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Autore: Degonia    20/05/2021    0 recensioni
Sono passati così tanti giorni, così tanti mesi, cosa ci fai ancora lì? Se ne sono andati tutti... torniamo insieme, possiamo tornare a prima che tutto iniziasse.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Per Aspera ad Astra

C’era un tempo
in cui la stessa forza che fa sorgere il sole,
abitava anche tra gli uomini.
C’era un tempo
in cui speranza e desiderio
divennero nostalgia e rimpianto.
C’era una volta... così cominciano le fiabe,
proprio perché quello che era una volta, adesso non v’è più.

“Ci lasciamo stanotte, non ce più nient’altro da dire,
così verso le luci dell’alba, sarò salva lontana verso il dovunque,
dove amore è più che soltanto il tuo nome.”





⚜ Agape


“Sei malato o cosa? E’ tua sorella!!” urlò mio padre da dietro la sua scrivania.
Ero appena rientrata e stavo passando vicino al suo studio, quando vidi Hendry entrare con una faccia che non mi era piaciuta affatto. So che non avrei dovuto, ma mi misi ad origliare dietro la porta.
“So benissimo che è mia sorella, è proprio per questo che la…”
I pugni di mio padre sbatterono così forte sulla scrivania che coprirono le sue parole.
“Caro calmati”, disse una voce femminile accanto a lui. In qualche modo ero confortata che mia madre fosse lì.
Altre frasi che non capii, più sommesse, poi una urlata “non voglio fare sesso con lei, non ho mai detto questo!” la voce di mio fratello fu smorzata da un tonfo e rumore di libri che cadevano, infine qualcosa di vetro si ruppe facendomi sussultare.
“In lei e nella nostra generazione si sono finalmente manifestati i segni della nostra progenitrice celeste, non puoi più guardarla nel modo che ti fa più comodo” disse a voce alta mio padre “non è più un essere umano”.
“Hendry stai sanguinando” sentii mia madre “caro per favore, lascialo”.
“Se voi padre non potete capire, allora io non posso farci molto” salì nuovamente la sua voce.
Il suono forte e consueto di uno schiaffo, poi un tonfo a terra. Tremavo.
“Sei un degenere di figlio, scellerato” urlava “sei una vergogna per tutta la famiglia o ora vattene dalla mia vista”.
Quando uscì e richiuse la porta, mi rivolse uno sguardo di rancore, ma quando vide che ero io sgranò gli occhi quasi spaventato. Lo afferrai per la mano e lo trascinai correndo nelle mie stanze.
Si sedette a terra ai piedi del letto, le spalle poggiate alla cassapanca di legno, la testa china tra le sue gambe, dalla sua fronte scendevano rivoli di sangue. Chiusi la porta a chiave e mi inginocchiai davanti a lui asciugandogli il sangue con un fazzoletto. Le sue mani sulle mie, tremavano, quando provai a sollevargli il volto, tuttavia non riusciva neanche a guardarmi. Lo abbracciai forte, tirando la sua testa verso di me, come se fosse un bambino. Dapprima restò immobile, poi ricambiò stringendomi forte, e pianse, pianse a lungo.

Qualcuno bussò alla porta: “Philia sei qui?” disse ruotando il pomello senza riuscire ad aprirla.
“Sì madre, solo un attimo”.
Girai il chiavistello ed aprii, ma non la invitai ad entrare, né lei lo fece.
Mi squadrò da capo a piedi, preoccupata e inquieta, indossavo una piccola armatura in cuoio sottile e l’abbigliamento da allenamento, tornavo da lì, ero anche un po’ sporca di terriccio.
Capii perché lo faceva e... “Madre cosa volete?” le dissi per riportare i suoi occhi sui miei.
Esitò, poi chiese: “Lui è qui?”
“Si”, risposi solo.
“Philia ascolta...”
“No madre, no, lui non mi ha mai guardata né toccata nella maniera in cui voi pensate...” fece per rispondere ma la fermai “non sono più un essere umano, madre?” le dissi, sapevo che le avrei fatto male dicendo questo, ma quelle parole di prima... tenni gli occhi fissi sui suoi, mentre trattenevo le lacrime. La sua espressione cambiò in una più afflitta. Ho con lei un bellissimo rapporto, ha sempre voluto una figlia e non avendo sorelle, aveva sempre risentito della mancanza di una figura femminile accanto a se.
Abbassai gli occhi: “Perdonatemi...” sussurrai.
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi disse: “Posso parlare con lui?”
“Potete, ma solo se gli parlerete con la stessa gentilezza che avete sempre riservato ai vostri figli”.
Annuì. Li lasciai da soli, questa volta senza origliare.
Non sono più un essere umano padre? Scendevo la grande scalinata centrale, e ad ogni gradino, ad ogni passo, il macigno sulle mie spalle diveniva sempre più grosso, sempre più pesante. Attraversai il piazzale esterno inoltrandomi nei giardini laterali circondati da ampie siepi, e lì nascosta, piansi rannicchiata sulle mie ginocchia. Lo feci di nuovo, e la mia mano divenne luminosa, il potere della divinità nella mia discendenza aveva risposto solo 20 anni dopo la mia nascita, e mi era sembrato di vivere in un sogno, prima che tutto diventasse un luminoso incubo.

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