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Autore: IndianaJones25    21/05/2021    1 recensioni
Indiana Jones si trova coinvolto in quella che è destinata a diventare la più celebre delle sue avventure: la conquista dell’Arca dell’Alleanza, il mitico artefatto biblico di cui gli esseri umani sono andati alla ricerca per oltre tremila anni. Tutto questo, però, non sarà soltanto una semplice impresa in competizione con i nazisti e con Belloq, il grande rivale di sempre: per Indiana Jones, infatti, significa dover finalmente fare i conti con il passato e chiudere un cerchio rimasto aperto per dieci anni, riannodando il legame perduto con Marion Ravenwood…
Una storia scritta in occasione del quarantesimo anniversario dell’uscita nei cinema del film “I predatori dell’Arca perduta” e della prima apparizione di Indiana Jones, 12 giugno 1981.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Henry Walton Jones Jr., Marcus Brody, Marion Ravenwood, René Emile Belloq, Sallah el-Kahir
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO II
QUESTA ME LA PAGHI!

    Il Cairo, Egitto

   Marion non c’era più. Marion, a cui aveva rivolto ogni singolo pensiero per dieci lunghissimi anni, la donna che aveva cercato a lungo, vedendola nelle nuvole, scorgendola nella spuma dell’acqua, annusandola in ogni fragranza… l’unica donna che avesse mai cercato davvero e che, infine, era riuscito a ritrovare tra quelle gelide distese ricoperte di nevi perenni, non era più con lui, dopo averla riavuta al suo fianco per pochissimo tempo, un tempo breve ma durante il quale aveva creduto che quel sogno che lo aveva accarezzato e allo stesso tempo tormentato per un decennio potesse tornare a farsi reale.
   Marion, la sola donna che avesse sempre amato, l’unica capace di fare breccia nel suo cuore, adesso era morta, perduta per sempre.
   Gliel’avevano portata via, all’improvviso, senza un solo perché. Aveva disperatamente provato a salvarla, facendosi largo tra la folla inferocita, affrontando tutti quegli arabi dall’aspetto rabbioso e armati fino ai denti. Aveva percorso correndo come una furia i vicoli del Cairo senza pensare al sudore e alla stanchezza, senza curarsi della sabbia che gli entrava nel naso e che gli faceva bruciare gli occhi arrossati, senza ascoltare il ritmo del suo cuore che sembrava volergli esplodere nel petto per lo sforzo a cui lo stava sottoponendo.
   A un certo punto si era persino trovato di fronte a quello spadaccino dall’aria letale, che gli avrebbe certamente procurato non poche rogne; ma per sua fortuna aveva ancora il fedele revolver al fianco. Un colpo solo, dritto al petto, e lo aveva liquidato senza pensarci due volte. Poi era ripartito di corsa, ignorando le grida frenetiche di quanti gli stavano attorno, ignorando persino i rischi di una scarica di mitra che qualcuno gli aveva sparato contro, mancandolo soltanto per una manciata di millimetri.
   Tutto inutile. Aveva fallito. Marion era morta.
   Non aveva avuto nemmeno il tempo di abbracciarla… di baciarla… di dirle che, in tutto quel tempo, aveva pensato sempre e solo a lei. Che aveva amato soltanto lei. Non era stato capace di dirle che cosa rappresentasse davvero per lui, per la sua vita. Non le aveva detto niente e, adesso…
   Adesso era troppo tardi.

 
* * *

   Gli ultimi giorni erano stati qualcosa di talmente frenetico da risultare quasi impossibili da tenere a mente.
   Il suo arrivo in Nepal, la lunga arrampicata tra le cime innevate seguendo le vaghe indicazioni degli abitanti del posto. La sua unica pista era stata un nome: Raven Saloon. Un bar, a detta dei montanari, gestito da un’americana piuttosto pericolosa, che in apparenza sembrava una dolce bambina dagli occhi blu e che, in verità, era una furia scatenata a cui era meglio non pestare i piedi, a meno di non voler fare una brutta fine.
   Aveva capito subito che si trattava di Marion. Prima ancora di trovarsela davanti agli occhi, glielo aveva suggerito il cuore.
