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Autore: Mayld    13/05/2021    2 recensioni
Due anime vicinissime, affini, quasi gemelle, intrappolate nei corpi di due persone all'apparenza opposte.
Due vite segnate dal dolore e dalle difficoltà; lei, 17 anni di silenziosa sofferenza e di cinismo, causati in buona parte dalla separazione dei genitori; lui, un secolo di vita che gli pesa quanto un millennio e che lo ha lentamente ma inesorabilmente condotto all'indifferenza e all'apatia.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charlie Swan, Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight
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CAPITOLO QUARTO
 
Mai prima di allora Bella aveva atteso con così tanta impazienza la fine del weekend e l’inizio di una nuova settimana scolastica.

Quel lunedì si svegliò all’alba e saltò giù dal letto piena di energie, nonostante avesse dormito solo tre ore scarse a causa dell’agitazione.

Preparò lo zaino senza nemmeno accendere la luce, tanto che per errore ci infilò dentro il libro di Anna Karenina al posto del manuale di storia e filosofia. Sempre al buio si vestì, mettendosi addosso un paio di jeans che erano rimasti appoggiati allo schienale della sedia dal giorno prima ed un maglioncino pescato a caso dall’armadio.

Afferrato il giubbotto e lo zaino uscì in corridoio in punta di piedi, sperando di non svegliare Charlie e non dovergli spiegare perché stesse uscendo tanto prima del solito.

Scese le scale tentando di evitare gli scalini che scricchiolavano di più, anche se per farlo rischiò un paio di volte di inciampare e finire al piano di sotto rotolando.

Mentre attraversava la cucina, il suo stomaco si lamentò rumorosamente; la sera prima non aveva quasi toccato cibo.

Prese una mela dalla fruttiera che lei stessa aveva comprato pochi giorni prima (Charlie probabilmente non vedeva un frutto dall’anteguerra) e la addentò, per poi dirigersi sempre in punta di piedi verso la porta d’ingresso. 

Non appena se la fu chiusa alle spalle, fece un profondo respiro.

‘Ci siamo’ pensò tra sé e sé, lanciando uno sguardo furente al pick-up parcheggiato nel vialetto, poco distante da lei ‘Oggi è il giorno in cui ucciderò un uomo’.

Quindi, con rabbiosa determinazione, voltò le spalle alla macchina e si incamminò a passo di marcia lungo la strada che conduceva alla Forks High School. Si era ripromessa che non avrebbe toccato l’auto prima di aver chiarito quella stramaledetta situazione.

Arrivò a destinazione prima del previsto, tanto che il parcheggio della scuola era ancora praticamente deserto.

Si sedette su una panchina di legno e rimase in attesa, tenendo le braccia incrociate al petto e gli occhi dardeggianti puntati sulla strada.

Col passare dei minuti il parcheggio iniziò ad affollarsi; Bella vide scendere da una vistosa decappottabile color rosso fiammante Alice Cullen, la sorella di Edward, che per un breve istante incrociò il suo sguardo.

Per un attimo le parve di vederla sorridere, ma data la distanza non poteva esserne certa.

Dopo una quindicina di minuti, quando ormai quasi tutti erano entrati a scuola ed il parcheggio era tornato vuoto e silenzioso, Bella, estremamente frustrata, decise di alzarsi e raggiungere l’aula di chimica prima che iniziasse la lezione.

Per quanto infastidita dal non poter affrontare faccia a faccia quell’idiota come aveva sperato, non aveva la minima intenzione di mettersi nei guai a causa sua.

Proprio mentre Bella lasciava la panchina, però, un potente rombo proveniente dalla strada alle sue spalle la fece voltare di soprassalto.

La Volvo grigio-metallizzata che ormai era diventata protagonista fissa dei suoi incubi stava imboccando proprio in quel momento l’ingresso del parcheggio scolastico.

In un baleno la lezione di chimica abbandonò completamente i pensieri di Bella che, attraversata da un’improvvisa scarica di adrenalina, si diresse a lunghi passi verso il centro della zona asfaltata.

La Volvo dovette inchiodare per non investirla.

