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Autore: Indaco_    25/05/2021    1 recensioni
Mobius era una tavolozza di colori, specie, caratteri, culture, cibi e via dicendo. Pulsante di vita, la città datata secoli era un variegato multi gusto. La sua crescita economica e sociale era intessuta da persone particolari, da eventi dimenticati e poco conosciuti e da tanti, tanti soldi.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sonic the Hedgehog
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il disco arancione, velato da una serie di nuvole gonfie e spumose, oltrepassò l’orizzonte a passo di lumaca. I caldi raggi dorati iniziarono a far capolino poco dopo, portando con sé un gradevole e lentissimo tepore. Il colore del cielo era mutato: il nero aveva lasciato spazio al rosso, all’arancione e al rosa. Acquerelli fantasiosi dai toni pastello prendevano forma in quella tiepida mattina creando uno sfondo da desktop. Il meraviglioso spettacolo non venne contemplato da Amy, la quale faticava ancora a credere di vedere la luce dietro agli alti edifici.
Con gli occhi crepati da vene rosse, occhiaie e pieghe ovunque sui capi, la rosa ammirò le lancette dell’orologio finalmente atterrate sulle ore sette e quarantacinque. Non aveva idea di come fosse riuscita a raggiungere quell’orario. Il cervello le stava per scoppiare in pezzi, gli occhi le si sarebbero incollati a breve e le ginocchia non si sarebbero più raddrizzate di quel passo.
Ma la notte non era stata difficoltosa solo per lei: il riccio blu all’interno della mini tana sbadigliava ogni due per tre. Con la testa appoggiata alle sbarre non ne poteva davvero più: si sentiva le gambe intorpidite e la mente annebbiata come se non riuscisse a ricordare quello che era accaduto il giorno prima. Inoltre il desiderio di tornarsene a casa era così forte che, se solo avesse avuto la voglia, avrebbe abbattuto quella stupida porta di ferro.
Era stata una notte molto, molto lunga e davvero insolita, per non dire strana. Nessuno dei due aveva la minima idea di quanto caffè fosse stato bevuto ma a vedere il numero dei bicchierini sparsi per terra, erano davvero troppi. Tanti quanti i discorsi inutili e le frecciate che si erano lanciati per l’intera notte con il solo scopo di rimanere svegli e vigili.
Avevano parlato per ore di sciocchezze: prima Pierre, poi i colleghi, poi il calendario, poi il mini bar a forma di ananas, poi della corsa sfrenata compiuta quella mattina, poi il chili dog servito per cena e molto altro. Niente di importante, nulla di personale e tante sciocchezze dettate più dalla stanchezza che dalla curiosità: un mix che aveva permesso alla rosa di rimanere sveglia e di vincere quella specie di prova.
Tutto sommato doveva ringraziare il ragazzo: il merito della sua vittoria era stato in parte favorito dalla sua parlantina.                                                                                                  
 L’orologio appeso alla parete poco dopo scoccò le otto in punto.
< E’ ora > bisbigliò la riccia barcollando in piedi per un attimo. La scena non si svolse esattamente come se l’erano immaginata: rallentati dalla stanchezza i due impiegarono un sacco di tempo a cercare i documenti compilati la sera precedente e a firmarli, soprattutto quando la penna decise di non collaborare. All’aperto le cose migliorarono un poco, l’aria fresca e frizzante rinvigorì gli animi e qualche secondo dopo i due si trovarono a dover, finalmente, accomiatarsi.
Nonostante Amy si sentisse alleggerita, sia dalla responsabilità di dover badare al riccio sia dal rimorso di aver disubbidito al suo capo, era ugualmente amareggiata: quell’occasione era andata sprecata. Il riccio interessante, catturato con tanta fatica, era stato archiviato assieme ai suoi segreti.
Il suo lancio professionale non era nemmeno iniziato nonostante la buona volontà: il trampolino si era spezzato ancor prima di saltare.
< Sei libero di andare Silas > borbottò con scarso entusiasmo la rosa pensando alla promozione che si sarebbe conquistata se solo fosse stata in un’altra centrale. Con un gesto della mano la riccia indicò la strada di fronte a sé, completamente deserta, invitandolo ad andarsene.