   Certo, qualcosa era mutato: la Marion che aveva conosciuto lui era quasi astemia, mentre questa nuova Marion era capace di vincere una gara alcolica contro un tale che aveva tutto l’aspetto dell’incallito bevitore. E, se la ragazza che lui ricordava era sempre carina ed elegante, questa indossava abiti rozzi ed era piuttosto trascurata nell’aspetto, oltre che sboccata nel parlare. Ma era lei, non poteva sbagliarsi, e aveva perso un battito quando finalmente l’aveva rivista.
   Poi era accaduto di tutto.
   Si era aspettato che lei non avrebbe fatto i salti di gioia, nel trovarselo davanti dopo tutto quel tempo; ma nemmeno si sarebbe mai immaginato che Marion lo avrebbe accolto con un pugno così forte da fargli dolere ancora il mento a distanza di giorni. E la scoperta della morte di Abner, che gli aveva aperto una voragine sotto i piedi, e tutta la rissa con i tedeschi, con l’incendio che aveva divorato il saloon… finché, chissà come, si erano ritrovati insieme in volo per l’Egitto, dove Sallah li aveva accolti a casa sua.
   Momenti così frenetici che faticava a rimetterne insieme i tasselli.
   Infine, questo. Un momento di riposo, al mercato, proprio mentre iniziavano a parlare insieme. Parlavano di Abner, di matrimoni, di bambini… forse il momento della verità, troppo a lungo rimandato, si stava avvicinando sempre di più.
   E, invece, l’inatteso scontro, il rapimento, la folle corsa per salvarla… la morte di lei che, per quello che poteva capire – e questo gli procurava un tremito convulso ai polsi – lui stesso aveva causato, sparando all’autista del camion su cui l’avevano caricata.
   Tutto era avvenuto così in fretta che non aveva potuto confessarle che… che cosa? Cosa avrebbe potuto dirle, in verità? Che l’amava ancora? Che aveva trascorso ogni singolo momento di quei dieci anni – circa tremilaseicentocinquanta giorni, se non era ancora diventato un asino con la matematica – a pensare a lei? Che la desiderava, che solo con lei sarebbe potuto essere felice?
   E se anche glielo avesse detto, lei cosa avrebbe risposto? Che lo ricambiava? Da escludere. Forse, invece, con sottile sarcasmo gli avrebbe domandato come mai, se si sentiva tanto attratto da lei, non era mai andato a cercarla, per tutto quel tempo, e perché non si fosse degnato di andare da lei finché non erano stati i servizi segreti a ordinargli di farlo.
   Indiana Jones, davanti a una domanda del genere, sarebbe certamente ammutolito. Non perché non conoscesse la risposta, bensì perché la conosceva benissimo.
   A bloccarlo, per dieci anni, era stata la paura. Semplice, purissima paura. Non certo paura di Abner, che aveva minacciato di prenderlo a fucilate, se solo se lo fosse ancora trovato davanti al naso. Con tutte le volte che gli avevano sparato addosso senza prima avvisare, non si sarebbe lasciato spaventare da così poco. No, lui aveva avuto paura di Marion, di affrontarla, di aprirle il cuore, di rivelarle la verità. Perché a volte è molto più semplice affrontare un esercito agguerrito, piuttosto che mostrare il proprio cuore e le sue debolezze.
   Ed era stata quella stessa paura a zittirlo, a impedirgli di affrontare con lei quell’argomento, nelle tante ore che avevano avuto a disposizione durante il viaggio. Solo adesso si rendeva conto di quanto fosse stato sciocco, di quanto sarebbe stato meglio parlarle, finché ne aveva la possibilità. Finché si è vivi, si ha la certezza di avere l’eternità, a propria disposizione, e che quindi tutto possa essere rimandato a chissà quando.
   Solo che, ora, Marion non era più viva.
   Marion era morta.

 
* * *

   Marion era stata l’ennesima vittima della folle ricerca dell’Arca dell’Alleanza, una ricerca iniziata tremila anni prima e la cui storia era costellata di un numero sproporzionato di cadaveri. Indy aveva tristemente creduto che l’ultimo agnello immolato su quell’altare fin troppo imbrattato di sangue fosse stato il povero Abner Ravenwood, il suo maestro – suo padre, in un certo senso – ma, invece, si era dovuto ricredere molto presto, ricevendo un duro colpo, il peggiore della sua esistenza, un pugno nello stomaco, una micidiale staffilata nel cuore. Adesso anche Marion era stata presa. Presa e mai più restituita.
