Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: alessandroago_94    24/05/2021    6 recensioni
Alex è un giovane uomo pieno di dubbi e di voglia di mettere in carreggiata la propria vita, che spesso gli appare senza senso. È infatti vittima di un’ossessione, quella riguardante una persona idealizzata, o forse un suo stesso personaggio inventato; il fantomatico G.
Alla ricerca costante di questa persona si aggiunge una ricerca interiore, quella riguardante sé stesso.
Nel frattempo, dall’altra parte del mondo, l’agente James Barley, prossimo al pensionamento, si ritrova immischiato in una vicenda quasi assurda. Immerso in una società dell’orrore dove regnano bugie e disonestà, e dove sono solo i soldi a fare la differenza tra gli esseri umani, indagherà a riguardo di una clinica privata in cui si effettuano strani e proibiti esperimenti.
Le due vicende si intrecciano, anche se non si incontrano mai definitivamente. Possibile che anche questo racconto sia tutta una grande bugia? Un Limbo, appunto. Un Limbo dei Bugiardi. Un luogo immaginario in cui regnano solo le maschere.
Genere: Azione, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo venti

CAPITOLO VENTI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Il supremo male che possa capitare

è commettere ingiustizia (…)”

Platone.

 

 

 

 

 

 

“Cosa significa?!” sbotto.

Il detective mi fa salire in macchina con un gesto secco della mano destra.

“Te lo racconto mentre ti riporto a casa”.

Ci accomodiamo e gira la chiave nel cruscotto, partendo di velocità.

“Adesso mi lasciate finalmente tornare a casa?” chiedo, seccato più che mai.

Quasi non ci credo; non vedo l’ora di ritornare tra le braccia di mia moglie e di rivedere i miei figli. Non voglio illudermi, però, perché questi matti mi hanno insegnato che da loro ci si può aspettare di tutto, e di solito mai nulla di piacevole.

“Sì” risponde l’uomo, di poche parole.

“Come mai adesso non mi tormenti più? Ieri, quando potevi infierire, l’hai fatto senza rimorsi. Adesso invece che torno a casa, eccoti lì mogio e zitto… dovevo soffrire ancora, per renderti felice?”

In tutta risposta, scrolla le spalle con non curanza.

Sento un forte odio dentro di me, penso di estrarre finalmente la pistola dalla fondina e farmi valere. Non mi importa più di niente.

“Io e la mia datrice di lavoro ci siamo premuniti” afferma, quando tasto la fondina e non trovo più la pistola d’ordinanza.

“Questa… questa è una grave prevaricazione, questa è…”.

“Questa è semplicemente la tua fine, agente speciale Barley. Oppure posso chiamarti semplicemente James, poiché ti piace dire che non lo sei più? Eh?”

“Sei pazzo anche tu” concludo, senza replicare. Mi sta confondendo e quello che più spero è di tornare a casa al più presto, desiderio che per fortuna si realizza in fretta.

Con il cuore in gola scendo dalla berlina nera e mi sento colmo di commozione; presto abbraccerò la mia amata e tutto sarà come prima!

“Non mi saluti? Siamo stati colleghi per un sol giorno, però penso che la cortesia non debba sfumare così in fretta…”.

Mi volgo verso il bastardo, un solo istante prima di sbattere lo sportello dietro di me.

“Che vuol dire?” chiedo, continuamente poco lucido per via dell’ansia. “Che non mi tormenterete più?”.

Il mio interlocutore mi mostra un mezzo broncio, poi sorride apertamente.

“No, non credo. O, quanto meno, non in queste circostanze”.

“Ne sono proprio felice” mi viene da gioire e da ridergli in faccia.

Lui però mi fa cenno di chiudere lo sportello, e prima di pestare brutalmente l’acceleratore abbassa il finestrino e sancisce quella che sembra una sentenza.

“Io non lo sarei al posto tuo, James. Non hai accontentato la mia datrice di lavoro, quindi sei un uomo finito”.

