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Autore: TigerEyes    25/05/2021    22 recensioni
Studenti di giorno, apprendisti agenti segreti di notte, l'uno all'insaputa dell'altra.
Cosa accadrà quando scopriranno le rispettive doppie vite?
Sulla falsariga di Mr & Mrs Smith, penso l'abbiate già intuito...
Capitolo 9 online!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nel ringraziare come sempre la beta Moira78 per aver editato questo capitolo, vi auguro buona lettura (spero)!





V

LUNA DI MIELE

II parte





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Ranma si chiese da quanto tempo fosse immobile in quella posizione.
Non che facesse molta differenza, ormai, tanto non aveva chiuso occhio dal momento in cui era stato raggiunto da un cazzotto in piena faccia, a parte qualche sprazzo di dormiveglia che aveva abbandonato al minimo fruscio, quindi peggio di così non credeva potesse andare.
In realtà non era neanche tanto male, doveva solo evitare di muoversi: un’Akane col sonno agitato era normale, un’Akane più violenta del solito invece doveva essere una conseguenza della discussione della sera prima, visto che avevano condiviso il letto della suite ad Hakone senza problemi.
Se avesse potuto, avrebbe scosso almeno la testa, ma persino il collo ormai era bloccato. E comunque, sempre meglio di quella volta che aveva dormito in camera di Akane – sul pavimento, figurarsi – ed era stato così stupido da avvicinarsi a lei: la piovra umana l’aveva abbracciato di slancio quasi soffocandolo in mezzo al suo seno. Se l’avesse fatto anche stavolta, sarebbe morto. Già faceva fatica a tenere a freno quel deficiente là sotto, che si agitava come la coda scodinzolante di un cagnetto festoso.
Ranma sospirò. L’idea che ogni cavolo di notte Akane potesse scambiarlo per un orsacchiotto di pezza e abbarbicarsi a lui come un koala strizzandolo fino a fargli uscire sangue dal naso non lo allettava per niente. Ma vederla dormire beata nel farlo non aveva prezzo, considerò con un sorriso. Però anche lui avrebbe voluto farsi una dormita senza correre pericolo di vita, qui urgeva un discorsetto a sua mmmmm… mmmmmmmmmoglie.
Il sorriso si trasformò in un ghigno.
Perché non subito, visto che la sera prima Akane aveva negato a morte?
Ranma prese un bel respiro, pronto a urlarle un buongiorno che l’avrebbe resa sorda, ma poi si ricordò della forza da oni di Akane: stretto nella sua morsa da anaconda, sarebbe stata capace di spezzargli la schiena in due. Non gli restava che aspettare che lei si svegliasse da sola, oppure…

(Domani ricominciamo da capo)

La circolazione al braccio destro era debole, ma un lieve formicolio gli diceva che non era del tutto intorpidito. Tentò di piegare il gomito e muovere almeno l’indice per fare un leggero solletico ad Akane, che reagì con un mugugno e, grazie ai kami, allentò la presa, seppure di poco. Ma tanto bastò a Ranma per sgusciare fuori da quella trappola con la dovuta cautela, rimettersi in piedi facendo circolare di nuovo il sangue e andare finalmente in bagno: la vescica stava per scoppiargli.



Akane si svegliò al profumo del salmone cotto alla griglia.
Salmone cotto alla griglia?
Spalancò gli occhi e si guardò attorno, riconoscendo la stanza di Ranma e ricordando i particolari della sera prima. Ma lui dov’era? Si alzò a sedere sul futon e si rese conto che il futon non era il suo. Aveva dormito in quello di Ranma? Con… Ranma?! Allora era vero che lo stritolava nel sonno? Avvampò senza poterselo impedire, mani a coprire la faccia non solo perché avrebbe voluto sprofondare per la vergogna, ma perché – peggio ancora – avrebbe dovuto ammettere che lui avesse ragione.
Il profumino invitante fece gemere il suo stomaco, che la supplicò ancora di correre in cucina e divorare quel che aveva preparato Kasumi.
Akane aggrottò la fronte.
Kasumi ormai viveva per conto suo, sciocca che non era altro! Eppure doveva per forza essere lei, evidentemente era passata a portare loro la colazione: non avrebbe mai smesso di preoccuparsi per la sua famiglia, fintanto che lei non avesse imparato a cucinare. Sospirò. Come faceva a confessare a suo padre e alle sue sorelle che non stava facendo passi avanti? Tutto ciò che aveva ottenuto fino a quel momento erano stati solo gli insulti coloriti dello chef.
Si alzò di malavoglia, pronta a incassare le prese in giro di Ranma, quando facendo capolino vide lui in persona ai fornelli, un canovaccio adagiato su una spalla, una mano impegnata a tenere una padella, il bollitore del riso acceso. Sarebbe rimasta lì impalata sulla soglia a guardarlo per ore. Lui e la concentrazione sul suo profilo, la sicurezza con cui maneggiava gli ingredienti neanche fosse un professionista, la treccia che ondeggiava contro la canottiera.
Per ore? Per tutta la vita…
“Hai fame?”.
Akane trasalì, ma si fece coraggio ed entrò in cucina per osservare le ciotole ricolme sul tavolo dietro di lui: una zuppa di miso fumante, un piattino con del daikon tagliato a fette sottili disposte a ventaglio, una ciotolina con della salsa di soia sul fondo e un uovo a parte.
“Confesso di sì”, ammise mogia, rendendosi conto di quanto Ranma fosse irraggiungibile in tutto. E, subito dopo, che lui stava cucinando solo per se stesso.
“Bene”, disse mettendo su un piatto un trancio di salmone, mentre il cuociriso a vapore emetteva dei bip per segnalare che la cottura era terminata. Ranma lo aprì e si riempì una scodella, dopodiché ruppe l’uovo e lo mescolò alla salsa di soia con le bacchette, per poi versare il composto sul riso. Solo allora mise tutte le ciotole su un vassoio e andò in sala da pranzo.
Akane lo seguì, senza sapere se essere più perplessa o furibonda, mentre il suo stomaco emetteva proteste sempre più vibranti.
“Fammi capire”, esordì sedendosi di fronte a lui. “Devo stare qui a guardarti mangiare mentre io digiuno?”.
“Ti piace quello che ho preparato?”, le chiese mentre masticava una fetta di ravanello.
“Mi sembra… delizioso”, concesse deglutendo.
“Vorresti preparare anche tu una colazione così, vero?”.
“Magari…”, riconobbe mordendosi il labbro senza staccare gli occhi dal tamago kake gohan.
“Bene, allora se vorrai mangiare dovrai imparare a cucinare. E io ti insegnerò”, annunciò sorseggiando la zuppa.
Akane alzò gli occhi sgranati su di lui, cercando di dare un senso a quel che era appena uscito da quella bocca in cui Ranma infilò un boccone di salmone: era disposto davvero a insegnare a una irrecuperabile come lei?
“Ti ricordo che io…”.
“Non hai imparato nulla, finora, in quella scuola di cucina, non negarlo. E non è difficile capire il perché: hai detto che in classe siete una ventina e quindi lo chef non può seguirti costantemente per tutta la durata della lezione. E conoscendo il tuo modo di afferrare condimenti a caso senza guardare dove metti le mani, non stupisce che fino a oggi tu non abbia fatto progressi”.
“Io non…!”.
“Sì, invece, ti ho vista!!”, la interruppe puntandole contro le bacchette con cui aveva preso un po’ riso. Anziché ascoltare Kasumi o almeno osservare come cucina, tu arraffi quello che ti capita a tiro senza nemmeno guardarlo creando così degli intrugli disgustosi. E non venirmi a dire che non è vero, perché perfino tu in passato non sei riuscita a mandare giù un solo boccone di quello che hai preparato”.
Akane aprì la bocca e la richiuse, le lacrime che iniziavano a pungere gli angoli degli occhi.
“Per questo adesso mi costringi a vederti mangiare cose che io non sono in grado nemmeno di mettere insieme? Per umiliarmi?”.
“No, scema che non sei altro!”, ribatté lui sbattendo un pugno sul tavolo. “Ieri sera hai proposto di ricominciare da capo, bene, ricominciamo da capo. Da ora in poi, anziché prenderti in giro per le schifezze innominabili che sei capace di creare, ti insegnerò personalmente a cucinare. Se non cucinerai decentemente, non mangerai, semplice. Sei disposta a provare?”.
Akane strinse i pugni che avrebbe voluto affondare in quella faccia di bronzo. Faccia che però era disposta a darle una possibilità e ad avere pazienza con lei.
“D’accordo”, scandì a denti stretti.
“Bene, ma tu... Devi. Ascoltarmi. Senza. Fiatare. Intesi?”.
I morsi della fame ormai erano tali che temette che il suo stomaco avrebbe di lì a poco iniziato a mangiare gli organi tutt’attorno.
“Ci proverò”, disse facendo stavolta scricchiolare i denti.
“Dovrai farlo, altrimenti ti lascio a digiuno”, disse Ranma finendo di spazzolare la sua colazione. “Su, alzati, torniamo in cucina, ora tocca a te”.
“C-come?”.
“Hai capito bene: ora cucinerai tu, ma sotto la mia supervisione”.
“Ma così rischiamo di far tardi a scuola…”.
“Ah, ehm, già… ecco…”, farfugliò Ranma grattandosi la nuca mentre guardava altrove. “C-che ne dici di lasciar perdere la scuola almeno per una settimana? E non solo perché saremo subissati di domande e battutine imbarazzanti appena ci mettiamo piede, ma soprattutto perché, ecco…”. Stava davvero arrossendo? “Noi, insomma, s-siamo in luna di miele…”, deglutì. “A-abbiamo bisogno di un po’ di tempo per… beh, per cercare di cominciare ad andare d’accordo e per co… co… co… co…”.
Coccodè? Cocomero? Cotoletta?
“Conoscerci meglio?”, osò lei.
“Ecco, sì, insomma, p-p-per te va bene?”.
Lei lo fissò con tanto d’occhi. Dov’era finita la sua spavalderia? La sfumatura porpora che aveva assunto il suo viso e quel suo balbettare imbarazzato le instillarono un dubbio.
“S-se però non vuoi perdere le lezioni o non vuoi rimanere sola in casa con me…”.
Adesso si era rattristato, dando evidentemente per scontato un suo rifiuto.
“Forse hai ragione, abbiamo bisogno di tempo per noi, meglio tenersi lontani dalla scuola e da certe… ‘amicizie’ per almeno una settimana”.
Ranma si volse a guardarla stupefatto, ma il lampo di felicità che gli attraversò gli occhi non le sfuggì. Il dubbio era appena diventato certezza. E la certezza la indusse a sorridergli.
“Di-dici davvero?”, chiese speranzoso.
Forse, dopotutto, si era sbagliata.
“Certo, andiamo in cucina? Sto morendo di fame e non vedo l’ora di cominciare!”.
Forse teneva davvero a lei.


