Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ode To Joy    03/06/2021    1 recensioni
[Erwin x Levi]
[Kenny x Uri] [Jean x Eren]
”L’Umanità si divide in due categorie: quelli che vogliono cambiare il mondo e quelli con il potere di farlo.”
Paradis, 850.
Il Muro Maria è stato riconquistato ma a caro prezzo: solo otto soldati hanno fatto ritorno da Shiganshina.
Levi ed Eren non sono tra loro.
Erwin è sopravvissuto a costo della sua umanità e non si ritiene più degno di guidare le Ali della Libertà.
Marley.
Prigioniero sotto la custodia di Zeke Jeager, Levi cerca di tenere in vita se stesso ed Eren con la certezza che Erwin sia morto e che nessuno stia venendo a salvarli. Manipolare il fratello minore per renderlo suo complice, però, è solo una parte del piano di Zeke.
“Ora hai sia la volontà che il potere. Smettila di piangerti addosso, vinci questa guerra e riprenditi ciò che è tuo.”
Mytras, 819.
Catturato dopo aver cercato di uccidere il re, a Kenny Ackerman viene risparmiata la vita e promessa la libertà in cambio di qualcosa che lo legherà a doppio filo al principe Uri Reiss.
[Canon-Divergence] [Omegaverse]
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Erwin Smith, Jean Kirshtein, Kenny Ackerman, Levi Ackerman
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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9
Zeke




 

Suo padre aveva pianto quando era nato.

Glielo aveva raccontato sua madre per rassicurarlo sulla natura del suo amore.

Non era riuscito a crederle.

“Tuo padre è duro con te perché ti ama.”

Per quanto tempo si era aggrappato a quelle parole senza comprenderne la crudeltà?

Non era adatto a essere un soldato.

Ma combattere era il motivo per cui i suoi genitori lo avevano messo al mondo.

Non per amore, ma per la guerra.

E non gli restava che vincerla a ogni costo.



 

A ogni costo.



 

Zeke Jeager non aveva mai avuto una famiglia.

Sua madre lo aveva cresciuto nel suo grembo e lo aveva allattato al seno quando era venuto al mondo. Suo padre lo aveva tenuto in braccio con un orgoglio - o almeno così gli avevano raccontato - felice di poter stringere l’incarnazione di tutte le sue speranze.

Speranza.

Sì, Zeke non dubitava che i suoi genitori avessero visto questo il giorno in cui era venuto al mondo. Era stato il loro primo passo verso il futuro radioso che avevano intenzione di costruire: un piccolo principe dai capelli biondi per la nuova Era di Eldia.

Speranza.

Zeke non era mai stato un figlio, solo il protagonista perfetto per la bella storia di libertà che suo padre avrebbe voluto scrivere. E sua madre, così devota al suo ruolo di moglie, si era nutrita dell’affetto dell’uomo che amava giustificando le lacrime del suo unico figlio con un ti vogliamo bene, per questo ti facciamo del male.

Quella era la sola eredità che gli era rimasta dei suoi genitori. A tutte le loro mancanze non avevano sopperito i nonni che lo aveva accolto in casa loro, ma lo aveva fatto un uomo tanto sconfitto dalla vita che non sapeva più che farsene.

Tom Ksavier era già un cadavere ambulante il giorno in cui si erano incontrati per la prima volta. 

Alla fine della storia, Zeke era divenuto un patricida due volte e questo lo aveva reso un Guerriero di Marley, l’erede del Titano Bestia.

Sulla strada del tradimento, Zeke era divenuto quel che Grisha aveva desiderato, concedendo al signor Ksavier la pace che si era meritato.

E così era vissuto dal giorno della sua trasformazione: senza avere alcun desiderio di farlo.

Ma non aveva cercato la morte perché essa lo avrebbe accolto comunque prima dei suoi trent’anni. 

Quello che era nato per essere il Principe della Restaurazione, era divenuto una macchina da guerra dall’esistenza annichilita. 

Fino al giorno in cui gli avevano ordinato di dirigersi a Paradis e valutare la posizione dei giovani Guerrieri che lo avevano preceduto, dispersi da cinque anni.

Ed era allora che aveva scoperto un’altra verità che gli era stata strappata via. Era stato Reiner stesso a comunicargliela. “Il Fondatore è nelle mani di un ragazzo della Legione Esplorativa. È stato addestrato con noi. Il suo nome è Eren Jeager.”
Per la prima volta da sempre, Zeke aveva sentito il cuore saltare un battito. La noia di vivere era divenuta un ricordo e la necessità di avvicinare quel fanciullo di quindici anni - dieci meno di lui - era divenuta pressante.

Non aveva mai sofferto la solitudine, ma sapere di non essere solo al mondo l’aveva resa un macigno poggiato sopra il suo cuore.

Esisteva qualcuno con cui poter condividere la sua storia, un ragazzino che era stato tradito e abbandonato, che forse aspettava che qualcuno gli porgesse la mano per guidarlo nell’oscurità in cui Grisha Jeager lo aveva lasciato.

E Zeke aveva tutta intenzione di farlo.




 

Non lo aveva nemmeno sfiorato l’idea che il suo fratellino, Eren Jeager, non fosse smarrito nel buio come lo era lui.




 

-9 giorni dopo la battaglia di Shiganshina-



 

Zeke aveva impiegato poco più di una settimana per rendersi conto che Eren non era una battaglia semplice da vincere come si era augurato. Reiner gli aveva offerto tutti i dettagli del caso, preparandolo a quello che si sarebbe trovato ad affrontare.

Tuttavia, Eren lo faceva sentire senza più carte da giocare.

Gli aveva mostrato le foto della loro famiglia per spingerlo ad aprirsi spontaneamente.

Aveva ottenuto solo di farlo piangere e rendere più resistente il muro che aveva creato tra sé e lui. 

Zeke aveva capito solo una cosa del fratello minore, un dettaglio che era stato sottolineato a ripetizione dal dolore riflesso in quegli occhi dal colore impossibile: Eren era stato amato dal giorno in cui era nato. Dell’oscurità che aveva avvolto il cuore di Zeke fin dalla sua infanzia non c’era traccia. Il suo giovane cuore era macchiato dai peccati commessi dal genitore che avevano in comune, ma Eren soffriva per la morte dei suoi compagni e anche per il tradimento di Reiner, quando Zeke non era riuscito a versare una sola lacrima nemmeno per il signor Ksavier.

Ma non era il veleno che Eren gli sputava addosso a infastidirlo - era comprensibile che soffrisse per la morte di chi amava e che usasse la rabbia per sfogarlo. Non era nemmeno il modo in cui lo teneva a distanza, nonostante tutti gli sforzi di Zeke di farsi più vicino.

No, ciò che davvero gli dava i nervi - e non era un’emozione a cui era abituato - era l’abissale differenza nel modo in cui Eren si poneva con Reiner rispetto a lui.

Sì, erano cresciuti insieme.

Sì, avevano condiviso esperienze che avevano segnato entrambe le loro vite - e che avevano creato in Reiner un conflitto tale da fargli dimenticare chi fosse.

Eppure, Reiner aveva tradito Eren. Lo aveva ferito, si era guadagnato il suo odio e aveva fatto nascere in suo fratello il desiderio di ucciderlo e vendicare così la morte di sua madre.

