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Autore: settembre17    18/05/2021    13 recensioni
Al tramonto, c'è chi spara e c'è chi osserva, chi vorrebbe lanciare una mela e chi per poco inciampa: ma c'è anche spazio per la felicità.
Una storia ad arricchimento progressivo: ogni capitolo ingloba il precedente senza che questo subisca alcuna variazione.
Primo capitolo: contiene una parte di solo dialogo tra due personaggi;
Secondo capitolo: il dialogo rimane immutato ma si unisce a sezioni narrative e descrittive;
Terzo capitolo: il secondo capitolo resta immutato ma con l'aggiunta di un ulteriore sviluppo narrativo.
Le tre parti non sono consecutive una all'altra, ma sono incastrate l'una nell'altra.
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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A settembre, gli uccelli si radunano per prepararsi alla migrazione: il freddo non consente di rimanere più a lungo, è tempo di raggruppare lo stormo e volare via, a sud.
In un viaggio diverso si muoveva un uomo che indossava una consunta divisa da ufficiale: lasciato il suo gruppo, con cui aveva combattuto una guerra lontana, stava tornando da solo verso l’unico posto che il suo cuore riconosceva come casa.
Si fermò all’improvviso, quando da lontano vide quello che cercava: un giovane biondo, con i capelli lunghissimi e il profilo femmineo. In effetti, lui lo sapeva, non si trattava di un uomo: quella era una donna, ma l’ufficiale, sorridendo, pensò che quella donna era davvero quanto di più simile ad un vero amico avesse mai avuto. Un giorno, forse, gliel'avrebbe detto.

Quella donna stava parlando con un uomo dai capelli scuri, l’ufficiale conosceva bene anche lui, ma da quella distanza non poteva udire le loro voci.
 
La donna e l’uomo, soli nelle luci dell’autunno, si guardarono e poi lei, seria, gli fece un cenno.
- Ecco, il sole si sta abbassando, è la luce che preferisco per sparare. Passami le pistole.
- Tieni. Fai attenzione: è una luce che inganna gli occhi, può trafiggere lo sguardo all’improvviso e impedire di vedere.
- Ecco perché voglio allenarmi a quest’ora: allinea le bottiglie.
- Fatto.
 
Dritta, concentrata, lo sguardo ridotto a una fessura tagliente contro la luce del sole che iniziava la sua discesa. Un disco infuocato sullo sfondo, una figura di profilo con le braccia protese in avanti, una pistola in entrambe le mani e le dita pronte a far scattare il grilletto.
Echi di spari spaventarono alcuni uccelli che avevano già trovato riparo per la notte facendoli volare via.
L’ufficiale la guardava ammirato. Il suono degli spari in realtà non gli piaceva, spesso la notte si svegliava bagnato di sudore, convinto di essere ancora sotto il fuoco nemico in quella guerra che aveva combattuto. Eppure, ora, nel rosso del tramonto, anche gli spari avevano il suono di qualcosa di caro e di familiare, di qualcosa che non poteva fare male. L’uomo con i lunghi capelli scuri era sparito sotto la curva del pendio e l’ufficiale, dalla sua visuale, non poteva vederlo più.
Lui intanto era un poco distante da lei: seduto a terra, puliva con cura e attenzione le altre armi usate quel pomeriggio e le riponeva in una cassetta di legno; non la guardava, teneva gli occhi socchiusi, attento solo al rumore dello sparo e a quello successivo del vetro infranto.
 
- Le hai colpite tutte, una mira straordinaria.
- No, no, non va bene. Non sono stata abbastanza veloce.
- Ma sei stata precisa. Perché hai quell’espressione così contrariata?
- Non si tratta solo di colpire il nemico. Bisogna impedirgli di fare lo stesso, capisci? La velocità di reazione può decretare la differenza tra la vita e la morte. È importante. 
Devo allenarmi ancora.
- Sì, ma domani, non stasera. Adesso vieni, per favore.
- Va bene, eccomi.
Lasciò le pistole sul muretto sui cui restavano cocci aguzzi di bottiglia mentre lui si alzò ad aspettarla palleggiando nella mano una mela rossa.
- Vuoi una mela?
- Oh sì, grazie.
No, aspetta, non lanciarla, vengo lì da te.
Corse giù dal pendio leggera, ma nello scendere un piede in fallo la fece sbilanciare in avanti. Lui la guardò con un’occhiata apprensiva, pronto a balzare in suo aiuto, ma si rilassò in un sorriso quando la vide riprendere l’equilibrio con una risata.
Lo raggiunse, poi con un braccio circondò la sua vita mentre lui le cingeva le spalle stringendola un poco a sé. Lei appoggiò la testa contro di lui e con la mano libera prese la mela. Poi l’addentò di gusto.
- Grazie. È buona.
Lui le baciò la tempia guardando in direzione dei cavalli, legati poco lontano vicino al ciglio della strada.
Stettero qualche minuto così, in silenzio, nella luce del tramonto.
- Non me ne ero accorta, ma questo tramonto è meraviglioso.
- Tutto è meraviglioso, non trovi?
Ma dobbiamo proprio tornare adesso.
- Hai ragione, ma vorrei stare ancora qui così, sai?
- Profumi di mela e di polvere da sparo.
 
