Libri > Good Omens
Segui la storia  |       
Autore: Fran Truth    29/05/2021    0 recensioni
Crowley non si aspetta più nulla dalla vita: una laurea in astronomia presto ridotta a un hobby solitario e notturno, il lavoro come insegnate di fisica, il sabato sera al bar con gente sconosciuta. Una routine fiacca e maniacale rotta solo da qualche pomeriggio in compagnia di Anathema, sua collega e vicina di casa, e nulla più. Finché una telefonata dall’Italia non rompe tutti gli schemi, perché la figlia di sua sorella Helen, morta quasi sedici anni prima, è rimasta orfana e senza parenti. Isotta si vede così costretta a lasciare Trieste, il mare e Ilenia, il suo primo e ancora fragile amore.
Aziraphale credeva di aver finalmente trovato il suo equilibrio, barattando il mondo esterno con quello dei suoi libri, ma a un certo punto si ritrova a soffocare nella sua stessa bolla. Preso da un impellente desiderio di sfuggire a quella solitudine, pubblica un annuncio di lavoro alla porta della sua libreria. Isotta coglie quella che sembra una piccola possibilità di ripartire, ammaliata da quell’angolo di mondo che odora di carta e tè, una luce in fondo a quel tunnel di delusione. Quel fioco bagliore si avvicina sempre di più e, infine, illumina tutti e tre.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La scatola di amaretti emanava un lieve profumo di mandorle. Isotta la infilò nello zainetto, controllò che ci fossero i soldi del signor Shadwell e si legò la cintura del trench. «Vado, zio!»

Crowley, mezzo addormentato sul divano, rispose con un suono gutturale impastato dal sonno. Con lo zaino in spalla, Isotta scese fra le strade innevate.

Aveva nevicato tutta la notte e Londra aveva assunto una connotazione da locandina natalizia: i negozianti avevano decorato porte e vetrine con festoni, palline luccicanti, luminarie e vischi e gli scaffali delle pasticcerie pullulavano di pudding e casette di marzapane; da ogni porta uscivano le note di una carola o della voce di Michael Bublè o Mariah Carey. A causa della nevicata improvvisa, non tutte le strade erano pulite, a quell'ora. Isotta aveva deciso di non prendere l'autobus – con cui aveva imparato a destreggiarsi – per assaporare la dolce atmosfera festiva sotto la neve, dopo anni in cui l'unico freddo benvenuto era stato quello della bora.

La magia durò ben poco. Il trench non era abbastanza pesante e la neve britannica non era certo delicata come quella sporadica di Trieste. L'aria le pungeva la pelle del viso, le ciocche si inumidirono e porzioni semisciolte di neve entrarono negli anfibi, bagnandole i calzini. Affondò le mani inguantate nelle tasche e fece un altro giro alla sciarpa, ma accelerò il passo quando i denti iniziarono a tremare.

Raggiunse la libreria con il solo desiderio di un po' di calore. Abbassò la maniglia, ma la porta a vetri, ancora crepata, non si aprì.

«Ma che?».

Il cartellino diceva "chiuso", ma non c'erano altre indicazioni. Isotta studiò gli orari, ma non trovò alcuna variazione. Avrebbero dovuto aprire entro una ventina di minuti, ma il signor Fell le lasciava sempre la porta aperta.

Isotta si avviò verso il retro, controllando il cellulare per assicurarsi di non aver perso chiamate o messaggi dal signor Fell, ma non c'era nulla. Superò un piccolo bar a tema anni Sessanta, salì la scaletta e bussò alla porta. Gemette a causa delle nocche indolenzite dal freddo.

«Signor Fell?» batté un altro colpetto. Dalla bocca uscì una nube grigiastra. «Sono Isotta!»

Passi pesanti si avvicinarono e Isotta sospirò sollevata. La chiave girò tre volte e il volto mesto del signor Fell sbucò oltre l'uscio.

«Cara, perdonami, avrei dovuto chiamarti ma mi sono... » s'interruppe quando posò lo sguardo su Isotta. Lei inclinò la testa, interrogativa, e il signor Fell le mise una mano sulla spalla, trascinandola nel retrobottega.