- § -


Tre ore, dodici uova, una bottiglietta di soia rovesciata, mezzo salmone, un daikon intero e chicchi di riso sparsi su tutto il pavimento dopo, la colazione era pronta.
Impiattata da schifo, ma pronta.
China sul tavolo, Akane fissava Ranma in cagnesco col fiato corto e un paio di bacchette gocciolanti in mano. Ranma la fissava a sua volta chino e pronto a mordere, le mani aggrappate al ripiano e il respiro non meno affannato.
“Dici… dici che ci sono riuscita?”.
“C’è…”, deglutì lui. “C’è solo un modo per saperlo…”.
Abbassarono entrambi lo sguardo sulla poltiglia di riso, soia e uovo, sul salmone bruciacchiato, sulle fette un po’ spesse e un po’ sottili del ravanello, sulla zuppa di miso il cui brodo sembrava il condimento delle alghe e non viceversa. Non doveva pensare all’aspetto: aveva seguito le direttive di Ranma anche se lui aveva quasi perso la voce a forza di sgolarsi, quindi era impossibile che avesse fallito.
“Hai ragione, devo assaggiare, anche se mi è passata la fame, ormai…”. Akane allungò le bacchette, ma prima che potesse affondarle nel riso Ranma le bloccò il polso.
“No. Se qualcuno deve sentirsi male, quello sarò io”.
Ranma…
Akane lo scrutò stupita al pensiero che suo mar… sì, marito, accidenti, marito volesse sacrificarsi per lei, mentre le toglieva le bacchette di mano e prendeva una porzione di riso, fissandola come se l’avessero condannato a inghiottire del cianuro.
“Sei sicuro di voler…”.
Troppo tardi. Ranma aveva serrato gli occhi e si era messo il riso in bocca, mentre Akane si tappava la sua con una mano, temendo il peggio. Invece lui spalancò le ciglia e masticò. Una volta. Due. Persino Tre.
“Non è male, anzi…”, mormorò stupefatto.
Ranma stava mangiando qualcosa cucinato da lei.
“Vuoi dire… vuoi dire che ce l’ho fatta? Ce l’ho fatta davvero?”.
E lo stava pure apprezzando.
Da non credere.
“N-niente male, te la sei cavata, direi. E dato che non è tossico, lo puoi mangiare”, sentenziò lui restituendole le bacchette. “Sei stata… sì, insomma… s-sei stata b-b-b-brava”, aggiunse avvampando.
Un complimento?
Ranma le aveva fatto davvero un complimento?
Akane era al limite dell’incredulità. Forse fu per quello che si lanciò oltre il tavolino e circondò il collo di suo marito con le braccia, mescolando le lacrime ai grazie mentre lo stringeva a sé e faceva rovesciare la ciotola di riso.
Le ci volle il silenzio di tomba e quella specie di jizo di pietra che stava abbracciando per realizzare quel che aveva appena fatto: Ranma era rimasto così immobile per la sorpresa che nemmeno respirava.
“P-p-pp-ppp-preeee…”.
Oh, kami, si sta inceppando!
Akane cercò di staccarsi con cautela da lui, ma quando gli sfiorò una guancia con la propria e si ritrovò a un soffio dalle sue labbra, si bloccò.
“Io… mi… mi… mi-mi-mi…”.
Bene, si stava inceppando anche lei. D’altronde era impossibile che il cervello non le andasse in tilt davanti ai suoi occhi che la scrutavano con una strana intensità, come se non riuscisse a credere che lei fosse lì, di fronte a lui. Lui che respirava di nuovo con affanno. E guardava ora lei, ora la sua bocca.
Ma che fa, si avvicina?! Oh, kami, ma sta davvero per…
Il frastuono di qualcosa che cadeva al piano di sopra fece fare a entrambi uno zompo tale che si separarono bruscamente fissando il soffitto.
“Che può essere stato?”.
Ad Akane si mozzò il respiro.
“Che stupida!”, rise nervosa. “La finestra della mia camera è rotta, sarà entrato un piccione o una cornacchia, corro a vedere!”.
“Vuoi che ti…”.
“No!”, rispose lei correndo verso le scale senza nemmeno voltarsi.
Spalancò la porta e un piccione stava in effetti esplorando la sua scrivania cosparsa di frammenti di vetro: aveva rovesciato fogli, quaderni e il suo astuccio. Si chiuse la porta alle spalle e con cautela si avvicinò per prenderlo fra le mani e sfilargli il solito foglietto legato a una zampetta, che conteneva anche la foto di un tizio a lei noto. Lesse il messaggio e impallidì.
Oh, no…
Che un ordine del genere prima o poi sarebbe arrivato lo aveva temuto, ma ora come ora proprio non ci voleva. E tuttavia adesso non aveva tempo per pensarci, doveva appostarsi all’ingresso prima che…
“Akaneeee! C’è un corriere per te, scendi subito!”.
Appunto.
Lasciò libero il piccione e corse giù, dove trovò un Ranma incupito con le braccia incrociate al petto e un altro ragazzo che faceva capolino sulla soglia di casa con un pacco fra le mani.
“Che storia è questa?”, le chiese Ranma.
Akane iniziò a sudare freddo.
“Che… che vuoi dire?”.
“Ho detto a questo qui che poteva anche lasciare il pacco a me perché sono tuo marito, ma si è rifiutato, perché ha ricevuto ‘precisi ordini’ di consegnarlo nelle tue mani”.
“Ahhh… ehm… sì, sì, è stata una mia richiesta!”, disse precipitandosi a firmare la ricevuta di avvenuta consegna.
“E come mai? Che hai comprato?”.
“Ma nulla, un… un costume per Halloween!”, improvvisò agguantando la scatola e salutando il corriere. “Manca poco, dopotutto!”.
“E l’hai comprato per posta?”.
“Esatto”.
“E perché non c’è il mittente?”.
Ma perché non ti fai gli affari tuoi?!
“E-e io che ne so! Perché questo interrogatorio?”.
“E tu perché volevi essere certa che nessuno mettesse le mani su quel pacco?”, le chiese avvicinandosi sempre più. Akane strinse istintivamente la scatola al petto.
“Semplice, perché non voglio che nessuno sbirci all’interno: è una sorpresa!”.
Ranma inarcò un sopracciglio.
“Che razza di costume sarebbe che non vuoi…”.
“Te l’ho detto, è una sorpresa! E ora scusami, vado a provarlo, se non mi sta bene devo rimandarlo immediatamente indietro!”, disse fuggendo su per le scale per chiudersi a chiave in camera. Lo sapeva che il lavoro che svolgeva per la Fenice Bianca sarebbe diventato di colpo più complicato, con Ranma fra i piedi tutto il giorno, lo sapeva! Senza il signor Genma con cui disputarsi l’ultima prugna sotto sale, i nemici a sfidarlo e le ex fidanzate a corrergli dietro, Ranma aveva focalizzato l’attenzione su di lei, accidenti a quando gli aveva proposto di ricominciare tutto d’accapo!
Ti ha insegnato a preparare la colazione, ha voluto assaggiarla per primo e ti ha perfino fatto i complimenti! Si sta sforzando per una volta di essere gentile e adesso ti lamenti?!
No, non ne aveva motivo, infatti, era anzi al settimo cielo, ma doveva evitare di insospettirlo: ci mancava solo che si mettesse a seguirla.
Respira, Akane, ora devi concentrarti sul tuo prossimo incarico.
Scartò il pacco con mani febbrili, per poi rimanere inorridita per minuti interi a fissarne il contenuto.
Peggio di quanto avesse temuto.
Rilesse le poche righe sul foglietto arrivato col piccione, come se gli ordini potessero essere cambiati nel frattempo: fingere di lavorare come cameriera in un esclusivo club dall’altra parte di Tokyo dove si sarebbe tenuto un addio al celibato, abbordare il bersaglio e fare in modo di essere immortalati insieme da qualcuno che avrebbe scattato delle foto di nascosto. Ciò significava attirare l’attenzione del soggetto per appartarsi con lui. E il soggetto, ironia della sorte, era di nuovo Daimonji Sentaro. Evidentemente la sua famiglia aveva convinto quell’arpia della fidanzata a non annullare le nozze.
Lasciò cadere il pezzetto di carta sul letto e tirò fuori, disperata, il costume arancione e nero da fatina sexy. Per nulla al mondo Ranma doveva vederla con una roba del genere addosso.



