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Autore: Roanoke_Wilde    04/06/2021    1 recensioni
Prima di poterci ripensare, si rifugiò in quei pensieri che sapeva avrebbero riempito fino all’orlo la sua mente e, con un po’ di fortuna, l’avrebbero accompagnato nell’incoscienza bandendo il dolore. Quei pensieri, lo sapeva benissimo, erano l’unica cosa in grado di distrarlo dall’emicrania – ed erano l’unica cosa che si era ripetutamente ripromesso di far sparire, di seppellire, di dimenticare ogni volta che indossava il suo elmo e il suo Credo.
Avrebbe rievocato la sua casa, e chi era stato un tempo, prima della Tribù.
Avrebbe rievocato la notte in cui i suoi genitori erano morti e il suo destino di Mandaloriano era stato suggellato.
Allora, forse, avrebbe ritrovato la via per andare avanti.

[Missing Moments // Kid!fic // Introspettivo // PoV Din // Traduzione di _Lightning_]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Din Djarin, Nuovo personaggio
Note: Kidfic, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Fan Art: shima_spoon // Graphic: _Lightning_

Capitolo 7

Sangue e lealtà



 
________________

[Il Presente]

9 ABY ca.
________________
 




 

La trovatella si aggirava per i cunicoli del Rifugio, muovendosi più piano che poteva.

Si acquattò in punta di piedi, respirando appena attraverso il naso, e scandagliò le ombre su entrambi i lati del corridoio man mano che avanzava. Lei era la cacciatrice. Gli altri trovatelli – sia quelli che avevano già l'elmo, sia quelli che ancora dovevano giurare al Credo, come lei – erano le prede.

Da un momento all'altro, pensava, l'improvviso scalpiccio di una preda che schizzava via o il baluginio di un elmo lucido avrebbe dato il via alla caccia. Doveva essere pronta. Prese un lento respiro per placare il tambureggiare del suo cuore. Aveva già perso più volte a quel gioco contro i trovatelli più forti, grandi e con più esperienza di lei. Ma stavolta avrebbe vinto. Lo sapeva.

Dunque, quando i suoi occhi sfiorarono il luccichio del beskar vicino a una delle alcove dei Mandaloriani adulti, quelle che fungevano loro da alloggi, sogghignò e si acquattò ulteriormente. Fissò lo sguardo in quel punto. Era in vantaggio: la preda doveva ancora vederla, il che le avrebbe permesso di avvicinarsi di soppiatto e acchiapparla quando l'avesse vista arrivare. Cioè da un momento all'altro...

Con un brillio machiavellico a illuminarle gli occhi, la trovatella si avvicinò. Il beskar argenteo, una porzione del quale era illuminata da un raggio obliquo di luce mattutina, non si muoveva ancora.

Mentre avanzava con tenue perplessità – dopotutto, i suoi compagni giocavano meglio di così a nascondino – si raddrizzò un poco e sentì il suo sorriso affievolirsi. Che razza di posto era per nascondersi, quello? Di certo, l'altro trovatello avrebbe già dovuto sentirla. E non c'era gusto, ad acchiappare la preda senza rincorrerla.

Quando fu nel raggio di circa cinque metri, però, e quando la perenne penombra del Rifugio sembrò ritrarsi abbastanza da permetterle di vedere ciò che stava guardando, risucchiò di scatto un respiro. Il suo battito accelerò come se stesse davvero rincorrendo la sua preda in fuga.

Ma non stava rincorrendo nessuno, perché il beskar non apparteneva a un trovatello che giocava a nascondino...

... ma a un vero e proprio Mandaloriano.

Un Mandaloriano adulto, riverso esanime di fronte all'entrata della sua alcova.

E che forse era morto.

Il suo primo istinto, che sorprese persino lei, fu di scattare in avanti e cercargli il polso, come le aveva insegnato la sua buir quando l'aveva presa con sé anni prima. M, arrivata a un passo dal Mandaloriano, la cui armatura scompagnata era scalfita e lacera e così immobile, non riuscì a farlo.

Aveva troppa paura.

Non voleva premere le dita sotto il bordo dell'elmo e non sentire alcun calore, nessuna fonte di vita. Non sapeva nemmeno cosa avrebbe significato, di preciso, perché la sua buir non era entrata nel dettaglio su quell'ultima parte. E non voleva scoprirlo da sola, nemmeno con gli altri trovatelli ad aiutarla.

Invece, si voltò, dimenticando del tutto il gioco in corso, e si precipitò più veloce che poteva verso la sala centrale, dove sapeva che avrebbe trovato altri Mandaloriani. Dove avrebbe trovato aiuto. Dove, magari, avrebbe trovato anche la baar'ur.