«Vieni dentro, per l'amor di Dio. Stai congelando.»

Non se lo fece ripetere. Si pulì in fretta gli anfibi sullo zerbino e il signor Fell la fece sedere davanti alla stufa. Isotta non l'aveva mai vista accesa, il signor Fell diceva che avrebbe potuto alterare la temperatura e rovinare i libri e infatti le porte erano chiuse. Si tolse i guanti, avvicinò le mani a coppa sul viso e vi alitò sopra, poi le strofinò davanti al fuoco. Sul tavolo c'era la sua copia di "Via dalla pazza folla", con l'angolo piegato.

«Sei venuta a piedi?» le chiese mentre armeggiava con il bollitore.

«Sì» rispose. «Volevo vedere la neve. Non è stata una buona idea».

«No» disse perentorio. «Per niente. Hai la faccia tutta rossa. Ti preparo qualcosa di caldo.»

«Ma non serve, signor Fell. Sono solo un po' infreddolita, non sto morendo assiderata. E poi apriamo tra poco.»

Lui prese comunque una bustina di camomilla dalla credenza. «Non credo aprirò, oggi. Scusami, avrei dovuto telefonarti, ma mi è passato di mente.»

«Deve vedere un cliente?» chiese Isotta. «È meglio che tra un po' vada, allora.»

«No» rispose. «Non... non devo vedere nessuno. Resta pure, almeno finché non smette di nevicare.»

Preparò due tazze e afferrò il trench che Isotta aveva appoggiato sullo schienale della sedia per appenderlo all'attaccapanni. Prese posto accanto a lei, stringendosi nelle spalle. A differenza degli altri giorni non indossava il cappotto, né il farfallino di tartan, e il gilet era abbottonato solo a metà. Al fuoco baluginarono i primi segni della barba bionda che Isotta non gli aveva mai visto sul volto.

«Hai i vestiti bagnati?» le domandò, senza guardarla. «Se hai bisogno, dovrei avere qualcosa di mia cugina, ma ti starà un po' grande.»

«La ringrazio, signor Fell, ma non è necessario. Sono a posto.»

«E i calzini? Hai le scarpe tutte bagnate.»

Isotta inclinò il piede e lo trovò intorpidito a causa della neve sciolta negli anfibi. «Credo sia entrata della neve, ma non è nulla di che.»

Il signor Fell sospirò alzandosi. «Avanti, lascia che ti aiuti. Metti tutto accanto alla stufa.»

Prima che Isotta potesse ribattere, lui sparì verso le scale. Si slacciò gli anfibi, versò l'acqua rimasta nel lavandino e mise i calzini fradici accanto alla stufa. Si massaggiò i piedi trovandoli gelati e passò un dito sulla lunga cicatrice rosa sul piede sinistro.

Il signor Fell tornò con un piccolo asciugamano e un paio di calzini puliti da ragazza, comunque un po' grandi per lei. Ringraziò a testa bassa nascondendo i piedi sotto la sedia e se li asciugò guardando dall'altra parte.

«Ti sei tagliata?»

Isotta non smise di strofinare con l'asciugamano. «Questa? No, è vecchiotta. Mi sono tagliata con un vetro in spiaggia, due anni fa.» Si infilò i calzini asciutti.

Il bollitore fischiò e il signor Fell iniziò a preparare le tazze. «Un vetro?»

«Un pezzo di bottiglia rotta. Non ho avuto grandi problemi, mi ero vaccinata contro il tetano e tutto il resto. Ma a questo punto non credo andrà via.»

Il signor Fell si sedette accanto a lei con due tazze. «Su, bevi.»

«Grazie mille, signor Fell.»

«Ho visto che ne hai anche una sul braccio.»

«Questa, dice?» srotolò la manica destra. «Ah, questa sì che mi ha dato problemi. Mi sono rotta il braccio a tennis e mi hanno dovuta operare perché era scomposta. Un disastro con frammenti ovunque.»

Il signor Fell fece una smorfia. «Immagino sia stato doloroso.»

«Sono svenuta per il dolore» disse atona e lui sgranò gli occhi un istante. «Non ricordo granché, però. Ah! Una cosa.»

