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Autore: MaryElizabethVictoria    29/05/2021    1 recensioni
Morgan Stark e Sarah Rogers sono partite ormai da un anno, di nascosto dalle rispettive famiglie, in una disperata missione alla ricerca del fratello di Sarah, Philip. Il ragazzo, creduto morto, di recente è ricomparso misteriosamente per aiutarle a fuggire da un laboratorio dell'Hydra dove hanno tentato strani esperimenti sui ragazzi, per poi scomparire di nuovo. 
Le due non si daranno pace finché non capiranno cosa c'è dietro.
Intanto la diciottenne Ellie Smith, una ragazza apparentemente priva di poteri dal passato incerto, si è iscritta all'Accademia SHIELD per diventare un'agente proprio come il suo fidanzato Michael Coulson. Anche Blake Foster, Cali Erikssen, Sebastian Strange e i gemelli William e Tommy Maximoff si sono gettati a capofitto nel loro primo anno di college, dove tra esami incombenti, poteri fuori controllo e drammi familiari in agguato i guai non mancheranno di seguirli...
I fatti narrati si volgono circa un anno dopo quanto accaduto in 'The Young Avengers' di cui è consigliata la visione per contestualizzare meglio i personaggi e il loro percorso. Buona lettura!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Blake Foster aveva letteralmente perso la cognizione di quanto tempo fosse trascorso dacché era rimasto bloccato nel Sanctum, insieme agli Strange, ritrovandosi sostanzialmente in uno dei peggiori incubi che chiunque potesse vivere. Quando avevano attraversato il passaggio tra le dimensioni tutti gli orologi e i cellulari avevano semplicemente smesso di funzionare lasciandoli di fatto tagliati fuori rispetto al loro mondo. L’unico paesaggio esterno che si poteva vedere dalla finestra era una sterminata distesa nera, che non variava mai e non dava grandi indizi sul passare delle ore...sicuramente era parecchio che provavano a uscirne senza risultati.

Il dottore e Sebastian, ciascuno per conto suo, avevano valutato un po’ di tutto tra incantesimi ed evocazioni, ma niente pareva funzionare in quella particolare dimensione dove la loro magia era instabile. Molto probabilmente era proprio per quel motivo che Kaya li aveva trasportati proprio lì. Come se non bastasse, padre e figlio sembravano ormai al limite della sopportazione reciproca, alternando i momenti di cupi silenzi a quelli di acidi commenti di fronte un Blake esasperato, che si trovava praticamente nel mezzo, a dover evitare che si scannassero.

-Lo stai impostando nel modo sbagliato- osservò lo Stregone supremo senza in apparenza interrompere la sua meditazione.
Si stava ovviamente riferendo al complesso circolo di simboli che suo figlio stava ricostruendo pazientemente da ore e che si snodava dall’ingresso fino al pavimento del salone.

-Variazione mia- tagliò corto Sebastian, che, provato sia dal minuzioso lavoro che dalle continue critiche malcelate da consigli ascetici di suo padre, si esprimeva ormai quasi a monosillabi- funzionerà- aggiunse in un impeto di ingiustificato ottimismo, dettato senza dubbio dalla stanchezza.

Doveva funzionare. Non sopportava l’idea di restare confinato lì mentre gli altri erano in pericolo. In più se non si fosse fatto vivo al più presto ci avrebbe pensato direttamente Cali a farlo fuori.

-Lo hai detto anche l’ultima volta- gli ricordò il genitore, impassibile- Ultima di sette, se non ricordo male.

-Funzionerà- ripetè Sebastian ostinatamente.

-Se non a me, che in fondo sono solamente tuo padre e il custode del Sanctum, dovresti almeno dar retta a Blake Foster. Almeno lui ha avuto il buonsenso di comprendere che un’evocazione in queste circostanze potrebbe comprometterci.

Da quando erano rimasti bloccati lì il dottor Strange aveva inspiegabilmente cominciato a trattare Blake come il suo secondo in comando, pretendendo che gli desse man forte nel contenere l’impazienza di suo figlio, che invece non si dava pace pur di dimostrare che 'poteva cavarsela da solo'. Questo aveva contribuito se mai ce ne fosse stato bisogno ad irritare maggiormente Sebastian, che pure accampava diritti esclusivi sul suo migliore amico.

-Almeno io sto provando a fare qualcosa!- replicò il ragazzo.