   Marion… la sola idea di averla perduta così, all’improvviso, lo stava facendo soffocare, lentamente, come se i suoi polmoni non fossero più in grado di respirare la calda e secca aria cairota.
   Indy si era sentito morire insieme a lei, ma aveva dovuto arrendersi fin troppo presto all’evidenza: non era morto. Lui era rimasto vivo, di nuovo, come al solito, condannato per sempre a seppellire dietro di sé tutte le persone che aveva creduto importanti, perdendole una a una, come foglie secche cadute nell’intricata foresta della sua amara esistenza e soffiate via dal vento.
   Che destino schifoso. Pensare per anni a una persona, amarla con tutto se stesso, e poi ritrovarla soltanto per pochi giorni, prima di perderla ancora, questa volta per sempre, e senza nemmeno una parola. Ricevere la più grande gioia di un’intera esistenza e poi vederla ridotta in polvere, in maniera così repentina che non aveva avuto nemmeno la forza per piangere. Perché la vita si accaniva così tanto, contro il professor Jones? Quale colpa inenarrabile stava scontando?
   Aveva tentato di dimenticare tutto, soffocando la sua disperazione nell’alcol, come già in passato gli era riuscito tanto bene, ma questa volta non c’era riuscito, come se il suo cervello si rifiutasse di accettare di poter scordare ogni avvenimento in quel basso modo, che certo non si addiceva a un uomo come lui. L’oblio del liquore non sarebbe stato sufficiente per dimenticarsi di Marion, non in questo istante. Dimenticarsi di Marion, poi? Non ci sarebbe mai riuscito, né ora né mai.
   Inoltre, come poteva, proprio lui, ridursi in un simile e patetico stato, dopo mille avventure straordinarie? Un modo davvero triste e pietoso, per togliersi di mezzo. Ma la verità era che non credeva neppure di essere riuscito a ubriacarsi per davvero, come se ci volesse ben altro per farlo delirare. L’alcol – whisky, o qualche surrogato che più o meno gli assomigliava – passava dalla bottiglia al bicchiere e dal bicchiere alla sua gola senza altro effetto all’infuori del caldo che lo avvolgeva e degli occhi che gli brillavano come quelli di un folle. Un folle lucido, però, totalmente consapevole del mondo che lo circondava, un mondo che si rifiutava di sbarazzarsi di lui mentre, con vero sadismo, gli faceva terra bruciata attorno.
   Eppure, preda di qualche delirio doveva esserlo davvero.
   Mentre accarezzava la scimmietta a cui Marion si era tanto affezionata, continuava a rivedere la sua ragazza, a sentire la sua voce. I suoi occhi continuavano a brillare dinnanzi ai suoi, il suo sorriso incantevole lo travolgeva con la forza di un oceano impetuoso. E gli veniva la tentazione di allungare le braccia, di stringerla, di baciarla, di dirle finalmente quelle due parole, così semplici e difficili…
   «Ti amo.»
   «Davvero, Indy?»
   «Sì, davvero…»
   «Me l’hai già detto una volta, se ben ricordi…»
   «Questa volta è diverso, Marion, te lo prometto. Questa volta è per sempre…»
   «Ne sei sicuro?»
   «Sì. Ne sono sicuro.» E coronava quella promessa con un bacio, tenendola stretta, i loro corpi l’uno contro l’altro…
   Ma sapeva troppo bene che quello era solo un ricordo, o meglio un’illusione, un parto della sua fantasia. Non c’era mai stata quella conversazione, tra di loro. Non era accaduta in passato e non sarebbe avvenuta nemmeno nel futuro. Era solo un insieme indefinito che viveva nel suo inutile, tetro, solitario presente. Che poi l’alcol c’entrasse davvero, in tutto questo, non avrebbe saputo dirlo.
   Certo, almeno un po’ doveva avergli fatto effetto, tutto quel bere.