Ranma stava riflettendo sul fatto che Akane non si fosse mai interessata a una festa come Halloween, quando pensò di approfittare dell’assenza di sua mmm… mmmmmm… della sua metà per fare una scappata a scuola, giusto il tempo di controllare il proprio armadietto mentre i suoi compagni erano ancora in classe a seguire le lezioni. Le lasciò un biglietto ricordandole di scongelare una teglia di cibo preparata da Kasumi e uscì.
Appena si accorse che il suo armadietto era stato manomesso sospirò: per una volta avrebbe preferito trovarlo vuoto. Aprì lo sportellino e ne tirò fuori la solita busta, richiuse l’armadietto e si recò al parco più vicino per poterla aprire. Sperò in un incarico semplice e veloce, ma quando lesse le poche righe vergate, si pentì amaramente di essersi spacciato con la Tigre Nera per un consumato conquistatore. Avrebbe evitato, se solo non fosse stato un requisito indispensabile per essere reclutati, quindi c’era da aspettarsi che prima o poi l’organizzazione gli chiedesse di mettere in pratica le sue fantomatiche doti da Dongiovanni. Del resto lui era affascinante da morire, a chi altri la Tigre Nera avrebbe potuto rivolgersi per conquist… no, aspetta, cosa avevano scritto esattamente? Rilesse con maggiore attenzione e sbiancò.
Sedurre?!
No, un momento, come ‘sedurre’? Che significava ‘sedurre’? Che doveva fare, esattamente? Forse la Tigre Nera voleva che convincesse la ragazza a fuggire con lui? Ma dove aveva messo il dizionario?! Si tastò la casacca e poi i pantaloni e in una tasca nascosta tirò fuori un libricino nero. Lo sfogliò e alla voce ‘seduzione’ lesse la terrificante, lapidaria definizione: “processo attraverso il quale una persona induce un’altra a intraprendere una relazione di natura sessuale”.
Il libercolo scivolò via dalle mani pietrificate.
Se… se… se… se… se… che cosa?!
Loro volevano che lui… e chi avrebbe dovuto s-s-s-s-ssssss… inguaiare, poi?!
Recuperò il foglietto prima che volasse via e se l’avvicinò al naso.
Miyakoji Satsuki? Ancora lei?! Ma non aveva mandato a monte il suo matrimonio distruggendo l’allestimento per la festa? Evidentemente la famiglia della ragazza non demordeva e tuttavia qualcuno pur di impedire che la ragazza si sposasse…
No, no, no, non se ne parlava assolutamente! Doveva escogitare un’alternativa per far sì che le nozze fossero annullate, perché a tanto lui non sarebbe mai arrivato, mai!
Anche perché conosceva sì e no la teoria…


- § -


Akane percorse il tragitto fino alla palestra col cuore che batteva direttamente nelle orecchie, ripassando mentalmente la fesseria che doveva raccontare. Non aveva mai dovuto dare troppe spiegazioni alla propria famiglia in merito ai suoi spostamenti, spesso anzi usciva di casa e basta, informando a mala pena Kasumi su dove andasse o con chi s’incontrasse. Dopo che lei e Nabiki si erano trasferite, non si prendeva neppure la briga di avvertire il padre. Adesso però era tutto diverso: non poteva sparire come se nulla fosse, non se voleva evitare di insospettire l’unico al momento a vivere con lei. La cosa peggiore era che l’unico a vivere con lei era proprio Ranma. Sperò solo che la menzogna fosse convincente.
Si fermò sulla soglia del dojo e si affacciò, restando incantata a osservarlo mentre concentrato eseguiva i kata con una scioltezza e una velocità che lei, per quanto si sforzasse, difficilmente avrebbe raggiunto. Da lì a spostare l’attenzione sui muscoli che guizzavano sotto la canotta striminzita il passo fu breve e Akane dovette distogliere lo sguardo se non voleva essere beccata da suo marito a fissarlo un’altra volta come una pera cotta. Con un sospiro si mise a osservare il soffitto con ostinazione, mordendosi il labbro, per poi riflettere sul fatto che, in fin dei conti, Ranma era riuscito a confessarle di piacergli – ancora stentava a crederci – lei invece cos’aveva fatto? Aveva solo ammesso – più o meno – che le sarebbe piaciuto che le cose fra loro funzionassero. Che il loro “matrimonio” funzionasse, anche se negli ultimi due giorni lui era parso con la testa altrove ed era andato ben tre volte a fare la spesa. Col frigo pieno. Allo stesso tempo sembrava avere i nervi a fior di pelle. Doveva ammettere che, dopo quella specie di dichiarazione, Ranma dava l’impressione di volerla tenere a distanza. Si era forse già pentito? Eppure lei stava facendo ogni giorno piccoli progressi in cucina e cercavano di non azzannarsi più del necessario, anche se lui scattava per un nonnulla senza motivo. Non che lei fosse da meno, doveva ammetterlo: era così nervosa all’idea di dover affrontare quella nuova missione, che più di una volta lo aveva trattato in malo modo. Le vecchie abitudini poi erano così radicate, in loro, che ormai era chiaro che non bastava una mezza confessione o una frase gentile ogni tanto per far decollare un rapporto fatto per lo più di silenzi imbarazzanti e fughe precipitose, quando non si trattava di cucinare insieme. Forse era venuto il suo turno di fare un passo avanti.
“Volevi chiedermi qualcosa?”, la sorprese la voce di Ranma facendola trasalire.
Akane abbassò lo sguardo proprio mentre quel maledetto di suo marito – sudato fino a grondare – si sfilava la canotta davanti a lei al massimo del rallenty* possibile. Persino le pareti della palestra iniziarono a trasudare ormoni. Akane risucchiò tutta l’aria che i suoi polmoni riuscirono a contenere prima di diventare paonazza. Troppo tardi serrò le ciglia: sulla retina sarebbe rimasta per sempre impressa la faccia da schiaffi di Ranma che si detergeva i pettorali con un asciugamano mentre la scrutava con un ghigno sornione. Stramaledetto. A qualunque gioco stesse giocando, lei non ci sarebbe cascata. Nossignore.
Si impose di ricordarsi il motivo per cui era lì e immediatamente le passò la voglia di arrossire.
“Nulla”, rispose spalancando gli occhi nei suoi e sfoggiando un sorriso forzatamente ampio.
Non abbassare lo sguardo, non abbassare lo sguardo! “Volevo solo informarti che vado da Yuka a farmi prestare gli appunti delle lezioni che abbiamo saltato e a fare i compiti con lei, così evitiamo di restare indietro, non credo quindi che tornerò per cena, per cui scongela pure uno dei contenitori di Kasumi”, disse senza mai riprendere fiato.
“Ah”, commentò Ranma di colpo rabbuiato smettendo di asciugarsi e scrutandola da capo a piedi. “E quel pacco sottobraccio? Non è quello portato dal corriere?”.
Accidenti, che idiota sono!
Se avesse potuto, Akane si sarebbe data una manata in fronte.
“Sì! Infatti! Ne approfitto per mostrare a Yuka il costume che ho preso per Halloween, mi serve un consiglio”.
Ranma buttò l’asciugamano in un angolo, la fronte sempre increspata.
“Va bene, ma non fare tardi, non è prudente girare di notte”.
Per poco non le cascò la mascella per terra.
Questa è bella, non si era mai preoccupato prima!
“Sei in pensiero per me?”, gli chiese a bruciapelo sfoggiando lei, ora, un sorrisetto subdolo.
“Ma neanche per idea! Perché dovrei preoccuparmi per un… un…”. Ranma chiuse gli occhi e strinse i pugni, prendendo due bei respiri profondi. “P-p-perché non dovrei? S-s-sei mia moglie o no?”.
“Solo per questo? Perché adesso, in teoria, sarei tua moglie?”.
“N-no e lo sai! I-i-io t-t-t-t-t-t-tengo a te…”.
Non era crollato per terra col fiatone, incredibile, stava facendo progressi anche lui.
“Akane, ma tu… ecco… io… io ti… ti… ti…”.
Tintarella? Tintura? Tiroide?
Ranma distolse imbarazzato lo sguardo e Akane capì di colpo cosa stava per chiederle. Solo che lei non sapeva se fosse pronta a rispondere. Non era facile confessare, di punto in bianco, ciò che aveva sempre rigettato come inammissibile e finì con l’abbassare gli occhi sui propri piedi, avvampando come un falò. Iniziava a comprendere perché a Ranma costasse tanta fatica pronunciare poche, semplici sillabe.
“…ti…ti…ti…ti…ti…”.
“Sì, anch’io tengo a te!”, sbottò per poi tapparsi la bocca subito dopo, mentre Ranma la guardava con tanto d’occhi, più incredulo di lei.
“Devo andare, adesso, ci vediamo più tardi!”, si affrettò a dire scappando via, affatto sicura, ora, di voler tornare a casa per affrontare i suoi sentimenti. Peccato che nel farlo quasi inciampò nei suoi stessi piedi e si prese una bella storta alla caviglia.
E due.