Mi volgo verso di lui, ma avverto solo un addio urlato e il rombo della macchina che già si allontana in fretta.

Resto un attimo perplesso, ma alla finne me ne frego; l’importante, nell’immediato, è aver riguadagnato la libertà.

 

Non ci sono più i gorilla a bada della porta d’ingresso.

Varco serenamente la soglia e con il più smagliante sorriso corro verso la cucina, sapendo che è la stanza preferita di mia moglie. E in effetti è proprio lì.

Resto immobile un istante prima di entrare, perché Tiffany è sì presente, ma è con la faccia affondata tra le mani. Piange.

I miei due figli sono come pietrificati a guardarmi, poi appena dopo qualche secondo si allontanano e per abbandonare la stanza quasi mi spintonano. Ed io che li volevo abbracciare.

Penso subito che quella puttana deve aver combinato una delle sue e chissà cosa ha fatto ai miei familiari.

“Amore” mi avvicino a mia moglie, sussurrando a voce bassissima. Lei nemmeno mi guarda, singhiozza più forte.

 “Amore, cosa ti hanno fatto?” insisto.

Solo a quel punto scatta. Si alza e quasi mi spintona a sua volta.

“Hai anche il coraggio di chiedermi cosa mi hanno fatto?!” esclama, rabbiosa. “Cosa mi hai fatto tu” conclude, notando il mio sbigottimento.

“Cosa… cosa ti ho fatto io?” chiedo, ma a quel punto ho una pessima impressione. Un brutto pensiero si espande nella mia mente…

“Guarda cosa mi è arrivato questa notte su Whatsapp” e sbatte il suo cellulare sotto al mio naso, prima di azionare un video inviato alle tre di notte da un numero non salvato in rubrica.

Le immagini sono di ottima qualità, nitide e cristalline, così tanto che non ho alcuna difficoltà a riconoscermi, nudo e in preda alla passione, mentre faccio l’amore con Angelina.

La stronza intanto filma e geme, di tanto in tanto, e si prende pure lo sfizio di sussurrare quegli schifosi ‘sei il mio uomo, adesso, solo il mio’.

Il video ha una durata di trentacinque minuti, ma lo fermo subito dopo averne visionati solo quattro, sconvolto.

Restituisco il cellulare a mia moglie, mentre il mio volto avvampa, in preda alla più cupa vergogna.

“Non è così come sembra” riesco soltanto a dire, dopo qualche altro minuto. Tiffany adesso è calma, seduta su una sedia, senza mostrare nessun sentimento in particolare.

Ancora non mi guarda, fissa a vuoto il pavimento.

“Mi ha costretto a farlo. Io non volevo…”.

“Godevi come un porco, invece… l’ho visto tutto, fino alla fine, fin quando le hai dato quel bacio pieno di passione e hai anche usato la lingua. Sono sconvolta, non mi sarei mai aspettata una cosa così terribile da parte tua” si spiega, sempre calma, come se ormai avesse razionalizzato tutto ciò.

“Io nemmeno mi ricordo di quello che ho visto, né di quello che mi dici. Lei è pazza, mi ha somministrato qualcosa che non mi faceva ragionare”.

Mia moglie ancora tace. “Non mi credi, vero? Non mi credi più”.

È come se lo affermassi da solo, disperato. Però a mia volta non faccio scenate, né piango.

È anche nel mio caso una sorta di dato di fatto; sono stati giorni che mi hanno distrutto sotto tutti i punti di vista.

Lei nega con un solo cenno del capo, risoluto.

“I nostri figli lo sanno?”

“Lo sanno. È arrivato anche nei loro cellulari”.

Stronza schifosa, penso, ribollendo dalla rabbia. La stronza non avrà avuto problemi a ottenere i numeri di mia moglie e dei miei figli, con tutti i contatti che ha e i suoi problemi mentali.  Così, ha rovinato anche la mia famiglia.