   Doveva senza dubbio essere stato un po’ brillo, mentre cercava di ammazzare davanti a tutti quel cane rognoso di René Belloq, senza curarsi minimamente di essere in mezzo a un bar, dove chiunque avrebbe potuto vedere che assassino spietato fosse in grado di diventare. Bar da cui, lo sapeva, era uscito vivo solo per via dell’intervento tempestivo dei numerosi figli di Sallah, i suoi nipotini putativi; se non fosse stato per Moshti, Yasmin e tutti gli altri, adesso anche Indiana Jones si sarebbe senza dubbio potuto annoverare tra coloro che erano periti nella ricerca dell’Arca del Dio di Israele.
   E non sarebbe stato meglio così, in fondo? Non sarebbe stato preferibile andarsene per sempre e raggiungere Marion in quel paradiso della cui esistenza aveva sempre dubitato e che, ciò nonostante, adesso invocava nelle sue preghiere segrete, sperando che potesse rimanere almeno quell’ultimo barlume di possibilità di amarsi e di restare insieme per tutta l’eternità, senza più alcun pensiero?
   «La vita deve continuare, Jones» gli aveva saggiamente suggerito Sallah, mentre salivano sul suo pickup. «Non ci si può fermare.»
   Facile, per lui, dire così. Lui aveva Fayah e aveva i bambini, aveva la sua vita felice al Cairo… ma a lui,  invece, che cosa rimaneva…? Che cosa rimaneva a quel derelitto di Indiana Jones?
   Aveva perduto Marion, l’unica donna che avesse mai amato davvero, proprio adesso che l’aveva finalmente ritrovata, credendo di poter rimanere insieme a lei, di farle comprendere che, in fondo, lui non era affatto il mostro che lei aveva sempre creduto, che aveva voluto credere che lui fosse, l’essere insensibile e disgustoso che si era dipinta nella mente per tutto quel tempo.
   Indy aveva realmente sognato che sarebbero rimasti insieme, che avrebbe potuto bearsi della sua vista e della sua vicinanza per il resto dei suoi giorni, che avrebbe potuto amarla giorno per giorno, assaporando il gusto della sua pelle, accarezzando i suoi capelli bruni, inebriandosi dolcemente del suo profumo unico e fragrante… forse quel sogno non si sarebbe mai realizzato, forse una volta tornati a casa lei lo avrebbe salutato chiudendogli la porta in faccia, ma sognare non è proibito, in fondo. Solo che, adesso, non avrebbe più potuto fare neppure quello.
   Aveva fallito, miseramente, infrangendo quei sogni durati per un battito di ciglia, forse anche meno, sebbene se li fosse trascinati dietro per dieci anni. Ma cos’erano mai, dieci anni in cui lei era stata lontana ma viva, rispetto a tutta l’eternità in cui lei non ci sarebbe più stata?
   Aveva fallito e l’aveva vista morire, così, senza un motivo, senza nemmeno un perché. Non aveva neppure avuto un corpo su cui piangere, perché la violenza del fuoco doveva averla consumata completamente in pochissimi istanti e non era riuscito ad avvicinarsi al camion in fiamme per vedere che cosa restasse di lei. Non era riuscito a trovarne il coraggio, lo strazio sarebbe stato troppo grande da sopportare e Indy, a dispetto delle mille avventure vissute, non era mai stato troppo coraggioso.
   L’idea di non poter più vedere il suo sorriso, di non poterla più sentire ridere e parlare… Indiana Jones stava cominciando a sentirsi morire, a ogni singolo respiro. E, in effetti, avrebbe tanto desiderato che l’oscuro oblio calasse definitivamente su di lui, cancellandolo dal mondo, facendo di lui null’altro che polvere dissolta nel vento, proprio come polvere era divenuta Marion.
   Eppure, nonostante i suoi più ardenti desideri di morte, continuava a restare vivo e a compiere il suo dovere, meccanicamente, come se tutto, ormai, dipendesse soltanto da quello, dal sottrarre l’Arca dal Pozzo delle Anime e dal farla pagare a quei porci dei nazisti e, soprattutto, di René Belloq. Era giusto così, in fondo; doveva resistere ancora qualche giorno, per vendicarsi, per vendicare Marion, e poi… poi sarebbe stato libero di sfogare pienamente il suo dolore, di torturarsi per la perdita dell’unica donna che avesse mai amato, fino a morire lui stesso.