Si chinò e frugò nello zainetto vicino alla stufa. Sorrise raggiante mostrando la scatola degli amaretti al signor Fell. «Ho i biscotti!»

Il signor Fell la osservò con la tazza inclinata verso il labbro. Sbatté le palpebre più volte prima di parlare. «Li hai fatti tu?»

Isotta annuì. «In realtà era la prima volta che facevo gli amaretti. A mio zio sono piaciuti.»

Sorridendo, il signor Fell scosse la testa. «Cara, non c'era bisogno, sul serio.»

«Ne ho fatti anche troppi, qualcuno dovrà pur mangiarli.»

Non dovette insistere a lungo. Il signor Fell guardava la scatola con avidità, oltre la colonna di fumo emanata dal tè. Annusò in fretta il primo biscotto che prese. «Mandorle?»

«Mh-mh.» Isotta mandò giù due biscotti insieme. «Me le ha date la moglie del proprietario dell'alimentari italiano vicino a casa mia.»

«Sono ottimi» disse. «Sei davvero brava. Da quanto cucini?»

«Da tanti anni, in realtà. È stata mia nonna a insegnarmi.»

Mangiarono in silenzio accanto al confortevole calore della stufa. Il signor Fell metteva in bocca un amaretto dopo l'altro e chiacchierò del più e del meno di un cliente di avrebbe dovuto vedere qualche giorno dopo, uno studioso dal Galles che allevava barbagianni nel tempo libero. Fuori la neve scemò, ma non le chiese di andarsene. Quando finì il suo tè smise di parlare per un istante, poi riprese incrociando le braccia.

«Ti ho turbata, ieri?»

Isotta ritrasse la mano dalla scatola. In un certo senso, aveva sperato che il tema degli avvenimenti del giorno prima non venisse a galla e che potesse tornare a lavorare come se niente fosse successo, con il solo tempo a rattoppare ciò che era accaduto. Al tempo stesso, però, sapeva che sarebbe stato inevitabile. Il signor Fell probabilmente voleva chiarire, soprattutto dopo averla cacciata, pensò Isotta. Si limitò ad abbassare lo sguardo.

«Mi dispiace» continuò. «Era quello il motivo per cui ti ho chiesto di restare di sopra.»

Isotta si strinse le braccia. «Quindi non è la prima volta?»

«No.»

«Ma non era quello di cui stavate parlando, no?»

Il signor Fell scosse la testa. «La situazione è un po' complicata. Il fatto che io sia... omosessuale» il modo in cui disse quella parola, sussurrato con vergogna, fu come un pugno nel petto. «C'entra in parte con tutti i nostri contrasti.»

«Non credo di capire.»

Il signor Fell giocherellò con un biscotto. Si passò una mano sul collo e guardò dalla parte della stufa, si alzò e inserì un ciocco di legno per ravvivare il fuoco. Tamburellò le dita sulla superficie di marmo del piano cucina e si girò di sbieco.

Isotta fece qualche passo verso di lui. «Signor Fell?»

«Ti andrebbe un bicchiere di vino?»

Isotta inarcò un sopracciglio, ma fece spallucce. «Giusto un goccio. Il più leggero che ha, per favore.»

«Dovrei poterti accontentare» si diresse verso la piccola dispensa e Isotta lo seguì. Frugò in una credenza ricolma di bottiglie facendo tintinnare il vetro. «Hai preferenze?»

«Lascio a lei, non so niente di vini.»

Ripresero posto al tavolo, uno di fronte all'altra. Isotta lo fermò quando il suo bicchiere si riempì di un terzo. Fece ondeggiare il vino osservando le bollicine che salivano verso l'alto e aspettò che il signor Fell riprese la parola.

«Ne ho parlato un po' con tuo zio e forse sei a conoscenza del fatto che la mia famiglia possiede un'azienda.»

«Sì, moda da uomo. Me lo ha accennato.»

«A differenza dei miei fratelli, da giovane ho sempre mantenuto le distanze. Sai, quello della moda è un mondo molto meno idilliaco di quanto si possa pensare, come buona parte dei settori, del resto. Non è tutto seta e bei disegni e sfilate ai convegni newyorkesi. Iniziai a studiare letteratura e restauro, ma i miei genitori e mio zio mi costrinsero a mollare e finii a Westminster a studiare business.»

