Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: A_Typing_Heart    23/05/2021    2 recensioni
Raim è il lavapiatti di un grande ristorante di Las Vegas e prende il suo lavoro come un banale mezzo di sostentamento per fare una vita tranquilla fuori dai guai che lo hanno segnato. La sua vita procede nella routine finché una sera un nuovo chef bussa alle porte del ristorante per chiedere un lavoro, dando una svolta inaspettata ad entrambe le loro esistenze.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Se giovedì sera fui un fascio di nervi al punto di dover bere della camomilla per prendere sonno, la mattina del venerdì fatidico ero tranquillo, fin troppo tranquillo per come la vedevo io. Ripassai mentalmente le ricette del menu di Sahan mentre mi facevo la doccia e non ebbi il vuoto di memoria che avevo temuto, e forse fu questo a consolidare la mia serenità.

Il Liaison rimase eccezionalmente chiuso a pranzo e Durand avrebbe aperto la cucina per iniziare a preparare alle due del pomeriggio in vista dell’arrivo degli ospiti dell’occasione, quindi mi misi in macchina e con calma arrivai al ristorante alle due meno dieci. Quello fu l’altro momento in cui avvertii la massima tensione: quando spensi la macchina e scesi restai bloccato a fissare la porta di servizio.

Mi resi conto dell’enormità di quello che avevo accettato di fare. Dal modo in cui avrei assistito Sahan sarebbero dipesi i prossimi anni della sua carriera, che poteva essere proiettata tra le stelle o rispedita nel fango di altri anni di gavetta a caccia di una nuova grande occasione. Gli altri cuochi, che finora mi avevano trattato davvero come un gobbo dall’utile forza bruta e cervello lento, mi avrebbero visto cucinare accanto a qualcuno loro pari, un professionista uscito da una scuola di cucina e da una stirpe di chef. Potevano decidersi a rispettarmi, o far finta di non vedere e approfittarne per mettermi in imbarazzo. Egoisticamente in quel momento era a me che pensavo; sarei stato riconosciuto o meno? Sarei stato all’altezza dell’impegno che ci avevo messo o meno? Gli altri si sarebbero rimangiati almeno uno degli epiteti che mi avevano affibbiato in quei due anni?

«Raim!»

Venni strappato dal mio rimuginare dalla voce di Sahan, che aveva appena parcheggiato proprio dietro la mia auto e stava scendendo. Indossava i pantaloni bianchi dell’uniforme e una maglietta e portava a spalla una borsa da sport di medie dimensioni.

«Speravo di trovarti prima che entrassi… non ci ho pensato a scriverti di aspettarmi, che sciocco.»

«Che succede, Sahan? Qualche problema?»

«No, no! Anzi, ho una cosa per te… su, entriamo insieme, che te la mostro» mi fece, e batté sulla borsa. «Stai bene? Sei nervoso?»

«Strano, ma direi che sto bene… non mi sento nervoso, o almeno non quanto pensavo di diventare. Cercherò di restare calmo per tutta la serata.»

Sahan mi guardava in modo strano e mi chiesi se avevo l’aspetto di uno che aveva dormito poco o se fossi pallido. Eravamo quasi alla porta quando lanciò un’esclamazione assurdamente acuta.

«Raim, ti sei tagliato i capelli!»

«Oh… sì, un po’.»

Mi ero quasi dimenticato di averli tagliati la sera prima. Ero talmente nervoso e immerso in scenari apocalittici quanto immaginari che mi ero accorciato i capelli con la macchinetta elettrica senza quasi farci caso.

«Ahh~ toccare, toccare~»

Sahan passò le mani ai lati della testa dove li avevo rasati più corti, con una risatina. Cantilenò qualcosa in rima su com’era piacevole la sensazione e in verità non potevo che essere d’accordo. Mi ero rasato raramente i capelli, ma ogni volta che lo facevo mi trovavo ad accarezzarmi la testa quando ero soprappensiero.

«Sei alla moda adesso, perfetto~»

«… Ero fuori moda prima?»

«Non proprio, ma adesso sei coquet~» mi fece Sahan, passandomi le dita nei capelli più lunghi che mi stavano su da soli, come avevano sempre fatto da che avevo memoria. «Meglio così, sono contento che tu ti sia curato, perché voglio che usciamo entrambi in sala oggi.»

«Uscire… in sala? A fare cosa?»

Sahan salì i gradini sorridendo come un ragazzino il giorno della gita e si fermò con la mano sulla maniglia.

«In occasioni come questa gli chef escono a fare una presentazione del menu ai commensali prima di iniziare il servizio… insomma, è la sola occasione in cui i clienti vengono invitati dallo chef e non vengono di loro iniziativa! È educato ringraziare di aver accettato di assaggiare il nostro menu!»

«Oh… s-sì, immagino di sì…»

Aprì la porta con fiducia ed effettivamente era già aperta, e quando vidi la brigata di Durand già al lavoro mi rabbuiai subito. Dato che noi eravamo solo in due avere un po’ più di tempo per prepararci sarebbe stato buono, e invece era quel battaglione di cuochi a cominciare per primo.

«Non è una gara» mi sussurrò Sahan mentre entravamo nello spogliatoio. «Non dobbiamo finire prima di loro… pensiamo al nostro lavoro. Possiamo finire in tempo, lo sai bene, no?»

«Sì» risposi meccanicamente. «Pensiamo al nostro menu e ai nostri clienti, giusto?»

«Esattamente… e poi» aggiunse quando chiusi la porta dietro di me, «Se conosco la tattica di Durand, farà tutto quello che gli verrà in mente per danneggiare la nostra concentrazione. Presta meno attenzione possibile a quello che fanno dalla loro parte della cucina, ci penso io a controllare i nostri tempi di servizio con i loro.»

«Farò come dici. Sei tu il capitano di questa nave, dopotutto.»

«Raim? Prendi questa.»

Mi ero appena infilato la maglietta bianca che indossavo sempre nel mio lavoro di plongeur e che avevo portato anche in questa occasione e mi voltai con attenzione, per paura di tirare una gomitata involontaria a Sahan in quella specie di sgabuzzino. Rimasi di sasso accorgendomi che teneva aperta con entrambe le mani una giacca da chef, bianca con le bordature e i bottoni blu.

Senza spiccicare una sillaba la guardai, la presi delicatamente come fosse fragile quanto un neonato e quando vidi il ricamo in nero sulla sinistra del petto mi morsi il labbro per non commuovermi.