Per due giorni aveva seguito ogni mossa di quella Satsuki, piazzando microfoni ovunque, dentro e fuori casa Miyakoji. Forse era ancora presto per ‘colpire’, ma doveva approfittare dell’assenza di Akane, chissà altrimenti quando si sarebbe presentata un’altra occasione per agire indisturbato. Da quando non c’era suo padre a coprirgli le spalle e le sue ‘fidanzate’ avevano smesso, per ora, di ronzargli intorno, doveva fare ancora più attenzione a ciò che faceva o diceva per non insospettire la sua… metà, ma temeva che l’essersi arrovellato giorno e notte su come ‘inguaiare’ la rampolla dei Miyakoji senza davvero approfittarsi di lei avesse finito per insospettire Akane lo stesso. Sapeva che avrebbe dovuto comportarsi come al solito, ma per tutto il tempo in cui aveva cercato di escogitare una soluzione a quella missione, non era nemmeno riuscito a guardarla in faccia: l’idea di s-s-s-s-sssssss… edurre una sconosciuta proprio quando si era appena sposato era semplicemente repellente.
Ammettilo, non ti andrebbe a genio anche se tu e Akane foste ancora fidanzati, perché per te sarebbe comunque come tradirla…
Eppure aveva provato a conquistare platealmente Shampoo, quando aveva preso a odiarlo a causa di quella maledetta spilla della discordia.
Vero, ma quella era solo una sfida, un gioco. Questo invece è lavoro e la Tigre Nera pretende ben più di una dichiarazione fasulla da parte mia...
Ranma si sistemò meglio sul ramo dell’albero, cercando di non pensare a come ad Akane fossero brillati gli occhi quando lo aveva guardato con la spilla indossata dal verso ‘giusto’. Se solo l’avesse fatto ancora, invece di scappare via in quel modo… Comunque aveva confessato che teneva a lui, poteva già considerarla una vittoria, visti i due anni trascorsi praticamente solo a insultarla.
Lasciò andare un sospiro facendo vagare il binocolo in ogni angolo del giardino dei Miyakoji: era incredibile la velocità con cui lo avevano riportato al suo splendore. Giusto in tempo per nozze che non ci sarebbero mai state, dopo quella sera.
Un rumore nell’orecchio lo ridestò dai suoi pensieri e sistemò meglio l’auricolare: la ragazza era appena entrata nella sua stanza. Se avesse seguito la solita routine, avrebbe preso una boccata d’aria sul balcone, prima di coricarsi. Ranma estrasse la cerbottana da una tasca dello zaino e si tenne pronto. Doveva ammettere che era un’artista marziale formidabile, quella Satsuki, oltre a essere molto carina, ma allo stesso tempo era più ingessata di lui quando aveva trascorso una settimana in ospedale, dopo che Akane l’aveva spedito in orbita con un pugno ed era atterrato su un cassonetto aperto. Sempre per colpa di quella stramaledetta spilla.
Stavi quasi per baciarla, grazie a quella spilla…
Strinse così forte il binocolo, al ricordo di quell’occasione mancata, che il vetro s’incrinò.
Concentrati, maledizione!
Riportò di nuovo l’attenzione sul balcone di Satsuki, proprio nel momento in cui la bambola di porcellana, avvolta in una yukata, scostava un’anta e usciva all’aperto. Perfetto. Non le diede nemmeno il tempo di poggiare le mani sulla ringhiera: soffiò nella cerbottana e centrò la giugulare. Satsuki si portò una mano al collo barcollando all’indietro, ma lui riuscì a raggiungerla e a sostenerla, prima che cadesse addormentata sul pavimento.
La trascinò dentro la camera e chiuse l’anta della portafinestra, la sdraiò su un fianco sul futon e la coprì con la trapunta, facendo in modo però che un braccio nudo sporgesse con tutta la spalla. Ora, il travestimento: Ranma fermò il codino sulla nuca con una forcina, indossò una corta parrucca rossa, lenti a contatto rosse e si tolse la casacca restando a petto nudo. Prese dallo zaino una fotocamera e si sdraiò accanto a Satsuki sotto la coperta, le colpì prima un punto sul viso per farla sorridere, poi un altro su una tempia per farle aprire temporaneamente gli occhi. Solo allora passò un braccio sotto il corpo della ragazza sino ad afferrarle una spalla come per cingerla a sé, mentre con l’altro braccio reggeva la macchina fotografica rivolta verso di loro. Poggiò infine la guancia su quella di lei anche se il solo contatto gli faceva ribrezzo e, sorridente a sua volta, attese il conto alla rovescia. Sperò solo che tra la luce lunare e la modalità notturna che aveva impostato, si vedesse abbastanza chiaramente quanto lei fosse ‘felice’ di trascorrere la notte con un perfetto sconosciuto, ma per sicurezza scattò più di una foto.
Il volto radioso di Akane si affacciò di nuovo alla mente e lui si staccò da Satsuki alla velocità della luce. Non doveva temere che la sua ex fidanzata potesse sorprenderlo, eppure essere lì anziché insieme a sua moglie, nella loro casa, gli instillò comunque il dubbio che ciò che aveva appena fatto fosse terribilmente sbagliato. Anche se era per lavoro. Anche se non era accaduto niente di compromettente.
Balzò fuori dal futon con una strana ansia addosso, al limite del batticuore in gola, eppure Akane non era entrata come una furia dalla porta sorprendendolo nel letto di un’altra. E tuttavia dentro di lui era come se l’avesse fatto.
Era come se l’avesse tradita.
Si rivestì in fretta e scappò via, rendendosi conto per la prima volta di come l’unica donna che desiderasse davvero abbracciare e stringere a sé fosse quella bisbetica, goffa e per niente carina di sua moglie.
Ma prima doveva togliersi di dosso l’odore di quella Satsuki con un bel bagno.