«In che senso la costrinsero?»

«Probabilmente sai quanto costa l'università qui. Lavoricchiavo, avevo dei risparmi, ma non mi avrebbero mai permesso di raggiungere la laurea senza aiuti.»

Il vino quasi le andò di traverso. «Ma è orribile, l'hanno praticamente ricattata!». Pensò al Natale della terza media, anni prima, quando suo padre le disse senza giri di parole che il liceo classico, nello stesso istituto dove Ilenia ancora studiava, non l'avrebbe visto nemmeno da lontano.

Il signor Fell alzò le spalle. «Non è stato così male. Avevo buoni voti, un interesse limitato e comunque un po' di tempo per studiare per conto mio. Avrai notato come io conduca una vita piuttosto solitaria.»

«Quindi non ha sempre lavorato in libreria?»

«No, a parte qualche impiego sporadico per avere dei soldi da parte.»

«Ma perché non ha chiesto un prestito? Mi pare che molti studenti lo facciano e che possano restituirlo anche dopo un po' di tempo.»

«L'idea di indebitarmi e di restare solo mi intimidiva, ma ci sarei uscito senza troppi problemi. Non era soltanto una questione di soldi, ovviamente. » Fece una pausa e sorseggiò del vino. «Durante i miei primi studi la mia famiglia aveva iniziato a prendere le distanze. Mi parlavano poco, erano molto freddi e solo mio padre e mio zio continuavano ad avere un minimo di riguardo, ma a un certo punto la situazione era diventata insopportabile.»

«Ma perché? Aveva solo interessi diversi, perché volevano trascinarla a forza con loro?»

«Perché le cose erano sempre andate così. Anche la famiglia di mia madre è composta da imprenditori, tutti che trasmettono il mestiere ai figli. Sarei stata una pecora nera, Isotta, e purtroppo non avevo il coraggio di ribellarmi.» Si lasciò andare sulla sedia. «Sono sempre stato il bambino "strano" della famiglia. Ero riservato, poco incline al gioco, molto silenzioso. Non sapevo cosa sarei stato in grado di combinare da solo.»

«E quando ha iniziato a lavorare le cose sono migliorate?»

Il signor Fell schioccò la lingua. «Sì e no. Oltre a gestire l'azienda ci occupavamo anche dei prodotti in maniera diretta, mio zio in primis, che gestisce un'altra azienda tessile. Nostro padre ci aveva insegnato a disegnare. Non mi dispiaceva, in realtà, mi divertivo ed ero abbastanza bravo, anche se non come i miei fratelli. In generale ero un lavoratore discreto, senza particolari doti e perfettamente sostituibile. I miei fratelli non apprezzavano mai i miei bozzetti, mio padre li guardava e annuiva, mio zio ne andava matto, ma non aveva mai l'ultima parola.»

«E non è mai riuscito a farli passare?»

«Solo qualcuno e mai senza modifiche. C'è da dire che non era il mio campo. Nel tempo libero disegnavo abiti da donna, eleganti, da sera, per svagarmi ogni tanto lo faccio ancora. Quelli sì che piacevano a mio padre, ma l'azienda non aveva mai prodotto moda femminile. Mio padre era un uomo prudente e preferiva non giocare mai troppo sulle incertezze. Ai miei fratelli non li ho mai mostrati.»

«E per quanto ha lavorato con loro?»

«Nove anni, più o meno.» Si versò dell'altro vino. Le mani gli tremavano appena. «Fu negli ultimi mesi che iniziarono i problemi. Era da poco arrivato un ragazzo appena laureato, un tipetto aitante e talentuoso. Si chiamava Oscar.»

Isotta mandò giù le ultime gocce di vino. Aveva iniziato a respirare più pesantemente.

«Aveva qualche anno in meno di me e amava la letteratura. Facemmo amicizia, conobbi qualche suo amico e un giorno, per caso, lo vidi uscire da un noto locale gay» s'interruppe, abbassò lo sguardo e si passò le dita della mano libera sulle guance rosse. «Scusa, è un po' imbarazzante da raccontare.»