“Non ti voglio più in casa, James. Per favore, vattene subito” aggiunge Tiffany, constatando il mio silenzio prolungato.

“Ma che stai dicendo?! Io amo te, sempre e solo te! Non vedi che ci ha fregato, quella troia? Niente di tutto ciò che hai visto è vero!”

Mi avvicino e cerco di baciarla sulla guancia, ma lei mi dà uno schiaffo e si allontana.

“Con quelle stesse labbra con cui qualche ora fa hai baciato quella lì…” mugugna, ora rabbiosa, esplosiva, “…te ne devi andare subito”.

“Va bene” alzo le mani in segno di resa. “Permettimi di fare i bagagli e di salutare i ragazzi, almeno…”.

“Non ti vogliono più vedere. Ti avranno anche già portato giù la valigia”.

Mi affaccio di nuovo sulla soglia e in effetti vedo un valigione pieno di cose che mi attende solitario davanti alla porta d’ingresso, che solo venti minuti fa ho varcato con grande gioia.

“No…” sussurro.

“E’ tutto finito, James. Tutto. Hai mandato tutto all’aria” singhiozza Tiffany.

Voglio avvicinarmi di nuovo ma inizia a strillare come una pazza.

“Vattene via o chiamo la polizia! Vattene! Vattene! Vattene!”

Atterrito da quella raffica di strilla, retrocedo e vado alla porta. Non posso fare altro. Ancora non ci credo, il mondo è crollato su di me così in fretta… così tanto in fretta che non so farmene una ragione.

Forse nemmeno ne me accorgo quando esco di casa con la valigia in mano, non comprendo la gravità del gesto. Lo sto solo subendo, come ho sempre fatto ultimamente.

Devo sembrare un derelitto ai due agenti che si presentano all’ingresso del cortile, armati a puntino, come se mi stessero attendendo.

“Agente James Barley?” mi chiede uno.

“Sì…”.

Non faccio in tempo a dire altro che estraggono entrambi la pistola e me la puntano contro.

“Non faccia sciocchezze, mani dietro la schiena. La dichiariamo in arresto”.

Lascio cadere la valigia e me ne sto fermo mentre i due mi raggiungono e mi trattano come il peggior criminale di questo mondo. Resto in compagnia della mia rassegnata consapevolezza che tutto ciò è stato generato dalla Stradford.

Aveva ragione allora il detective, quando mi ha detto che non l’avevo accontentata e che dovevo aspettarmi il peggio, perché ero un uomo ormai finito. E il peggio, in effetti, è arrivato.

 

I minuti si trasformano in ore, le ore in giorni, i giorni in mesi.

La quarantena più lunga della mia vita si espande assieme alla sensazione che tutto si sia fermato. Tutto, appunto, tranne il tempo.

Tempo che inizia a diventare confuso nella mia mente; oggi che giorno è? I giorni si confondono, non si esce più e non avendo contatti con l’esterno la monotonia vince su tutto. In pratica, passo le giornate a mettere a posto libri.

Tutte uguali.

E adesso, appunto, non so nemmeno più con certezza che giorno è, per la precisione.

Non ha importanza, la quarantena sarà ancora molto lunga e quando tutto sarà finito sarò sicuramente cambiato molto.

 

Ricordo l’atteso sabato, e pure la domenica al mare. Adesso si mettono a posto i libri, tramite le stesse azioni.

Pasti a ore forzate, sempre allo stesso minuto.

Non cambia più una virgola.

Il peggio è che mi sto confondendo mentalmente e che temo di abituarmi a questo isolamento, a tutto questo silenzio.

 

In questo inferno, mi viene da pensare a una cosa che può sembrare strana.

A una tigre. Sì, una tigre siberiana.

Prima della tempesta Coronavirus, ho avuto modo di vederne una dal vivo. Una grossa, grassa e vecchia tigre siberiana, trasportata su un carrozzone di un circo itinerante proveniente dall’estero.