-Qualcosa che, come ti ho già ripetuto a sufficienza, non può funzionare perchè manca dei presupposti di base- precisò Stephen, questa volta staccandosi definitamente dal suo stato meditativo e affrontando suo figlio direttamente con un certo cipiglio- ci sono molti incantesimi che io stesso potrei utilizzare, ma non rischierò di evocare su questo piano sigillato qualcosa che poi difficilmente riusciremmo a controllare. Sarebbe solo controproducente e vi metterei in maggior pericolo.

-Ma per favore...- Sebastian naturalmente ignorò quell’avvertimento come aveva fatto con i precedenti.

Dopo aver ultimato l’intreccio di simboli, eseguì rapidi gesti con le mani facendo sì che i segni che aveva tracciato a terra prendessero a sfrigolare di luce rossa, sollevandosi fino a formare un fascio di luce che si proiettava su tutte le pareti.
Era il primo risultato che ottenevano da ore.
Per un breve e folle istante si riaccese la speranza di aver trovato la soluzione, ma subito dopo la scia luminosa prese a vorticare in maniera anomala, avvitandosi prima su sè stessa, poi puntando Sebastian come un dardo. Blake fu prontissimo a tirarlo di lato per evitare che lo centrasse in pieno. La magia evocata da Sebastian sibilò nell’aria con atteggiamento ostile.

Infine, il fascio di luce si arrestò a mezz’aria , come se le pareti stesse del Sanctum l’avessero trattenuto e infine  riassorbito, lasciandosi dietro solo uno sgradevole odore di fumo.

-Incantesimo di rifrazione, permea tutte le superfici del santuario per tenere al di fuori ospiti sgraditi e proteggere i suoi abitanti- spiegò il dottore- non c’è di che .

-Non si è mai visto un incantesimo rifrangente in grado di fare quello!

Cogliendo finalmente una chiara nota di ammirazione nella sua voce, il padre di Sebastian trattenne a stento un sorriso.

-Variazione mia- ammise con una finta modestia a cui comunque non credette nessuno.

Ad ogni modo erano sostanzialmente al punto di prima.
Seppur rigorosamente divisi, si stavano impegnando al massimo per ritornare a New York eppure niente di quello che avevano provato era stato d’aiuto.

-Scusate, ma forse non sarebbe meglio...non è che potreste...insomma, provarci insieme a riportare il Sanctum nella nostra dimensione?- azzardò Blake.

A quelle parole incaute il ragazzo fu immediatamente raggiunto da un’occhiata più che oltraggiata di entrambi. Era dannatamente ironico in quella situazione quanto si somigliassero, ma farglielo notare proprio in quel momento avrebbe rischiato di scatenare un altro vespaio che francamente Blake teneva ad evitare. la convivenza con quei due era già abbastanza difficile.

-Ok, era solo un’idea...- alzò le mani sconfitto.

Ma era chiaro che in quel modo non si andava da nessuna parte.

Dopo quelle che erano sembrate altrettante ore, Blake aveva finalmente ceduto alla stanchezza, concedendosi poche ore di sonno sul divano del salotto e anche gli Strange, dopo l’ennesima discussione che non li aveva portati a nulla, decisero di concedersi a loro volta una pausa per recuperare le energie.
E per tornare a litigare più freschi di prima il giorno seguente.
Il dottor Strange sbatte la porta della sua stanza privata dietro di sé, congedando perfino il fedele mantello con un cenno impaziente della mano.

-Quando la farai finita con questa storia e ci riporterai a casa?-domandò esasperato al vuoto della stanza, certo che lei in qualche modo potesse sentirlo.

In effetti Kaya, anche se poteva evitare di essere vista da loro, non aveva mai abbandonato il Sanctum, vegliando amorevolmente sui loro miseri tentativi di fuga.

-Quando comincerai a parlare a nostro figlio anziché criticarlo in continuazione? - gli rispose infatti lei, comparendogli davanti in forma corporea... una forma che non lo aveva mai lasciato indifferente a dirla tutta- Vi ho osservati in questi giorni. Speravo che vi proteste avvicinare, ma ora so che questo non potrà accadere finché vi sbatterete porte in faccia pur di dimostrare di aver ragione. Ragione di cosa poi? Proprio non vi capisco...

-Chiedilo a lui quando smetterà di comportarsi come un bambino viziato.

-Lo sto chiedendo a te!