Reiner era una delle due persone che aveva segnato la fine della sua infanzia nel modo più violento e brutale possibile, eppure Eren lo cercava. Chiedeva di lui quando si svegliava e trovava il fratello maggiore seduto accanto al suo letto.

Con Reiner urlava, si arrabbiava ed era spontaneo, sebbene distruttivo.

Se il Guerriero più giovane si era accorto di questa sua infantile gelosia, non aveva detto nulla a riguardo. Per quanto riguardava Eren, ogni volta che parlavano non mancava di ripetergli che non capiva tutto quell’interesse affettuoso nei suoi confronti.

E Zeke era il primo a non saperglielo spiegare.

L’ultima persona a cui si era affezionato era stato Tom Ksavier, e con la sua morte aveva ricevuto il battesimo del sangue. 

Ma Eren era un’altra cosa.

Cosa, Zeke non avrebbe saputo spiegarlo a parole. Il tuffo al cuore che aveva avvertito quando aveva saputo di avere un fratello, non era nulla in confronto all’emozione che aveva provato nel prenderlo tra le braccia per portarlo a Marley.

Quel fanciullo era tante cose per il mondo che li circondava, ma per lui era solo il suo fratellino perduto. Sì, anche se Zeke non era un esperto, sapeva che quello che aveva provato era felicità e l’affetto che era nato nel suo cuore senza sforzo lo aveva disorientato.

Era quello a impedirgli di provare risentimento per Eren, nonostante lui gliene buttasse addosso a tonnellate. Zeke avrebbe potuto essere in collera per la sua esistenza e provare invidia per quel padre che Eren sembrava aver avuto - sebbene lo avesse condannato a un’esistenza e una morte miserabili con la sua ultima azione - ma tutto quello che voleva era dargli una seconda possibilità in quel mondo completamente nuovo per lui.

Era bene che il Governo credesse che Zeke agisse solo negli interessi di Marley, ma la verità era che avrebbe fatto qualsiasi cosa per tenere Eren in vita, anche tradire il mondo in cui era cresciuto e per cui non provava alcun attaccamento.

Quell’emozione, per lui che aveva il cuore avvizzito fin da quando era bambino, era totalizzante. Lo era tanto che, nonostante Eren non sopportasse la sua presenza, non poteva fare a meno di stargli accanto.

Ogni notte aspettava che Reiner scendesse le scale della torre in cui suo fratello era rinchiuso, poi faceva il suo stesso percorso al contrario. Muoveva ogni passo con cautela, evitando di far rumore. 

Quando entrava nella camera, Eren era sempre addormentato su un fianco, una mano sotto il cuscino e l’altra accanto al viso. Le belle labbra erano dischiuse e la frangia di capelli castani gli copriva in parte gli occhi chiusi.

Attento a non disturbare il suo sonno, Zeke sedeva sull’unica poltrona presente nella stanza e lo guardava dormire tutta la notte. Alle volte, Eren dormiva tranquillo fino all’alba, altre si agitava senza svegliarsi. Qualche volta piangeva nel sonno e Zeke allungava una mano tra i suoi capelli per consolarlo.

Gli piaceva guardarlo, cercare su quel giovane viso qualche dettaglio che gli ricordasse il proprio. Non ne aveva ancora trovato nessuno: Zeke sapeva di essere il ritratto di Grisha Jeager con i colori tipici della famiglia Fritz. 

Eren era tutto un altro tipo di capolavoro. Il suo viso era armonioso, come se un artista abile lo avesse disegnato a mano. Il naso era piccolo, la bocca carnosa quanto bastava. Gli occhi grandi erano chiusi, ma Zeke non perdeva occasione di studiare il loro colore quando era sveglio. Da bambino, era solito fare lo stesso con quelli di suo padre.

Non era mai riuscito a dare un nome a tutte le loro sfumature, ma non era mai riuscito a scorgere la bellezza sul viso di suo padre.

Eren, invece, era bellissimo.

Era un bene che non fosse nato a Marley o un Omega col suo aspetto sarebbe stato pericoloso. Reiner gli aveva raccontato dei loro anni da cadetti, di come Eren aveva attirato molti sguardi e spaccato diversi nasi per liberarsi da attenzioni non richieste.

Zeke si chiedeva se a qualcuno di quegli sguardi aveva risposto con un sorriso, ma a Reiner non avrebbe mai posto una domanda del genere. 

Eren si stiracchiò nel sonno e si distese sulla schiena, col viso rivolto verso di lui.

Zeke lo osservò come se non lo avesse fatto per tutte le notti che avevano succeduto la battaglia di Shiganshina. Attraverso i lineamenti di suo fratello provò a indovinare l’aspetto di sua madre, Carla Jeager. Eren stesso gli aveva detto che le somigliava.

Che fosse molto bella era fuor di ogni dubbio, ma a Zeke sarebbe piaciuto sapere che tipo di donna era, come aveva conosciuto suo padre e cosa lo aveva spinto a sposarla. Era certo che Eren avrebbe saputo dare risposta alla sua curiosità, ma Zeke era anche sicuro che non ne avrebbe avuto alcuna voglia.

Voltò lo sguardo verso la finestra: riusciva a vedere chiaramente la luna e le stelle, l’indomani sarebbe stata una bella giornata di sole. Forse avrebbe potuto concedere a Eren di uscire un po’ da quella torre e vedere da vicino il mare.

Reiner gli aveva raccontato di come l’Eren bambino aveva sognato di raggiungerlo insieme ai suoi amici. Zeke poteva renderlo realtà almeno in parte. Forse avrebbe reso più pungente il dolore che gli stringeva il cuore, ma sarebbe stato un buon primo assaggio della libertà che essere un Guerriero di Marley gli avrebbe offerto.

Decise che ne avrebbe parlato con Reiner.

Al sorgere del sole, Zeke si alzò in piedi e si liberò della giacca della divisa. La ripiegò con cura e l’appoggiò sulla poltrona: se in spiaggia ci fosse stato troppo vento, Eren avrebbe saputo come coprirsi.

Se ne andò non appena il primo raggio di sole penetrò tra le sbarre della finestra.


 

 

Non era un suo sogno, Zeke lo comprese immediatamente.

L’ultima volta in cui aveva visto tanti libri tutti insieme era stato nella casa della sua infanzia, nella camera segreta in cui suo padre nascondeva tutta la conoscenza scritta che il popolo di Marley aveva nascosto alla sua gente. Nemmeno nello studio del signor Ksavier - che sarebbe dovuto essere un uomo di scienza prima di un soldato - aveva trovato tanti volumi.

Marley finanziava ricerche scientifiche che avevano come soggetto i Titani, ma non era nel loro interesse renderle pubbliche o condividerle con altri stati.

Tuttavia, quel luogo - ovunque fosse - non si trovava a Marley.

Levi sedeva su di un tappeto, la sua schiena appoggiata a una poltrona di pelle lisa ma dall’aspetto comodo. Il caminetto era acceso, unica fonte di luce della stanza. L’aria era calda ma in modo piacevole, non era consumata. 

L’odore di carta mischiato a quello della legna che ardeva contribuiva a rendere l’atmosfera più piacevole. 

Di fronte al Capitano, il Comandante Erwin Smith sedeva in modo composto - sebbene anche lui avesse preferito il tappeto alla poltrona - e guardava il fuoco scoppiettare nel caminetto con sguardo stanco ma sereno.