Il riccio abbozzò un ghigno soddisfatto nonostante la stanchezza. Era davvero euforico di poter andarsene da quel buco, le gambe lo stavano tormentando da ore, se fosse rimasto un solo minuto in più sarebbe diventato pazzo. Il blu scrutò attentamente il  marciapiede davanti a sé, fortunatamente era ancora vuoto a parte qualche vecchietta insonne e qualche lavoratore. Per non perdere altro tempo si incamminò in fretta voltandosi appena per rispondere alla carceriera mezza morta dietro di lui.
< Certo, certo, non ti preoccupare! Me ne vado subito, finalmente. Salutami tanto Pierre e a mai più arrivederci! > replicò con ritrovata ironia agitando una mano a mo’ di saluto.
La ragazza assunse uno sguardo apatico meravigliandosi di quella ritrovata energia.
< Idiota > esclamò tra sé e sé scuotendo lievemente la testa.
Sparì dalla sua vista mezzo secondo dopo togliendole il fiato e stupendola, ancora una volta, con il suo incredibile potere: in tutta la sua vita non aveva mai visto una capacità del genere.
Persino tra i mobiani, abituati a caratteristiche del tutto particolari, una simile forza era particolarmente eclatante. E pochi di questi riuscivano ad utilizzare e a controllare bene come lui questo potere. Ne seguì ammirata la scia blu, per quel poco che poté, prima di vederla sfumare dietro ad una casa molto lontana da lei.

Nella testa del riccio due spie lampeggianti davano la precedenza a tutto: tornare a casa il prima possibile e dormire almeno qualche ora per recuperare la lucidità mentale. Nonostante l’avesse percorsa meno di dodici ore prima, la strada verso casa gli era mancata terribilmente, tanto da farlo rallentare un po’ per godersela meglio.
Uscire dalla città affollata e dirigersi verso l’aperta campagna per lui non aveva prezzo. A naso, già dopo pochi chilometri, sentiva l’aria più fresca, profumata di salsedine e priva di smog. Costeggiato a destra e a sinistra da prati di grano verdissimi il blu sentì il cuore saltellargli dalla felicità.
Il sole emerso in tutta la sua interezza spennellava luce e chiaro ovunque andando a definire colori, forme e dimensioni.  I lunghi aculei, appiattiti dal vento, erano di un blu così intenso da poterlo benissimo scambiare per un’onda di mare scappata dalla spiaggia.
Persino la sua ombra faticava a stargli dietro: frastagliata e indefinita appariva e scompariva a seconda della velocità mantenuta.
Non si lasciò distrarre troppo in fretta dal paesaggio bucolico: quando i prati lasciarono presto il posto ad una brughiera bassa, arbustiva ed ingestibile, il ragazzo aumentò l’andatura scivolando sull’asfalto con incredibile precisione. Impiegò qualche altro minuto per portarsi fuori dall’ambiente urbano e perse altro tempo su una stretta strada dimenticata e mal asfaltata che si abbarbicava sul fianco di una collinetta.
Forse perché così vicino a casa, un po’ per la lessatura dovuta alla notte in bianco, rallentò nuovamente fino a fermarsi di fronte ad una stradina ghiaiosa.
Le scarpe scricchiolarono a contatto con la ghiaia spessa. Alberi altissimi costeggiavano la stradina, i rami ammantati di gemme verdi preannunciavano la calda stagione ondeggiando nella brezza.
Guardandosi attorno e accertandosi che fosse solo e soletto il riccio avanzò sicuro lungo la strada. Duecento metri dopo il paesaggio cambiò radicalmente.
La stradina di semplici sassolini concludeva con un cancello enorme di ferro battuto che andava ad imperniarsi su una murata altissima, antica ma solida. Un lunghissimo muro, di cui il riccio conosceva approssimativamente la fine, separava il boschetto da tutto il resto.
Attraverso i complicati intrecci di ferro non si vedeva altro che alberi, cespugli ed erba tagliata all’inglese. Ed ovviamente la strada maestra, larga il triplo, lastricata con vecchi mattoncini di ardesia, lucidi e brillanti grazie ai miliardi di passi che li avevan pian piano lisciati. Nonostante il campanello di ottone brillante, ricco di bassorilievi a tema vegetale, il blu sorrise e con un salto si catapultò dall’altra parte con agilità sorprendente.
Quasi tutti gli alberi erano mastodontici, i tronchi deformati dal tempo e dagli anni emanavano un certo fascino e stupore, come vecchie sentinelle avvertivano quanto fosse datato quel posto.