Se la maschera di lattice soffocava la faccia, il costume da fatina era praticamente inesistente e Akane iniziava a sentire freddo sulla schiena. Ma ciò che le faceva davvero venire i brividi erano le occhiate degli uomini, giovani e vecchi, a quell’addio al celibato: la squadravano come se le stessero facendo una radiografia, più di uno si era leccato il labbro mentre faceva avanti e indietro con il vassoio delle bevande e molti era già inzuppati di alcool. Non sarebbe passato molto tempo prima che qualcuno di loro allungasse le mani.
Si chiese ancora una volta come mai una famiglia come i Daimonji avesse scelto un club del genere, anziché una più sobria casa da tè dove gli ospiti sarebbero stati intrattenuti da uno stuolo di variopinte ma formali geishe. Ma poi, nel posare l’ennesimo vassoio di birra e sakè su uno dei tavolini, si rese conto che il futuro sposo si era abbarbicato alla povera ragazza uscita dalla torta, naso affondato nella sua scollatura, frignando su quanto fosse sfortunato al punto da spargere lacrime peggio di un idrante. Ricordandosi chi dovesse sposare, non c’era da stupirsi in effetti che la famiglia gli avesse concesso almeno questa particolare distrazione. Peccato che quella lagna umana che era Sentaro mettesse le mani dove non doveva e la ragazza che avrebbe dovuto intrattenerlo fosse quindi sul punto di scaraventarlo lontano da sé con un calcio da giocatore di rugby.
Tranquillo, adesso ti salvo io, di nuovo… E spero per sempre, stavolta!
Akane si precipitò dal festeggiato (?) dribblando mani che sembravano tentacoli, finché un vecchio di mezza età che poteva essere suo padre non l’agguantò per la vita e se la caricò sulle ginocchia farfugliando di mostrargli la latteria, prima di affondare il naso nel suo seno.
Oltraggiata oltre ogni dire da quell’assalto, Akane gli mollò un pugno che lo proiettò oltre la sala riservata tra le risate sguaiate degli amici e si precipitò da Sentaro prima che fosse spedito in orbita, convincendolo a seguirla con la scusa che c’era un’altra sorpresa che lo aspettava in un separé.
Quello le si aggrappò come una cozza alla schiena senza mai smettere un secondo di piagnucolare disperato, infradiciandole il costume ma tentando pure lui di palparla ovunque. Akane si ripromise di fare un bagno appena avesse rimesso piede a casa, un bagno lungo e approfondito per togliersi di dosso l’odore rancido del sudore misto a colonia di poco prezzo, ma più di tutto la sensazione orribile delle mani di quegli uomini su di sé. Quella era la prima e ultima volta che accettava un incarico simile.
“Per di qua”, disse scostando una tenda a denti stretti e spingendo Sentaro all’interno di un’alcova con un enorme letto rotondo ad acqua, per poi colpirlo subito dopo dietro il collo con il profilo della mano. Il ragazzo rimbalzò svenuto sulla trapunta a faccia in giù e lei dovette girarlo di schiena. E – orrore – salirci sopra a cavalcioni.
“Ehi, levati quell’espressione schifata dalla faccia, deve sembrare che lo stai intrattenendo!”, disse il complice – travestito da cassetta della posta (?!) – che sbucò da sotto il letto con una reflex tra le mani.
Con pollici e indici Akane prese titubante le mani di Sentaro come se afferrasse due nauseabondi sacchi dell’immondizia e se le portò sulle gambe.
“Più su!”, disse il fotografo (?) mettendo a fuoco la macchinetta. “E fai la faccia estasiata! Lui con quella bavetta alla bocca è più credibile di te! Sei o no una professionista?”.
Mi viene da vomitare, altro che professionista!
Akane portò ancora più refrattaria le mani ciondoloni di Sentaro più vicino ai fianchi, ma proprio non riuscì a togliersi dal viso il disgusto che provava.
“Avanti, pensa al tuo uomo!”.
L’immagine di Ranma che si toglieva la canottiera e asciugava con lentezza i pettorali si sovrappose di colpo alla faccia da ebete di Sentaro e lei smise di respirare, serrò gli occhi e reclinò la testa all’indietro.
“Brava, così, verranno delle foto perfette!”, gongolò il complice mentre scattava a più non posso.
Ma la mente le giocò un altro, ben peggiore scherzo: sotto di lei non c’era più quel povero disgraziato che stavano incastrando, adesso c’era suo marito e non era per nulla svenuto, anzi, le sorrideva sornione e con le mani risaliva dalle cosce sino ai fianchi e stringeva per attirarla a sé.
Ma che pensieri sto facendo?!
Akane saltò via dal letto come se la coperta avesse preso fuoco.
“Ehi, dove vai? Ho finito, però sarebbe meglio qualche altro scatto, magari con…”.
“Non posso, devo andare!”, gridò recuperando vestiti e cartella e cominciando a correre fuori da quel posto, indossando alla meglio il cappotto e precipitandosi in strada.
Chi schifo, che schifo, che schifo!
Come aveva potuto fare una cosa del genere? Perché non si era rifiutata? Non doveva dimostrare nulla a nessuno! Non avrebbe mai più accettato incarichi simili, ma più! Le uniche mani che avevano il diritto di toccarla erano quelle di Ranma! Quanto avrebbe voluto che lui l’abbracciasse, in quel momento, per scacciare via la sensazione di mani estranee su di lei! E non poteva nemmeno chiederglielo!
Non vedeva l’ora di togliersi di dosso almeno l’odore di quel Sentaro con un bel bagno.