   Per questo motivo era andato con Sallah dal vecchio Imam, e lì avevano finalmente scoperto il segreto della Sala del Plastico di Tanis, quel dettaglio che ai tedeschi era sfuggito, piccolo eppure di fondamentale importanza… aveva ascoltato quasi distrattamente la traduzione delle frasi incise sul medaglione, e aveva dato ben scarsa importanza alle parole che gli aveva rivolto più tardi il vecchio, quando gli aveva citato la Bibbia, rammentandogli che l’Arca non andava profanata, nemmeno con lo sguardo, perché quello sarebbe stato un vero e proprio sacrilegio, che avrebbe comportato qualcosa di drammatico e pericoloso. Poi, mentre il suo amico si recava da un falegname di sua completa fiducia per farsi fabbricare un’asta delle dimensioni esatte per l’amuleto di Ra, Indy era tornato a casa, si era spogliato completamente e si era infilato a letto, perché non restava null’altro da fare che provare a dormire.
   Dormire, una parola di cui non conosceva più il vero significato.

 
* * *

   Trascorse una lunghissima notte insonne, popolata di incubi a occhi aperti, immagini sfocate che venivano a prendergli l’anima per suppliziargliela poco a poco.
   Nel buio rivedeva di continuo la stessa immagine, ripetuta di continuo, come un nastro proiettato sulla parete della sua coscienza dilaniata dal dolore: Marion, chiusa in quella cesta, che chiamava con disperazione il suo nome, cercando il suo aiuto, mentre veniva caricata nel cassone… il cassone del camion carico di armi e di munizioni che, quando lui aveva sparato, sicuro che bastasse questo per salvarla, si era rovesciato, esplodendo con la potenza di una bomba. E lei era morta… Di lei era rimasta solo l’eco della sua voce che andava affievolendosi e l’immagine dei suoi occhi verdi e blu che non avrebbero sorriso mai più…
   Indy, disteso nel letto, strinse spasmodicamente il lenzuolo, affondando i denti nella tela del cuscino per cercare di cacciare indietro la sofferenza. Eppure c’erano troppi interessi in ballo, troppe persone che contavano su di lui, e questo non gli dava il permesso di piangere e di soffrire.
   Era proprio come se le stelle, che brillavano a milioni fuori dalla finestra reticolare spalancata, nella calda e profumata notte egiziana, si fossero d’improvviso trasformate in una brillante pioggia di pianto che accompagnava il suo indicibile, inesprimibile dolore, quel dolore che non poteva neppure prendersi la libertà di sfogare, perché aveva fin troppe cose a cui pensare, in quel momento, per potersi concedere un simile privilegio. Stava conducendo la vita che si era scelto e, adesso, ne doveva pagare tutte le più dure conseguenze.
   Nella purezza brillante del firmamento, vide passare una stella cadente, che si lasciò dietro una scia di incomparabile bellezza. Si diceva che, quando si aveva il privilegio di vederne una, si potesse esprimere un desiderio. Indiana Jones non aveva mai creduto a quelle cose, le aveva sempre reputate semplice folclore, cose da raccontare ai bambini o, al massimo, a un’innamorata. Eppure adesso, nel buio di quella stanza afosa, si trovò a sperare e a desiderare con tutte le sue forze.
   «Ti prego, falla tornare da me…» pensò con ardore. «Ti prego, riportala indietro…»
   E, subito dopo, quel suo desiderio dai tratti quasi pagani si tramutò in una vera e propria preghiera, forse la prima vera preghiera che fosse risuonata da anni e anni sulle sue labbra di miscredente. Forse l’ultimo barlume di coscienza, l’ultimo appiglio di un uomo disperato, che ancora lottava con i denti e con le unghie per non crollare nel baratro della follia.
   «Ti prego, se ci sei, lassù da qualche, qualsiasi sia il tuo nome, se sei grande e buono come dicono… e se esisti… riportamela…»

 
* * *

   Indy non riuscì a togliersi Marion dalla testa nemmeno un istante, né durante l’attraversamento dello scavo archeologico dei nazisti, camuffato quel tanto che sarebbe bastato a evitare spiacevoli inconvenienti, né mentre si calava nella Sala del Plastico, e neppure mentre assisteva a quel primo miracolo, quando il fascio di luce si era proiettato in quel punto esatto con la forza di un raggio incandescente. Era accaduto proprio come – si ricordò solo in quel momento – tanti anni prima aveva ipotizzato correttamente Abner; e chissà quanto sarebbe stato meraviglioso se anche lui e sua figlia avessero avuto l’occasione di essere con lui, in quel momento, come avevano desiderato in quella che sembrava un’altra vita.