«Non so che cosa succederà domani… né cosa tu potrai scegliere di fare» mi disse con una certa emozione celata. «Ma per me… almeno per questa sera… tu sei chef Manning. Sei al pari di quella schiera di gentiluomini e gentildonne dei fornelli con la divisa nera très chic che vedi dall’altra parte.»

Deglutii a fatica, non so ancora adesso come feci a non commuovermi davvero.

«So che per chi fa il tuo lavoro una giacca come questa è come la spada di un cavaliere… non la disonorerò, Sahan.»

«Lo so.»

Infilai la giacca in religioso silenzio e ne sentii molto la responsabilità, ma anche l’orgoglio che mi derivava. Forse non avevo mai desiderato fare lo chef e non avevo l’esperienza, ma sentivo di essere pronto a onorare la fiducia di Sahan… e perché no, a reclamare il rispetto degli altri. Non mi avrebbero mai accolto tra di loro con un curriculum come il mio, ma almeno non avrebbero più osato – se avevano la decenza di non dimenticare quella serata – chiamarmi Rain Man.

La giacca era perfetta nella misura e mi sorpresi di quanto la sentissi mia; era come se non avessi mai indossato altro.

«Raim, aspetta, aspetta… che frettoloso!»

Sahan uscì dallo spogliatoio dopo di me con in mano un fazzoletto blu. Siccome aveva già indossato il suo fazzoletto da collo – color lavanda, perfettamente abbinato alla sua giacca bianca con i bottoni lilla – capii subito che cosa fosse.

«Non è un po’ troppo per me, Sahan?»

«Affatto!» fece lui passandomelo dietro il collo e iniziando a legarlo. «Sei uno chef come me questa sera. Uscirai con me a parlare con i clienti, quindi devi essere elegante.»

Lo annodò in maniera impeccabile e lisciò la giacca sulle spalle, lanciando una strana occhiata penetrante dietro di me. Bastò voltarmi per metà per vedere Leclaire che ci fissava attraverso i vapori di una delle sue pentole di brodi e fondi di cottura. Per la prima volta non scappai dal suo silenzioso giudizio e mi arrotolai le maniche della giacca ricambiandogli lo sguardo finché non fu lui a voltarsi.

«Tch.»

«Che c’è, Raim?»

«Sembrano dei damerini in uniforme nera e oro, non trovi?»

«Nobili e coperti di stendardi di gloria, come il loro menu» rispose Sahan guidandomi alla cella frigorifera. «Anche se la divisa è un orgoglio per noi non significa che l’uniforme evidenzi il cuoco migliore, o che renda i piatti più buoni.»

Entrammo nella cella e iniziammo dagli ingredienti come burro e panna, necessari per le preparazioni dolci che avevamo in programma per prime, ma mentre stavamo uscendo sentii il respiro di Sahan spezzarsi a metà. Mi voltai e lo vidi impallidito e angosciato.

«Sahan, che…?»

«Dov’è il salmone?»

«Eh?»

Bastò un’occhiata agli scaffali del pesce per notarne l’assenza: c’erano gamberoni, rana pescatrice, due lunghi pesci simili alle anguille, un orrendo scorfano semicoperto di ghiaccio e i piatti, marroncini San Pietro, ma del grosso pesce e della sua carne arancione non c’era traccia. Sahan schizzò fuori dalla cella e puntò dritto verso lo chef Durand, che con il suo voluminoso cappello nero e oro torreggiava sulla sua brigata a controllare ogni ingrediente e ogni pentola.

«Chef!»

“Ti prego, Sahan, resta calmo” mi trovai a ripetere freneticamente nella mia testa.

«Sì, Micheaux? Qualcosa non va?»

«Il salmone che ho richiesto al nostro fornitore dov’è?»

«Il salmone non è arrivato con la consegna di stamattina» replicò Durand senza alcuna inflessione. «Pare ci sia stato un disguido e abbiano portato il tuo salmone a un altro ristorante. Naturalmente ho detto loro di rimediare immediatamente e mi hanno assicurato che il salmone sarà qui prima della cena. Spero non ti mandi in ansia, Micheaux.»

Sapevo che quel serpente stava mentendo e anche Sahan l’aveva capito. Si mantenne calmo, chiese a che ora pensava che sarebbero arrivati e ringraziò come fosse una questione di poco o nessun conto, ma quando si girò aveva lo sguardo di un assassino un attimo prima di prendere un’arma e fare una strage. Gli afferrai il braccio.

«Stai tranquillo, Sahan.»

«Sai che quel pesce non arriverà mai, e se arriverà sarà di una qualità che rasenta l’indecenza» sibilò, afferrando un grembiule con la stessa ferocia che avrebbe usato per il collo di Durand. «Sudicio, miserabile bastardo, salaud, fils de…»

«Shh shh shh, Sahan, niente parolacce in qualsiasi lingua» gli feci mettendogli le dita sulla bocca per un momento. «Ci penso io a trovare il pesce, ci metto un momento. Tu fai le dosi per i dolci e non ti agitare.»

«Sono già agitato!»

«Per questo ti dico di calmarti… hai me, okay? Fidati di me e resta calmo. Lui non deve vedere che riesce a innervosirti.»

Sahan emise una specie di ringhio e prese a respirare come una partoriente mentre si allacciava il grembiule e allineava scodelle e ciotole sul ripiano.

«Bravissimo. Continua finché non torno.»

«Vuoi che vada in iperventilazione?!»

«Continua e basta.»

Con la massima tranquillità uscii – fischiettando di proposito per farmi sentire da Leclaire – e sfilai il telefono dalla tasca dei pantaloni facendo partire una telefonata al numero che avevo chiamato la sera prima. Non mi preoccupò che rispondesse una segreteria telefonica.

«Ciao… siamo messi alle strette come immaginavo. Puoi portarmelo? Ci lavoriamo su tra una mezz’oretta… grazie infinite.»

Rientrai in cucina serenamente sotto gli occhi attenti di Leclaire, ma feci finta di non badare a lui e tornai da Sahan. Naturalmente era ancora in crisi.

«Stai calmo, Sahan… i rifornimenti sono in arrivo. Lavoriamo al dolce come abbiamo pianificato, il pesce arriverà in tempo per lavorarci quando abbiamo finito qui.»