< Ma che fai?! > Sbraitò Edward, uscendo dall’auto e sbattendosi la portiera alle spalle.

I lineamenti perfetti del suo viso erano tesi in un’espressione che era un misto di rabbia e agitazione.

< Non ti ho… non ti ho sentita arrivare! > Farfugliò con tono frustrato ed estremamente confuso, passandosi nervosamente una mano tra i folti capelli ramati.

Sentita arrivare? E come avrebbe potuto?

Ormai era arrivato a pochi passi dalla ragazza, e si fermò.

La fissò dritta negli occhi per alcuni istanti e poi, con un tono di voce più controllato, disse piano. 

< Potevi farti male. > La sua voce sembrava di velluto. Sebbene la stesse chiaramente rimproverando, quel timbro di voce donava alle sue parole un velo di dolcezza.

Ma nulla di tutto ciò scalfì minimamente la furia crescente di Bella.

< Non dovevi azzardarti! > Sbraitò, facendo con decisione un passo verso il ragazzo.

Lui rimase immobile dov’era, senza staccare gli occhi da quelli della ragazza.

Sembrava quasi che cercasse di leggere qualcosa al loro interno; aveva le sopracciglia aggrottate e la mascella serrata, come se la cosa gli stesse costando un grosso sforzo.

< A fare cosa? Venire a scuola? > Chiese, totalmente disorientato.  

Bella strinse i pugni e ridusse gli occhi a due piccole fessure.

Se avesse potuto, lo avrebbe incenerito lì su due piedi.

< Non. Prendermi. In giro. > Sibilò ed alzò un braccio pronta a dargli uno spintone sul petto.

Il ragazzo, con una rapidità inaudita, indietreggiò e schivò il colpo.

< Non ti sto prendendo in giro, non ho idea di cosa tu stia parlando > Disse secco.

Sul suo viso, la confusione stava man mano lasciando posto alla frustrazione; il fatto di non riuscire a capire quella ragazza e le sue intenzioni lo stava mandando fuori di testa.

Bella, sempre più infastidita e convinta che lui stesse solo recitando la parte del finto innocente, scosse la testa.

< Santo cielo, il mio pick-up! Ero stata chiara, non volevo i tuoi soldi né il tuo aiuto > Ringhiò.

Gli occhi ramati di Edward, sempre puntati su quelli ardenti d’ira di Bella, tornarono a manifestare una profonda confusione.

Il ragazzo voltò leggermente la testa a destra, poi a sinistra.

< Il tuo pick-up? Non lo vedo >

< Certo che non lo vedi! Lo toccherò solo quando avrà di nuovo le sue ruote >

Per Edward, che non aveva mai avuto problemi a leggere le persone e ad intuire in anticipo le loro mosse, quella situazione stava iniziando a farsi pesante.

< Aspetta, rallenta… Le sue ruote? > Chiese, con il tono e l’espressione di chi si sta sforzando di comprendere una lingua sconosciuta.

Tutto ciò iniziava a sembrare un po’ troppo persino a Bella; iniziava quasi a temere di aver fatto un’enorme e tremenda gaffe, ma cercò di non darlo a vedere.

Mantenendo lo sguardo torvo e le mani serrate a pugno, fece un respiro profondo.

< Sì, le ruote. > Disse lentamente, come se dovesse spiegare qualcosa per la quinta volta ad un bambino e cercasse di non perdere la pazienza < Ruote, hai presente? Nere, rotonde >

Edward, dopo essere rimasto in silenzio per alcuni istanti, inarcò un sopracciglio.  

< Senti > Sospirò, < se stai semplicemente cercando un modo per attirare la mia attenzione sappi che questo non è… >

< COME HAI DETTO SCUSA!? > Sbraitò Bella, senza nemmeno dargli il tempo di finire la frase.

I suoi occhi erano sgranati dall’incredulità e le sue guance avevano assunto di colpo un colore spaventosamente vicino al viola.