“Vado un attimo in cucina.”

Levi annuì appena, per fargli capire che lo aveva sentito.

Erwin gli strinse il ginocchio per un istante e si alzò. Scomparve fuori dalla stanza per meno di cinque minuti. Quando tornò, aveva due mele rosse tra le mani.

“Vuoi?” Offrì al giovane uomo dai capelli corvini, sedendosi di nuovo di fronte al fuoco.

Per la prima volta dall’inizio di quel sogno - che non era veramente un sogno - Levi sollevò lo sguardo dal suo libro e fissò la mela rossa come se fosse ipnotizzato.

Erwin si accorse che c’era qualcosa di strano e aggrottò la fronte. “Tutto bene?” 

“Un patto col Diavolo…” Mormorò.

Erwin sbatté le palpebre un paio di volte, poi appoggiò entrambe le mele sul tappeto e annuì. “Stai leggendo la storia di Ymir,” dedusse. “Non la conoscevi?”

“La conoscono tutti,” rispose Levi, poggiando il libro aperto vicino ai frutti rossi. “Ma nessuno me l’ha mai raccontata con questi dettagli.” Aggiunse, tamburellando l’indice sull’illustrazione. “Strano che tu mi offra una mela sapendo che è il simbolo del patto col Diavolo.”

“Allegoria popolare,” si difese Erwin con un sorriso appena accennato. “Questa mattina sono sceso al mercato e c’erano queste belle mele. Sarebbe stato un peccato non gustarle con te.”

Levi piegò le labbra in un smorfietta. “Vuoi farmi cedere con un frutto peccaminoso?”

Erwin scrollò le spalle. “Sta funzionando?”

Zeke non era certo di voler assistere a quello che stava per accadere, ma la scena non ebbe l’evoluzione che si era aspettato.

Il giovane dai capelli corvini si umettò le labbra, posando gli occhi sul libro poggiato a terra. “Un bambina che accetta una mela da un mostro,” disse. “Una bambina con addosso vestiti semplici,” voltò la pagina, mostrando una nuova illustrazione: Ymir Fritz con il corno di guerra nella mano destra e la mancina rivolta verso il cielo. “Che diviene una Regina col potere di un mostro.”

Erwin lo studiò attentamente. “A che cosa stai pensando, Levi?”

“E se non fosse stata una sua scelta?” Domandò Levi. “Se fosse stata costretta a scegliere tra questo,” indicò le pagine del libro, “e una vita miserabile?”

Zeke inarcò le sopracciglia: era un’interpretazione interessante.

“Quindi divenire mostro è preferibile?” Erwin sembrava molto interessato a quella conversazione. Zeke lo comprendeva: se non fosse stato rilegato in quel ruolo da silente spettatore, avrebbe partecipato di certo.

Levi inspirò profondamente dal naso. “Io ho accettato di ucciderti per permettere a me stesso e a chi mi era vicino di vivere sotto il cielo. Se vogliamo seguire questa allegoria, ho scelto la vita del mostro.”

“Ma non sei arrivato fino in fondo,” gli ricordò Erwin.

Levi premette la schiena contro la poltrona stiracchiandosi un poco. “Il Diavolo non è riuscito a ingannarmi,” disse. “Qualcuno mi ha tolto la mela di mano, prima che io potessi addentarla.”

Erwin prese uno dei globi rossi tra le mani. “E se il Diavolo non fosse chi ti ha promesso il cielo, ma chi ti ha concesso la verità?” 

Zeke comprese che stava parlando di se stesso.

Senza preavviso, Levi tolse da mela di mano a Erwin e la morse. Quando ebbe finito d’ingoiare quel boccone, guardò il suo Comandante dritto negli occhi. “Puoi anche essere il Diavolo, Erwin,” gli concesse. “Ma non dubitare mai che io sia qui per una mia scelta. Se ti ho venduto l’anima non è stato perché ero un disperato affamato di questo cielo. Sono qui perché lo voglio, mettitelo in testa.”

Erwin accennò un sorriso. “La Città Sotterranea o la Legione Esplorativa. Non è esattamente quella che si considera una scelta.”

Levi gli tirò la mela dritto in faccia, prendendolo sul naso. “E allora vaffanculo.” Recuperò il suo libro e si sedette sulla poltrona in modo scomposto: con la nuca appoggiata a un bracciolo e le gambe incrociate sull’altro. Erwin si avvicinò con aria colpevole, appoggiando la spalla alla poltrona in modo da poter guardare l’altro negli occhi. “Sono felice che tu abbia scelto di restare,” disse.

E Zeke comprese che era il suo modo di chiedergli scusa.

Levi fece finta di non averlo sentito. “Non puoi fare così ogni volta che c’è di mezzo una spedizione, Erwin.”

“Non lo faccio,” si difese il Comandante. “Lo faccio con te.”

Anche se non riusciva a vedere il viso di Erwin da dove si trovava, Zeke percepì la sottile differenza tra quelle due affermazioni. Levi sollevò lo sguardo dal libro con un sospiro: la sua espressione era stanca, irritata, eppure era notevolmente più dolce rispetto a poco prima.

“Smettila di farti influenzare da quello che dicono gli altri,” disse, passando le dita tra i capelli biondi. “A me non interessa che mi definiscano il tuo cane. C’è sempre la Quattrocchi pronta a ricordare tutti a gran voce che sono il tuo fottuto gatto.”

Erwin gettò la testa all’indietro, poggiando la nuca sul cuscino della poltrona e scoppiò a ridere. Levi ne fu soddisfatto: era riuscito ad alleggerire il peso poggiato sul cuore del suo Comandante. Continuò ad accarezzare i capelli biondi, tirandoli indietro.

Zeke rimase immobile, a studiare quella scena fin troppo intima per giustificare la presenza di un intruso come lui. Le fiamme danzavano nel camino indisturbate, gettando ombra sul profilo pronunciato di Erwin e sul viso ben più raffinato di Levi. Quest’ultimo riprese a leggere, mentre il biondo portava la mano tra i suoi capelli alle sue labbra e ne baciava il palmo. 

Zeke comprese che non era un sogno, ma un ricordo.

E non gli apparteneva.




 

”Se non riesci a sopportare questo mondo, allora dovrai cambiarlo.”

Quelle furono le parole di suo padre per consolarlo.

Li avevano umiliati, lui e i suoi genitori.

Non avevano potuto difendersi in alcun modo.

E suo padre aveva voluto che quell’umiliazione rimanesse impressa nella sua mente.

Voleva che continuasse a far male nel tempo.

Non lo avevano mai difeso dalla crudeltà del mondo.

Al contrario, avevano fatto in modo che lo toccasse il più possibile.

“Un giorno, Zeke comprenderà il perché delle nostre azioni.”

E le aveva comprese.

Le aveva comprese molto bene.




 

-11 giorni dopo la battaglia di Shiganshina-




 

Levi non sapeva che il cibo che mangiava e l’acqua che beveva contenevano piccole dosi di droga. Non era uno stupido, quindi doveva aver intuito il perché continuare a nutrirsi non contribuiva a fargli recuperare le forze. Ma era una questione di cui non si era mai lamentato con Zeke.

“Dormi bene, Levi?”