Era già pronto a ribattere, ma quando mi guardò negli occhi richiuse la bocca senza parlare. Mi piace pensare che in quel momento riuscii a trasmettergli la mia sicurezza e che questo rasserenò anche lui, perché non mi fece domande e quando parlò mi aggiornò su che cosa aveva pesato.

Ripetemmo la preparazione della linea e la divisione dei lavori come avevamo provato nella sua cucina e questo permise a un inesperto come me di muoversi come se non avesse fatto un altro lavoro se non cucinare. Infornai i biscottini di kamut prima che Sahan finisse le palline di limone salato caramellate e mi misi immediatamente al lavoro sulla gelatina di salvia e menta, comunicando continuamente a Sahan i passaggi. Sapevo che mi si avvicinava di tanto in tanto per controllarmi, ma non mi fece neanche un appunto e alla fine infilai la teglia di gelatina nell’abbattitore soddisfatto dell’odore e del colore verde brillante che aveva.

«Hai bisogno di aiuto per qualcosa, Sahan?»

«No, grazie, sono dentro i miei tempi» rispose lui, concentrato sulla sua mousse da fare al sifone. «Puoi procedere con la pannacotta, per favore?»

«Subito.»

L’abbattitore era nell’angolo della zona pasticceria che stavamo usando come nostra cucina e tornando al mio banco ebbi qualche momento di pausa per guardare la brigata di Durand: erano tutti molto impegnati in una serie di preparazioni, ma Durand mi fissava ignorando del tutto il lavoro di Isabel accanto a lui e io sorrisi. Aveva la faccia di uno che si stava chiedendo “perché non sapevo che quello sa cucinare?”.

Fu la sola volta nella vita in cui pensai che la vendetta è dolce, ma che diavolo, quella volta avevo ragione. Quando passai dietro Sahan strinsi leggermente la sua spalla mentre mi chinavo per parlargli all’orecchio.

«Quanto vorrei una polaroid di quella faccia.»

Sahan emise una risatina flautata.

«Sadico~»

«Parleremo meglio di questa mia tendenza quando avrà la faccia di un morto annegato nella sua invidia.»

«Mh, se continui a sussurrarmi queste cose finirai per eccitarmi~»

Mi venne da ridere per il tono in cui lo disse e mi discostai per usare la bilancia poco distante dal banco di lavoro di Sahan. In quel momento davamo entrambi le spalle alla brigata di Durand e non so dire quanto avrei voluto avere le pareti coperte di specchi come una palestra.

«Che dolce aveva scelto Durand? Non me lo ricordo.»

«Un grande classico francese, il Paris Brest… se non ha cambiato idea e ne dubito, lo farà glassato con mandorle e nocciole tostate e ripieno di due creme, pistacchio e nocciola» mi rispose Sahan, puntuale come un’enciclopedia. «Per l’occasione farà un Paris Brest unico che taglierà e servirà personalmente al tavolo… gli piace servire al tavolo, alimenta il suo ego, immagino.»

«Quindi è un dolce tipico francese, questo Paris… quello che è?»

«Brest, Paris Brest… sì, è un piatto nazionale, si può dire. In Francia ne abbiamo molti nella pasticceria, e questo è molto amato. Lo serviamo anche noi, ciclicamente, al Micheaux… in un formato mignon. Piccolo, sai, più o meno come un pasticcino.»

«Anche il nostro dolce è qualcosa di francese?»

«Beh, è francese il cuoco che ha ideato questo dolce… basta a dire che è francese?»

Sahan teneva un curioso sorrisetto che compresi soltanto dopo.

«Di chi è?» domandai, poi ripensai allo stage di pasticceria che Durand aveva stroncato al padre. «Di tuo padre?»

«No, è di suo figlio minore. L’ho inventato io quando lavoravo al Micheaux.»

Mi si inceppò il cervello in quel momento e rimasi a guardarlo mentre controllava che le sua palline di scorzette di limone salato coperte di caramello si fossero indurite. Non ci feci tanto caso ma erano bellissime, sembravano stelle comete dalla coda di caramello bruno vitreo.

«Hai creato tu questo dolce?»

«Sì, ne ho creati un po’ quando ero chef pâtissier al Micheaux… questo è il più complesso che creai in quel periodo e modestamente era molto apprezzato dai clienti… per questo l’ho scelto. Rappresenta la mia evoluzione, o almeno, la scintilla da cui è partita.»

Mi trovai a sorridere mentre continuavo a mescolare per incorporare la gelatina nella pannacotta.

«Una scelta eccellente, Sahan.»

«Sono stato consigliato saggiamente al riguardo!»

«Sono quasi pronto… quali stampi volevi usare? Non so dove li tenga Baader.»

Sahan mi recuperò i piccoli stampi a fiore da un angolo dimenticato della cucina – in effetti Durand non amava forme stravaganti e colori innaturali nei dolci del ristorante – e ci immergemmo nella preparazione con la massima concentrazione senza divagare più in discorsi che non riguardassero il procedimento delle ricette. Di quello che Durand e gli altri fecero dall’altro lato nella successiva mezz’ora non seppi niente perché non li guardai né ascoltai neanche una volta.

A quel punto ogni elemento del dolce era finito e sarebbe bastato assemblarle alla fine del nostro turno di servizio, quindi passammo al successivo secondo la nostra tabella di marcia. Percepii l’angoscia di Sahan per il salmone che avrebbe dovuto sfilettare ora e che non aveva, ma decise di anticipare la sgranatura del cous cous mentre io mettevo su immediatamente il vino rosso per la riduzione che avrebbe accompagnato il nostro piatto di carne. Mi dovevo occupare anche delle cipolle, quindi mi sistemai il tagliere vicino al bidone dell’umido per buttare via agevolmente la buccia.

In quel momento sentii il cellulare nella mia tasca vibrare. Un solo squillo, poi un’altra chiamata di un solo squillo. Sorrisi.

«Sahan, esco un momento. Torno subito.»

«E-esci? Come sarebbe, esci?»

«Per la miseria, perché non ti fidi di me e dici solo “va bene”?»

Sahan restò interdetto e mi fissò con un buffo misto di imbarazzo e irritazione, ma borbottò “va bene” e mi voltò le spalle per tornare al suo cous cous, che sgranava a mano con lo stesso procedimento usato da sua madre. Sapevo che il malumore gli sarebbe passato subito non appena fossi rientrato.