< Attirare la tua attenzione?! Ma quanto sei presuntuoso? Non la voglio la tua attenzione, anzi! Se tu non mi avessi sfondato la macchina avrei evitato volentieri qualsiasi genere di contatto con te! > Le parole le uscivano di bocca quasi indipendenti dalla sua volontà, come una cascata inarrestabile; era come se tutte le cose negative che aveva pensato di quel ragazzo da quando lo aveva visto per la prima volta al pub adesso sentissero la necessità di liberarsi.

< E se di norma la gente si impressiona e ti ammira per il fatto che esci con una modella diversa ogni sera, sappi che questo non vale per me! Anzi, se vuoi sapere la verità provo pena per te, che evidentemente hai bisogno dell’approvazione degli altri per sentirti bene con te stesso! Ma le tue azioni hanno ripercussioni anche su chi ti sta attorno, ci hai mai pensato? Hai mai pensato a quelle ragazze come a delle persone con sentimenti, e non solo come pupazzi da sfoggiare in pubblico e poi buttare via con tanta leggerezza? > Bella, che aveva sputato fuori tutte quelle parole in quasi totale apnea, dovette interrompersi per riprendere fiato e solo allora notò il viso del ragazzo.

Sembrava più pallido del solito, il che lo rendeva più simile ad un fantasma che ad una persona. Ogni fibra del suo volto era tirata, dura; le labbra erano serrate, le sopracciglia aggrottate. Ogni elemento del suo viso sembrava voler trasmettere rancore e disappunto; tutto, tranne i suoi occhi.

A Bella non sfuggì l’ombra di profondo dolore che aveva fugacemente velato i meravigliosi occhi ambrati del ragazzo.

Sebbene Edward stesse cercando di non darlo a vedere, quel minimo dettaglio, durato un brevissimo attimo, le fece capire chiaramente che le sue parole lo avevano colpito nel profondo.

Bella si sentì mancare la terra sotto i piedi. Certo, ci era andata giù piuttosto pesante, ma lo aveva fatto quasi senza rifletterci proprio perché era convinta che la strafottenza di Edward gli avrebbe fatto da scudo contro qualsiasi insulto. Di certo non si aspettava che le sue parole lo avrebbero colpito tanto.  

La ragazza, ancora ansante per lo sfogo, puntò rapidamente gli occhi a terra, incapace di sostenere lo sguardo magnetico e ormai perfettamente impassibile di Edward.

Iniziò a maledirsi per le cose terribili che aveva appena detto, e soprattutto per averle dette ad una persona che praticamente nemmeno conosceva; la sua scenata era stata decisamente sproporzionata alla situazione.

Le parole d’odio che aveva appena rivolto contro Edward Cullen nascevano in realtà da una profonda frustrazione che si portava dentro da anni e non aveva mai trovato una valvola di sfogo.

Imbarazzata come non mai e sentendosi un mostro, Bella risollevò piano lo sguardo, cercando di trovare dentro di sé il coraggio di scusarsi, o quantomeno trovare una sorta di giustificazione per riparare in parte al danno commesso.

Prima che riuscisse a trovare le parole, però, Edward mormorò con voce bassa e piatta:

< Cos’è successo alle ruote? >

Bella deglutì; non sapeva se essergli grata per aver cambiato argomento o se sentirsi ancor più imbarazzata.

< Ehm… > Mormorò, grattandosi la fronte nel tentativo di riordinare le idee < Sabato sera ho trovato il mio pick-up con delle ruote nuove e… e senza l’ammaccatura >

Edward per un momento corrugò la fronte, pensieroso, ma subito dopo, avendo capito cosa doveva essere successo, rilassò il viso ed alzò gli occhi al cielo.

< Alice… > Borbottò tra sé e sé, scuotendo la testa.

< Alice? > Ripeté Bella, stupita < Tua sorella? >

Edward si voltò verso la scuola, guardando un punto fisso del palazzo come sovrappensiero; dopo una decina di secondi trascorsi in silenzio, ridacchiò e scosse nuovamente la testa.

< Già, proprio lei >

Bella lo squadrava sbigottita; non riusciva a capire perché mai la sorella di Edward Cullen avesse dovuto aggiustarle la macchina, e ancor meno capiva perché lui non ne sembrasse altrettanto stupito.  

< Ma… perché? > Chiese.