-Ti prego di non metterci sullo stesso piano- ribattè il marito, al colmo dell'indignazione, mentre camminava nervosamente su e giù per la camera col tipico atteggiamento di chi è in completa negazione.

-Non lo farei mai: lui è un diciottenne che ha passato buona parte della vita credendo che tu mi avessi uccisa e tu sei ...bhè sei un sacco di cose, ma soprattutto sei suo padre!- gli ricordò Kaya con veemenza.

Stephen si sentì improvvisamente molto stanco.
Era abbastanza razionale da controllarsi alla perfezione a beneficio del mondo che aveva giurato di proteggere, eppure tutto questo controllo non lo aveva aiutato molto a gestire la sua famiglia. L'unica persona con cui si era concesso di condividere i suoi timori più profondi era proprio Kaya, ma lei durante tutto quel tempo insieme non aveva fatto altro che ingannarlo.

-Sto solo cercando di evitare che si faccia male e di tenerlo in riga...- ammise infine- ...non è questo forse che farebbe un padre?

Lei lo fissò con infinita comprensione, ma anche con fermezza.

-E’ quello che farebbe tuo padre- sottolineò la divinità del caos.

Oh. Quello era decisamente un colpo basso.
Ma ormai Kaya aveva deciso che per il bene di suo figlio non si sarebbe risparmiata niente. Il padre di Stephen era sempre stato un argomento offlimits durante la loro vita insieme. Era una figura ingombrante che pur da lontano incombeva sul loro matrimonio,  brillando come un fanalino di allarme per la sua assenza in ogni occasione per loro veramente importante. Kaya lo aveva incontrato solo una volta, di sfuggita, dopo che Stephen era finalmente riuscito a fissare un appuntamento con il suo studio, probabilmente corrompendo la segretaria. Dieci minuti di caffè al volo per annunciargli che si sposavano e suo padre, nonostante la bella partecipazione che gli avevano scritto a mano, non aveva dimostrato un briciolo di entusiasmo.

Al contrario si era limitato a distratte congratulazioni e l’aveva chiamata Christine tutto il tempo. Kaya si era dovuta trattenere parecchio per non staccargli la testa di netto e godersi lo spettacolo del sangue che sarebbe schizzato sul suo completo da migliaia di dollari.
In passato la dea aveva ucciso per molto meno, letteralmente.

-Mio padre è uno stimato professionista- lo difese Stephen, come faceva sempre, quasi in automatico, tanto che era diventato una specie di perverso riflesso condizionato.

-Che non ha trovato il tempo di venire al matrimonio del suo unico figlio- gli ricordò Kaya, legatasi al dito quell’episodio come l'ultimo di molti altri affronti ricevuti e mai vendicati. Purtroppo quella storia risaliva al periodo in cui aveva deciso che sterminare chiunque le avesse fatto un torto non sarebbe stato un buon modo di farsi accettare.

-Ha mandato una splendida email di congratulazioni!

-La sua segretaria ha mandato una splendida email. E anche un regalo dall’aspetto costoso, mi pare, ma questo non lo rende un comportamento socialmente accettabile per gli standard terrestri... lo so perfino io.

-Mentre esiliarci in una dimensione parallela lo consideri socialmente accettabile?

-Se è per tenervi al sicuro certo che si!

Entrambi dopo quell'affondo si presero una pausa secca, secondo la più comune dinamica che aveva caratterizzato il loro matrimonio. Avevano sempre discusso molto, anche all'apice della luna di miele, ma si erano soprattutto amati con altrettanta impetuosa passione. E si trattava di quel genere di passione che difficilmente poteva svanire, anzi, stava emergendo prepotentemente dopo tanto tempo che erano stati divisi

-Lo so che tu non mi credi - constatò Kaya, ritraendosi giusto il necessario per mettere una certa distanza tra i loro corpi accalorati - ritieni che sia pazza o superstiziosa...ma io so esattamente contro cosa nostro figlio e i suoi amici hanno intenzione di combattere e so che non hanno possibilità vincere.

Lui invece le si avvicinò, probabilmente incautamente, ma a quel punto non stava più tanto a ragionare... troppo a lungo gli era mancato averla accanto. Pur irrazionale e caotica com'era restava sempre sua. Con la confidenza di anni di vita passata in comune,  le disse molto sinceramente quello che pensava in merito.

-Io credo nella scienza e nella magia. Credo in forze che esistono, che si possono studiare e comprendere. Non posso accettare di starmene rinchiuso qui a causa di una favola.