Isotta appoggiò il mento sulla mano. «Non ci vedo nulla di imbarazzante.»

«Ero un uomo di più di trent'anni che si era rimbambito per un ragazzo più giovane. E lui lo aveva capito: quando eravamo soli si divertiva a stuzzicarmi, ad abbracciarmi, a darmi colpetti e carezze. Io ero certo lo facesse per gioco, ma quando c'era lui in mezzo io perdevo la testa.» Il rossore sul suo viso si fece più intenso e allungò la mano verso la bottiglia, ma Isotta la allontanò.

«Credo stia bevendo troppo, signor Fell» incrociò le braccia davanti al petto. «Vada avanti, io non la giudico.»

Non avrebbe nemmeno potuto. Si vedeva in quella storia, anche se solo in parte, vedeva tutte le sere in cui la mano di Ilenia sulle sue spalle, mentre la coccolava, le aveva procurato un piacere straniero, tutte le volte in cui aveva distolto lo sguardo dai suoi top colorati e tutti i modi con cui aveva cercato di nascondersi per una paura più profonda di quella per un semplice rifiuto. Forse, dirglielo lo avrebbe fatto sentire meglio, ma prima voleva che finisse. Se non l'aveva mai raccontata a nessuno, forse farlo lo stava liberando da un peso, come quello che lei, la sera prima, aveva dissolto nella discussione con suo zio e come tutti quelli che aveva racontanto alla dottoressa Grieco. Doveva lasciargli il suo spazio nel discorso.

Il signor Fell boccheggiò con gli occhi ancora puntati sulla bottiglia. «Ah, sì, scusa.» Si schiarì la gola. «Non so bene perché, ma una sera, mentre discutevamo di una poesia di John Donne a casa sua, mi disse che mi amava. Io ero – io ero scioccato. Non so come dirtelo, ma per qualche istante non ci credei nemmeno, pensai fosse brillo a causa dei drink, e invece era serio. Ero felice, ma al tempo stesso avevo una paura immane che la mia famiglia lo scoprisse, quindi misi subito le cose in chiaro con lui.»

«E a lui non stava bene» disse Isotta, sicura.

Il signor Fell scosse la testa. «No, ma inizialmente accettò la situazione. Sembravamo dei clandestini, ma tutto filava liscio.»

«Da come lo racconta, non credo durò molto.»

«Poco più di sei mesi. Avevamo già avuto alcuni contrasti, ma, in poche parole, la cosa che più gli dava fastidio era il fatto che fossimo degli amanti segreti. Tenerlo a bada era diventato sempre più difficile, ma, in generale, non eravamo adatti. Lui era uno che preferiva andare veloce, vedeva la nostra relazione come qualcosa di già consolidato, mentre io avevo bisogno di tempo.» Giunse la mani davanti alla bocca e chiuse gli occhi. «Probabilmente non avremmo nemmeno dovuto cominciare, ma ero troppo contento per rendermi conto degli errori che commettevo.»

Sospirò e appoggiò il bicchiere sul tavolo. Mano a mano che parlava il suo sguardo era passato da Isotta al muro. «Una sera, durante una cena di lavoro, mi baciò davanti a tutti, senza preavviso.» Si girò dall'altra parte e si tamponò gli occhi con la manica della camicia. Isotta sentì gli occhi pizzicare, ma resistette con dei respiri profondi. «C'era tutta la mia famiglia, oh Cristo, non ricordo un momento più umiliante in tutta la mia vita. Gabriel fu il primo a parlare –a sbraitare. Io scappai fuori, mi sentivo come se qualcuno mi stesse soffocando. Oscar mi seguì e la prima cosa che feci fu tirargli un pugno. Da lì potevo sentire tutto quello che dicevano... » si allargò il colletto con due dita, mentre il pomo d'Adamo faceva su e giù con velocità.

Isotta si alzò e lo affiancò, si tormentò le dita e trattenne i piccoli singhiozzi che lottavano per salirle in gola. «Signor Fell, mi dispiace, mi dispiace moltissimo.» Non sapeva che altro dire, non osò allungare la mano per sfiorargli la spalla.

