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Autore: Miss Jacqueline     29/08/2009    1 recensioni
Noi mettiamo il nostro lavoro al servizio degli altri, sentendoci così potenti di poter aiutare il prossimo. Il problema sorge quando sono le persone a noi più care ad aver bisogno d'aiuto.
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Bisturi.”
“Tenga.” Eccola qui l’infame. Eccomi per l’ennesima volta mi trovo con il cuore in mano, il nucleo di tutto. Palpita tra le mie mani, mentre eseguo un semplicissimo intevento. Il mondo ruota intorno ad esso, tutti agiscono per sentirsi bene col cuore, ma lui mai contento sta sempre male.
“Sostituzione Valvolare effettuata, complimenti ragazzi.” Mi complimentai con i miei specializzandi, gli ultimi dieci punti e anche quest’intervento era andato. Usci dalla sala e mi lavai le mani. Ero stanca, il giorno prima avevo fatto la notte e non volevo altro che andare a casa e dedicarmi un po’ a me, anche se la mattina dopo alle otto precise sarei dovuta tornare qui. Uscii tranquilla e mi diressi verso lo spogliatoio. Non avevo più turni, finalmente non avevo più turni.
“Madyson” No! Il capo, no. Mi girai e lo vidi lì appoggiato al bancone sotto i tabelloni che mi fissava serio. Mi avvicinai a lui e sospirai.
“Dottoressa, hai fatto un ottimo lavoro oggi e ti concedo due giorni di pausa.” Mi passò la mano in testa, mi girò e mi spinse verso lo spogliatoio. Risi, mi cambiai in fretta e uscì da quell’ospedale sempre affollato di gente bisognosa d’aiuto e non bastavano i pazienti, ma c’erano anche le faide tra colleghi.
Era una giornata cupa a Seattle, pioveva a dirotto e non accennava a fermarsi. Meglio; la pioggia mi avrebbe portato un po’ di pace, l’idea di farmi due isolati a piedi non mi faceva impazzire, ma prendere un taxi a quell’ora sarebbe stato impossibile. Guardai la mia casa giornaliera con occhi stanchi, sempre tutta illuminata, presi forza e iniziai ad avvicinarmi a casa.
Ero arrivata al Grace Hospital sette anni fa, avevo fatto cinque lunghissimi anni di specializzazione. Era sta dura ma ce l’avevo fatta, avevo coronato il mio sogno anche grazie al mio capo, Charlie. Mi aveva sempre seguita e ha sempre creduto in me, anche quando pensavo di non farcela lui c’era stato e io avevo trovato la forza di fare qualsiasi cosa grazie a lui. Charlie era stato il mio insegnate fin dai primi tempi, per me era come un padre e un caro amico. In America era il mio unico attacco famigliare, avevo lasciato l’Italia parecchi anni prima per frequentare la migliore facoltà di medicina, l’Harvard Medical School. Erano stai gli anni più belli della mia vita, avevo fatto una fatica enorme per entrare in quell’università e ce l’avevo fatta. Lì incontrai Charlie, che come ogni anno, consultava le università per assicurarsi i migliori studenti di medicina. Complimenti, mi aveva detto e mezz’ora dopo mi lasciò con una breve stretta la mano, che mi assicurò un posto di specializzazione per chirurgia Cardiotoracica al Grace Hospital. Ogni festività tornavo nella mia città natale per un breve saluto alle mie origini e subito dopo ripartivo per tornare a quella che oramai da anni era la mia casa.
Proprio mentre scavavo nei meandri del mio passato una musica proveniente dall’appartamento accanto al mio mi distrasse, in meno di venti minuti ero arrivata a casa. Bussai alla porta della mia instancabile vicina, non che mia migliore amica di sempre. Lexie era sempre con me. Ci eravamo conosciute all’asilo all’età di quattro anni, da quel momento fummo inseparabili. Nemmeno scuole diverse ci avevano divise, eravamo due libri aperti l’una per l’atra e ora all’età di trentuno anni non ci eravamo ancora separate. Lei aveva frequentato giornalismo ed era uscita con il massimo dei voti. Uscite dall’università avevamo comprato due appartamenti adiacenti a Seattle. Bussai di nuovo, ma ancora niente. Aspettai dieci minuti e niente, bussai di nuovo. Niente. Iniziai a suonare e a bussare contemporaneamente, doveva sentirmi. Il rumore della serratura mi diede un po’ di sollievo.
“Oh..Oh ragazzi qualcuno ha invitato una barbona?” chiese sfacciato uno sconosciuto, con in mano una bottiglia di vino, al resto della gente che popolava la casa e una risata di sottofondo fu l’unica risposta che ricevette. Mi sollevò una ciocca di capelli bagnata, come il resto del mio corpo.
“Però è carina, entra tesoro. Entra.” Mi disse lo sconosciuto spingendomi dentro la casa. Lo guardai male e mi diressi verso il salotto, una volta davanti allo stereo lo spensi con molta naturalezza. Tutti si girarono verso di me e mi guardarono male.
“Lexie!” urlai, ma non ebbi risposta. In un minuto il terribile sconosciuto si avvicinò a me e avvicinando il suo viso al mio mi guardò minaccioso.