Lasciai il grembiule sul tavolo con il solo intento di far pensare a Leclaire che sarei stato via a lungo. Ancora oggi mi domando come mai un cuoco che si riteneva così formidabile sentisse il bisogno di osservarci con tanta attenzione, ma non glielo chiesi mai.

Appena uscii dalla porta di servizio vidi la macchina delle consegne parcheggiata vicino alla mia e la mia cuoca preferita che aspettava. La raggiunsi accelerando il passo.

«Ehi, Raim.»

«Mai stato tanto felice di vederti, Martha.»

«Lo stronzo vi ha davvero lasciato a secco?»

«Più secco di così poteva solo tagliarci l’acqua corrente» confermai io assecondando la sua aria grave.

«Marco mi ha detto di portarvelo al volo quando ha ascoltato la segreteria e mi ha spiegato un po’ così» fece lei mentre apriva il portabagagli. «Come sapevi che ti avrebbe fatto sparire il pesce?»

«Beh… è un po’ imbarazzante, ma…»

Purtroppo il mio preambolo non fu sufficiente a far dire a Martha che poteva aspettare la prossima occasione per parlarne, quindi mi decisi a snocciolarglielo in fretta.

«Lo sai che sono abbastanza negato in cucina… volevo imparare più che potevo per aiutare Sahan, quindi sono andato tutti i giorni al mercato ittico a vedere come pulivano il salmone i pescatori… non che io abbia imparato molto solo guardandoli, ma almeno ero nel posto giusto al momento giusto.»

Avvicinai la grossa scatola di polistirolo che conteneva il ghiaccio e il nostro salmone, per afferrarla meglio.

«Ho beccato chef Malone che ordinava il pesce fresco per la bouillabaisse, e l’ho visto allungare una bella mazzetta per assicurarsi che non ci fosse salmone per il ristorante oggi.»

«Ma serio?!»

«Altroché.»

«Ma che figlio di puttana!»

Non mi sentii dell’umore per smentirla o mitigarla, a dire il vero. Pensare a quello che sarebbe potuto succedere a Sahan se non fossi stato presente per assistere a quel bieco sabotaggio mi indisponeva al perdono: stampare un menu per una degustazione e cambiare all’ultimo secondo avrebbe danneggiato la credibilità del mio amico come professionista. Come mi aveva ripetuto fino alla nausea, una volta stampato il menù è sacro.

«Come state andando, là dentro?»

Guardai Martha e la vidi preoccupata, ma il mio sguardo incupito era solo per il rischio a cui Durand aveva deliberatamente esposto Sahan, esattamente come aveva fatto col padre. Le feci il miglior sorriso possibile.

«Siamo in orario con la tabella di marcia… grazie al vostro aiuto ce la faremo.»

Accennai alla scatola del pesce – che diamine, pesava! - ma Martha non si rilassò per niente.

«Tieni gli occhi aperti, Raim… quel genere di persone, una volta che prova a affondare una coltellata, non smette solo perché è andata a vuoto. Ci proverà ancora fino all’ultimo momento… e ti do una dritta da chef» aggiunse, chiudendo il portello con un tonfo. «Se c’è un buon momento per rovinare tutto è l’ultimo minuto prima di servire… quando non c’è tempo per rimediare.»

Il suo avvertimento offuscò il mio umore, ma se non fosse stata lì ad avvisarmi mi sarei fin troppo rilassato. Avrei dovuto pensarci da solo che non eravamo nella cucina di Sahan, eravamo in territorio nemico, vulnerabili a sabotaggi molto più drastici che far sparire un ingrediente. Mi sentii meno tranquillo, ma molto più attento.

«Grazie, Martha. Farò tesoro del tuo avvertimento.»

«Dì a Sahan di tenere gli occhi e le orecchie aperte» mi disse quasi sussurrando. «Se succede qualcosa, chiama subito. Uno di noi vola qui subito se vi serve qualche altra cosa.»

«Ci sdebiteremo per bene.»

«Fagli ingoiare il suo ego, che fa vergognare tutti noi che facciamo lo stesso lavoro» mi fece, con una smorfia disgustata e un’occhiata alla porta. «E poi venite a mangiare da noi, vi rifocilliamo per bene e apriamo una bottiglia per festeggiare.»

Sorrisi e annuii, poi tornai verso la cucina. La prospettiva di una cena ricca e un po’ di coccole meritate dopo quello sforzo mi fece sentire decisamente più energico e non vedevo l’ora di condividere questa prospettiva con Sahan.

Quando entrai con la grossa consegna tra le braccia Sahan aveva finito il suo cous cous e l’aveva coperto mettendolo nella linea dell’antipasto. Capì immediatamente che cosa portavo e mi venne incontro per sorreggerlo fino al banco. Cominciò a balbettare frasi sconnesse e i suoi occhi erano quasi lucidi, per un po’ mi convinsi che avrebbe pianto di gioia su quel salmone.

«Raim, Raim, come hai fatto?»

«Segreti del mestiere» replicai, abbastanza forte perché lo sentissero dalla parte di Durand.

«Oh, ti bacerei se potessi!»

Sahan afferrò immediatamente il salmone e – in pratica – lo lanciò sul tagliere che aveva preparato prima di armarsi di un lungo coltello sottile e affilato. Lì per lì restai imbambolato come un idiota a chiedermi perché Sahan credeva di non potermi baciare. Avrei dovuto capire allora che il mio modo di pensare a Sahan era cambiato nell’ultima settimana, ma non ero sveglio come credevo.

«Raim, che fai lì fermo? Spicciati, quelle cipolle non si pelano da sole!»

«Oh, sì. Certo. Scusa.»

Diedi una controllata alla riduzione di vino, ancora in alto mare, e andai a tagliare le cipolle più velocemente possibile senza finire mutilato. Sul momento diedi la colpa a quelle, ma so che lo strano calore che sentivo al viso e al collo e la voglia di girarmi verso il tagliere del salmone non erano effetti degli agenti irritanti delle cipolle dorate.

 

*

 

Qualche ora dopo la stanchezza iniziava a farsi sentire e non so che cosa avrei dato per sedermi, ora che le linee erano finite e l’arrivo degli ospiti era imminente. Purtroppo ero impegnato a lavare quello che avevamo usato dalla nostra parte della cucina per rimetterlo a disposizione e approfittavo di quella posizione di vantaggio per controllare che nessuno si avvicinasse alle celle frigorifere dove c’erano i nostri preziosi dolci.

Sahan mi apparve davanti così all’improvviso che mi fece sobbalzare.