La strada avanzava dritta per un certo tratto poi incurvava prima a sinistra e poi a destra invitando lo spettatore a seguirla per conoscere la fine di quel prezioso tunnel verde: un autentico tuffo al cuore.
Il blu sorrise orgoglioso: casa sua si trovava esattamente lì.
Villa Sole era di una bellezza stupefacente per tutti i fortunati che avevano potuto vederla. Posta subito in bella vista, dopo il parco ben curato, era un’opera d’arte incastonata praticamente nel nulla.
Isolata per chilometri da qualsiasi lato  era ben nascosta da una cortina di altissimi alberi secolari. Nascondiglio che veniva protetto e mantenuto con la massima cura visto il valore incalcolabile della dimora. Persino la grande fontana in pietra nella corte era una briciola di fronte a quell’opera edilizia squisita.
Più piccola di un palazzo ma più grande di qualsiasi casa che un comune umano-mobiano potesse immaginare (e avere) era maestosa come poche altre della sua specie. Suddivisa in due piani e a pianta quadrata era mostruosamente alta e riccamente decorata. L’ingresso era raggiungibile tramite una rampa di scale a mezzo cerchio. Lateralmente, i poggiamano erano stati intagliati  nel marmo a formare un’artistica pianta di edera aggrovigliata e adagiata su colonnine rotonde. Otto finestre per ogni facciata, quattro per piano. La punta di una torretta slanciata e massiccia capitolava da dietro la costruzione lasciando intendere che le sorprese non erano finite di fronte a quella spettacolare visione. Pinnacoli e ghirigori ornavano l’intera struttura alleggerendone la figura massiccia.
Ogni finestra era incastonata in una cornice di pietra levigata a linee curve. Enormi cespugli di rose erano stati fatti arrampicare lungo i muri regalandogli un’aurea romantica e fresca.
Ma la facciata, per quanto bella fosse, non era che la base: il fiore all’occhiello era la cupola di vetro posta al centro del tetto, perfetta per portare luce all’interno.
Il carapace di vetro, liscio e scintillante, sotto la luce del mattino assomigliava ad un enorme diamante.
Il blu soffermò lo sguardo per qualche secondo sui dettagli che più adorava della sua dimora: i doccioni delle grondaie a forma di draghi e piccoli mostriciattoli, la punta della torretta che ospitava una campana di ghisa, la porta d’entrata serrata e decora… no, l’ingresso non era chiuso.
Una figura piccina, proporzionandola all’ingresso di casa, stava in piedi dritta come un fuso e, a braccia conserte, guardava dalla sua parte.
Il riccio individuò e capì al volo di chi si trattava. Sospirò mollemente preparandosi ad entrare con un sorriso che risultava piuttosto stanco.
Percorse gli ultimi metri che lo separavano dall’entrata con la testa ben dritta e senza un minimo di esitazione. Fermandosi all’inizio dei gradoni bianchi con un’espressione che doveva rappresentare ironia, raddrizzò la schiena sperando di apparire meglio agli occhi della donna di fronte a lui.
Piazzata all’entrata, una riccia di un blu slavato lo fissava con cipiglio severo. Non troppo alta ma con un portamento da regina, sembrava dipinta appositamente per quella sfarzosissima villa. Sulla sessantina, portava i capelli acconciati in un basso e severo chignon. Gli occhi azzurri come due laghetti alpini erano altrettanto severi e attenti puntati sul giovane riccio di fronte a lei.
Il perfetto tailleur giacca e gonna, azzurro anch’esso, era privo di qualsiasi grinza. Tre giri di perle le ornavano il collo e sul lato sinistro della giacca una spilla dorata faceva bella mostra di sé sbrilluccicando sotto il sole. Le labbra tirate in una specie di smorfia anticiparono i timori del ragazzo il quale non stava pensando ad altro che a riposarsi.
< SONIC THE HEDGEHOG > esclamò squillante aggrottando un po’ le sopracciglia per aumentare la minacciosità.
< Ottantasette generazioni per incanalare una velocità fuori dalla comprensione, anni di studi e sacrifici per renderti la vita facile! Un patrimonio da capogiro, aiuti e consigli a non finire e tu cosa fai … ? > domandò retorica fingendo una calma apparente e modulando un tono di voce  più pacato.
Sonic si astenne bene dall’esprimersi, le sopracciglia erano ancora aggrottate nonostante il sorriso falsissimo sulle labbra.