Allora erano i giorni delle festività natalizie e mi sentivo immortale, anche se ero una merda emarginata mai mi sarei aspettato questa segregazione in casa.

La creatura, appunto sbarcata nella vicina città grazie al circo, veniva lasciata libera durante tutto il giorno in un recintino costruito da ferri piantati a terra, ben delimitato e in sicurezza.

Ricordo quando le sono andato vicino, solo la recinzione metallica rinforzata a separare me dalla fiera. Inizialmente, un timore reverenziale da parte mia, credendo in chissà cosa.

Per chiunque abbia solo sbirciato il libro La tigre di John Vaillant, un brivido viene a prescindere; poi trovarti un bestione così a pochi passi, sembra un’esperienza di un altro mondo.

Mi sono sciolto solo quando l’ho guardata negli occhi. Erano spenti. Ne La tigre, il feroce e intelligente felino in grado di adattarsi a ogni situazione, dagli occhi svegli, profondi, vivi, cacciatrice di prede di grande mole ma anche di persone nel caso sia provocato, è qualcosa di tangibile seppur sia solo una testimonianza scritta.

Ma lì, dal vero, quella creatura non aveva più nulla di selvatico e indomito.

Lo sguardo più spento di quello di un gatto, senza alcuna profondità. Il niente.

La bestia mi guardava, io guardavo lei. Ogni tanto faceva un giretto attorno al breve perimetro della recinzione metallica, per poi tornare a sedersi nello stesso punto da cui era partita.

Prima di tutto, ho provato una profonda delusione. Infine, sorge la consapevolezza che quello che ho visto in fondo è solo una creazione umana; cosa si può pretendere da un animale strappato da decenni dal suo habitat naturale, dalla taiga siberiana ancora perlopiù lasciata intatta dall’uomo, e costretto a esibirsi all’infinito a piacimento di un pubblico pagante? Niente.

Ecco, adesso con il coronavirus mi rendo conto cosa voglia significare essere una tigre, o un animale. Essere costretti a vivere in spazi limitati per un’intera esistenza, senza mai poter uscire.

Per fortuna prima o poi il virus passerà, la vita riprenderà e tutto cercherà di tornare alla normalità, però anche solo un mese trascorso in cattività mi ha cambiato, figuriamoci una vita intera.

Siamo o non siamo dei mostri, degli oppressori, che hanno distrutto non solo l’ambiente e gli altri esseri viventi, ma anche tante altre civiltà che invece avremmo dovuto proteggere, sostenere, preservare, rispettare?

Siamo la sintesi di uno spietato, rapido percorso evolutivo.

Gli animali sono esseri viventi come noi, ma non potranno mai vivere in un ambiente naturale perché noi l’abbiamo distrutto, e li abbiamo reclusi in gabbiette e recinti, a produrre e a riprodursi per i nostri scopi.

Siamo mostri e in qualche modo dobbiamo pagare e rendere conto per quello che abbiamo fatto al mondo.

Per quanto mi riguarda, quella tigre non me la scorderò mai, e resterà per sempre l’emblema della libertà rubata e dell’ossessione dell’uomo rivolta al soggiogare la natura.

I miei giorni di quarantena mi stanno facendo capire che in fondo si può pensare di essere fortunati per essere nati umani, in un certo senso. Ma fino a un determinato punto.

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

 

Mamma mia, quanto tempo e quanti errori! Ne ho messi a posto molti, ma sicuramente tanti altri mi sono sfuggiti. Mi scuso per questo.

Ma soprattutto mi scuso per i secoli impiegati per aggiornare una storia ormai conclusa da tempo… che vergogna! Ora sono qui per riparare, promesso.

Un grazie immenso e infinito a chi sarà ancora qui, pronto a leggere e a sostenermi.

 

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: alessandroago_94