-Ma non è una favola, è la verità!- ripetè lei- Tu non c'eri...non hai visto cosa sono in grado di fare... Non si può combattere il Fato. Si può solo soccombervi.

-Ascoltami, ti prego. Una volta in un libro indiano ho letto che il Fato possiede tutto il potere di plasmare il mondo, mentre lo sforzo della volontà umana è solo un vano pretesto- asserì Stephen e a quelle parole Kaya sollevò lo sguardo, interessata.

Era esattamente così che la vedeva lei! Sin dagli albori del mondo era stato tutto quello che le era stato insegnato, la legge non scritta che tutti gli dei rispettavano al pari di una sorta di religione comune.

- Già - proseguì lui- devi sapere però che il giorno dopo, giusto poche pagine più in là, era scritto anche che il fato non è altro che il risultato delle nostre azioni passate. Ovvero, significa cha siamo noi con le nostre mani a forgiare il nostro stesso destino. Per questo io non ho paura e non devi averne neanche tu- le disse infine guardandola negli occhi, quegli stessi occhi gialli e per niente umani che tanto lei detestava mostrargli.

Kaya rifuggì il suo sguardo. Non era stata una buona idea mostrarsi a lui in quello stato di sconvolgimento, decise, proprio in uno di quei rarissimi momenti nel quale era troppo preoccupata per evitare che la sua vera natura affiorasse i superficie, manifestandosi in dettagli sgradevoli esteticamente come quegli occhi scintillanti... Non avrebbero fatto che peggiorare la situazione, visto quanto si vergognava di essere tanto diversa da qualcuno che lui potesse amare.

Cercò di abbassare lo sguardo pudicamente, ma il dottore non glielo permise.
Le alzò il mento delicatamente con la punta delle dita, come per chiederle di riprendere quel contatto. Era tanto tempo che non succedeva e quando Kaya tornò a mostrargli, per la prima volta volontariamente, i suoi occhi demoniaci in quelli di lui non vide la minima traccia del ribrezzo che pensava di trovare. Anzi... sicuramente la divinità si ingannava, ma in quel preciso istante avrebbe giurato di scorgere qualcos'altro di decisamente opposto.
Qualcosa che mancava terribilmente a tutti e due.

-Vedi...non posso temere il fato, amore mio, se il mio fato è stato di incontrare te- concluse Stephen, a pochissimi centimetri dal suo viso.

Il suo respiro era irregolare, spezzato dall'emozione che gli causava la vicinanza di lei, di quel suo profumo così inebriante ormai da tempo era divenuto il tormento delle sue notti insonni. Il dottore si diede del folle per aver potuto imporsi di sopportare tanti anni lontano da lei, che era sempre stata l'unica...

Fu la stessa Kaya, mai stata particolarmente incline a resistere alle tentazioni, specie di quel genere, a sporgersi verso di lui e a colmare quella piccola distanza tra di loro col calore delle sue labbra. Un braccio di Stephen scese quasi subito a cingerle la vita, in maniera dolorosamente possessiva. Non si sarebbe separato da quella creatura, chiunque lei fosse, a costo di dichiarare guerra all'Alto Cocilio degli stregoni al completo o al mondo intero se necessario.

E se il Fato aveva veramente deciso che erano fatti per stare insieme chi era lui per opporsi?

Trascinati dal vortice di una passione a lungo negata e dimentichi di tutto il resto, dondolarono avvinti fino ad incontrare la prima superficie liscia che potesse garantire un minimo di supporto.

-Otto anni senza questo Kaya, mio Dio...

-Mia Dea, vorrai dire- ribatte lei sorridendo sotto le lunghe ciglia scure... riacquistato per l'occasione giusto un briciolo di controllo, voleva sfruttarlo per fargli ammettere una volta per tutte quanto esattamente gli fosse mancata in quel lungo periodo di vuoto nella sua vita e in special modo nel suo letto- lo sai, non ho mai rinunciato all'idea di farmi adorare. E' perfettamente nell'ordine delle cose che un mortale si inginocchi di fronte a me...e cominci a supplicare.

-Kaya...- rantolò Strange, incapace di staccarle le mani di dosso, quasi avesse paura che sarebbe scomparsa, come un sogno.

Ma Kaya non svanì, anzi fu molto partecipe di tutto quello che accadde dopo tra di loro.
Talmente partecipe che abbassò il suo grado di controllo sul Sanctum, permettendo che qualcosa di davvero singolare accadesse proprio in quel momento al piano di sotto, dove Blake Foster vagava insonne e colmo di cupi pensieri.