«Oh, sei tu…»

«Raim, mi sembri stanco… è stata una preparazione dura, eh? Esci qualche minuto e riposati» mi disse, togliendomi di mano spugna e padella. «Bevi un po’ dalla mia bottiglia. Nella cucina fa caldo e si sta sempre in piedi, devi idratarti o finirai per svenire.»

Avrei voluto negare e continuare come nulla fosse, ma mi sentivo davvero spossato. Sospirai appoggiandomi al bordo del lavabo.

«Sicuro che va bene?»

«Sdraiato per terra nel bel mezzo del servizio non serviresti a molto, sai? Non preoccuparti… posso gestire qualche padella anche da solo mentre tiri un po’ il fiato. Dopotutto non sono ancora arrivati tutti.»

Aveva ragione, quindi non fiatai: lo ringraziai, presi la sua borraccia – anche quella viola, naturalmente – e uscii sul retro a sedermi sui gradini. Il cielo si stava facendo scuro e la città si era accesa, come ogni notte Las Vegas tornava alla sua doppia vita scintillante. Mentre bevevo la bibita al mirtillo rosso di Sahan non dubitavo del nostro successo in quel servizio e mi chiesi se Las Vegas gli piacesse… se, avendo la possibilità di un avanzamento di carriera in un ristorante più rinomato o interessante, Sahan se ne sarebbe andato senza esitare. Vale a dire, senza badare a me.

Una sottile, logica e fredda vocina nella mia testa mi fece notare che se davvero avevo paura di questo sarebbe stato sufficiente danneggiare un po’ il suo menu: non abbastanza da renderlo un disastro e farlo scappare, ma neanche eccellente abbastanza da farlo notare da altri. Era una soluzione pragmatica. Molto logica, che teneva conto della stima dei danni per tutti… ma non era una soluzione praticabile.

«Per nessun motivo lo ostacolerò di proposito… si fida di me.»

Fissai la borraccia, immerso in un confuso fiume di immagini: come nei film mi scorsero davanti agli occhi stralci dei momenti più divertenti e più duri di quel breve ma intenso addestramento, quelli in cui Sahan aveva raccontato cose di sé e quelli in cui le aveva soltanto lasciate trasparire.

«Si fida di me» ripetei a mezza voce. «Non posso tradirlo.»

Lo pensavo davvero, dal profondo di me. Vedevo in quel ragazzo troppe virtù degne di nota per poter pensare di non ricompensarle, o di non dare il massimo perché fossero ricompensate. Mi aveva dato la sua fiducia e la sua amicizia. Sfiorai il ricamo del mio nome sulla giacca e la strinsi come un’icona sacra. Fiducia e amicizia… e orgoglio: non avrei ignorato nessuno dei suoi tre regali.

Sentii la porta aprirsi dietro di me.

«Raim, ci siamo» mi disse lui, con una voce piena di delicatezza. «Si sono seduti… Durand sta facendo gli onori della presentazione. Te la senti di uscire con me?»

Dopo averlo guardato fisso annuii e mi alzai. Ero molto più nervoso per quell’uscita in sala che per tutto il lavoro che dovevo fare ai fornelli: non mi ero preparato che cosa fare o dire agli ospiti e Sahan non disse una parola che fosse di aiuto. Appena Durand rientrò in cucina lui uscì in sala e io lo seguii, con uno straordinario colpo d’occhio della sala in cui non mi era mai stato permesso di passare.

Solo alcuni tavolini lungo le pareti erano rimasti al loro posto e un lungo tavolo era stato posizionato nello spazio ampio al centro; era imbandito con tovaglie color oro pallido, uno sproposito di posate lucide e bicchieri scintillanti, con un imponente centrotavola di rose e orchidee vere. Erano proprio sotto il più grande dei lampadari della sala e questo illuminava vestiti ricercati e aspetto impeccabile dei nostri ospiti, che andavano da una giovane donna dai capelli molto corti a una signora venerabile con occhiali cerchiati d’oro, passando per un giovane dai baffi appuntiti e curati e un uomo brizzolato dall’aria molto seria.

Sahan si fermò a debita distanza dall’angolo del tavolo in modo da non trovarsi alle spalle di chi sedeva a capotavola e con un gesto furtivo guidò il mio braccio in modo da farmi mettere accanto a lui. Feci del mio meglio per ignorare il galoppo dentro il mio petto e pensai solo a stare ben dritto.

«Buonasera, signore e signori… sono Sahan Micheaux» si presentò con un accenno di inchino. «Grazie alla generosità di chef Durand, questa sera potrete gustare due menu di quattro portate, e uno dei due è quello proposto da me, con l’aiuto del mio sous-chef.»

Mi prese molto di sorpresa venire chiamato addirittura sous-chef e mi irrigidii quando Sahan con un gesto del braccio calamitò dodici paia di occhi su di me.

«Chef Manning.»

Cercai di replicare il suo inchino ma sono certo di essere stato molto goffo: una delle signore al tavolo fece un sorriso incoraggiante che mi fece sentire un po’ un idiota. Sahan invece sorrideva tranquillamente, come se fosse a suo agio.

«Vi proponiamo un incontro tra la cucina mediterranea della Provenza francese e gli influssi del Mediterraneo mediorientale… l’incontro che ha generato me, in primo luogo… un incontro che ci auguriamo vi porti in un viaggio fresco e gradevole.»

Sahan mi guardò, improvvisamente incerto. Non so come, ma intuii che stava per chiedermi di aggiungere qualcosa e non volevo farlo. Purtroppo il giovane con i baffi sembrava interessato alla mia persona e prese parola.

«Che cosa avete messo voi in questo menu, chef Manning?»

Il mio cervello elaborò febbrilmente. Ispirazione? No di certo. Professionalità? Avrei almeno dovuto fare lo stesso lavoro di Sahan per osare una simile risposta. Eppure, una risposta ce l’avevo.

«L’amore» risposi senza quasi accorgermene.

Alcuni dei critici restarono sorpresi, altri non cambiarono espressione. Sahan mi aveva lanciato un’occhiata che almeno io potevo capire che era stupefatta, anche se dissimulata decentemente. Io stesso cominciai a rendermi conto della cosa imbarazzante che avevo detto.

«Intendo… l’amore per… questo unico e affascinante incontro» tentai di rettificare. «Il deserto, il mare, le isole… c’è una corrente che tocca posti tutti diversi. Questo menu è come… seguire quella corrente.»