Il Capitano giaceva sul materasso sporco, gli occhi fissi sulla parete di pietra. Il Titano Bestia non aveva idea di cosa stesse pensando, ma qualcosa gli aveva permesso di vedere i suoi sogni nei propri e voleva provare a scoprirne la ragione. No, Zeke non era rimasto colpito dall’evento in sé: il Titano Bestia era stato tramandato per secoli e la memoria di tutti i suoi predecessori ora era anche la sua.

Tuttavia, Levi Ackerman era quanto di più lontano ci fosse dai Guerrieri e non riusciva a spiegarsi come e perché le loro coscienze fossero entrate in contatto.

“Fai dei bei sogni?” Aggiunse, poggiando il vassoio col pranzo vicino al materasso.

Levi non parve interessato nemmeno a quello. Nelle cucine, i soldati ai suoi ordini dovevano aver esagerato con la dose di droga degli ultimi pasti, per questo era così poco responsivo. Zeke si sarebbe ricordato di far loro una lavata di capo: c’erano delle quantità da rispettare o la sostanza che avrebbe dovuto tenere buono Levi sarebbe finita con l’ucciderlo.

“Sogni di Erwin?”

Questo riuscì a convincere Levi a guardarlo in faccia. “Ti ho detto di non pronunciare il suo nome.”

Poggiò un ginocchio a terra. “Era per lui che combattevi, vero?” Porse al prigioniero il bicchiere d’acqua poggiato sul vassoio.

Levi si mise a sedere a fatica e lo accettò. “Stai zitto…” Mormorò, dopo aver ingoiato un sorso.

“Penso che sia giusto che tu sappia che continui a chiamare il suo nome mentre deliri nel sonno.”

Levi non perse tempo a negare l’evidenza e prese un altro sorso d’acqua.

A quel punto, Zeke decise di sferrare un attacco diretto. “Lo amavi?”

Il Capitano gli tirò il bicchiere addosso, ma il Titano Bestio lo evitò, facendolo finire a terra in mille pezzi. “Pessima mossa, non avrai altra acqua fino a domani.”

Levi scivolò contro la parete di pietra, ingoiando aria a pieni polmoni. “Non devi parlare di Erwin,” sibilò, scandendo ogni sillaba.

“Ma io non voglio parlare di lui,” lo rassicurò Zeke. “Io voglio parlare di te.”

Levi piegò le gambe e vi appoggiò le braccia. “Tu vuoi sempre parlare di me. Ma non ho ancora capito cosa cazzo vuoi da me.”

“Abbiamo parlato a lungo degli Ackerman, dovresti aver intuito qualcosa.”

Levi inarcò il sopracciglio destro. “Vedi del potenziale in me che potrebbe essere utile alla tua causa?”

Zeke ridacchiò. “Se lo dici così, la fai suonare come una cosa idiota.” Tentò di sedersi sul bordo del materasso, ma Levi gli allungò un calcio.

“Perché è una cosa idiota. La tua guerra è anche la mia ma sul fronte opposto, te ne sei scordato?” 

“La guerra contro Paradis è una scaramuccia in confronto ai conflitti a cui questo paese sopravvive.”

“Scaramuccia,” ripeté Levi, rancoroso. “Migliaia di persone morte divorate dai Titani, altrettanta migliaia dietro alte Mura di pietra e infinite bugie del cazzo e tu la chiami scaramuccia?”

Zeke scrollò le spalle. “Politicamente parlando,” disse. “Avete una monarchia debole e forse siete addestrati per uccidere i Titani, ma non avete un esercito di uomini in grado di tenere testa a un altro.”

“Oh, è così che Marley vince le sue guerre, con i suoi bei soldatini fragili e mortali?” Levi sbuffò. “Non prendermi per il culo, Zeke. Chiunque abbia il potere dei Titani lo usa per conquistare, uccidere e distruggere. La tua Marley non è affatto diversa dall’Eldia dei Fritz, non è così?”

Zeke parve soddisfatto da quell’analisi. “Impari in fretta a usare la verità a tuo vantaggio.”
“Non si tratta di vantaggio, si tratta di storia,” ribatté il giovane dai capelli corvini. “I più potenti divorano i più deboli.”

“Bell’allegoria.” Zeke sorrise, ricordando la conversazione che aveva origliato nel suo sogno.

“Non è un’allegoria se nasci dentro quelle Mura,” gli ricordò Levi. 

“E tu come lo immaginavi il mondo fuori?” 

“Non lo immaginavo, Zeke.”

“Ah, no?” Domandò il Titano Bestia, pronta ad affondare un altro colpo. “Era Erwin a immaginarlo per tutti e due?”

Levi chiuse gli occhi e inspirò profondamente dal naso. Accettò il fatto che non poteva sprecare energie per tentare di farlo stare zitto. “Ti consiglio d’impiegare il tuo tempo in altro modo,” disse. “Parlare di Erwin non ti farà ottenere nulla da me, a parte ricordarmi che non posso morire prima di averti ammazzato.”

Zeke annuì, soppesando ogni parola. “Il suo ultimo ordine è stato quello di uccidermi, vero?”

Il silenzio di Levi fu la risposta di cui aveva bisogno.

“Allora è una questione doppiamente personale,” concluse Zeke. 

“Fanculo…”

“Raccontami di voi.”

“Te lo ripeto: fanculo.”

“Comincio con quello che Reiner mi ha detto: la leggenda del Soldato Più Forte vuole che tu sia stato un fuorilegge… Anche se per me la storia del criminale che diventa un eroe è un po’ troppo romantica per essere reale.”

Questa volta, Zeke fu sorpreso di non ricevere alcuna risposta. Studiò con attenzione l’espressione di Levi e ci mancò poco che scoppiasse a ridere. “Oh, quella parte è vera…”

Levi reclinò la testa all’indietro, fino ad appoggiare la nuca alla pietra fredda e umida. “C’è un città Città Sotterranea sotto Mytras, la Capitale delle mura. Un luogo in cui la legalità è una parola priva di qulasiasi senso… E io ero il ladro che volava in un mondo senza cielo… O qualche altra stronzata simile. Non mi è mai fregato di rispettare la legge con i porci che si approfittano della povera gente.”

Zeke piegò la bocca in un ghigno. “Sei davvero l’Ackerman delle storie che ci raccontavano da bambini.”

Levi sollevò il dito medio nella sua direzione. “Un nobile venne sapere della mia fama, mi trovò e mi promise una vita in superficie, a me e ai miei compagni, se avessi ucciso una persona per lui e recuperato dei documenti che potevano rovinarlo per sempre.”

Zeke assottigliò gli occhi: era sorpreso dalla spontaneità con cui Levi gli parlava. Aveva tutte le intenzioni di approfittarne. “Fammi indovinare,” fece finta di pensarci, “la persona che dovevi uccidere era Erwin.”

“L’ho odiato…” Mormorò Levi con sguardo distante. “Quando i miei amici sono morti durante la mia prima missione fuori dalle Mura, l’ho odiato. Avevo dimenticato cosa volesse dire provare tanta rabbia, quella che ti brucia dentro e ti toglie il respiro. Dopo di Kenny mi ero ripromesso di non sentire così tanto per nessuno, mai.”

“Chi è Kenny?” Domandò Zeke.