Blake non poteva fare a meno di ripetersi che finché erano chiusi lì dentro non avrebbero potuto essere di alcun aiuto ai loro amici e allo stesso tempo temeva per loro, soprattutto per Sarah che aveva appena ritrovato. Ma non era quello l'unico tormento che lo attanagliava.

Vedere il suo amico Sebastian in continuo disaccordo con il padre non era solo difficile da sopportare, ma proprio per lui che invece un padre non lo aveva mai avuto era pura follia. Sebastian a suo avviso non si rendeva minimamente conto di quale fortuna avesse ad essere circondato da genitori che non facevano altro, ciascuno a modo suo, che preoccuparsi di lui. Blake, invidiandolo da morire, cercava ad ogni occasione di far si che si che l'amico se ne rendesse conto. 
Sperava sinceramente che presto gli Strange si potessero riconciliare.
Fosse dipeso da lui avrebbe immediatamente perdonato a suo padre qualsiasi cosa, pur di averlo accanto. In particolare pensando alla sua assenza nel corso del tempo non aveva fatto altro che cercare giustificazioni su giustificazioni, si era detto che in fondo era normale che gli dei non si mischiassero con i mortali, come da sempre sosteneva Cali.
Eppure Kaya che era una divinità del caos si preoccupava eccome di suo figlio. Tanto che aveva scelto di rimanere e accettato di vivere come un’umana pur di stare con la sua famiglia. Perchè quella non era stata anche la scelta di Thor?
Perchè abbandonare sua madre e lui sulla Terra e non farsi mai più vedere? Era stata una sua decisione? Oppure vi era stato costretto? Una parte di lui voleva disperatamente crederlo, dal momento che l’alternativa era che davvero non gli importasse nulla di loro...

Era immerso in queste riflessioni quando si ritrovò davanti un paio di occhi color indaco cerchiati d’oro.
Appartenevano ad una una ragazza dai lunghi capelli viola, vestita con un abito lungo, modello toga, trattenuto sul lato destro da una fusciacca dorata, che ricadeva leggero come una nuvola e le lasciava giusto le spalle scoperte. Quella figura eterea pareva comparsa dal nulla e adesso lo fissava come se si aspettasse qualcosa da lui.

-Ehi- salutò Blake, un po' interdetto- E tu che ci fai qui?

-Veramente mi hai chiamata tu- rispose lei, squadrandolo a sua volta con fare circospetto- non è forse così?

Sinceramente il ragazzo non ne aveva idea. Ma chi era quella? Forse una sottoposta di Kaya?!
Non aveva mai valutato che qualcun altro potesse accedere al Sanctum, che era una vera e propria fortezza, oltre a loro.

-Ehm...certo- mentì Blake, che non aveva la più pallida idea di cosa stesse succedendo, ma vedeva in quella misteriosa ragazza un’occasione di fare qualche progresso per sbloccare la loro situazione di prigionia- Così tu saresti...

-Iris- rispose lei, un po’ disorientata.

Iris.
Blake trasalì nel sentire ancora una volta il ripetersi di quel nome.

Quella ragazza, o meglio l’entità nel corpo della ragazza, era una Iris, una messaggera degli dei proprio come quelle che avevano già incontrato Sarah e Cali. Eppure non sembrava avere intenzioni malevole. Tutto il contrario, se ne stava lì impalata come se fosse in attesa di qualcosa da lui. Il ragazzo cercò di mantenere compostezza e le fece anche un sorriso, il che, come gli aveva sempre insegnato Jane, non guastava mai.

-Naturalmente. Io sono Blake Foster- si presentò offrendole la mano- Piacere di conoscerti .

La ragazza la guardò incerta, come se non fosse abituata a quel genere di convenevoli. In effetti nei trecento anni della sua giovane vita da Iris nessuno degli dei che avevano richiesto i suoi servizi si era mai disturbato a presentarsi o era stato gentile con lei in una maniera tanto sospetta. Le Iris erano divinità minori che gli dei trattavano con sufficienza nel migliore dei casi, se non proprio come loro serve. Se quel giorno gli girava male facevano a pezzi il loro corpo terreno, usandole per sfogarsi se il messaggio che ricevevano non era di loro gradimento. Ma loro che colpa ne avevano?