Il signor Fell si asciugò il viso con un fazzoletto di stoffa ricamato che teneva nella tasca dei pantaloni. Si sedette composto sulla sedia, si abbottonò il gilet, sistemò il colletto della camicia e il ciuffo biondo sopra la fronte. «È tutto a posto, cara, ormai sono passati due anni.» Giunse la mani in grembo e parlò all'aria. «Inutile dire che lo lasciai. Non l'ho più sentito da quel giorno. Mi licenziai senza presentarmi in azienda. E adesso sono qui» tagliò corto. «Non ho mai cercato di ammorbidire i rapporti, volevo staccare del tutto, avevo abbastanza soldi e competenze per vivere senza il loro appoggio. Ci scambiavamo giusto una telefonata ogni tanto. Un po' di tempo fa, però, hanno cercato di riallacciare con più solidità e si sono fatti stranamente gentili. E ieri ho capito perché.»

«Vogliono che lei torni da loro?»

«Sì, ma non ho chiesto loro il motivo. Sembrano disperati, ma non vogliono spiegarsi chiaramente.»

«Non chiuderà la libreria, vero?»

Il signor Fell la guardò a occhi sbarrati. «Signore Iddio, no! Non la venderei nemmeno al rettore di Oxford!»

Isotta ridacchiò compiaciuta. Quella bolla che odorava di tè era salva. Finché c'era, i fratelli del signor Fell avrebbero potuto fare ben poco. Lei avrebbe continuato a lavorare.

Il signor Fell sorrise e prese la minuscola mano di Isotta fra le sue. Lei trasalì sorpresa, ma non la ritrasse. Le mani del signor Fell, in confronto alle sue, erano enormi, lisce e bollenti. «Grazie per avermi ascoltato» disse. «Non sapevo di averne bisogno.»

Isotta strinse con dolcezza la mano sotto alla sua. «Sono contenta le sia stato d'aiuto.»

«Mi lasci bere un goccio, ora, "principessa"?»

Isotta gettò la testa all'indietro. «No, la prego, anche lei no!»

Risero e il signor Fell si riempì di nuovo il bicchiere. «Trovo sia davvero carino. Come mai tuo zio ti chiama così?»

«Viene da un film che mi piace, si chiama "La vita è bella", il protagonista chiama sua moglie principessa. Poi con tutte le gite che io e Ilenia facevamo al castello gli è venuta questa cosa di chiamarmi in quel modo.»

«A proposito di Ilenia» sorseggiò del vino. «Sai che non c'è più bisogno che ti nasconda vero?»

Isotta s'irrigidì sulla sedia, un forte calore le pervase le guance. «Scusi?»

«Forse ho frainteso, ma non credere mi sia sfuggito il modo con cui ti sei corretta, a St James's Park.»

Sorrise con dolcezza. Isotta si coprì bocca e gote con la mano, guardando verso il basso. Il suo amore per Ilenia era un fatto così segreto, così privato, che farsi smascherare la faceva sentire mezza nuda.

«È interessante il pavimento?» scherzò il signor Fell.

«Mh-mh» Isotta tolse la mano dal viso, cercò di parlare, ma uscì soltanto una risata strozzata. «Oh, andiamo, ma- è davvero così evidente?»

«Sommando tutti i fattori, diciamo che la probabilità era buona.»

«Ha visto il segnalibro, vero?»

Annuì. «Scusami, non avrei dovuto. L'ho fatto senza pensarci.»

«No, no, non importa.»

Il signor Fell si alzò per prendere dell'acqua. Nonostante il gelo di prima, Isotta si sentiva in fiamme e scolò in fretta il bicchiere, ancora con un appena percettibile retrogusto di vino. Il signor Fell la guardava divertito.

«Non rida.»

«Tranquilla, cara, non ti prendo in giro» si posizionò più comodo sulla sedia. «Avanti, raccontami qualcosa. Adesso sono curioso.»

«Su che cosa?»

«Sulla tua ragazza» sentirlo dire da un'altra bocca aveva un effetto così liberatorio. «Qualcosa di bello.»