   Aveva osservato quel miracolo, sorpreso eppure distaccato, certo che fosse solo l’inizio, che l’Arca ne avrebbe riservati tanti altri… perché chissà di quali prodigi ancora sarebbe stata capace, quell’antica cassa dorata.
   Ma il vero miracolo, l’unico di cui gli importasse veramente, quello che mai avrebbe creduto possibile, neppure nei suoi sogni più disperati e angosciosi, nemmeno nelle sue preghiere quasi rancorose, sebbene vi avesse dedicato ogni suo singolo pensiero fin dal mattino precedente, avvenne poco dopo.
   Infilandosi con rapidità e indifferenza in una tenda scelta completamente a caso per sfuggire a una ronda dei tedeschi che si stava facendo pericolosamente vicina, si trovò davanti a due occhi color del mare che conosceva benissimo, due occhi che avrebbe saputo riconoscere a prima vista tra milioni di altri, due occhi che lo fissarono in un segno di sfida, privi di paura, pur non sapendo quale ignoto destino li avrebbe attesi…
   Marion! Marion legata, imbavagliata, sfinita, con gli abiti ridotti quasi a brandelli, ma viva!
   Un fuoco gli si accese nel petto, mentre tutto tornava a farsi limpido e luminoso, come se la vita avesse all’improvviso ricominciato a fluire nelle sue vene. Ogni stilla di dolore, ogni sofferenza… tutto scomparve nel fugace volgere di un istante, mentre dentro gli cresceva una gioia mai provata prima.
   Tutto in un momento, mentre si precipitava a baciarla e lei si ritraeva spaventata, credendolo chissà chi, coperto com’era dal suo travestimento da arabo – si sarebbe aspettata torture di ogni sorta, quella tostissima ragazza, a cui avrebbe di certo resistito con feroce accanimento, ma non che uno scavatore sporco, sudato e puzzolente si gettasse su di lei per baciarla – Indy comprese che l’Arca dell’Alleanza era davvero un oggetto divino, disceso dal cielo, capace di compiere veri e propri miracoli.
   Quell’oggetto, che aveva dispensato tanta morte e disperazione, era anche capace di donare la vita. Abner non aveva mentito, i servizi segreti avevano avuto ragione a spedirlo fin lì e lui e Sallah avevano compiuto la scelta giusta nel voler continuare nonostante tutto, senza paura e con testardaggine, perché nulla era più importante dell’Arca.
   Già, l’Arca. Ma era Marion la sua Arca, quella che non avrebbe mai smesso di cercare, a cui avrebbe sempre teso, quella che amava più della sua stessa esistenza, per la quale ardeva fin nel profondo di un dolcissimo e tiepido fuoco che nulla e nessuno sarebbe mai stato capace di spegnere.
   Indy la tenne abbracciata, assaporando l’immutata dolcezza delle sue labbra screpolate dal caldo e dalla sete, beandosi del suo calore, ascoltando ogni suo respiro, annusando l’inconfondibile profumo dei suoi capelli, frammisto all’odore acre del suo corpo sudato, che non gli dava affatto fastidio, perché tutto, di lei, era come un dolcissimo balsamo.
   E in quell’abbraccio, quando finalmente si liberò dal turbante perché lei lo riconoscesse, cercò di far trapelare tutto ciò che, in dieci anni di distacco, non aveva mai avuto il coraggio di partire a cercarla per poterglielo dire, sebbene quelle parole fossero sempre state lì, nel suo cuore, soltanto per lei, per lei e per nessun altro.
   «Credevo che fossi morta» mormorò, in preda alla gioia, sciogliendo il fazzoletto che le imbavagliava la bocca, mentre l’emozione gli strangolava le parole in gola e gli faceva tremare le dita. «Devono aver scambiato le ceste…»
   Ma le cose stavano davvero così? O era veramente stata l’Arca, a compiere il miracolo? E, poi, era realmente importante saperlo? Ormai, tutto sembrava essere soltanto un folle sogno, e ciò che importava era solo l’essersi risvegliato al fianco di Marion.