Insomma, nella gerarchia divina le messaggere come lei erano proprio l’ultima ruota del carro e dato che la gerarchia, come il fato stesso, non si discuteva, alle povere Iris non restava che rassegnarsi e subire ogni genere di angheria in silenzio.
Quel ragazzo biondo e un po' impacciato non sembrava avere brutte intenzioni come certi altri tipacci che le erano capitati in passato, valutò Iris, oppure era il peggiore di tutti e stava celando la sua natura perversa dietro una facciata rassicurante per ingannarla.

Decise quindi di stare al gioco e gli strinse la mano, imitando il gesto di saluto umano.

-Piacere di conoscerti Blake Foster- ripetè lei, sembrandole la cosa più appropriata da fare per evitare di incorrere nelle sue ire- Dimmi, quale messaggio posso portare per te al Dio del Tuono?

-Un messaggio...per mio padre?

-E’ il motivo per cui sono qui- ripetè Iris- O forse posso fare qualcos’altro per te?

Essendo stata fino a pochi decenni prima un’apprendista, era piuttosto ansiosa di svolgere nella maniera corretta il suo dovere, per fare una buona impressione alle altre Iris. E se quel ragazzo aveva avuto il potere di richiamarla voleva dire che era un dio o almeno un semidio. In quanto a lei non aveva altra scelta se non ubbidire e tacere.

-Intanto vorrei sapere cosa ti ha fatto comparire, se non ti dispiace. E poi scusa come riesci a farlo? Se sei in grado di arrivare perfino in questo luogo vuol dire che puoi spostarti ovunque? O ci sono eccezioni? Insomma, ti sarei grato se volessi spiegarmi un po’ come funziona- le chiese Blake- Quanto al messaggio... ci dovrei pensare.

Iris lo guardò poco convinta.

-L’ho fatto perchè è quello che facciamo: quando gli dei hanno necessità dei nostri servizi noi compariamo. Tu hai espresso l’intenzione di parlare con gli dei e mi hai chiamata- rispose, sempre un po’ perplessa- Quanto alla tua domanda ...ovviamente no, non abbiamo limitazioni nello spazio, non c’è luogo nell’universo che non possiamo raggiungere se è una divinità a richiederlo... le Iris possono viaggiare per tutte le dimensioni- aggiunse con una punta di orgoglio.

Le sembrava una cosa talmente ovvia da non esserci bisogno di spiegarlo.
Quel tipo era davvero strano, sembrava un perfetto sprovveduto all’oscuro di tutto... Se non avesse avvertito il suo richiamo così distintamente sarebbe stata perfino portata a dubitare che si trattasse di un dio o di un suo discendente.

-Perdonami sire, con tutto il rispetto...ma perchè mi hai chiamata se non sai nemmeno quale messaggio vuoi affidarmi?

Per quanto desiderasse mantenere la cautela l'ingenuità di quel ragazzo le dava un po' sui nervi.
Chi si credeva di essere per interferire in quel modo con il suo lavoro?!
Sicuramente con la sua stupida indecisione le avrebbe fatto fare una figura da incompetente con le altre Iris! Oppure peggio. Se non riusciva a farsi affidare il messaggio e a recapitalo correttamente, come il protocollo richiedeva, avrebbero sicuramente dato la colpa a lei e l’avrebbero punita severamente.

-Non ti ho esattamente chiamata, io stavo solo pensando...- accennò Blake, prima di ritrarsi leggermente, combattuto sul da farsi- ...ok, non importa, tanto era una cosa stupida.

-Stavi pensando a cosa avresti voluto dire a tuo padre se mai avessi avuto modo di incontrarlo...non è vero?- domandò lei, aggiungendo subito dopo avergli scoccato un’occhiata incerta- Non guardarmi così, certo che le Iris possono leggere nel pensiero. Non dirmi che non sapevi neanche questo?!

-Ecco, se è così, scommetto che tu sai già quello che gli vorrei dire- ammise Blake, che di fronte alla prospettiva di poter davvero parlare con suo padre si sentiva semplicemente elettrico, tanto da scordarsi perfino della loro condizione di reclusi.

-Ovviamente- rispose lei con un tono leggermente più dolce- Se è quello che desideri.

-Sarebbe fantastico! Voglio dire... grazie!

Iris abbassò lo sguardo, arrossendo leggermente.

Essendo un’entità epatica avvertì l’ondata della sua gratitudine avvolgerla completamente e fu semplicemente ...una bella sensazione per lei, abituata solo a lamentele e rimproveri.