Il ragazzo alzò le spalle.

< Non perdere tempo a cercare di capirla > Rispose, ma era chiaro come il sole che lui il vero motivo lo conoscesse.

Bella era pronta ad insistere, ma lui alzò una mano per zittirla.

< Adesso, per piacere, sarebbe il caso che ti spostassi; devo parcheggiare > Disse. Il suo viso e la sua voce erano tornati ad essere totalmente inespressivi.

La ragazza, frastornata, barcollò lentamente verso il marciapiedi, lasciando libero passaggio alla Volvo.

Edward, salito in macchina, riaccese il motore con un basso e sonoro rombo; prima di dare gas, abbassò il finestrino e aggiunse:

< Riavrai le tue ruote >

Bella, incapace di trovare le parole, si limitò ad annuire.


***

Bella entrò trafelata nell’atrio della scuola ormai deserto; il grosso e antico orologio a muro appeso alla parete dell’ingresso segnava già le 08:23.

‘Diciotto minuti di ritardo!’ Pensò tra sé e sé la ragazza, mordendosi il labbro inferiore per il nervosismo.

Iniziò a girare la testa a destra e a sinistra, tentando di riconnettere il cervello (completamente in tilt) e ricordare dove avesse la sua prima lezione.

‘Chimica! Quindi… laboratorio! Laboratorio, cioè… primo piano, ala sinistra!’

Non appena ebbe fatto mente locale, prese a correre come una forsennata lungo il corridoio, verso la scalinata che conduceva al piano superiore.

Mentre saliva gli scalini di marmo a due a due, non riusciva a non pensare a quanto male mosse iniziata quella giornata; si era dovuta svegliare quasi all’alba per non
prendere il pick-up, aveva incolpato ingiustamente un semi-sconosciuto, lo aveva insultato come mai aveva fatto prima con nessun altro ed ora era anche in ritardo per la lezione.

Certamente nel complesso non era la cosa più grave, ma fare un ritardo ingiustificato a sole tre settimane dal suo arrivo in quella scuola non era esattamente una gran mossa.

Arrivata ansimante davanti alla porta chiusa del laboratorio di chimica, bussò due volte.

< Avanti > Risuonò dall’interno dell’aula la voce gracchiante del professor Miller.

Bella, rossa in viso per la corsa e per l’imbarazzo, aprì timidamente la porta.

Venti paia di occhi, tra cui quelli curiosi di Mike Newton e quelli fastidiosamente snob di Jessica, si puntarono immediatamente su di lei.

< Buongiorno professore, scusi, io… > Iniziò a dire tra un respiro affannato e l’altro, ma l’uomo la interruppe schiarendosi sonoramente la gola.

< Signorina Swan > Disse, con voce profonda ed estremamente grave < Si rende conto di che ora è? Ha bisogno che le compri un orologio? >

Bella, imbarazzatissima, guardò a terra ed iniziò a grattarsi convulsamente un avambraccio.

< Mi scusi, ho fatto tardi perché… >

< Non mi interessa. Me lo spiegherà suo padre nella giustificazione che le consiglio vivamente di portare domani. Ora può andare > Gracchiò il signor Miller, squadrandola con sdegno da dietro le lenti rettangolari degli occhiali.

Bella spalancò la bocca.

< Andare dove…? > Chiese sconcertata.

< Fuori, signorina Swan. Sta sottraendo tempo prezioso ai suoi compagni >.

Bella, confusa, si voltò a guardare la classe e soltanto allora si rese conto che i banchi erano stati distanziati ed ognuno aveva di fronte a sé una penna ed un foglio bianco.

Aveva completamente dimenticato il compito in classe.

< Ma profess… >

< Le ho detto di uscire. > Ribadì il signor Miller, alzando il tono della voce. < La voglio qui domani pomeriggio, alle 16.00 in punto, per recuperare il compito >.

Bella avrebbe voluto protestare, ma intuiva che non sarebbe servito a nulla; senza guardare nessuno negli occhi, annuì lentamente ed uscì in silenzio dall’aula, richiudendosi la porta alle spalle.

Che giornata meravigliosa.
 
 
 
 
   
 
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