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Autore: settembre17    18/05/2021    1 recensioni
Al tramonto, c'è chi spara e c'è chi osserva, chi vorrebbe lanciare una mela e chi per poco inciampa: ma c'è anche spazio per la felicità.
Una storia ad arricchimento progressivo: ogni capitolo ingloba il precedente senza che questo subisca alcuna variazione.
Primo capitolo: contiene una parte di solo dialogo tra due personaggi;
Secondo capitolo: il dialogo rimane immutato ma si unisce a sezioni narrative e descrittive;
Terzo capitolo: il secondo capitolo resta immutato ma con l'aggiunta di un ulteriore sviluppo narrativo.
Le tre parti non sono consecutive una all'altra, ma sono incastrate l'una nell'altra.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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All'ora del tramonto - Parte seconda

A settembre, gli uccelli si radunano per prepararsi alla migrazione: il freddo non consente di rimanere più a lungo, è tempo di raggruppare lo stormo e volare via, a sud.
 
La donna e l’uomo, soli nelle luci dell’autunno, si guardarono e poi lei, seria, gli fece un cenno.
- Ecco, il sole si sta abbassando, è la luce che preferisco per sparare. Passami le pistole.
- Tieni. Fai attenzione: è una luce che inganna gli occhi, può trafiggere lo sguardo all’improvviso e impedire di vedere.
- Ecco perché voglio allenarmi a quest’ora: allinea le bottiglie.
- Fatto.
 
Dritta, concentrata, lo sguardo ridotto a una fessura tagliente contro la luce del sole che iniziava la sua discesa. Un disco infuocato sullo sfondo, una figura di profilo con le braccia protese in avanti, una pistola in entrambe le mani e le dita pronte a far scattare il grilletto.
Echi di spari spaventarono alcuni uccelli che avevano già trovato riparo per la notte facendoli volare via.

Lui intanto era un poco distante da lei: seduto a terra, puliva con cura e attenzione le altre armi usate quel pomeriggio e le riponeva in una cassetta di legno; non la guardava, teneva gli occhi socchiusi, attento solo al rumore dello sparo e a quello successivo del vetro infranto.
 
- Le hai colpite tutte, una mira straordinaria.
- No, no, non va bene. Non sono stata abbastanza veloce.
- Ma sei stata precisa. Perché hai quell’espressione così contrariata?
- Non si tratta solo di colpire il nemico. Bisogna impedirgli di fare lo stesso, capisci? La velocità di reazione può decretare la differenza tra la vita e la morte. È importante. 
Devo allenarmi ancora.
- Sì, ma domani, non stasera. Adesso vieni, per favore.
- Va bene, eccomi.
Lasciò le pistole sul muretto sui cui restavano cocci aguzzi di bottiglia mentre lui si alzò ad aspettarla palleggiando nella mano una mela rossa.
- Vuoi una mela?
- Oh sì, grazie.
No, aspetta, non lanciarla, vengo lì da te.
Corse giù dal pendio leggera, ma nello scendere un piede in fallo la fece sbilanciare in avanti. Lui la guardò con un’occhiata apprensiva, pronto a balzare in suo aiuto, ma si rilassò in un sorriso quando la vide riprendere l’equilibrio con una risata.
Lo raggiunse, poi con un braccio circondò la sua vita mentre lui le cingeva le spalle stringendola un poco a sé. Lei appoggiò la testa contro di lui e con la mano libera prese la mela. Poi l’addentò di gusto.
- Grazie. È buona.
Lui le baciò la tempia guardando in direzione dei cavalli, legati poco lontano vicino al ciglio della strada.
Stettero qualche minuto così, in silenzio, nella luce del tramonto.
- Non me ne ero accorta, ma questo tramonto è meraviglioso.
- Tutto è meraviglioso, non trovi?
Ma dobbiamo proprio tornare adesso.
- Hai ragione, ma vorrei stare ancora qui così, sai?
- Profumi di mela e di polvere da sparo.
 
Il prato da attraversare prima di giungere ai cavalli era in leggera pendenza, decisero di risalire verso la strada costeggiando un filare di cipressi che delimitava il viale di accesso di una villa ormai diroccata poco distante. Non vollero camminare su quella strada sterrata, preferivano sentire gli stivali affondare nella terra e schiacciare l’erba che odorava di autunno.
Andavano appaiati e a passo spedito, lui portava la cassetta delle armi e una bisaccia a tracolla, lei una coperta piegata sotto il braccio. Aveva insistito per portare anche lei qualcosa fino ai cavalli, lui riteneva che non fosse necessario né appropriato. Lei aveva riso e si era incamminata, lui l’aveva raggiunta.
Non si toccavano mai; forse, talvolta, come di sfuggita, le maniche delle loro camicie si sfioravano, ma pareva un movimento del tutto casuale.
Non si parlavano, non si toccavano. Eppure, nei loro passi decisi, nelle loro spalle aperte, nei loro occhi limpidi e accesi si leggeva qualcosa.
Un acuto osservatore avrebbe intuito un sentimento che escludeva chiunque altro, un’appartenenza che non aveva bisogno di gesti di possesso per essere vera.
Del resto, non erano mai stati tipi da smancerie e svenevolezze.

Una volta arrivati ai cavalli, a lui e a lei fu evidente dove quella camminata aveva portato i loro pensieri. Quando montarono in sella e si guardarono intorno per decidere in quale direzione andare, si trovavano uno di fronte all’altro: inavvertitamente le ginocchia si scontrarono e poi le cosce, assecondando il leggero spostamento dei cavalli, si avvicinarono, sfiorandosi appena.
Rimasero, come assorti, a fissarle per qualche secondo, poi gli sguardi si sollevarono: non erano più limpidi, ma agitati da una passione trattenuta.
- Andiamo a Parigi dopo cena, te ne prego.
- Sì. Dopo cena andiamo a Parigi, io e te.
 
Era quello che entrambi volevano e lui e lei si guardarono complici. Poi volarono insieme verso casa sui loro cavalli, ridendo e riempiendosi i polmoni di vita.
   
 
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