L’ufficiale attendeva di vederli comparire dato che il pendio in discesa li aveva fatti sparire alla sua vista, indeciso se lanciare il suo cavallo al galoppo verso di loro o se avvicinarli con calma. La commozione che aveva preso il sopravvento lo convinse che fosse meglio aspettare ancora un po’. Poi li vide e il suo cuore si allargò: quelli sì, si disse, quelli, tutti e due, erano i suoi più cari amici. Si stavano incamminando in direzione opposta alla sua, verso la strada dall’altro lato del campo.
Il prato da attraversare prima di giungere ai cavalli era in leggera pendenza, decisero di risalire verso la strada costeggiando un filare di cipressi che delimitava il viale di accesso di una villa ormai diroccata poco distante. Non vollero camminare su quella strada sterrata, preferivano sentire gli stivali affondare nella terra e schiacciare l’erba che odorava di autunno.
Andavano appaiati e a passo spedito, lui portava la cassetta delle armi e una bisaccia a tracolla, lei una coperta piegata sotto il braccio. Aveva insistito per portare anche lei qualcosa fino ai cavalli, lui riteneva che non fosse necessario né appropriato. Lei aveva riso e si era incamminata, lui l’aveva raggiunta.
Non si toccavano mai; forse, talvolta, come di sfuggita, le maniche delle loro camicie si sfioravano, ma pareva un movimento del tutto casuale.
Non si parlavano, non si toccavano. Eppure, nei loro passi decisi, nelle loro spalle aperte, nei loro occhi limpidi e accesi si leggeva qualcosa.
Un acuto osservatore avrebbe intuito un sentimento che escludeva chiunque altro, un’appartenenza che non aveva bisogno di gesti di possesso per essere vera.
Del resto, non erano mai stati tipi da smancerie e svenevolezze.
L’ufficiale non era un osservatore così accorto, e poi loro erano di spalle e da quella distanza non avrebbe mai potuto vedere quello che scintillava nei loro occhi: un sentimento che, di sicuro, lui un tempo aveva ben conosciuto. Ma quell’informalità, quella leggerezza, quella rilassatezza nei movimenti e nei rapporti erano tutto ciò che lui ora desiderava: nessuna complicazione, nessuna tattica, nessuna strategia, solo schietta amicizia. Un ristoro per l’anima.
Una volta arrivati ai cavalli, a lui e a lei fu evidente dove quella camminata aveva portato i loro pensieri. Quando montarono in sella e si guardarono intorno per decidere in quale direzione andare, si trovavano uno di fronte all’altro: inavvertitamente le ginocchia si scontrarono e poi le cosce, assecondando il leggero spostamento dei cavalli, si avvicinarono, sfiorandosi appena.
Rimasero, come assorti, a fissarle per qualche secondo, poi gli sguardi si sollevarono: non erano più limpidi, ma agitati da una passione trattenuta.
- Andiamo a Parigi dopo cena, te ne prego.
- Sì. Dopo cena andiamo a Parigi, io e te.
 
Fu in quel momento che lo videro arrivare: increduli, guardavano la chioma che ondeggiava al vento, gli stivali inzaccherati, la bisaccia logora appesa alla sella e poi riconobbero la sua risata, spezzata da un’emozione profonda che anche loro in quel momento sentivano. Tutti e tre avevano gli occhi lucidi di lacrime e di felicità: quell’uomo, l’amico di una vita, era ritornato sano e salvo dopo anni di guerra.
Quando li raggiunse, si guardarono tutti e tre commossi e si strinsero le mani con vigore: poi, ad un cenno di lei, voltarono i cavalli nella stessa direzione.
L’idea di rinunciare alla stanza con l’abbaino che avevano da tempo preso in affitto a Parigi non fu dolorosa, ora avrebbero accolto l’ospite, ascoltato i suoi racconti e sollevato insieme un calice di buon vino. Finalmente era tornato e i pensieri cupi che lui e lei avevano tante volte condiviso pensando a quella guerra lontana erano svaniti nel rosso della sera. Lo avrebbero fatto sentire al sicuro e di nuovo circondato dalla loro amicizia.

Era quello che entrambi volevano e lui e lei si guardarono complici. Poi volarono insieme verso casa sui loro cavalli, ridendo e riempiendosi i polmoni di vita.
   
 
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