Non ho la minima idea di come riuscii a mettere insieme queste frasi e come trovai il coraggio di dirle a quelle persone, ma con grande soddisfazione vidi che molti si erano scambiate occhiate cariche di aspettativa. Sì, avevo l’impressione che non vedessero l’ora di scoprire il nostro menu.

«Signori, fra poco la cena inizierà con la prima portata di chef Durand… vi presenterò la nostra entrée dopo la sua. Con permesso, buona continuazione.»

Facemmo entrambi un inchino accennato nello stesso momento e fummo salutati da un coro di ringraziamenti e da un mormorio che ci seguì fino al passe. Mi sembrò di respirare di nuovo solo una volta entrato in cucina, non fosse stato per lo scrollone che Sahan mi diede subito dopo.

«Raim! Hai detto una cosa fighissima, non mi avevi detto che ti eri preparato qualcosa per la presentazione!»

«Non… non l’ho fatto!» feci, spostandolo per farlo smettere di scuotermi. «Ho detto quello che mi passava per la testa!»

Sahan mi fissò per qualche secondo in silenzio, poi rise e mi strofinò i capelli dove erano più corti.

«Nella tua testolina passano cose meravigliose~!»

«Micheaux!»

La voce di Durand arrivò dall’altro lato del passe, ma non ci guardava.

«La mia entrée sarà al passe in otto minuti. Regolati per la tua e dammi un tempo.»

Sahan sorrise, ma con un’espressione di sfida.

«Usciremo dieci minuti dopo, ammettendo che i piatti siano già tornati.»

«Molto bene.»

Durand marciò verso la linea degli antipasti e prese personalmente il comando della preparazione. Avevo voglia di guardarlo, ma non era il momento: le verdure per il cous cous erano già tagliate ma andavano saltate ed era il mio compito. Dopo quelle grandiose parole non volevo fare scivoloni e mi misi al lavoro dopo essermi rimesso il grembiule.

Durand fu di parola e dopo otto minuti i suoi piatti avevano lasciato la cucina alla volta del tavolo da dodici. Ero certo che il primo impatto sarebbe stato notevole – dopotutto era pur sempre uno chef stellato – e quindi il nostro doveva avere la stessa intensità, e non poteva succedere se non riuscivo a replicare il gusto che Sahan mi aveva presentato la prima sera di prove.

«Sahan, siamo pronti per impiattare» l’informai quando ebbi tutto pronto e i piatti allineati. «Vuoi controllare?»

Sahan mi raggiunse, assaggiò le verdure per controllare sale e cottura e mi diede il via libera. Sapevo come lo voleva presentare e non feci domande. Misi le verdure, il sesamo tostato e il basilico rosso nel cous cous saltato con le spezie preparate da Sahan, mescolai e presi il dosatore dell’olio.

Se non avessi visto in quel momento Sahan che incideva la pelle del salmone forse non avrei ricordato l’avvertimento inquietante di Martha e non mi sarei accorto che l’olio sembrava scuro, anche se visto attraverso una plastica opaca. Mi fermai prima di capovolgere la bottiglia e lanciai un’occhiata dall’altro lato della cucina; incrociai lo sguardo di Malone ma non mi parve interessato a che cosa stavo facendo o usando. Eppure quel tarlo mi tormentava, perché per la presentazione eravamo usciti entrambi lasciando la nostra cucina senza controllo… e non potevo non pensare quanto fosse stato avventato da parte nostra.

Versai l’olio nella ciotola che aveva contenuto il basilico rosso e vidi bene quanto era scuro e che era punteggiato di nero. Era un olio già usato per una frittura, non c’era verso che uno addetto al lavaggio delle loro padelle non lo riconoscesse. Ero furioso, ma mi limitai a gettare la bottiglia nella cassetta delle stoviglie sporche.

«Sahan, altro olio di oliva?»

«C’è una bottiglia proprio lì» mi disse, indicando automaticamente il posto in cui aveva lasciato quella che era stata scambiata. «Oh… credevo che fosse lì…»

«Non importa, dimmi dove ne prendo altro.»

Recuperai una bottiglia e ne controllai il contenuto, arrivai anche ad assaggiarlo col dito per essere certo di non incappare in un altro trabocchetto. Così riuscii a finire il cous cous con un sapore che mi soddisfaceva e Sahan mi diede il benestare per servirlo dopo averlo assaggiato a sua volta.

«Andato! Quanto per la bouillabaisse, chef Durand?»

«Tre minuti al ritorno delle stoviglie.»

«Bene!»

Sahan prese un gran sospiro e si fermò a bere dalla borraccia.

«Bevi anche tu e respira, Raim… ottimo lavoro. Per il nostro pesce aspettiamo la bouillabaisse, va servita calda e ci vuole un po’ per mangiarla. Metteremo il pesce in padella quando usciranno loro.»

«Le sfere?»

«Le faccio ora… tu riposati un paio di minuti, okay?» mi fece, dandomi un colpetto all’altezza del gomito. «Stiamo andando bene… ce la faremo. La carne ha un contorno freddo che si fa in un minuto e il dolce è solo da comporre… dopo il pesce è una discesa. Cuciniamo tranquilli, d’accordo?»

«Non dovevo essere io quello che ti calmava?»

«Beh, stiamo andando bene… siamo in scia! Ora è tipico di te aver paura di uno scivolone, quindi io devo restare calmo per entrambi!»

Occhieggiai la bottiglia di plastica con l’olio della frittura che sporgeva dalla cassetta gialla delle stoviglie. Ero combattuto: volevo dirglielo perché facesse attenzione a tutto quello che usava, ma temevo che svelarglielo ora l’avrebbe reso furioso contro Durand o, alla meglio, soltanto molto distratto. Decisi di parlargliene dopo, ma per buona norma presi la bottiglia senza farmi notare e la misi da parte per evitare che qualcuno facesse sparire le prove.

Mentre prendevo la pausa – approfittandone in realtà per controllare tutto quello che stavamo usando nel nostro angolo di Liaison – tenevo d’occhio la brigata in nero e oro: con il piatto di pesce in discussione Durand e Leclaire non avevano un attimo da dedicarci ed era chef Malone a osservare Sahan che creava le sue sfere di lavanda. Con il nuovo contagocce stava facendo palline ancora più piccole, grandi non più delle uova di salmone.