-Non mi devi ringraziare Blake Foster...il protocollo non lo prevede- mormorò sommessa- ma esaudirò subito la tua richiesta.

Battè le mani e una luce dorata pervase la stanza.
Blake dovette portarsi un braccio davanti agli occhi per ripararsi e quando lo abbassò non si trovava più nel Sanctum, bensì in un imponente colonnato di alabastro che riluceva di maestosità e possanza. Era esattamente così che avrebbe immaginato una reggia.

-Dove siamo?

-Asgard naturalmente- rispose Iris- E' dove vorresti essere più di ogni altro luogo al mondo. Quanto al messaggio ...sei tu Blake Foster. Vuoi che tuo padre finalmente ti conosca. 

-E mio padre...?

-Dietro quella porta- disse lei, indicando un maestoso portone scolpito e presidiato da sei soldati in armature scintillanti- non aspetta che te.

A quelle parole il portone si schiuse di fronte al ragazzo in un chiaro invito, come se la sua venuta fosse da tempo immemore attesa e gradita. Il cuore di Blake martellava a mille. Avanzò come in un sogno nel corridoio delle udienze, ai lati del quale si affollava la corte degli Aesir.
Uomini e donne riccamente abbigliati e ingioiellati si inchinarono al suo passaggio, facendogli strada verso il fondo della sala con vivaci esclamazioni di benvenuto.

A Blake sembrava di camminare in un sogno.

Nella sala del trono di Asgard, di uno splendore inimmaginabile, tale che nessuna parola umana le avrebbe mai potuto rendere giustizia, regnava soprattutto l'opulenza. I pavimenti erano d'argento, il soffitto d'oro incastonato di gemme rarissime, i cui colori Blake non aveva mai neanche visto sulla Terra. Su tutto spiccava un'imponente scalinata dorata che conduceva direttamente alla piattaforma su cui stavano i tre scranni regali.

Al centro Odino, Il Padre Tutto, nelle sue vesti più sfarzose, reggeva fieramente la lancia Gungnir, compagna di cento battaglie.
Il re da un solo occhio sorrise benevolmente al nuovo arrivato, facendogli cenno di avvicinarsi.
Al suo fianco sedeva la fedele sposa Frigga. La regina degli Aesir nel vedere il ragazzo di Midgard avanzare verso di loro mantenne invece un contegno freddo e impenetrabile, che mascherava la sua preoccupazione per quanto sapeva stesse per succedere.

Blake non sapeva cosa pensare di quell'accoglienza tanto contraddittoria, poi vide chi era seduto sul terzo scranno e smise completamente di pensare, diventando infine tutt'uno con l'emozione di avere davanti a sé suo padre. Thor, il famoso e potente dio del Tuono.
Era il momento che aspettava da tutta la vita.

Il dio fremette nel riconoscere ad un solo sguardo chi si stava avvicinando a loro.
Quel viso...il ricordo di Jane Foster che lo tormentava come uno spettro...
Thor, principe di Asgard,  figlio di Odino, non si potè muovere di molto dal suo seggio regale, a cui lo trattenevano sottilissime catene d'oro.
Non potè lanciarsi verso suo figlio come avrebbe voluto, ma in compenso lanciò un urlo straziante di pura frustrazione che fece rabbrividire perfino i guerrieri più coraggiosi della guardia reale. Le catene magiche che lo trattenevano avvinto al  trono tintinnavano furiosamente per i suoi sforzi di liberarsi.

-Papà...ma cosa?

-Cosa ci fai qui? - ringhiò Thor, gli occhi celesti ricolmi di disperazione- Non sei al sicuro...non saresti mai dovuto venire!!

-Papà...- Blake si guardò attorno, completamente disorientato dalla situazione.

-E tuttavia il ragazzo giunge come predetto a compiere i voleri del Fato- decretò Odino con orgoglio- A loro maggior gloria!

All'esclamazione dell'alto re seguì un'ondata di approvazione che squarciò i cieli.
Frigga sola non si unì ai festeggiamenti. Il suo sguardo inquieto vagava da suo figlio imprigionato al nipote che non aveva ancora conosciuto, ma che a causa della sua venuta improvvisa era in un pericolo ancora maggiore.

-A loro maggior gloria!- ripeterono in coro tutti i cortigiani asgardiani.

La sala del trono risuonò del loro inquietante giubilo.

 

 

  
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