Vi fece il suo ingresso poco dopo e il caldo, basso brusio di alcune voci la investì, scemando quando gli occupanti della sala la videro piegarsi sulle ginocchia, intrisa d'adrenalina, ansimando in cerca d'aria mentre tentava di scacciare il tremito che le scuoteva ogni muscolo.

Si rialzò, le mani premute sulle ginocchia, inghiottendo boccate d'aria e cercando un Mandaloriano del clan della sua buir, d'istinto. Per fortuna, ne trovò uno quasi subito. Quello enorme. Paz Vizsla.

«Baar'ur,» annaspò, guardando dritto verso Paz e poi verso gli altri Mandaloriano che si erano voltati a guardarla. «C'è un Mandaloriano a terra nel corridoio. Gli serve un baar'ur

 


 




Paz alzò a malapena lo sguardo, quando la trovatella senza elmo irruppe nella sala centrale.

I trovatelli giocavano spesso nel Rifugio, saltando dentro e fuori le molte nicchie del sistema fognario nei momenti più impensati. Anche lui aveva fatto lo stesso, in un posto diverso – e, volendo essere onesto, non avrebbe esitato a farlo di nuovo, avendone la possibilità. Di certo sarebbe stato più eccitante che starsene seduto lì a marcire, pensò, arricciando le dita attorno al fucile affusolato che aveva già pulito più volte nel corso delle ultime ore.

Quella mattina si stava perdendo a tal punto nella propria testa – ronzava di pensieri tetri e ribolliva di parole taciute – che, anche se avesse notato che la trovatella ansimante era del clan Vizsla, non gli sarebbe importato più di tanto.

Ovviamente, finché lei non annunciò che da qualche parte c'era un Mandaloriano a cui serviva un baar'ur. Si alzò all'istante in piedi, così come l'altro paio di compagni seduti al tavolo dietro il proprio. Il suo sguardo balzò nell'angolo della sala dove sapeva di trovare la baar'ur, impegnata in una partita a carte con un membro del suo clan. Era una donna sottile, con una voce aguzza e dita fredde, e stava già avanzando verso la trovatella non appena aveva annunciato la notizia del loro compagno caduto. Del loro fratello o della loro sorella.

Paz sollevò una mano, a fermare due Mandaloriani che si stavano avvicinando alla bambina.

«La aiuto io,» disse a bassa voce. «La trovatella è del mio clan.»

Gli altri due esitarono, prima di annuire. Era comunque il Mandaloriano più robusto e forte tra quelli attualmente raccolti nella sala e la trovatella era di fatto una responsabilità del clan Vizsla. Doveva essere lui ad assistere il Mandaloriano che aveva trovato. E alla baar'ur sarebbe servita una mano a spostare il paziente: avere troppa gente attorno mentre lavorava avrebbe solo reso le cose più difficili; sia per lei, sia per chi avrebbe dovuto assistere.

La trovatella fece strada dopo che il medico ebbe recuperato la sua borsa. Paz tenne senza difficoltà il passo col suo trotterellare, con un senso di freddo disagio nello stomaco.

In teoria, non c'erano stati Mandaloriani fuori dal Rifugio, quella notte e, per quanto ne sapeva, nessuno di loro l'aveva lasciato quella mattina. Questo significava che il Mandaloriano doveva essere stato ferito prima dei festeggiamenti della sera precedente. Ma non ricordava nessuno dei suoi fratelli o delle sue sorelle d'armi con delle ferite, anche minime. 

Chi era il Mandaloriano ferito? Come era successo – e quanto erano gravi le sue ferite, se era addirittura incosciente? O magari era la trovatella, ad aver esagerato? E non era da escludere, mettendosi nei panni di una bambina annoiata e dispettosa, a zonzo per gioco nell'oscurità polverosa dei corridoi del Rifugio.

I numeri dei Mandaloriani – anche coi trovatelli che accoglievano a intervalli di tempo sempre più imprevedibili – si assottigliavano ogni giorno di più. E sembrava che anche la segretezza e la dedizione del Rifugio non potessero arrestare quel processo, non quando il loro spirito si stava deteriorando ancor più rapidamente del loro corpo. Paz arricciò le dita e accelerò, coi passi che risuonavano secchi lungo l'ampio tunnel, l'impazienza che si faceva strada di fianco a quella brutta sensazione mentre realizzava quanto fosse lenta la trovatella.

«Dov'è?» ringhiò infine rivolto a lei, prima di potersi trattenere.