< Zitto, finisco io. Tu ti fai arrestare! Hai voglia di far saltare tutto in aria? Dopo tutto quello che è stato fatto per te hai rischiato di far perdere tutto a tutti! >
< Buongiorno anche a te, nonna >  esclamò il blu interrompendo di getto il discorso pesante.
Interrotta sul più bello, la riccia dapprima lo fulminò con un’occhiata gelida, poi, calmatasi, rilassò l’espressione e il corpo andando a congiungere le mani all’altezza dello stomaco con un sospiro mal celato.
Si impose di tacere tutte le lamentele che avrebbe voluto dirgli: Sonic non era irresponsabile e sapeva cavarsela, se si trovava lì sano e salvo andava tutto bene.
Gli occhi color ghiaccio carichi di tenera preoccupazione ispezionò il nipote cercando di non darlo a vedere. Le sembrava di non averlo visto da giorni nonostante sapesse benissimo che non erano passate nemmeno ventiquattro ore.
Notò subito, senza tante ricerche, la pelle rovinata sulla tempia e lo sguardo affaticato. Non aveva riposato quindi.
Il suo cervello formulò senza molti preamboli i motivi per i segni che indicavano cattiva salute. Non le riuscì difficile immaginarsi il suo amatissimo erede torturato e interrogato per l’intera notte. Con un sospiro rassegnato serrò la mascella per non tartassarlo di domande anche se il “come stai” stava praticamente sbrodolando fuori dalle sue labbra.
Il riccio sorrise, riusciva ad intuire cosa le passasse per la testa ed apprezzava i suoi vani tentativi di non mostrarsi preoccupata. Le era mancata terribilmente in quelle ore e ricongiungersi a lei era stato il primo desiderio appena uscito dalla centrale.
 Scrollandosi gli aculei con una mano tentando di guadagnare un po’ di “salute apparente” cercò di mostrarsi in ottima forma per allontanare ogni preoccupazione da lei.
< Come facevi a sapere che stavo tornando? > replicò con curiosità il blu cercando di spostare la conversazione ad un argomento più semplice. Sonic salì le scale e la raggiunse all’ultimo gradino: la superava tranquillamente in altezza di una mezza spanna.
La signora alzò la testa per poterlo guardare ben negli occhi.
< Non te ne sei accorto? Hai rotto la barriera > le rispose con un’alzata di sopracciglia riferendosi alla famosa barriera del suono.
< Na, non me n’ero accorto, a dirti la verità ero concentrato su altro >.
< Bhe non ha importanza oramai. Dio, guarda come sei conciato! Muoviti! Entra prima che qualcuno possa vederti! Cosa penserà la gente se ti vedesse in questo stato? > esclamò subito dopo rivolgendo la domanda più a se stessa che al ragazzo.
Ubbidiente, il blu oltrepassò l’ingresso prima che venisse sprangato dall’adorata nonna, pronta a salvare da immaginari sguardi indiscreti l’immagine del nipotino.
Sonic si rilassò davvero quando l’odore dei fiori freschi lo raggiunse come un dardo. Il salone quadrato era davvero enorme, illuminatissimo grazie alla cupola accennata poco fa. Era così ampio da poter tranquillamente ospitare duecento persone e più.
I pavimenti di marmo, fittamente decorati a motivi geometrici delicati ed eleganti, splendevano. Tutto il salone era abbellito in pieno stile rococò: motivi floreali intricati si stagliavano sullo sfondo bianco panna, arrampicandosi fino al soffitto altissimo.
Le finestre alte e slanciate conferivano all’ambiente una leggerezza eterea. In fondo alla stanza vi era una rampa di scale che si divideva in due per raggiungere i piani superiori. Anch’esse di marmo erano coperte da uno stretto tappeto blu scuro che partiva dal primo piano per concludersi al primo scalino.
Il riccio era perfettamente a conoscenza della fortuna letterale che possedeva: era incalcolabile il valore della dimora. Il valore affettivo, già di per sé altissimo, era moltiplicato per quello commerciale. Se per tanti ospiti quella casa indescrivibile sembrava un castello Disney, per lui, nato e cresciuto tra quelle mura, era normalissimo vivere immerso tra il moderno ed il passato. Nel corso del tempo Villa Sole era stata riportata allo splendore di un tempo unendo la comodità ed i comfort moderni dove possibile.