Levi andò avanti come se non avesse parlato affatto. “Ho fatto un errore: ho voluto bene a Farlan e Isabel e dopo la loro morte ho continuato a sbagliare e sbagliare…”

Zeke aggrottò la fronte: il suo prigioniero doveva essere nel bel mezzo di un delirio lucido o qualcosa del genere. Poco male. Non riusciva a seguire completamente il discorso del Capitano, ma decise di porre attenzione in modo da estrapolarne informazioni utili. 

“In che modo hai continuato a sbagliare?”

“Con Erwin, con tutti loro…”

“Loro chi?”

“I miei compagni,” rispose Levi, gli occhi di ghiaccio fissi in un punto nel vuoto. “Ero solo con gli occhi di tutti puntati addosso. A farmi compagnia c’era l’odio per quel soldato che io avevo scelto di seguire e non sapevo spiegarmi il perchè.”

“Hai scelto di seguire Erwin?”

“Kenny mi aveva mostrato la via più semplice: qualunque cosa accada, tu devi sopravvivere... E l’ho fatto.”

Zeke memorizzò quel nome. Avrebbe indagato sulla sua identità in un altro momento. “E cosa è cambiato con Erwin?”

Levi si umettò le labbra. Aveva gli occhi stanchi, non sarebbe rimasto cosciente ancora a lungo. “Erwin non si limitava a guardare di fronte a sé. No, lui scrutava oltre, più in là di quelle maledette Mura.”

“Combatteva per la libertà,” concluse Zeke.

Levi fece scivolare le dita tra i capelli neri, poggiando la fronte al palmo della mano. “La verità,” lo corresse. “Erwin cercava la verità. La libertà sarebbe stata una diretta conseguenza.”

Zeke provò a rimettere insieme i pezzi. “Erwin voleva scoprire la verità dietro la storia delle Mura, dei Titani e della condizione dell’Umanità stessa.” Riflettè per un istante. “Un suicidio, insomma.”

Sorprendentemente, Levi rise di quella sua battuta sarcastica. “Sì, era uno stupido che guardava in faccia la morte e la sfidava. Anche Eren era così, solo che non si poneva il problema di nasconderlo. Chiunque insegua un sogno più grande di sé non può fare a meno di avere questo atteggiamento folle.”

Zeke si ritrovò a dargli ragione. Per la sua età e per le ferite che portava nell’anima, Eren sarebbe dovuto essere molto più fragile di come era. Invece, teneva testa a lui, calpestava Reiner e riusciva a farlo convivendo col dolore di chi ha perso tutto.

“E per questo che Erwin ti ha affascinato?” Ipotizzò Zeke. “Perché guardava al mondo con occhi diversi da chiunque altro?”

Levi annuì. “Sapeva interpretare il ruolo del soldato imperturbabile e del leader freddo e crudele così bene,” disse. “Anche io ci sono cascato e l’ho odiato. Sì, l’ho odiato per molto tempo…”

“E poi cosa è successo?”

Il viso di Levi si contrasse in una smorfia di dolore. “Ho conosciuto l’uomo dietro al soldato.” 

“E che uomo era Erwin Smith?”

Levi lo guardò dritto negli occhi. “Non te lo potrei mai spiegare.”

“Perché?”

“Perché non saresti in grado di capire.”

“Mettimi alla prova.”

“L’ho già fatto,” rispose Levi. “Quando mi hai detto che Eren è stato giustiziato e hai finto di provare dolore per la sua morte. Hai voluto che sapessi che era tuo fratello perché volevi che avessimo qualcosa in comune e provassi empatia per te. Ma tu non mi hai chiesto di parlare di lui nemmeno una volta.”

Zeke tenne per sé la replica che nacque nella sua testa. A quel punto, sarebbe stato come negare l’evidenza e, sebbene stordito dalla droga da giorni, Levi era riuscito a sottolineare un suo errore. 

“Assistere alla sua condanna non ti ha fatto sentire niente, vero?” Aggiunse Levi. 

No, non lo era. Se fosse successo qualcosa a Eren, Zeke sapeva che non sarebbe rimasto impassibile di fronte alla sua morte. Ma non poteva dire una cosa del genere a un uomo che credeva che suo fratello fosse stato giustiziato.

“Ti ho detto che ho cercato di salvarlo,” ribatté Zeke, infine. “Ma non ha voluto ascoltarmi. È come hai detto tu: le persone con un sogno più grande di loro sono tutte folli. Eren era così.”

Levi aggrottò la fronte. “Hai detto che non ha combattuto,” gli ricordò. “Che era talmente sconvolto da non aver opposto resistenza.”

Zeke si morse la lingua e si allontanò dal Capitano. “Non voglio parlare di Eren,” disse, rivolgendogli la schiena. “È una ferita ancora aperta.”

“Stai mentendo anche ora.”

Il tintinnio delle catene, avvertì Zeke che Levi era in piedi dietro di lui. 

“Eren è ancora vivo.”

“No!” Tuonò il Titano Bestia. “Pensi davvero che se fosse così me ne starei qui a perdere tempo con te? Se mio fratello fosse vivo, mi starei impegnando a renderlo un Guerriero di Marley!”

Levi reclinò la testa da un lato. “Questa è rabbia,” disse. “Sei sincero questa volta.”

“Chiudi la bocca,” lo intimò Zeke.

Ma Levi aveva conquistato un vantaggio e non se lo sarebbe lasciato sfuggire. “Eren non ha voluto piegare la testa e sei stato costretto a giustiziarlo,” aveva il fiato corto, sebbene non stesse urlando. “Pensavi che rivelandogli il vostro legame di sangue, avrebbe ceduto in preda all’emozione? No, perché Eren non è mai stato solo al mondo come te, non sapeva che farsene del fatto che foste fratelli.”

Zeke digrignò i denti. “Ti ho detto di stare zitto!”

“Pensavi ti avrebbe amato dal nulla, Zeke? Eri convinto che siccome Grisha Jeager vi aveva feriti entrambi, insieme avreste potuto colmare il vuoto che vostro padre vi ha lasciato?”

“Taci!” Zeke sollevò il braccio per colpirlo, ma Levi collassò a terra prima che potesse toccarlo.

Seguì un attimo di totale immobilità in cui Zeke non seppe che cosa fare. Fissò il corpo privo di sensi ai suoi piedi con gli occhi sgranati e il fiato bloccato in gola. 

“Levi?” Chiamò con voce incerta.

Il Capitano rimase immobile, come morto.

“Levi!” S’inginocchiò a terra, portando la mano vicino al suo viso. Fu sollevato di sapere che respirava ancora. Pensò in fretta a quello che stava succedendo: Levi non aveva mai aperto bocca spontaneamente, ma quel giorno si era aperto spontaneamente come se stesse parlando con un amico. Non era un comportamento normale, ma la droga che gli somministrava non gli avrebbe mai permesso di delirare in modo tanto lucido. 

A meno che…

Zeke lanciò uno sguardo al bicchiere rotto sul pavimento e seppe che doveva agire in fretta. 

“Levi, devi vomitare!” Esclamò, girandolo su un fianco. “Avanti!” Gli infilò due dita in gola senza troppe cerimonie. Per sua fortuna, Levi reagì subito e riverso sul pavimento quel poco che aveva ingerito. 

“Bene…” Zeke lo sollevò, mettendolo seduto contro il suo petto. “Respira, bastardo! Respira! Non mi servi a nulla da morto!”

Per tutta risposta, Levi lo scansò con una gomitata al centro dello stomaco. Finirono entrambi a terra. Uno da una parte e uno dall’altra.

