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Autore: _Blumenonfire_    22/05/2021    0 recensioni
Un viaggio a tappe nella psiche di un'anonima ragazza e dei suoi instabili rapporti con se stessa e con un ideale di Amore
(E piccola storia esorcizzante per la sua autrice)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ottobre 2018- una settimana dopo

I residui di caffè si univano in figure contorte sul fondo della tazzina e lei le stava studiando come se fossero una finestra su un altro universo misterioso e tremendamente invitante.
Aveva sprecato gli ultimi venti minuti così, mentre il manuale da cui avrebbe dovuto studiare se ne stava dimenticato sul tavolo, con pagina sette che la giudicava silenziosamente.
Il resto della caffetteria era quasi vuota e tranquilla, eccetto il tintinnio delle stoviglie e l’occasionale scampanellio della porta d’ingresso. Si era scelta un angolo appartato, semi-nascosto da una grossa pianta da interni che dava davvero l’impressione di ossigenare l’ambiente.
Dato l’andazzo avrebbe potuto pagare e tornarsene a casa, ma qui il tempo sembrava scorrere più lentamente, con una pigrizia e una mancanza di giudizio che le regalava l’opportunità perfetta per lasciarsi affondare nelle fantasie.
Lo schermo del telefono si illuminò per un istante, ma non si scomodò per controllare le notifiche. Sapeva già che erano messaggi dal Matteo che aveva visto la sera prima e che da allora stava sistematicamente evitando.
Non che le avesse fatto qualcosa o fosse tanto peggio degli altri. L’aveva conosciuto su una di quelle app di incontri che tutti dicevano di scaricare tanto per noia, un ragazzo un paio di anni più grande, che studiava Ingegneria e suonava il basso in una band e aveva un pastore tedesco. Abbastanza simpatico da non sembrare molesto, l’aveva convinta ad andare a cena con lui in questa paninoteca che serviva hamburger gourmet dai nomi assurdi e costosa birra artigianale.
Alle dieci e quindici, tre drink e un Fiore del deserto dopo, si erano ritrovati in macchina al parcheggio deserto di un discount, protetti dall’oscurità e dalla desolazione della provincia.
Non avrebbe saputo dire come fosse andata la cena o di cosa avessero parlato o se lo avesse particolarmente odiato, tutto si confondeva in un’unica pozza fangosa di istanti, troppo astratti per essere focalizzati e riordinati in un quadro logico. Avrebbe voluto dire che era per colpa dell’alcol, ma la verità era che le importava così poco da non aver fatto caso a cosa le succedesse.
Si erano baciati a lungo e lui le aveva lasciato scivolare due dita fra le gambe, con una certa distaccata dimestichezza. Probabilmente era stato bello, ma era difficile dirlo con certezza.
Erano tutte uguali serate del genere, identiche sessioni di esperienze perfettamente interscambiabili fra di loro.
In fondo non è che lo facesse per piacere o perché non avesse nulla di meglio da fare. Era un puro portare a spasso il proprio corpo, un gesto abitudinario come cambiare le lenzuola almeno una volta al mese.
Faceva bene divertirsi un po’, vedere gente nuova, o almeno questo era quello che le avevano detto. Nelle ore e ore di conversazioni fra amiche su cose che succedono o che si vorrebbe succedessero o che avrebbero fatto succedere, almeno in questo modo poteva aggiungere anche lei la sua buona dose di racconti. Poteva parlare di tutti i suoi Matteo senza abbassare lo sguardo nemmeno una volta, perché questo era socialmente accettato.
E poi c’era il resto, che custodiva gelosamente lontano da tutti. Le giornate nella stanza dalle pareti blu erano il suo sporco e delizioso segreto, a cui non poteva pensare senza sorridere un po’ nervosamente.
Sapeva che non poteva andare avanti per molto, la sua storia perfetta nell’altro mondo.
Per questo si impegnava a nutrire la se stessa che lasciava a casa quando prendeva il treno per andare da lui, quella che studiava all’università e usciva con i ragazzi e si occupava del suo futuro. Per quanto avrebbe desiderato poter scegliere, sapeva che era quella lì la persona con cui avrebbe dovuto convivere per il resto dei suoi giorni, non l’altra creatura eterea che era capace di sentire in modo così intenso.
Tutta l’invidia del mondo non sarebbe bastata per renderla per sempre come lei, per quanto potesse illudersi sapeva che non dipendeva affatto dalla sua volontà.
Fra le sue notifiche c’era anche un suo messaggio. Un semplice “Vieni stasera?”, ricevuto tre ore prima.
Era consapevole di quanto fosse assurdo mandare avanti quella bugia, che non sarebbe mai potuta crescere se non avesse lasciato andare.
Sul serio, glielo avevano ripetuto talmente tante volte che non poteva in nessun modo non saperlo.
E ci provava a far finta di niente, a concentrarsi sull’esistere nella realtà che le sarebbe rimasta in eredità a breve, lontana dalle illusioni che la stavano distruggendo e medicando allo stesso tempo.
Eppure non poteva fare niente contro la nostalgia di ciò che era, di ciò che per poche centinaia di minuti poteva far finta di tornare ad essere.
Mettersi un bel vestito, un filo di rossetto, un sorriso splendente.
Che differenza c’era fra una farsa e l’altra? Solo il modo in cui si sentiva riempita fino all’ultimo interstizio dell’anima quando erano insieme, si rispose da sola.
Prese al volo la sua borsa colpevole di dove sarebbe andata una volta uscita da lì.
Lanciò un’ultima occhiata ai granelli scuri sulla porcellana della tazza. Si chiese come fare per saltarci dentro e semplicemente sparire.

   
 
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