   Tuttavia, mentre si dava da fare per liberarla, prestando solo mezzo orecchio alle concitate spiegazioni della ragazza, che parlava come un fiume in piena, travolgendolo con il resoconto della sua prigionia, gli sorse un dubbio atroce: che cosa sarebbe successo se, tornando, i tedeschi non l’avessero più trovata? Le avrebbero dato la caccia per tutto il campo, finendo inevitabilmente per imbattersi anche in lui, in Sallah, in Omar e in tutti gli altri amici che avevano sparsi per Tanis, pronti ad aiutarli. A quel punto, sarebbe stata realmente la fine, senza più nessuna possibilità di tornare indietro e rimediare.
   No, doveva darsi un contegno e mantenere uno spirito razionale; doveva agire con calma e intelligenza perché, se avesse ceduto all’impulso irresistibile di portarla immediatamente via con sé, avrebbe esposto lei e tutti loro – ma, soprattutto, lei – a un nuovo e inutile pericolo, un pericolo che, questa volta, avrebbe potuto realmente rivelarsi fatale.
   Non poteva permetterlo. Non adesso, soprattutto, che aveva imparato tanto bene che cosa significasse amare qualcuno fino alla follia, perderlo e, poi, ritrovarlo; i miracoli avvengono una volta sola, spesso neppure quella. Continuare oltre avrebbe significato sfidare la sorte, quella sorte che, il più delle volte, trucca i dadi a proprio favore, giocando una partita perduta in partenza per il proprio avversario, anche per il più abile.
   Per quanto doloroso fosse ammetterlo, prima di tutto con se stesso, avrebbe fatto molto meglio a lasciarla lì, nella relativa sicurezza di quella momentanea prigionia; sarebbe poi tornato a prenderla quando fosse stato il momento migliore, quello più adatto, con l’Arca già al sicuro e Belloq e i suoi scagnozzi ancora impegnati a fare inutili buche nel deserto per poterla trovare. Abbandonare un’altra volta Marion sarebbe stato un colpo doloroso, una sofferenza immane ma, per una volta, Indiana Jones lo avrebbe fatto non per egoismo, bensì per l’esatto opposto. Per il suo bene.
   La guardò negli occhi, sperando solo che lei potesse comprendere le sue ragioni, il suo punto di vista così insolito e differente dal solito.
   Le spiegò questo suo ragionamento rapidamente, con poche e secche parole com’era sempre solito fare, ignorando le sue insistenze, i suoi insulti, le sue imprecazioni e i suoi inutili tentativi di liberasi, non per fuggire ma – ne era certo – per prenderlo un’altra volta a pugni. E quindi, dopo averle dato un ultimo bacio in fronte, si alzò nuovamente in piedi e si avviò fuori dalla tenda, promettendole che sarebbe tornato a salvarla il prima possibile, per portarla via con sé, per poter stare finalmente insieme, liberi da ogni pericolo.
   Gli piangeva davvero il cuore al pensiero frustrante di doversi separare un’altra volta da Marion, di starla abbandonando nelle mani dei nazisti e di Belloq; ma, se quello era l’unico mezzo per non mettere nuovamente a repentaglio la sua vita, allora lo avrebbe adoperato. E il pensiero di doverla tornare a prendere, ora, gli avrebbe permesso di agire con molta più prudenza di quanto non avesse pensato in un primo tempo, perché adesso sapeva di avere uno scopo molto più importante del ritrovamento dell’Arca, per restare in vita.
   Prima di allontanarsi, tuttavia, non riuscì a trattenere un ghigno divertito – e, al medesimo tempo, pieno d’affetto – nell’udire le ultime e sferzanti parole che lei gli lanciò, un po’ smorzate dal bavaglio che le aveva risistemato in fretta sulle labbra ma pur sempre intrise di quello spirito battagliero che la contraddistingueva in modo perfetto, quello spirito che Indiana Jones amava sopra ogni cosa, che la rendeva unica e speciale, che la rendeva veramente la sua ragazza.
   «Jones, questa me la paghi!»
   Sì, ne era certo: quella era la sola donna per lui e lo sarebbe stata per sempre, accadesse quello che accadesse.
   
 
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