Isotta boccheggiò e scacciò la repentina immagine di Ilenia in bikini, sulla spiaggia, con la pelle abbronzata in pieno contrasto col tessuto bianco, i lunghi capelli neri appiccicati alla schiena. Era lì che aveva capito, quel due giugno dell'anno prima, che la amava di quell'amore incerto e timido tipico dei ragazzi.

«Non le ho mentito quando le ho detto che è la mia migliore amica. Lo era prima di essere la mia ragazza.»

«Sei andata sul sicuro, insomma.»

«Non proprio, in realtà. Può capire perché.»

«Da quanto dura?»

«Poco più di un anno.»

«E come ve la cavate?»

Isotta fece spallucce. Non avevano più fatto videochiamate dalla sera prima del tennis. In realtà, non le aveva nemmeno detto che non sarebbe tornata a Natale. «Così così, ma in un modo o nell'altro ci sentiamo tutti i giorni. Ogni tanto le spiego qualche argomento che non capisce, di letteratura o filosofia.»

«Lei studia ancora?»

«Sì, il suo è un percorso normale. Studia arte. È lei che ha fatto il segnalibro. Me lo ha dato il giorno in cui mi ha detto... che le piacevo.»

Il signor Fell sorrise con un sottile velo di malizia che non pensava gli avrebbe mai visto in volto. «Quindi è lei che ha fatto il primo passo.»

«Ovvio! Se avesse dovuto aspettare me avrebbe fatto prima a trovarsene un'altra» bevve ancora dell'acqua per calmare il suo tono agitato. «Io la guardavo e basta, non pensavo sarebbe mai uscito qualcosa, lei era addirittura stata con un ragazzo. Invece mi ha anche portato una rosa.»

«Le buone, vecchie rose vanno sempre.»

Isotta annuì, ma perse il suo entusiasmo quando pensò a tutti i mazzetti di fiori che era stata costretta a nascondere, o direttamente gettare, per non far insospettire suo padre. «Poi però abbiamo continuato con le conchiglie» disse. «D'inverno, quando c'è meno gente, ce ne sono di meravigliose.»

Il signor Fell sorrideva placido, come faceva quando ascoltava le sinfonie di Elgar, ma c'era un che di malinconico nel suo volto, Isotta lo leggeva nelle palpebre appena abbassate. Si chiese se, in fondo, non gli mancasse un compagno, nonostante la sua vita riservata.

«Forse non è il miglior momento per chiedertelo» drizzò la schiena. «Tuo padre lo sapeva?»

Isotta stava per scuotere la testa, ma spalancò gli occhi quando realizzò. «Lei sa?»

Il signor Fell annuì piano. «Non nel dettaglio, ma tuo zio è... un gran chiacchierone, diciamo.»

Isotta schioccò la lingua. «Sì, sì, lo so.» Non provava un vero e proprio fastidio. Certo, avrebbe preferito che suo zio fosse stato zitto, ma, in un certo senso, il signor Fell sapeva abbastanza della sua situazione per avere dei sospetti. Non gli aveva mai detto un motivo, neppure falso, per la sua presenza lì.

«Mi dispiace per ciò che ti è successo» le disse, sporgendosi verso di lei.

«Ormai è passato quasi un anno» rispose Isotta. «L'ho superato, più o meno. La casa-famiglia mi ha dato l'aiuto di cui avevo bisogno, almeno all'inizio.»

«Avevi anche tuo zio.»

«No, all'inizio è stato un disastro fra di noi.» Giocherellò con il bicchiere, in cui erano rimaste solo poche gocce trasparenti. «Lui non ha mai saputo, comunque. Onestamente non so come avrebbe reagito, ma ho sempre preferito tenergli nascosto il fatto di Ilenia. Alla fine non l'ha mai saputo.»

«E tuo zio? Lo sa?»

«Diciamo che lo ha scoperto da solo. Ilenia era molto» gesticolò con le mani. «Espansiva. E poi a lui piacciono gli uomini, quindi va tutto liscio.»

Il signor Fell sbatté le palpebre, un po' sorpreso, poi sorrise con dolcezza. «Lui ti ama molto.»