“Possibile che sia lui la mente di tutto?”, mi chiesi a un certo punto. Malone era il braccio destro di Durand, era poco più vecchio di Leclaire, e mi chiesi se non stesse macchinando tutto da solo per far piacere allo chef… o forse sperava di aizzare Leclaire e Sahan uno contro l’altro per eliminare almeno uno dei giovani talenti che avrebbero potuto detronizzarlo?

Il nostro servizio proseguì liscio: misi a cuocere le verdure verdi e preparai un purè molto omogeneo come Sahan mi aveva insegnato e la salsa di yogurt alle erbe mentre lui curava con concentrazione estrema dodici filetti di pesce in sei diverse padelle di olio e burro sfrigolanti. Era così preso che pensai di occuparmi io di tenere il tempo del servizio, ma quando gli annunciai che mancava un minuto al servizio che avevamo stabilito mi rispose un gelido “lo so”. Sahan è un ragazzo gentile e vivace, ma quando è in difficoltà entra in una bolla e parla come un robot, è così ancora oggi.

Fidandomi della sua puntualità preparai i piatti e misi il purè sul fondo come avevamo deciso di presentarlo, e difatti dopo pochi secondi le prime padelle di filetti arrivarono lì accanto.

«Obliquo, ricordi?»

«Sì, certo» risposi mentre posizionavo le punte di broccolo romano con un paio di pinze. «Quella pelle ha un aspetto magnifico, Sahan. Un ottimo lavoro.»

La tensione era allentata e lui mi sorrise, anche se aveva decisamente un’aria provata.

«Grazie… spostati di qua, così metto io i salmoni, poi ripassi con la salsa.»

«Okay.»

Così a quattro mani confezionammo dodici piatti di tranci di salmone ben dorati posati sul purè verde brillante e puntellati dal broccolo, con quenelle di yogurt denso alle erbette che il calore del pesce scioglieva lentamente e sormontati da una dose di uova di pesce viola, o almeno tali sembravano. L’incontro dell’arancione del pesce, del verde intenso della purea e del viola delle perle d’acqua di lavanda era spettacolare e sperai che anche ai giudici ricordasse, come al mio amico, campi verdi dai fiori viola della Provenza con la luce arancio del tramonto. Di certo erano colori straordinari, colpivano anche uno come me, un uomo senza poesia né arte.

«Un capolavoro, Sahan. È quasi un dolore mangiarli.»

«Ah, non dire così, è il trionfo della vanità sullo scopo ultimo del cuoco!»

Fece una risata divertita e mi consegnò il suo grembiule.

«Esco un attimo per presentare il piatto e torno. Prendi i filetti e passali di sale e pepe nero sopra e sotto, per favore.»

«Sì, subito» dissi con la gola improvvisamente asciutta.

Lui si avviò dietro i camerieri che servivano il nostro pesce e io mi fiondai dentro la cella frigorifera più velocemente possibile senza mettermi a correre. Devo essere sincero, mi sono passati un migliaio di orrendi scenari possibili in mente, tra i quali i meno peggio erano i filetti presi a martellate, affettati, fritti nell’olio usato che mi avevano propinato prima o con insetti sopra.

Mi sorpresi quasi di più nel vedere il vassoio posato placidamente dove doveva essere, accuratamente coperto da Sahan con la pellicola, con i venti filetti allineati in buono stato. Anche se era ovvio che c’erano tutti li contai due volte e quando li portai all’angolo vicino ai fornelli li controllai uno per uno su entrambi i lati prima di condirli. Sembravano a posto e pensai che forse al nostro machiavellico avversario bastava rovinare antipasto e piatto di pesce per distruggerci e che non avesse pianificato altro.

Purtroppo, mi sbagliavo.

«Raim, abbiamo un problema.»

Non lo guardai subito, perché stavo ripulendo le pentole del pesce per usarle anche per la carne e volevo sbrigarmi. Dalla mia, c’è da dire che lo disse con un tono piuttosto leggero, quindi non pensai che fosse qualcosa di grave.

«Quale?»

«Devo rifare le basi al sesamo.»

A quel punto smisi di strofinare e mi girai con una lentezza densa di tensione verso di lui. Aveva preso il vassoio delle cialde al sesamo dall’abbattitore di temperatura ed erano tutte sbriciolate. Le guardai inorridito e poi lanciai uno sguardo fulminante verso Durand. Lui sembrava accigliato, quasi perplesso mentre guardava verso Sahan, ma Leclaire aveva stampato in faccia un ghigno che mi bastava come ragione per prenderlo a pugni e beccarmi una denuncia per aggressione.

«Devo farle subito» disse Sahan, con una voce leggermente tremante. «Se non le faccio subito non si raffredderanno in tempo per il dolce.»

«A… adesso? Ma come facciamo con il manzo?»

«Se non le rifaccio ora saranno calde e scioglieranno la tua pannacotta…»

«Ma se le rifai non hai tempo di badare alla carne!»

«Infatti no… devi farlo tu, Raim.»

«Io… cosa?!»

Lo shock fu tale da dimenticarmi completamente il motivo per cui volevo picchiare Leclaire. In realtà mi dimenticai della sua stessa esistenza; era come se tutto al di fuori della zona pasticceria che stavamo usando fosse stato smolecolato da un buco nero e avesse cessato di essere.

«Hai imparato la ricetta… mi hai visto prepararla e sai che gusto deve avere. Mi affido a te per il piatto di carne.»

Aveva un tono grave, ma non perché fosse preoccupato che io non ce la facessi. Avevo la sensazione che non avesse dubbi, ma che gli dispiacesse affibbiarmi un compito così faticoso… e se qualcuno di voi ha mai preparato carne per dodici ospiti a casa ha un’idea di come possa essere snervante badare dodici cotture per gente che di lavoro critica quello che mangia.

«Sahan, te l’ho già detto… io non sono un cuoco! Cucino quello che tu mi hai insegnato a preparare, e la cottura della carne non è mai stata un mio compito!»

«Lo so, ma non ho altra scelta che credere in te… non ti ho insegnato la ricetta delle basi di sesamo, e ha un equilibrio delicato di dosi, tempo e temperatura. Non è qualcosa che possa fare chi non è ferrato, tanto meno se non può essere guidato durante il procedimento» spiegò lui, quasi volesse scusarsi. «Devi farlo tu, il filetto. Non ho altra scelta che credere in te… per favore, credici anche tu.»