Mentre Levi tossiva, Zeke decise di prendersi la sua rivincita. “Ha chiamato il tuo nome.”

A carponi sul pavimento, Levi si voltò a guardarlo. Sapeva benissimo di chi stava parlando, ma il Titano Bestia decise di sottolinearlo in modo che il colpo penetrasse più a fondo. “Eren ha chiamato il tuo nome,” disse. “Era solo, spaventato. Non voleva morire così. Ha singhiozzato i nomi dei suoi amici fino a un attimo prima che… Poi di colpo ha nominato te. Prima dell’esecuzione, mi ha raccontato che lo hai salvato molte volte. Immagino che, terrorizzato e in preda al delirio, abbia pensato che chiamandoti lo avresti salvato ancora una volta.”

Levi rimase in silenzio. Continuò a rispondere al suo sguardo, ma non fu in grado di trovare le parole adatte per ribattere.

Zeke si prese quella vittoria e se ne andò. 




 

Oltre a lui e Reiner, vi erano otto soldati semplici a guardia della torre sul promontorio. Bambini o poco più. Era certo che il più grande fosse coetaneo di suo fratello. Non avevano mai conosciuto il fronte, ma nemmeno un giorno di pace. 

Zeke aveva scelto un paio di loro per sorvegliare la cella sotterranea, quella in cui era rinchiuso Levi. Non ci volle molto a capire chi dei due aveva avvelenato l’acqua del prigioniero di proposito.

“Quando non ci siete, ascoltare la sua voce è insopportabile.” La ragazzina prostrata ai suoi piedi non poteva avere più di dodici anni. “Urla… Delira… Sembra che sia sul punto di trasformarsi in un mostro e divorarci tutti.”

Zeke non fece fatica a crederle: Levi era perennemente sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, ma la sua volontà ne combatteva gli effetti con tenacia. In situazioni di guerra come quella in cui era finito, la parte peggiore di una persona veniva a galla di sua spontanea volontà. Nei momenti di delirio, ogni incubo diveniva reale ed il dolore e la rabbia di una vita tornavano tutti insieme, esplodendo nel caos.

Erano quasi dodici giorni che Levi combatteva una battaglia contro se stesso e contro chi lo teneva prigioniero.

Zeke comprendeva che cosa avesse spinto Erwin Smith a sceglierlo come braccio destro, perché di Levi poteva dire tante cose meno che fosse sconfitto.

“È un Demone!” Esclamò la ragazzina tra i singhiozzi. “Dovevo fare qualcosa, prima che prendesse la nostra anima e ci condannasse tutti!”

Era quello l’effetto della propaganda di Marley contro Eldia: un senso di terrore privo di qualsiasi ragionevolezza.

Fermo alla sua destra, Reiner guardava la ragazzina che aveva tentato di uccidere Levi con sincera pietà.

Sì, pietà. Zeke ne provava per tutti loro e la conclusione a cui arrivava era sempre la stessa: sarebbe stato meglio per tutti loro non venire al mondo.




 

“Che cosa hai intenzione di fare?” Domandò Reiner, una volta che furono soli nell’ufficio del Capitano.

“Niente,” rispose Zeke senza guardarlo negli occhi.

Reiner non si fece scrupoli a mostrarsi sorpreso. “Come mai sei tanto magnanimo?”

Il tentato omicidio di un prigioniero della portata di Levi equivaleva alla pena di morte per il colpevole e a tante conseguenze a lungo tempo sui suoi familiari. Oltre a un improponibile passaggio di documenti da firmare e sottofirmare. 

Zeke non aveva davvero tempo da perdere con tutta quella burocrazia. “Non è successo nulla,” disse, sedendosi sulla poltrona dietro la scrivania. “Levi è vivo… E non posso davvero colpevolizzare una bambina perchè ha creduto a tutte le storie che le hanno messo in testa. Un tempo, anche tu eri come lei.”

Reiner non poteva negarlo. “Tu lo sei mai stato?” 

A quella domanda, Zeke gli lanciò un’occhiata di traverso. “Non avevo bisogno di Paradis per credere ai Demoni.” Fece cadere l’argomento subito dopo: “ufficialmente, Levi non è un prigioniero d’interesse. Smuovere un polverone intorno a lui sarebbe controproducente.”

Reiner annuì, ma gli si leggeva in faccia che aveva ancora qualcosa da dire.

“Devi riferirmi qualcosa?” Domandò il Capitano.

“Non lo vedi da un giorno.”

“È successo qualcosa?”

“Piange,” disse Reiner. “Non fa altro che piangere.”

Zeke apprese quella notizia con dispiacere. Non si poteva chiedere a un ragazzino di quindici anni di non soffrire per la fine del suo mondo, ma il Capitano dei Guerrieri avvertì un’emozione nuova in quel momento: senso di colpa.

Se Eren era poco più di un bambino - sebbene la vita lo avesse già forgiato in un soldato - lui era l’adulto che si doveva preoccupare per lui. 

Le condizioni fisiche e psicologiche di suo fratello erano responsabilità di Zeke e non perché lo teneva prigioniero.

“Andrò da lui,” promise. “Lo terrò impegnato in qualche modo.”

“Ti ringrazio,” disse Reiner, sinceramente sollevato. 

Zeke aggrottò la fronte. “Perché mi ringrazi?”

Il più giovane sbatté le palpebre un paio di volte. Provò a dire qualcosa ma all’ultimo ci ripensò. 

Il Capitano lo studiò con attenzione. “Sei preoccupato per lui?”

Qualunque essere umano decente lo sarebbe stato, ma dispiacersi per suo fratello era il massimo grado di empatia che Zeke Jeager poteva raggiungere. Il legame di sangue era la sua giustificazione - insieme a una lunga serie di demoni che lui ed Eren avevano in comune - ma non c’era nulla che spingesse Reiner a dedicare tanta dedizione a quella missione.

“Non esiste una risposta giusta,” aggiunse il Capitano. “Condividete un vissuto importante per la vostra età. Se tenessi a lui, capirei.”

“Non ci tengo,” si affrettò a dire Reiner. “Lo temo.”

Onesto.

“Pensi che stia pianificando qualcosa?”

“È questo il problema, Zeke: io non lo so!” Esclamò Reiner. “Mi aspettavo giorni di lacrime, mi aspettavo rabbia… Una rabbia spietata, cieca. Eren non è fuori di sé. No, ha abbastanza controllo da difendersi da noi. È pericoloso.”

“È una situazione completamente nuova per lui,” ribatté Zeke. “Non potevamo prevedere quale sarebbe stata la sua reazione nello scoprire le risposte a tutte le sue domande.”

“Questo è vero ma-“

“Sono successe delle cose senza di te, ricordi?” Gli rammentò Zeke. “Eren ha scoperto di aver divorato nostro padre. Non mi sorprenderei se questo avesse portato a dei cambiamenti in lui. Senza contare che ora avverte chiaramente la presenza di chi è venuto prima di lui. Sono tutte ottime ragioni per cui, alle volte, ti sembra di non conoscerlo.” Si permise una scrollata di spalle. “O forse si sta convincendo che la cosa migliore che può fare è darci ascolto.”

Reiner scosse la testa. “Tu non sai come mi ha guardato quando hai scoperto chi ero davvero,” disse. “Un mostro del genere non si può domare.”