Casa Tendo era stranamente ancora buia, evidentemente Akane non era ancora tornata. Meglio così.
Salì le scale per buttare lo zaino nel suo armadio, quando si ricordò che condivideva la stanza con lei, perciò decise di nasconderlo per il momento sullo scaffale più alto. Si tolse casacca e pantaloni e si precipitò in bagno coi soli boxer addosso, spalancò la porta dell’antibagno e si ritrovò davanti l’ultima scena che avrebbe mai immaginato di vedere.
Un’Akane davanti allo specchio si voltò a bocca spalancata a guardarlo con tanto d’occhi e con un dischetto sporco di trucco in mano.
Un’Akane in lacrime e con indosso un costumino striminzito arancione e nero con due ali da farfalla che metteva in mostra il seno e quasi interamente le gambe.
Ma che accidenti…
Se la faccia di sua… moglie (?) era paonazza, la sua probabilmente virava verso il lava acceso. E non aveva dubbi che sbuffi di fumo stessero uscendo dalle proprie orecchie.
Non sapeva se essere più sorpreso, stordito o imbarazzato.
“Ra… Ranma…”, mormorò lei portando le mani davanti alla bocca e lasciando cadere il dischetto sulle piastrelle insieme a un’altra lacrima.
“Que-que-que-questo sarebbe il costume che hai preso per Halloween?!”, le chiese additandolo. “È uno scherzo? Sei impazzita?”.
“I-io…”, balbettò lei incrociando rapida le braccia davanti al petto.
“Non dirmi che sei andata in giro conciata così! Ma cosa ti dice la testa?!”.
“Ma sei scemo?! Non dire idiozie! Certo che no, non sono stupida! Avevo il cappotto!”.
“E quindi? Vuoi dire che sei comunque uscita da casa di Yuka in questo modo? Che è successo? Perché stavi piangendo?”.
“Ecco, io…”.
Akane abbassò il capo e iniziò a singhiozzare. Un suono che Ranma non sopportava già normalmente, ma quando si trattava di lei gli venivano degli spasmi così forti allo stomaco che l’istinto gli urlava di scappare lontano abbastanza da non udire più quel lamento. Invece, in quell’attimo, l’istinto gli giocò un brutto scherzo, perché gli venne voglia solo di abbracciarla e consolarla, pregando soltanto i kami che non le fosse accaduto qualcosa di orribile, altrimenti avrebbe spaccato tutto.
Si ritrovò a circondarle la vita con le braccia senza nemmeno rendersene conto e a stringerla sempre più man mano che lei si ritrovava a piangere più forte contro il suo petto.
“Ti prego, non giudicarmi male, ti prego!”.
“No-no-no-no-no-no, non lo farò, sta’ tranquilla, ma spiegami cos’è accaduto!”.
“Io… io non credevo che fosse così corto e scollato! Per questo volevo un consiglio su come aggiustarlo, ma poi ho visto che era tardi e sono scapp… sono uscita senza neanche cambiarmi!”.
“Ma perché stavi piangendo quando sono entrato?”.
“P-p-perché… perché sono stata una stupida a comprare qualcosa su un catalogo senza prima provarlo, mi vergogno, non guardarmi!”.
“È una parola, ho già visto tutto…”.
“Cosa?”.
“Niente, niente…”, la rassicurò carezzandole la nuca. “Ma… cos’è questo odore di fumo?”.
“Ah… s-si sente tanto?”, s’irrigidì lei. “Ecco… ehm… il padre di Yuka fuma come una ciminiera, per questo volevo farmi un bagno. Tu, piuttosto, cos’è questo profumo?”, gli chiese lei a sua volta scostandolo da sé per poterlo guardare asciugandosi un occhio.
“Ah, ehm… de-dev’essere della tizia ubriaca che ho soccorso per strada, sì, ecco, me la sono accollata fino alla stazione di polizia più vicina!”, rispose prontamente grattandosi la nuca.
“Sei uscito anche tu, allora…”, osservò lei tirando su col naso.
“S-sì, sono andato a correre un po’ e… ehm… pensavo anch’io di farmi un bagno, adesso…”.
La stava ancora stringendo per la vita. E lei stranamente non si era ritratta, continuando anzi a tenere i palmi premuti contro il suo torace, mentre il silenzio colava dalle mattonelle insieme all’umidità. Che avrebbe dovuto fare, ora? Lei lo fissava con la bocca socchiusa e una sorta di aspettativa nello sguardo lucido ed era così carina col naso rosso…
E vogliamo parlare di questo costumino fin troppo aderente e praticamente inesistente? Meglio di no, vero?
Ranma deglutì, rendendosi conto di quanto la situazione fosse diventata tutt’a un tratto imbarazzante, eppure Akane non era arrossita, sembrava piuttosto che desiderasse ardentemente qualcosa, ma non osasse chiederglielo. Tuttavia, davanti alla propria esitazione, gli occhi di lei iniziarono poco a poco a velarsi di quella che sembrava delusione.
Di colpo gli si parò davanti in tutta la sua chiarezza l’assurdità della situazione: il non riuscire a fare fisicamente passi avanti con la sua fid… sua moglie, ma non avere alcuna difficoltà ad abbracciare una perfetta sconosciuta. Nel suo letto, per giunta. Realizzò così di trovarsi a un bivio: una parte di lui voleva stringere Akane a sé ancora di più, ma l’altra voleva scappare a gambe levate, terrorizzata dal fatto che lei potesse schiaffeggiarlo, o peggio deriderlo, perché la verità era che non esisteva tecnica marziale al mondo che potesse garantirgli di superare quella sfida: essere all’altezza di ciò che lei si meritava.
Ranma fece istintivamente per allontanarsi, distogliendo al tempo stesso lo sguardo per non essere tentato di abbassarlo sulle sue curve, invece Akane – incredibile ma vero – lo trattenne afferrandogli le braccia.
Non andartene, sembrò supplicarlo con lo sguardo che liquefaceva immancabilmente le sue viscere. Ti prego, non farlo.
Ranma deglutì di nuovo avvampando fino alla radice dei capelli, ma dandosi dell’idiota perché, dopotutto, adesso erano sposati. Se voleva davvero far funzionare il loro matrimonio, certi ostacoli andavano superati, prima o poi, non poteva rimandare in eterno, per quanto gli sarebbe piaciuto.
Si fece coraggio e tornò a stringere le mani sudate e tremanti attorno alla vita di Akane, nonostante il principio di tachicardia. Sperò solo di non finire fulminato da un infarto, quando avvicinandosi sempre più al suo viso, lei accennò un sorriso raggiante e socchiuse gli occhi.
È il momento perfetto, voltati e scappa!
No, maledizione, era una sfida come un’altra e doveva vincerla. Non voleva rischiare di perderla solo perché era un indeciso cronico.
Bravo, fatti valere, così finalmente ci diamo dentro!
Eeehhh? E adesso di chi era quella voce nella sua testa?!
Sono io, deficiente, quello là sotto che tieni sempre a cuccia, hai presente? Basta rimandare, sguinzagliami!
No, no, no, no, no, no, doveva fermarlo, altrimenti cos’avrebbe pensato Akane di lui? Che era un maniaco!
“R-Ranma…?”.
Fu la delusione che colse nella sua voce a impedirgli di desistere, anche se gli ci volle quasi un altro minuto di sudore gelido che scendeva lungo le tempie, di raccomandazioni agli antenati, di scongiuri degni di un prete esorcista e di battiti cardiaci così forti da rivaleggiare coi tamburi di un tempio, per chiudere infine la distanza fra la propria bocca tremolante e quella appena schiusa di lei. Ma quando finalmente riuscì nell’impresa, non meno in apnea di Akane e con gli occhi serrati in attesa di un ceffone che non arrivò mai, Ranma si chiese per quale accidenti di motivo non l’avesse fatto prima.
Le labbra di Akane erano così morbide e calde e carnose, che se fossero state ciliegie le avrebbe prese a morsi. E senza pensarci, euforico per aver vinto quella sfida contro se stesso, fu quello che fece: Ranma le catturò fra le proprie e le risucchiò, sentendola emettere un ansito.
Immediatamente si ritrasse col terrore di aver osato troppo, mentre il cretino là sotto si agitava come un cane da caccia che ha fiutato la preda.
Che ho fatto? Che ho fatto? Che ho fatto? Adesso mi ammazza!
Invece Akane lo fissava col fiato corto, sbattendo le ciglia come se fosse incredula.
“N-n-non dovevo, vero? S-s-scu-scusami!”.
“N-non sono arrabbiata, anzi…”, ammise lei estasiata sfiorandosi il labbro inferiore.
“N-no?”.
“Come potrei? Finalmente ho ricevuto un bacio vero!”, trillò felice. “Se ripenso a quello che mi hai dato quando eri gattizzato…”.
Era vero, accidenti a lui: era la seconda volta che la baciava, in realtà, solo che della prima non aveva memoria. Per fortuna. Invece lei, purtroppo, sì. E lui avrebbe dato qualsiasi cosa per cancellare quel ricordo dalla sua mente.
Forse fu per quello che, ancora un po’ titubante, poco a poco si chinò su di lei, che chiuse di nuovo gli occhi, in trepidante attesa. E mettendogli così un’ansia tale, da ritrovarsi di nuovo al punto di partenza: una fontana pietrificata di sudore. Akane lo aveva rassicurato e lui non aveva più bisogno di sfidare se stesso a baciarla. Voleva baciarla. E tuttavia non voleva deluderla.
Fu in quella nuova situazione di stallo che, sorprendentemente, fu Ranma a ritrovarsi le labbra di lei sulle proprie, forse stanca di aspettare che una lumaca come lui si decidesse. E fu sempre lei, stavolta, a catturare le sue labbra. E siccome il grande artista marziale non voleva essere da meno, ricambiò.
E ricambiò.
E ricambiò.
Ancora.
E ancora.
Come se non riuscisse a saziarsi di lei.
Né lei di lui.
Almeno, finché Akane non puntò le mani contro il suo torace e non lo respinse.
“A-aspetta… io… io non mi sento ancora pronta…”.
Solo allora il suo cervello tornò sulla terra e realizzò di aver spinto Akane contro il lavandino. E purtroppo, al tempo stesso, di aver spinto contro di lei qualcos’altro.
“È meglio se ci fermiamo…”, ansimò Akane.
Ranma era lì lì per liquefarsi sul pavimento dalla vergogna.
“Pe-pe-pe-pe-perdonami!”.
Fece un salto così lontano da sua moglie che si ritrovò attaccato alla porta, una mano sulla maniglia, pronto a fuggire.
“N-no, aspetta, non è colpa tua! Sono io che… ecco… forse è il caso che p-p-prima cercassimo di… come dire… conoscerci meglio?”.
Mano ancora sul pomello, Ranma deglutì senza avere il coraggio di guardarla in faccia.
Conoscerci meglio? Due anni di battibecchi, scontri e salvataggi non erano bastati? Ma se lei non se la sentiva ancora, non l’avrebbe certo obbligata, anzi, a ben pensarci aspettare avvicinandosi pian piano l’uno all’altra faceva comodo pure a lui per prendere confidenza con… certe cose, in modo da non sentirsi troppo in imbarazzo quando sarebbe arrivato il momento di…
(sedurre)
“S-sì, c-credo tu abbia ragione!”, rispose scuotendo la testa come se potesse davvero scacciare il ricordo dell’ultima missione.
“A-allora non ti dispiace se stanotte dormo in camera di Nabiki?”.
Veramente sì.
“No, figurati, c-come vuoi…”.
Il silenzio calò di nuovo fra loro come un muro di gelatina.
“Ti dispiace se faccio il bagno per prima? Vorrei proprio togliermi di dosso questo…”.
Ci mancava solo di immaginarsela mentre si sfilava quel costumino.
No, era troppo.
“Sì, fai pure!”, acconsentì con un tono di voce un po’ troppo alto mentre usciva sbattendo la porta, correva verso il giardino e si tuffava nel laghetto raffreddando i bollori.
Almeno, come donna, non era costretto a sentire le proteste del deficiente là sotto.