Che altro potevo dire? Che cosa potevo fare? Davanti a una supplica così sentita e una così grande dimostrazione di fiducia non potevo ribattere. Avevo il mio nome su una giacca da cuoco, proprio come Sahan, lui continuava a trattarmi come un suo pari anche se valevo molto meno… la sola cosa che potevo fare era usare ogni cosa che ricordavo, rivedere nella mia mente ogni minuto in cui aveva cucinato davanti ai miei occhi, riesumare due anni di memorie fotografiche passati dentro un ristorante francese stellato. Avevo i mezzi per farcela? Non avevo l’esperienza manuale, ma contavo sulla concentrazione che avevo tenuto quando il mio amico mi insegnava il suo menu.

Senza una parola aggiunta mi girai e asciugai le padelle prima di metterle sul fuoco. Quel giorno scoprii che anche io entro in una bolla quando sono concentrato – o disperato – ma al contrario di Sahan non parlo affatto. Così in silenzio scaldai quattro padelle con l’intento di cucinare tre filetti in ciascuno, poi passai accanto al lavabo a lavare l’insalata a foglia: non poteva essere preparata prima o si sarebbe appassita nel calore. Nei minuti successivi rimbalzai dalle padelle della carne alle ciotole di insalata al tagliere dove affettai le pere, tornai alla carne prima di ogni altra fase. Sbriciolai la feta greca, affettai sottilissimi i ravanelli rossi, grigliai le fette di pera, riscaldai le cipolle caramellate e la salsa al vino. Non ho ancora oggi un vero ricordo di aver fatto tutte queste cose insieme, ma Sahan era ai fornelli della postazione antipasti di Durand per usare un fornello dato che io li avevo occupati tutti quanti e di certo la logica dimostra che io sono quello che preparò tutti gli elementi.

«Che cosa ti serve, Raim?»

Sahan tornò da me con l’aria preoccupata, ma mi avrebbe raccontato soltanto in seguito di essere stato allarmato dalla fretta che sembravo avere mentre passavo da un angolo all’altro per fare tutto. In realtà in quel momento era quasi tutto pronto.

«Assaggia le cipolle e dimmi se sono come dovrebbero» gli dissi subito, visto che erano la mia preoccupazione principale. «Dopo prendi tu il controllo di queste padelle, non credo di sapere che cosa sto facendo… mi sembra che siano quasi pronti, ma non lo so!»

«Hai fatto un sacco di lavoro, bravissimo, Raim» si complimentò mentre afferrava un cucchiaio e assaggiava le cipolle con l’espressione seria di quando era concentrato. «Bene, ma ci vuole un po’ di pepe, il miele si sente un po’ troppo… fammi vedere.»

Ci scambiammo di posto e aggiunsi il pepe alle cipolle mentre Sahan controllava i filetti tastandoli con il dito; faceva oscillare una padella qui, versava un po’ di burro caldo sulla carne di là. Ancora oggi penso che Sahan sembri un pianista quando è alle prese con le cotture multiple, ma quella fu la prima volta che associai quelle due immagini. Poi lo vidi sorridere.

«Hai ragione, sono pronti… andiamo al passe!»

Ci trasferimmo sul passe con una confusione mastodontica di padelle, ciotole, piatti e posate: l’insalatina greca doveva essere composta come una specie di quadro a un lato dello specchio lucido di salsa rossa al vino e richiese più tempo quella di tutti gli altri elementi messi insieme. Alla fine i filetti erano accostati a un’insalata di foglie e briciole di feta che ricordava vivaci cespugli di alghe e coralli, le fette di pera grigliata formavano come un paravento aperto tra quella e la carne, con un cappellino di cipolle, come lo definì Sahan la prima sera in cui mi mostrò come voleva impiattare. Per farmi ricordare i suoi impiattamenti mi aveva fatto creare delle assurde immagini per associazione, eppure funzionavano.

«Posso fotografarlo?» domandai sottovoce a Sahan mentre pulivo una goccia di salsa dal bordo di uno dei piatti finiti.

Mi misi a ridere quando lo guardai e scoprii che stava davvero fotografando uno dei piatti di filetto con il cellulare, poi come nulla fosse e un gran sorriso autorizzò i camerieri a servire.

«Su, vai.»

«Uh? Vai dove?»

«Questo piatto… l’hai fatto tutto da solo. Sei tu che devi presentarlo ai tuoi clienti.»

Fu abbastanza scioccante rendersi conto che era vero che avevo fatto tutto da solo: in quella linea l’insalata era fatta tutta sul momento per non ossidare o appassire gli ingredienti, avevo messo io la salsa a ridurre, avevo caramellato io le cipolle e avevo portato la carne alla cottura. A parte aiutarmi a impiattarlo e l’assaggio alla fine, Sahan non aveva fatto niente.

«Coraggio, chef Manning. Vai a dire ai tuoi clienti che assaggeranno il tuo filetto al vino con insalata greca.»

Deglutii con una certa ansia, ma non avevo tempo di discutere perché i camerieri erano già in sala. Buttai il grembiule sporco dove capitava e uscii in fretta nella sala, ma l’atmosfera era piuttosto diversa che a inizio cena: tutti sembravano sorridenti e vivaci, il che mi suggerì che entrambi i menu non li avevano delusi… o che il piatto di carne di Durand era stato eccezionale.

«Io… come stiamo andando, signori?»

Non sapevo neanche se potevo chiederlo, ma ormai mi era uscito dalla bocca. Nessuno dei critici accennò un’espressione contrariata o un commento sfavorevole. Mi venne detto che avevano assaggiato piatti di grande qualità e molto “interessanti”. Capii che non si sarebbero sbottonati oltre e cercai di sembrare più sicuro di quello che sentivo di essere.

«Il piatto che avete davanti è un filetto al vino rosso e cipolle, con un’insalata fredda con formaggio greco e pere grigliate… anche se la ricetta è di chef Micheaux, l’ho preparato io per voi.»

La mia era più un’assunzione di colpa che un tentativo di prendermi della gloria, sono sincero. Comunque la notizia sembrò colpirli, perché si misero a osservare la composizione molto più attentamente e un paio di commensali ruotarono lentamente il piatto facendogli fare un giro completo. Non mi venne rivolta alcuna domanda, quindi mi limitai a fare un inchino e ad augurare loro una “buona continuazione” prima di tornare in cucina con il fiato inspiegabilmente corto.

Speravo solo di non aver dato l’impressione di scappare.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: A_Typing_Heart