“Allora vedila così: dal suo punto di vista, i mostri siamo noi.”

“Non è questo il punto.”

“Qualunque sia, penso che tu debba rifletterci dopo una bella dormita,” concluse Zeke. “Buona notte, Reiner.”



 

-12 giorni dopo la battaglia di Shiganshina-




 

Zeke risalì i gradini della torre poco prima dello scoccare della mezzanotte.

Come si era aspettato, Eren dormiva. Seguendo un rituale a cui si era già abituato, avvicinò la poltrona al letto e si accomodò accanto a suo fratello.

Come di consueto, studiò le linee del suo viso e si perse a immaginare il viso della madre che aveva perduto. Doveva ammettere che dopo averlo avuto davanti diversi giorni, era riuscito a scorgere qualcosa di Grisha Jeager in lui, oltre al colore degli occhi e dei capelli. Eren però aveva un fuoco indomabile che Zeke non riusciva a ricordare in suo padre. La sete di vendetta e il rancore bruciante, quello sì.

Ma Eren non brillava solo di quello. 

C’era una luce che i lati oscuri della sua storia non erano ancora riusciti a soffocare.

Come Levi, Eren era stato attaccato su ogni fronte dal destino, ma non aveva ancora ceduto.

“Se potessi convincerti a utilizzare questa tua forza in un modo che ti permetterebbe di sopravvivere,” mormorò Zeke, passando dita tra i capelli del fratello minore.

Non aveva mai conferito particolare valore alla vita. Nè alla propria nè a quella di nessun altro, ma sentiva il pressante desiderio di vedere Eren vivere ogni giorno che gli era rimasto fino all’ultimo. Fino a che la maledizione di Ymir non se lo sarebbe portato via.

Quei pensieri malinconici fecero calare su Zeke la stanchezza di quel lungo giorno. Senza volerlo si addormentò.




 

Comprese immediatamente che neanche quel sogno gli apparteneva. 

L’aria era tiepida, piacevole. Doveva essere estate. Il cielo scuro era attraversato dai colori dei fuochi d’artificio. Una folla di ragazzini assisteva allo spettacolo attorno a un grande falò. Ridevano, indicavano i raggi colorati con gli occhi pieni di meraviglia.

Solo due di loro non sembravano particolarmente interessati ai giochi pirotecnici.

Eren non era molto diverso dal presente, forse solo un po’ più basso e col viso più rotondo. Il ragazzo che era con lui lo superava in altezza e aveva già le spalle larghe di un uomo adulto. 

Si avvicinò a suo fratello senza farsi vedere, lo afferrò per i fianchi e si guadagnò una gomitata nello stomaco. 

“Ma sei scemo?” Domandò Eren riconoscendo il suo assalitore.

Il ragazzo si riprese in fretta. “Tu sei scemo! Chi volevi che fosse?”

Parlavano ad alta voce ma lo scoppiettio del falò e lo scoppio dei fuochi d’artificio impediva agli altri di udire quel loro piccolo battibecco.

Il ragazzo più alto, di cui Zeke non conosceva il nome, si guardò intorno per assicurarsi che non fossero divenuti l’oggetto dell’attenzione di qualcuno. Quando fu certo di avere campo libero, allungò la mano verso Eren. “Andiamo, non ci sta guardando nessuno.”

Suo fratello girò lo sguardo per assicurarsi che l’altro avesse ragione. Lasciò andare uno sbuffo, come se non potesse rinunciare all’invito dell’altro ragazzo ma, al contempo, non avesse nessuna voglia di stare in sua compagnia.

Lo seguì ma non accettò di prenderlo per mano.

La scena cambiò. 

Il falò era sparito, ma il cielo era ancora illuminato dai fuochi d’artificio.

Eren e l’altro giovane sedevano sul ramo di un grande albero, equipaggiati con il 3DMG.

“Sarebbe questa la grande sorpresa?” Domandò Eren. Non si disturbò in alcun modo a mascherare la delusione. 

“Ehi, sai che ci succede se ci beccano con l’equipaggiamento fuori dalle ore di allenamento?” 

Eren scrollò le spalle. “Bella pensata farmi una sorpresa che possa farci espellere entrambi.”

“È o non è un bel posto per guardare i fuochi d’artificio?”

Zeke vide suo fratello guardare il cielo e arrendersi all’evidenza di non poter lamentarsi anche di quello. “Sì,” concesse all’altro. “È un bel posto.”

Per un po’ non parlarono. Il ragazzo più alto non fece che passare lo sguardo dallo spettacolo pirotecnico al viso di Eren, come se fosse indeciso se dire o meno qualcosa.

Zeke ripensò a tutti i racconti di Reiner. C’erano stati due amici nella vita di Eren che aveva preso il posto della sua famiglia distrutta, ma quel giovane non corrispondeva alla loro descrizione. Chiunque fosse, il Titano Corazzato non lo aveva ritenuto un elemento importante della storia di suo fratello.

Eppure, Eren sognava di lui.

Di colpo, il giovane si fece coraggio e spezzò il silenzio. “Sai, dicono che i fuochi d’artificio di Mytras siano-“

“No.”

“No cosa?”

Eren reclinò la testa da un lato, guardandolo con una smorfietta molto eloquente. “Avevi promesso che non ne avremmo parlato più.”

“Non ne sto parlando,” ribatté il giovane senza nome. “Sto solo dicendo che tra un anno potremmo vedere i fuochi d’artificio di Mytras… E magari non dovremmo nasconderci per farlo da un buon punto.”

Eren inspirò profondamente dal naso e lasciò andare un sospiro. “I soldati della Legione Esplorativa non passano molto del loro tempo nella Capitale, Jean.”

Jean.

Zeke decise di memorizzare quel nome.

“Questo lo so, Eren.”

“E allora smettila di fare progetti che non si realizzeranno mai.”

La linea della bocca di Jean si fece dura. Era arrabbiato. “Manca ancora un anno.”

Eren inarcò le sopracciglia. “E con questo?”

“Possono accadere molte cose in un anno.”

Eren rise, un suono pregno di sarcasmo. “Pensi che rinuncerò per te?”

Fu un colpo basso, ma Jean fu bravo a fingere di non averlo incassato affatto bene. “Penso che nessuno sano di mente sceglierebbe di morire a dodici anni.”

“Credevi che col tempo avrei cambiato idea da solo, non è così?”

“Oh, Eren, avanti!”

“Smettila!” Suo fratello perse la calma. Fece per alzarsi e andarsene, ma l’altro gli afferrò la mano e lo costrinse a rimanere dov’era.

“E va bene!” Jean si arrese. “Va bene, fai della tua vita quel che cazzo ti pare, ma adesso guardiamo questi maledetti fuochi d’artificio in pace!”

Eren rimase imbronciato, ma la voglia di andarsene era sparita velocemente come era arrivata. Intrecciò le dita a quelle di Jean ed entrambi portarono gli occhi sul cielo illuminato.

Passarono diversi istanti di calma, poi Eren si voltò nella direzione di Zeke e quegli occhi dal colore impossibile lo videro.

“Che cosa ci fai qui?”




 

Il sogno andò in pezzi.




 

Zeke aprì gli occhi di colpo. 

La sua mano era ancora tra i capelli di suo fratello.

Eren lo trafisse con lo sguardo, poi si spinse indietro. 