- § -


Il mattino dopo vennero gli operai a montare la finestra nuova e Akane poté tornare a dormire nella sua stanza. I due giorni successivi all’incontro nel bagno furono per lei – per loro – surreali e imbarazzanti, tra sguardi sfuggenti, rossori improvvisi, balbettii che manco i neonati, baci rubati e fughe precipitose da parte di Ranma. Ranma che, stranamente, scappava sempre in bagno, addirittura in un paio di occasioni si era tuffato nel laghetto. Preoccupata che non stesse bene, alla sua richiesta di spiegazioni lui, nei panni di una lei, aveva semplicemente risposto che moriva di caldo.
A ottobre inoltrato.
Persino fare i compiti insieme era diventata un’impresa titanica: da Yuka c’era passata sul serio – prima di adempiere alla sua missione in quel night club – a farsi prestare gli appunti, mica voleva perdere lezioni preziose! Ma quando aveva proposto a Ranma di leggerli insieme e fare poi gli esercizi, per tutto il tempo sembrava che il pavimento avesse preso fuoco sotto i piedi di suo marito: pareva impaziente di andarsene – forse a fare l’ennesimo bagno? – e c’era voluto tutto il suo autocontrollo per non farlo volare dalla finestra. E solo perché non voleva sostenere di nuovo le spese di riparazione. E come andava a finire ogni volta? Che a forza di stare fianco a fianco, lui nemmeno l’ascoltava più, la fissava e basta. Da lì a lasciarsi baciare il passo era breve. Breve per modo di dire, perché Ranma restava una lumaca, ma ci stavano prendendo gusto e accadeva sempre più spesso, l’imbarazzo che scemava poco a poco fino a lasciarselo alle spalle. Il problema era che di punto in bianco Ranma scappava a gambe levate, lasciandola come un’allocca a guardare il soffitto. Sì, doveva ammettere che anche lei avvampava in quei momenti e arrivava perfino a perdere il controllo del proprio corpo, che sembrava esigere di più, ma di scappare non ci pensava minimamente. Prima o poi avrebbe dovuto seguire suo marito e sincerarsi di persona che non si sentisse male…
Che poi era stata lei ad aver proposto di “conoscersi meglio”, nel senso di trascorrere più tempo insieme e parlare maggiormente di sé, confidarsi segreti, gioie, paure e ricordi. Non che non ci avessero provato, ma il tempo di qualche confidenza e finiva come con i compiti: labbra di lui su quelle di lei. E viceversa. Succedeva soprattutto quando lei sorrideva, chissà perché.
Ora che ci pensava, gli unici momenti in cui riuscivano a guardarsi negli occhi senza abbassare repentinamente lo sguardo o regredire a due bambini che hanno appena imparato a parlare erano quelli che dedicavano alla cucina. Solo che, invece di migliorare, Akane era peggiorata di colpo: prendeva gli ingredienti a casaccio peggio di prima e a nulla valevano le sgridate di Ranma, la sua concentrazione aveva preso definitivamente il volo. Il problema era che invece di guardare gli alimenti che aveva sotto mano, guardava lui. Non come eseguiva una ricetta, proprio lui: il suo profilo, i suoi occhi, la sua bocca. In quei momenti la cucina poteva anche prendere fuoco insieme alla sua faccia, per quel che le interessava. Hai voglia Ranma a schioccare le dita, Akane ci metteva sempre un’eternità a tornare fra le padelle.
Fu con questi pensieri che si mise a sedere sul proprio letto e si stiracchiò, sentendosi di colpo sola nella propria stanza. Aveva preferito dormire lontana da lui per metabolizzare quel che era accaduto fra loro e, soprattutto, non correre troppo, ma adesso ne sentiva la mancanza. Del suo scalciare via la coperta durante la notte, del girarsi e rigirarsi nel futon e perfino del suo russacchiare.
Si alzò e si recò nella stanza di Ranma per comunicargli che aveva deciso di tornare a dormire con lui. No, cioè, non proprio insieme a lui, non doveva fraintendere, solo condividere di nuovo la sua camera. Per ora. Poi… poi chissà, magari, forse, un giorno…
Akane fece scorrere l’anta della porta e si ritrovò davanti agli occhi una scena che la catapultò all’istante ai primi tempi della loro ‘convivenza’: Shampoo abbarbicata a un Ranma che dormiva beato e – apparentemente – ignaro.
Il corpo si mosse da solo e come un automa Akane scese le scale, andò in bagno, riempì d’acqua un secchio e tornò nella stanza di Ranma, dove nulla era cambiato, tranne il fatto che lui aveva cinto quella gatta spelacchiata di Shampoo con un braccio per stringerla a sé.
Bruttoidiotadiunmaledettissimobakaadessotiammazzo.
Sollevò il secchio all’indietro per darsi la spinta giusta a lanciarglielo contro con tutta l’acqua, quando lui aprì bocca nel sonno.
“Akane…”.
Riuscì a frenare il suo impeto un istante prima di lasciarsi sfuggire il manico dalle dita: a quanto pareva, nonostante avesse lasciato che un’estranea s’infilasse nel suo letto, quel deficiente di suo marito era convinto di abbracciare lei, non quel cespuglio lilla di una cinese. Se così era, poteva anche risparmiargli la punizione, per stavolta.
Ma a lei no.
Akane posò il secchio a terra, afferrò Ranma per un orecchio e tirò, sollevandolo fino a svegliarlo.
“Ehi, ma che…? Lasciami, che diamine stai facendo?!”.
“Lo dovrei chiedere io a te!”, urlò lei indicandogli Miss Indecenza 1989.
Shampoo, per tutta risposta, aprì indolente un occhio e tirandosi su a sedere si stiracchiò con un sonoro sbadiglio, mostrando al mondo come mamma l’aveva fatta, attraverso una yukata aperta.
Ranma sbiancò e distolse lo sguardo per puntarlo su di lei, giurando e spergiurando che non c’era stato niente fra loro, lui manco se n’era accorto che la cinese fosse entrata nella sua camera.
“Lo so”, rispose Akane lapidaria: non avrebbe più commesso l’errore di incolparlo ingiustamente. “Ma non posso lasciarti una notte da solo, a quanto pare. Più tardi parleremo, ora fila”.
“Che… che vuoi fare?”.
“Fila, ho detto! Ho delle ‘opinioni da scambiare’ con questa qui”, ruggì prossima a esplodere. “Aspettami in palestra”. Ranma raccattò i suoi vestiti sparsi sul tatami e scappò via. “E tu in piedi, svergognata, e rivestiti, così posso darti la lezione che meriti”.
“Ah, sei tu…”, fece finta di notare Shampoo facendo seguire al commento annoiato un altro sbadiglio. “Arrivi sempre nei momenti meno opportuni, Akane. Perché non te ne torni a dormire e ci lasci in pace? Stanotte Ranma e io abbiamo fatto faville, non so se mi spiego… ah no, non credo che tu lo sappia, visto che dormite in camere separate…”.
“Solo perché sono stata poco bene e temevo di contagiare Ranma, non hai il diritto di entrare in casa nostra e dormire con mio marito!”.
“Dormire? Pensi davvero che ci siamo limitati a questo? Forse l’avrai fatto tu… ammettilo, Akane, il vostro matrimonio è una farsa! Lascia libero Ranma una volta per tutte, non è destinato a te!”.
Akane strinse i pugni fino a far scrocchiare le nocche.



