!” disse Merope, anticipando la domanda che Alya non aveva ancora pronunciato.

Riddle...quindi è lì che abita il bel babbano di cui ti sei invaghita.” constatò Alya con tono un po’ aspro. Era per quel futile motivo che l’aveva portata in quel cupo cimitero? Per osservare da lontano l’insulsa casa dove viveva il ragazzotto babbano per cui si era presa una cotta? Per un attimo, Alya si sentì in collera con Merope. Tutta quella situazione le sembrava assurda, per non dire deplorevole. Una maga del suo calibro, che rischiava tanto per un inutile rampollo di una famiglia non magica. Ma quando voltò lo sguardo sul viso tozzo dell’amica, vedendo il bagliore di un desiderio remoto, misto ad una speranza inespressa che brillava nei suoi occhi storti, un brivido di compassione la scosse. Merope fissava come ipnotizzata la casa sontuosa che troneggiava sul piccolo monte davanti a lei.

Mi sono allenata.” disse con voce piatta. Alya la guardò perplessa.

A ballare, intendo. Come mi hai insegnato l’ultima volta che sei venuta a trovarmi.” spiegò, senza mai abbassare gli occhi dalla casa dei Riddle. Di punto in bianco, Merope cominciò ad ondeggiare, dondolando in modo scoordinato le braccia e il resto del corpo. La veste sporca e rattoppata oscillava seguendo i movimenti non proprio eleganti della ragazza. In quel momento Merope dava l’impressione di essere una goffa medusa che fluttuava a fatica nelle nere acque di un profondo oceano.

Ogni tanto – ogni volta che riesco a sgattaiolare fuori casa, senza che mio padre o mio fratello se ne accorgano – vengo qui, di notte e ammiro la bella casa dove vive Tom Riddle. Sì, si chiama così, Tom. Ho udito suo padre la mattina scorsa chiamarlo dalla carrozza. È un bel nome, non credi?” Merope parlava più a se stessa che con l’amica. Non si aspettava realmente una risposta. Ed Alya l’ascoltava in silenzio, contemplando con pietà la misera tristezza che aleggiava attorno alla sua amica dei sogni, che danzava a passi incerti nella notte. Non aveva mentito, era evidente che si era allenata: ora non capitombolava più.

Ci sono sere in cui le luci in casa Riddle rimangono accese fino a tardi. Vedo le finestre illuminate e le scambio per fiammelle di fuoco fatuo che galleggiano lontane. Gli piace organizzare balli, al signor Riddle. Invita persone importanti. Per i babbani, almeno. Se i vetri sono aperti e il vento soffia nella direzione giusta, riesco persino ad udire la musica. Suonano quasi sempre dei valzer. E allora comincio a danzare, come mi hai mostrato tu. Un, due, tre...un, due, tre. Chiudo gli occhi e, mentre ballo, immagino di essere lì anch’io. Tom è di fronte a me, vestito del suo abito migliore. Affascinante, impeccabile. Mi guarda e mi sussurra all’orecchio. Dice che sono bella e che mi vuole. Mi vuole tutta per sé. Che mi porterà via, lontano da qui. Lontano da mio fratello e da mio padre. Lontano da questo stupido villaggio. Via da tutti coloro che mi disprezzano e mi deridono. Niente più insulti, niente più Maledizioni Cruciatus che mi dilaniano il corpo. Saremo solo noi due. E non ci sarà nemmeno bisogno della magia. Rinuncerei persino ai miei poteri, purché lui mi ami.

Le parole di Merope, intrise di tristezza, si mescolavano all’aria fredda sotto forma di bianco vapore, che usciva dalla sua bocca sottile. Merope parlava e danzava, si confessava alla notte, alle lapidi, ad Alya. Quest’ultima non ebbe il cuore di interrompere il mesto soliloquio che aveva l’amaro sapore di un desiderio impossibile da realizzare. Si limitò ad osservarla, in silenzio. Merope danzava ad occhi chiusi. Terminata la sua confessione, l’erede di Salazar Serpeverde intonò con la sua voce flebile le note timide di un valzer sconosciuto. Alya la osservò ancora. Merope danzava e lacrime silenziose scorrevano lente sui suoi zigomi tozzi.

Poi, i contorni delle tombe, della chiesetta, della casa dei Riddle, persino di Merope, cominciarono a vacillare, a confondersi. Attorno ad Alya non ci fu nient’altro che densa oscurità, vischiosa come l’inchiostro.

Alya aprì gli occhi e fu sveglia. La luce gagliarda del sole la riportò prepotente alla realtà, la sua realtà. Attorno a lei non c’erano più tetre lapidi abbandonate, né cadaveri di fiori appassiti. Era di nuovo alla tenuta di Arcturus Black, nel suo cortiletto interno. Era di nuovo giorno. Alya era sola, Merope non c’era più. Ma la sensazione che qualcuno stesse canticchiando un vecchio valzer sconosciuto era ancora nitida. Alya si rese conto di avere le guance bagnate. Le lacrime di Merope erano diventate le sue.

   
 
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