“Non mi toccare!”

Quella notte, fu necessario l’intervento di Reiner per calmare Eren.

Zeke non disse nulla a proposito, ma la considerò una sconfitta.




 

Una persona nasce perdente.

Era una cosa di cui si era convinto quando aveva capito di non essere degno delle aspettative di suo padre.

“Se Zeke non diviene un guerriero, il nostro piano è completamente inutile!”

Suo padre aveva desiderato un figlio forte.

La sua vita avrebbe avuto valore solo se fosse stato un vincente.

“Denunciali, Zeke. Denunciali, prima che accada qualcosa anche a te.”

Così dedicò la sua vita a divenire quello che suo padre voleva che fosse.

“Denunciali e diverrai un Guerriero di Marley.”

Ma non nel modo in cui suo padre aveva desiderato




 

-17 giorni dopo la battaglia di Shiganshina-




 

“Hai un aspetto di merda.” 

Quel commento di Levi fu anche troppo gentile per come si sentiva realmente.

Seduto sul pavimento, dalla parte opposta di quella del materasso su cui giaceva il Capitano, Zeke dovette fare i conti con il sollievo nato dalla consapevolezza che Eren era lontano da lui.

Levi era pallido come un cadavere, stava perdendo velocemente peso e ancora gli teneva testa.

Per quanto riguardava Eren, non riusciva nemmeno a individuare il momento in cui aveva sbagliato approccio. Due settimane di tentativi e non era riuscito ad avvicinarsi neanche un poco. Suo fratello aveva ben presente il loro legame di sangue - si era impegnato a ricordarglielo a ogni buona occasione - ma non lo sentiva, a differenza di Zeke.

Il solo stare in compagnia di Eren gli ricordava di come la sua vera natura fosse quella di un perdente. Una sensazione che era riuscito a soffocare da quando aveva condannato a morte i suoi genitori.

Levi non gli dava molte più soddisfazioni, ma almeno versava in uno stato pietoso quanto il suo.

“Hai mai avuto una famiglia?” Domandò Zeke, puramente per curiosità. Non aveva voglia di torturare nessuno quel giorno, era troppo stanco.

Per sua fortuna, Levi si dimostrò abbastanza di buon umore da rispondergli. “Dipende che cosa intendi…” 

“Un padre e una madre,” chiarì Zeke. “Magari dei fratelli.”

Levi doveva cominciare a soffrire per l’isolamento in cui lo aveva costretto, perché non perse tempo a mandarlo al diavolo. Aveva voglia di parlare e Zeke era l’unica persone che vedeva da due settimane. 

“Ho avuto una madre,” rispose. “Di mio padre so solo che pagava donne disperate per scopare.”

Zeke aggrottò la fronte.

“Sì, è quello che pensi,” aggiunse Levi. “Sono nato in un bordello.”

“Mi dispiace,” disse il Capitano dei Guerrieri, sebbene non fosse nemmeno certo che quello fosse il modo migliore per reagire a quella scoperta.

“Lo ricordo appena. Avevo sei anni quando mi hanno portato via.”

“Ti hanno venduto?” Zeke non se ne sarebbe sorpreso. Nel ghetto di Marley i bambini venivano venduti da madri regolarmente sposate solo per poter portare qualcosa da mangiare in tavola.

Levi scosse la testa. “Mia madre è morta e suo fratello è venuto a prendermi.”

“Quindi ti ha cresciuto tuo zio?”

“Kenny…”

Ecco chi era Kenny.

“È un Ackerman anche lui?”

Levi sbuffò. “Non preoccuparti, barbetta, l’ultima volta che l’ho visto era più morto che vivo. Non farà mai nulla per mandare all’aria i tuoi piani.”

“Lo vorresti?” 

“Cosa?”

“Vorresti che tuo zio venisse a salvarti?”

Levi emise un suono che sarebbe dovuto essere una risata, ma non esprimeva alcuna allegria. “Non so neanche se è ancora vivo, te l’ho detto,” rispose. “E se lo fosse, non sprecherebbe neanche un pensiero per me.”

Zeke si fece attento di colpo: c’era un’emozione nella voce di Levi che conosceva molto bene ed era stato Grisha Jeager a fargliela conoscere.

“Ti ha fatto del male?” Domandò.

“Ha fatto tante cose.” Una risposta che voleva dire tutto e niente.

“Ti ha tradito in qualche modo?”

Il profilo di Levi era perfetto mentre fissava il soffitto di pietra. Nonostante i segni scuri sotto gli occhi, sembrava sereno. Doveva essere lo spettro della resa che diveniva più visibile giorno dopo giorno.

“Mi ha abbandonato,” rispose. “Si è assicurato che fossi abbastanza forte da sopravvivere e mi ha abbandonato. Per anni ho pensato che lo avesse fatto perché non mi riteneva abbastanza. Solo di recente ho scoperto che era incasinato più di quanto credessi. Sono quello che sono grazie a lui, ma non poteva essere mio padre… Non fino in fondo.”

Zeke annuì. Grisha Jeager e Dina Fritz avevano scritto una storia simile sulla sua pelle.

“Quando marceremo su Paradis, mi ricorderò il suo nome,” promise Zeke.

Levi voltò lo sguardo verso di lui. “Volete conquistare l’isola?” Lo disse con una calma completamente fuori luogo. Era come se stesse parlando del tempo. 

Zeke scosse la testa e decise di essere sincero: “non ci sono ancora ordini.”

“E per quel che riguarda me, che ordini hai?”

“Non ti sto tenendo qui per un ordine.”

Gli occhi di Levi s’illuminarono di colpo. “Di che cazzo stai parlando?”

“Del motivo per cui sei qui,” rispose Zeke. “Il Governo di Marley non sa di avere un Ackerman in custodia, solo un Capitano.”

“E che differenza può fare?”

“La stessa che vi è tra una leggenda e un uomo comune.”

Levi sbuffò. “Basta con questa storia della dinastia Ackerman.”

“Non devi dirlo a me. Dovresti cambiare secoli di storia e credo che nemmeno tu ne abbia il potere.”

“Allora che cosa vuoi tu?” Quegli occhi invernali trafissero il Titano Bestia da parte a parte. “A questo punto, è chiaro che c’è del personale in quello che stai facendo.”

Zeke lo fissò per un lungo minuto di silenzio. “Ho avuto paura.”

“Di che cazzo stai parlando?”

“Quando mi hai attaccato,” chiarì Zeke. “Da quando sono divenuto un Titano, non mi è più capitato di sentirmi debole. Tu mi hai reso completamente impotente.”

“Posso risolvere il problema decapitandoti,” propose Levi con velenoso sarcasmo.

“E mi sono detto: se quest’uomo riesce a far tremare di terrore un Titano, che cosa sarebbe in grado di fare su di un campo di battaglia tra uomini?”

Sul momento, Levi non disse nulla. Quando parlò, Zeke ebbe un’ulteriore prova di quanto fosse intelligente oltre che forte. “Chi desidera il potere, finisce per volerne sempre di più,” disse. “E Marley vuole qualcosa di più del potere dei Titani, vero?”

Zeke si alzò in piedi: era davvero stanco, doveva riposare.

“Una città distrutta da dei Titani è uno spettacolo orribile,” disse, prima di andarsene. “Una città che cade per mano di un solo uomo, è qualcosa di epico.”


 
   
 
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