Ranma scese le scale di corsa, s’infilò i pantaloni e la casacca, uscì in giardino e alzò il naso verso la finestra della propria stanza aguzzando l’udito, ma tutto ciò che udì fu lo schianto di qualcosa di metallico che cadeva al suolo o veniva sbattuto contro una parete. Qualche istante dopo, una figura femminile con una lunga chioma sfondò con la schiena i vetri delle ante e atterrò non proprio agilmente sul prato, una mano premuta sul ventre, il volto sofferente. Se vedere Shampoo finire defenestrata era già incredibile, osservare Akane saltare agilmente dalla stessa finestra rotta e posare leggera un piede a terra col viso sfigurato dalla rabbia e i lampi dagli occhi era semplicemente inverosimile. Dovette darsi un pizzicotto per essere sicuro di essere sveglio. Dov’era la sua vera moglie? Durante la notte qualcuno doveva averla rapita e sostituita con un’altra, non c’era altra spiegazione. Quella che scrocchiava le dita di una mano e poi dell’altra pregustando la vittoria non poteva essere la sua Akane.
“Sarò io a ridurre in briciole il Nekohanten, ammasso di lavanda, per tutte le volte che mi hai distrutto la casa, la palestra e il giardino. Sarà un piacere smontare il tuo ristorante pezzo per pezzo, così che tu e tua nonna non abbiate più un posto dove stare e siate costrette a fare fagotto una volta per tutte!”.
Quando si ritrovò a dover bloccare sua moglie afferrandola per la vita, Ranma capì che già alle otto del mattino il colmo per quella giornata era stato raggiunto.
“Ti avevo avvisato, Shampoo”, le urlò cercando di trattenere la sua dolce metà che scalciava come una belva gridando di lasciarla andare.
“È lei che mi ha attaccato, io non ho fatto nien…”.
“Akane e io facciamo sul serio, il nostro matrimonio non è finto. Non sarà perfetto, ma ci amiamo e questa è l’unica cosa che conta!”.
Sua moglie smise di dimenarsi all’istante e solo allora lui realizzò che razza di confessione gli era appena uscita di bocca.
Ora sì che aveva motivo di vaporizzare.
“Voi vi… non è vero, non ci credo!”, tossì Shampoo. “Mi hai abbracciata e stretta a te, quando mi sono intrufolata sotto la tua coperta! E quando ti ho sussurrato all’orecchio che ti amavo e di venire in Cina con me, mi hai risposto ‘anch’io, ovunque tu voglia’!”.
“Credevo fosse Akane, maledizione, la stavo sognando!”.
Sempre peggio.
Come riusciva a darsi la zappa sui piedi lui, nessuno mai. Forse nemmeno raggiungendo il nucleo terrestre sarebbe sprofondato abbastanza da scomparire per sempre.
Ginocchia al suolo e mani a coprire il viso, Shampoo scoppiò a piangere a dirotto e l’istinto di autoconservazione meglio noto come ‘negazione dell’evidenza a tutti i costi’ stava per fargli commettere una sciocchezza enorme: sbracciarsi per rinnegare tutto ciò che aveva ammesso. Se lo avesse fatto, però, non solo Akane lo avrebbe ridotto a un ammasso informe e puzzolente di nattō, ma non avrebbe mai più voluto rivederlo in vita sua. E poi, forse, non era il caso di smetterla di ritrattare sempre fino alla morte quello che era evidente per tutti, ormai? Alla luce degli ultimi giorni, poi…
Shampoo smise di colpo di singhiozzare e alzò il volto dalle mani: se l’odio avesse potuto fulminarli, loro sarebbero stati già ridotti a un cumulo di cenere.
“Me la pagherete”, disse alzandosi. “Tutti e due. Ma soprattutto tu, Akane Tendo!”, gridò saltando via nella sua succinta yukata per i tetti di Nerima. E lasciandoli soli con il loro imbarazzo.
E adesso?
Con cautela Ranma lasciò andare Akane, che tuttavia non si voltò, restando a tremare nell’aria fredda del primo mattino nel suo pigiama di flanella.
“Pensi davvero ciò che hai detto?”.
Lui aprì la bocca, ma la gola era improvvisamente secca.
“C’è almeno un fondo di verità?”.
Ranma fece un passo indietro. E poi un altro. Finché scappare fu tutto ciò che gli rimase e non per raffreddare i bollenti spiriti.
Era lui, stavolta, a non essere ancora pronto.



C’era da aspettarselo, da lui. Avrebbe dovuto esserci abituata, invece faceva male. E il tarlo del dubbio ricominciò a rosicchiare: forse Ranma non stava facendo sul serio, con lei. Forse voleva solo assicurarsi un tetto sopra la testa e stava fingendo di desiderarla. Tutti i baci che si erano dati in quei due giorni… nulla di vero. Eppure, l’intensità con cui la guardava… possibile che fosse fasulla anche quella?
Si buttò a sedere sul letto, desiderando di tornare a dormire e svegliarsi il giorno dopo così da immaginare di aver fatto soltanto un incubo. Invece un ormai noto ticchettio contro il vetro della propria finestra richiamò la sua attenzione. Alzò gli occhi dalle proprie mani e vide il dannato piccione che la fissava di rimando con lo sguardo interrogativo di chi si chiede perché cavolo ci mettesse tanto ad aprire.
Non è possibile, non c’è pace!
Si alzò di malavoglia con un sospiro e aprì un’anta, afferrò il volatile e tolse da una zampa il messaggio arrotolato. Lasciò libero il piccione e si sedette alla scrivania, per nulla tentata di decifrare il prossimo incarico. Srotolò il pezzetto di carta e increspò la fronte: la famiglia Miyakoji richiedeva urgentemente la sua presenza nella sede di rappresentanza dell’organizzazione quel pomeriggio stesso all’ora del tè.
Bene, finalmente avrebbe messo piede nella dimora della Fenice Bianca.



Ranma si lavò e vestì in fretta. Aveva bisogno di allontanarsi il più possibile e di riflettere.
Perché non era ancora pronto? Dopo il matrimonio, dopo aver dormito insieme, dopo essersi perfino baciati… com’era possibile che non fosse ancora pronto a esternare i suoi sentimenti? Non aveva più motivo di vergognarsene, eppure aveva preferito scappare, che confessare. Una parte di lui osava ribattere che era già tanto che non avesse negato con veemenza, ma non era sufficiente e lo sapeva.
Un vero uomo sarebbe rimasto e avrebbe affrontato quelle domande spinose.
Un vero uomo avrebbe risposto con sincerità, non avrebbe accampato scuse.
Era la sua occasione e l’aveva sprecata. E il bello era che non sapeva nemmeno perché.
A quell’ora, naturalmente, Akane stava di certo pensando il peggio di lui e non poteva darle torto. Doveva tornare e scusarsi, ma sapeva bene che non sarebbe bastato, stavolta, per cui doveva darsi il tempo necessario per preparare un discorso serio, perché sarebbe tornato a casa solo per confessarle che sì, era tutto vero ciò che aveva detto a Shampoo, non erano frottole create sul momento solo per levarsela dai piedi.
No, lui… lui l’amava davvero. E desiderava dirglielo. Voleva dirglielo, con tutto se stesso. Ma aveva bisogno di tempo per raccogliere il coraggio di farlo, anche se fosse occorsa l’intera giornata.
Si ritrovò per caso a passare davanti al Furinkan e ne approfittò per controllare il proprio armadietto. Dentro trovò la solita busta sigillata, ma stavolta sul retro c’era scritto ‘urgente’.
Allarmato, Ranma l’aprì sul posto in barba alla prudenza e lesse una richiesta davvero inconsueta: la Tigre Nera lo aspettava quel pomeriggio nella residenza della famiglia Miyakoji.
Ancora?!
L’agenzia non era soddisfatta delle foto che aveva scattato a se stesso e a quella Satsuki? Quale altra missione avevano in mente per lui i Daimonji?







*In realtà la parola rallenty non esiste: è l’errata anglicizzazione del francese ralenti (in inglese slow motion).


Ranma e Akane stanno per incontrarsi nelle rispettive vesti di spie? Se accadesse, quali sarebbero le conseguenze? Lo scoprirete nel prossimo capitolo, a presto! ^_-
   
 
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