Ovviamente l’ascensore era stato uno di quelle cose a cui avevano dovuto rinunciare, ma poco importava, le scale erano davvero un piccolo prezzo per poter usufruire di quella meraviglia.
< Sei tornato! Non avevamo dubbi a dir la verità! Il boato poteva essere solo e soltanto tuo! > esclamò dall’alto una voce squillante. Sonic alzò la testa per vedere appena in tempo Silver saltare dal piano successivo e atterrare con eleganza grazie alla telecinesi. Lanciandosi praticamente al suolo, il riccio argentato non riuscì a reprimere la felicità nel vedere l’amico sano e salvo.
< Cosa è accaduto quando me ne sono andato? > domandò ancor prima che il blu potesse salutarlo a sua volta. La signora blu posò gli occhi sul nipote attendendo con curiosità che rispondesse alla domanda che si era fatta persino lei. 
< La noia mortale più o meno > replicò con tono affaticato il diretto interessato.
< Sono rimasto buono-buono su una sedia tutto il giorno e tutta la notte. Questa mattina non mi sentivo quasi più le gambe > si lamentò coprendo uno sbadiglio con la mano.
< Bentornato Sonic > cinguettò allegramente un’altra voce dietro di lui. Il blu si girò di soprassalto non avendo sentito nemmeno un fruscio che potesse annunciare la sua presenza.
La gatta lilla, dagli enormi occhi dorati, gli sorrise andandogli incontro.
< Ti ringrazio Blaze, sono molto contento di essere tornato! Voi tutto bene qui? > interrogò il ragazzo rivolgendosi a tutti e tre i coinquilini. Annuirono tutti tranquillamente, dopotutto le cose non potevano stravolgersi in meno di un giorno.
< A gonfie vele, tranne per il fatto che il giardiniere ieri ha deciso di non tosare il prato! Non ho idea di cosa aspetti: di questo passo trasformeremo il parco in un rifugio per serpenti e ratti! > esclamò con tono preoccupato la signora lanciando un’occhiata dalla finestra. I tre ragazzi scrutarono a loro volta dai vetri ma, oltre a non vedere la necessità di un taglio drastico, non gliene importava così tanto come alla riccia.
Con una scrollata di spalle Sonic raggiunse le scale che conducevano al primo piano.
< Abbi un po’ di pazienza nonna! L’ha già fatto la settimana scorsa!  Altrimenti ci ritroveremo a camminare sulla terra nuda! > tentò di ammansirla il blu stropicciandosi un occhio con il dorso della mano.
La nonna paterna era e sarebbe sempre stata così: un’inguaribile, esageratissima perfezionista. Osservazioni di questa tipologia erano frequenti tanto da non destare preoccupazioni. La sopracitata scosse la testa innervosita e si accinse ad allontanarsi con fare impegnato.
Ma prima di andarsene si bloccò di colpo e si voltò nuovamente verso il nipote, ormai in cima alle scale.
< Ah, Sonic, ha chiamato Borel prima chiedendomi urgentemente di te. Gli ho risposto che l’avresti richiamato tu non appena ti fossi liberato > esordì nuovamente aggrottando le sopracciglia in modo severo. Silver si voltò anch’esso verso l’amico: la cattiva aria che intercorreva tra loro era ben risaputa, per questo, il motivo della chiamata, doveva essere davvero importante per costringere il montone a buttar giù l’orgoglio e ad alzare la cornetta per primo.
Un breve silenzio intercorse per qualche attimo.  
< E’ successo qualcosa? > domandò interessato l’argentato rivolgendosi al migliore amico. Sonic si voltò appena, lo sguardo stanco si sommò a quello infastidito. Gli occhi lampeggiarono di verde, erano mesi che i due non si sentivano: qualcosa bolliva in pentola e la pentola, in quel caso, era una delle peggiori.
Scosse la testa con lentezza sforzandosi di apparire calmo e rilassato
 < che io sappia no, forse si è deciso di pagare i debiti > rispose con tono secco tradendo i suoi tentativi. I coetanei sul fondo delle scale modularono una breve risata a cui il blu rispose con un sorriso affaticato.
< Vabbé, due ore e poi lo chiamo. A più tardi >.

Spazio autrice:
Buonasera! Scusatemi l'enorme ritardo ma il tempo libero si riduce sempre più in questo periodo.
Che ne pensate? Segnalate errori e sviste grazie!

Indaco

 
  
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