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Autore: bacvmiancora    10/05/2021    0 recensioni
1994, Firenze.
Jem è un ragazzo di 17 anni. Figlio di una professoressa italiana e un ex-soldato americano, vive in Italia da quando ne ha memoria. Arrivato l'anno della leva, parte per Firenze, conscio di dover passare un anno in mezzo a ragazzi della sua età; ma ciò che non sa' è che questo periodo metterà in seria discussione la sua sessualità, e Jem scoprirà di essere ciò che non avrebbe mai pensato.
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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1994:

"Sì mamma, ci danno da mangiare. No. Sì, certo che non mi sono dimenticato del compleanno della nonna, la chiamerò sabato. Okay, mamma! Ti voglio bene anche io, ciao."

Appoggiai la cornetta al tavolino sottostante, e urlai "Finito!" in modo che un altro ragazzo potesse chiamare i suoi, la propria ragazza o chiunque dovesse chiamare. Mi feci spazio tra la fila per tornare indietro alla mia brandina, con lo sguardo basso per non pestare i piedi a qualcuno. 

Uscito da quel mulinello, presi il corridoio ad est e arrivai alla mia camerata. Era una stanza enorme, con mura bianco sporco e probabilmente non tinteggiate da quando aprirono quel posto, pavimento in granito marrone chiaro che ricordava molto il fango in vicinanza di un rigoletto d'acqua e due grandi finestre che davano sulla strada sottostante. La camerata era strabordante di letti a castello e brandine singole, ognuno aveva il proprio armadietto per poter riporre i propri effetti personali e nell'angolo tra una finestra e un letto a castello c'era un divanetto - probabilmente della seconda guerra mondiale, da quanto cadeva a pezzi - dove si sedevano sempre i parenti quando venivano a far visita ai propri figli.

Avvistai la mia branda in fondo alla stanza e mi ci buttai sopra a peso morto. Cigolò con un rumore che mi fece venir paura che si aprisse in due, ma per fortuna resistette. Mi misi comodo in tempo per essere avvicinato da un paio di ragazzi. Uno basso, magrolino e talmente pallido da sembrare un morto vivente, aveva capelli biondi quasi bianchi che facevano impressione e gli occhi marroni piccolissimi erano mezzi chiusi. L'altro era alto e con più massa corporea che io avessi mai visto,  i capelli rossi erano già rasati, gli occhi verdi vagavano ovunque e le guance paonazze sembravano appena uscite da uno scontro di ceffoni. 

Si fermarono davanti alla mia brandina e, quando mi resi conto che stavano aspettando che io mi girassi, mi alzai con uno scatto troppo veloce che mi fece girare la testa per un attimo.

"Tu sei James Drew Harmton, giusto?" mi chiese il rosso, sbagliando la pronuncia e dicendo il mio nome esattamente come lo aveva letto. Per un attimo pensai di correggerlo, però poi ci ripensai: non volevo già fare il saputello. Con circospezione, analizzai il suo volto. Sembrava piuttosto incazzato.  

"Jem." risposi, facendo capire che volevo mi chiamassero così.

Mi tese la mano, "Giovanni Lombardi, siamo ad allenamento insieme" gliela strinsi e per poco non urlai dal dolore. Okay la stretta decisa, ma qui mi stava spezzando un osso. Gliela ricambiai con forza doppia. Fece finta di non sentire nulla e io gli rifilai un finto sorriso.

"Io invece sono Fabrizio Gianotti" si presentò il biondo, ma lui non diede segno di volermi stringere la mano. Credo avesse visto come l'avevo stretta al suo compagno e cercò di evitare. Feci un cenno con il capo. 

"Come mai questo nome ricercato, Jem?" mi chiese una voce. Mi girai per intercettare il mio interlocutore. Era un ragazzo che stava nella brandina accanto alla mia, alto, magro e con i capelli scuri lisci che gli ricadevano sulla fronte. Con un gesto della testa si spostò il ciuffo e rivelò due occhi smeraldo grandissimi. Per un momento credo di averlo fissato con la bocca semi-aperta, ma poi mi ripresi subito. Che cosa mi stava succedendo? 

"S-scusa, che hai detto?" chiesi, ancora un poco scosso. 

Lui mi guardò dritto negli occhi e ripetè, "Come mai hai un nome del genere?" e corrucciò la fronte. 

"Mio padre è americano e a mia madre i nomi italiani non piacciono." dissi, e lui rilassò lo spazio tra le sopracciglia, seguito da un sorriso. "Figo. Io sono Edoardo Ferrini, totalmente italiano." si presentò con un cenno del capo a mo' di saluto. Mi sentì mancare un secondo, ma diedi la colpa a quel movimento brusco di prima. 

"Di che anno sei, Jem?" mi chiese, tornato serio.

" '76" risposi, pensando che fosse una domanda piuttosto ovvia, ma mi ricredetti.

" '74 " disse lui e, prevedendo la mia domanda, continuò "ho dovuto rimandare la leva perchè nel '92 mi sono rotto tibia e perone. I miei ancora me lo rinfacciano." 

Intanto i due tipi di prima si erano dileguati e io potei sedermi sulla mia brandina, facendo capire a Edoardo che mi andava di continuare la conversazione.

"Di dove sei, James?" mi chiese, pronunciando il mio nome come quel troglodita di prima, ovvero come lo aveva letto. Fece una risatina sommessa e io lo seguì.

"Sto in provincia, mia madre ha ereditato una casa in campagna, una vera stalla. Tu?", solitamente quando chiedevo queste informazioni, lo facevo perchè mi sentivo in dovere, per educazione. Adesso invece mi interessava davvero. 

Edoardo mi sorrise sbieco, "Sono di qui, abito dietro la caserma." 

Rimasi immobile, non sapendo come continuare la conversazione. Lui intanto era tornato serio e iniziò a guardarmi negli occhi, con un ghigno di uno che sta per fare uno scherzo di quelli colossali. 

"Ti va di fare un giro, Jem?", mi chiese ed io, dopo aver analizzato la situazione, accettai di buon grado. "Vieni, seguimi." e si alzò, attraversò la camerata con tre passi e mi fece segno di raggiungerlo, "Muoviti, americano!"


ANGOLO AUTRICE:
Questa è la prima volta che pubblico qualcosa che ho scritto. I primi due capitoli li avevo scritti nel 2018, per poi bloccarmi a causa di un blocco dello scrittore, ma ho finalmente deciso di continuare questa storia in quanto sono stranamente ispirata in questo periodo. Ditemi se vi piace e volete che continuo a pubblicare. 
Baci <3

   
 
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