“Ma chi cazzo ti credi di essere tu?” Mi disse incazzato. Feci finta di non sentirlo, quella sera non avevo proprio voglia di litigare con nessuno. Ero stanca e avevo voglia di andare solo a dormire. Il ragazzo continuava a parlare imperterrito.
“Lexie!” ripetei per l’ennesima volta, stavo per perdere la pazienza e non era una buona cosa.
“Ma l’avete vista questa? Entra fa tutto quello che vuole..è già tanto che io ti abbia fatta entrare bella mia - Il ragazzo mi afferro il polso e mi girò verso di lui – mi stai ascoltando?” Okay, ora basta. Tutti avevano superato il limite e visto che Lexie non accennava a farsi vedere, decisi di fare tutto da sola. Gli afferrai la mano e gli premetti il pollice sul nervo provocandogli un dolore pari ad una coltellata, il ragazzo urlò. Gli lasciai andare la mano solo perché le sue urla non facevano altro che aumentare il mio mal di testa.
“Ora sei tu che mi devi ascoltare- gli dissi seria avvicinandomi a lui- si da il caso, che la barbona qui sia la migliore amica della padrona di casa” L’espressione del ragazzo cambiò improvvisamente, da lontano udì dei passi, finalmente la mia amica si doveva essere accorta della mia presenza o almeno lo speravo.
“Io ho appena salvato la vita alla quinta persona nella mia giornata, ho i nervi a fior di pelle, l’altra notte non ho dormito perché naturalmente il turno è toccato a me. Ora ti assicuro che tenere per tutto il giorno un branco di specializzandi, non è facile e non lo è nemmeno infilare le mani nel torace di un uomo e afferrargli il cuore, quindi ora voi spegnete la musica e vene andate.”
Feci un respiro profondo, dovevo essere stata abbastanza chiara perché nessuno in quella casa fiatava più.
“Okay la festa è finita. Fuori.” Disse seria Lexie, che improvvisamente riapparsa dal nulla, aveva aperto la porta di casa. La gente silenziosa iniziò a defluire e in meno di dieci minuti la casa fu vuota. Lexie andò diritta verso la cucina e mi offri una fetta di pizza, che aveva appositamente tenuto via per me. Mangiai tranquillamente mentre la ascoltavo raccontarmi di quanto fossero infami quelli del reparto sport e di quanto fosse subdola la segretaria del capo, che in realtà faceva spudoratamente il filo a Lexie.
“Bhè amica carissima – le dissi dopo aver bevuto un paio di birre – domani e dopo domani sono in ferie, quindi..andiamo a berci qualcosa!” dissi vacillando all’indietro sullo sgabello della cucina a vista della mia amica
“Come hai vecchi tempi!” brindammo insieme. La salutai e me ne andai a casa a dormire, anche se mi aveva offerto un comodo lettino quella sera mi andava solo di starmene a casa mia, da sola. Mi buttai nel letto ancora vestita e mi addormentai.

Driin Driin. Qualcuno suonava alla mia porta, afferrai la sveglia da sotto il cuscino e guardai l’ora. Le due e trenta del pomeriggio, dovevo essere proprio stanca. Driin.
“Arrivo, arrivo” dissi mentre mi trascinavo verso la porta, l’aprì con un lieve movimento ed eccola lì; la figura della mia migliore amica. Con questi capelli rossi che le scendevano lungo in viso e due occhioni da cerbiatta, che mi sorridevano con il resto del suo viso.
Mi spostai e senza dire nulla la feci entrare. Entrammo in cucina dove feci un’abbondante colazione con una maxi dose di caffè, portatomi molto gentilmente da Lexie.
“Ma tu…- sbadiglia, evidentemente ero ancora stanca – tu non dovresti essere in ufficio o cose del genere?” le chiesi faticosamente.
“Ho preso un giorno libero, è un evento che tu sia a casa dal lavoro, per cui ho fatto gli occhioni dolci al capo e sai com’è per me farebbe quasi tutto.. Eh voilà eccomi qua!” mi sorrise sorseggiando il suo di un caffè.
“Tu sei fuori.” Mi alzai e mi diressi verso il bagno, avevo bisogno di una bella doccia per svegliarmi.
Lexie era fantastica, ma niente batteva una buona tazza di caffè e una rinfrescata mattutina. Mi buttai letteralmente sotto l’acqua bollente, potevo sentire il vapore salire e quel senso di giramento di testa che mi faceva impazzire. Le goccioline d’acqua scendevano lente accarezzando ogni superficie del mio corpo, i capelli tirati indietro e l’aroma del sapone. Ah il getto ristoratore della doccia mattutina.
Usci dalla doccia e mi guardai allo specchio. Vidi il mio volto ancora stanco e sciupato; i capelli lunghi e scuri lasciati cadere lungo il viso e con gli occhi di un azzurro-grigio diventati ancora più chiari, grazie all’acqua. Dovevo trovare più momenti per me, non mi bastavano più due giorni al mese.
Presi un paio di jeans e una felpa e raggiunsi Lexie, che pronta per uscire mi aspettava sulla soglia di casa. Mi aspettava una giornata di shopping sfrenato con serata ultra divertente.
  
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