Isotta guardò il tavolo, massaggiandosi la tempia con un dito. «Sì. Non è sempre andata bene, ma piano piano ci siamo trovati. Può apparire un po' strambo, di primo acchito, ma in realtà è molto buono, anche se non ama glielo si dica.»

Il signor Fell aggrottò la fronte. «Non credo tuo zio sia "strambo", Isotta.»

Lei fece una risatina nasale. «Perché non ha vissuto un giorno insieme a lui. Ha presente i suoi "metodi particolari ed efficaci" per la cura delle piante? Consistono nell'urlare loro contro.»

Lui strinse gli occhi. «Come?»

«La prima volta che lo ha fatto a Trieste ho dovuto implorare i vicini perché non chiamassero nessuno. Lui dice che funziona e in realtà non posso dirgli niente, perché sono sane e rigogliose. Probabilmente anche spaventate.»

Risero e Isotta accettò un altro piccolo sorso di vino, finché l'orologio al muro non segnò le undici e mezza. Fuori la neve copriva ancora strade e marciapiedi, ma un debole sole aveva fatto capolino nel cielo biancastro.

«È quasi ora di pranzo» disse il signor Fell. Si alzò dalla sedia e chiuse la bottiglia di vino. «Ti va di aprire, dopo mangiato?»

Isotta annuì in fretta e saltò giù dalla sedia. Nel farlo, sfiorò lo zainetto. «Ah, una cosa!».

Si chinò e aprì la tasca sul retro, estraendo le settanta sterline ancora un po' maleodoranti, nonostante ci avesse spruzzato sopra un goccio di aroma. Le porse al signor Fell. «Sono da parte del signor Shadwell.»

Il signor Fell la guardò stranito. «Dal signor Shadwell?»

«Mh-mh. Me le ha date ieri.»

Il signor Fell accettò i soldi e se li rigirò tra le mani. «Gli ho sempre detto che non c'era bisogno di ridarmeli. Non che mi aspettassi altro, sinceramente.»

Isotta fece spallucce. «Più che altro, come mai li chiede a lei?»

«È una questione abbastanza recente» rispose. «Un po' di mesi fa andai a casa di Madame Tracy per venderle un piccolo libro di divinazione. Mi offrì del tè, rimanemmo un po' a chiacchierare e a un certo punto lui iniziò a battere come un matto alla porta.» Mise le banconote nel portafoglio. «Da quel che ho capito, Madame Tracy è solita preparargli la cena. Lo invitò a sedere, ci lasciò soli un attimo per preparargli il tè e lui mi pose qualche domanda strane su alcune mie... caratteristiche corporee.» Isotta soffocò a stento un risolino. «In breve, capì presto che avevo un portafoglio discreto. Da lì è partito tutto.»

Isotta uscì con lui dal retrobottega. «Mi sembrava strano che frequentasse la libreria, per l'appunto.»

Il signor Fell le sfiorò la spalla. «Penso che entrerebbe qui solo scambiandolo per il negozio nel retro.»

Aprirono le serrande delle finestre e Isotta spolverò con rapidità gli scaffali, mentre il signor Fell sistemava gli ultimi arrivi.

«È arrivato tutto?» gli chiese.

«Quasi» rispose lui. «Non ho ancora visto i manoscritti. Spero solo non siano andati perduti nel tragitto, a questo punto.» Si passò la mano sulle guance. «Salgo un attimo a radermi, cara. Che ne dici del sushi, per pranzo? Conosco un fantastico ristorante giapponese che consegna a domicilio.»

Isotta alzò entrambi i pollici e il signor Fell salì di sopra. Quando finì di spolverare i ripiani, riprese il romanzo di Thomas Hardy si sdraiò sul divanetto davanti al tavolino, dove ancora si trovava la preziosa copia del "Paradiso Perduto" che il signor Fell stava leggendo, la prima edizione stampata con le illustrazioni di Gustave Doré. Isotta recuperò il punto che aveva lasciato in sospeso, trovando, in mezzo alla pagina, un fogliettino giallo con una freccetta che indicava la penultima riga della pagina, con una piccola spiegazione nella delicata grafia del signor Fell.

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Good Omens / Vai alla pagina dell'autore: Fran Truth