La trovatella, che aveva il fiatone, si arrestò di colpo in tutta risposta e poi puntò il dito verso la diramazione del tunnel di fronte alla quale si erano fermati. Li guardò muta, lui e la baar'ur, con gli occhi scuri dilatati e le guance arrossate. Paz annuì, distogliendo lo sguardo dal suo volto scoperto, e assieme alla baar'ur ripresero ad avanzare più rapidi, gli occhi già attratti dal baluginio argenteo che si intravedeva appena oltre l'ingresso di un'alcova.

Nemmeno a metà strada, Paz capì chi fosse.

Avrebbe dovuto capirlo prima, si disse. In qualche modo. Quale altro Mandaloriano nel Rifugio aveva scelto di– a chi era stato vietato di partecipare ai festeggiamenti della sera prima, e sarebbe stato in grado di nascondere le sue ferite a quel modo?

Ge'talsol, forse uno dei più illustri cacciatori di taglie che fossero mai passati per quel Rifugio.

E quale Mandaloriano avrebbe mai compiuto una bravata simile – lasciarsi ferire, nasconderlo come un idiota del kriff e poi aumentare la teatralità della cosa svenendo in un corridoio, giusto per farsi vedere dallo sfortunato passante che avrebbe dovuto portarselo sul groppone?

Il Mandaloriano che un tempo aveva chiamato amico, ovviamente.

La baar'ur lo raggiunse per prima. Si era già inginocchiata accanto alla sua testa, facendo scivolare le dita oltre il bordo dell'elmo e sull'arteria che passava nel collo, quando Paz fu abbastanza vicino da vedere chiaramente la situazione. Il drappo che copriva l'entrata alla sua alcova era lì per terra, parzialmente stretto nella mano che si allungava oltre il suo elmo, e c'era una chiazza scura di sangue rappreso sotto le dita nude e piegate dell'altra mano, che sfioravano appena il terreno.

Paz non riuscì a capire se respirasse o meno: era troppo buio e la sua armatura troppo spessa.

«Aiutami a portarlo alla sua branda,» ordinò d'un tratto la baar'ur. «Il polso è debole, ma c'è ancora.»

Qualcosa di caldo e stringente balenò nel suo petto.

Irritazione, comprese Paz. RabbiaMagari anche preoccupazione, sebbene non sapesse perché mai avrebbe dovuto essere preoccupato.

Ciononostante, si accovacciò comunque, senza emettere nemmeno un lamento nel caricarsi in spalla il peso relativamente leggero dell'altro Mandaloriano. Non fu particolarmente delicato quando lo lasciò cadere sulla branda. La baar'ur dovette notarlo, perché il suo elmo si inclinò di scatto verso l'alto mentre apriva le fibbie della sua borsa.

«Fa' più piano, Vizsla. Lo conosci?»

Paz lanciò un'occhiata a Ge'talsol, all'elmo familiare, all'armatura consunta che era stata raffazzonata da quella di molti altri Mandaloriani – inclusa la sua, a un certo punto – e non rispose alla domanda. Scrutò la sagoma incosciente del Mandaloriano.

«Che ha che non va?»

La baar'ur abbassò di nuovo lo sguardo, esaminando lei stessa il paziente e prendendo nota di ogni potenziale danno. Inclinò la testa e si spostò sull'altro lato della branda, facendosi largo con uno spintone oltre Paz, come se lui non fosse nemmeno lì. Frugò nella sua borsa e ne estrasse un coltello, così da tagliar via il tessuto stracciato attorno alla coscia del Mandaloriano – esattamente nel punto in cui ci sarebbe dovuta essere una protezione che non c'era, e dove c'era invece molto sangue.

Paz non era sicuro di come avesse fatto a dimenticarla. Non gli importava molto, in verità. Se un Mandaloriano perdeva o trattava con negligenza la propria armatura, si meritava ogni ferita.

Mentre lei lavorava, scoprendo l'area della coscia così da poter trattare la ferita sottostante, Paz analizzò la stanza, in cerca di qualche indizio su cosa fosse accaduto. Aveva parlato a Ge'talsol la sera prima, no? E stava bene, almeno così gli era sembrato. Irritante come sempre anche solo per il fatto di parlare, forse, ma stava comunque bene.

Di certo non gli era sembrato che stesse morendo, cosa che chiunque avrebbe pensato entrando lì dentro in quell'istante e vedendolo riverso sulla brandina chiazzata di sangue.

La brandina chiazzata di molto sangue.

Paz riportò lo sguardo sulla baar'ur, che aveva smesso di tagliare e tastava ora la ferita con due dita guantate, chinata sulle ginocchia così da vedere lo squarcio in ogni suo più truce dettaglio. Aveva acceso la torcia dell'elmo, illuminando l'area di un bianco sterile. Paz non si preoccupò di guardare lui stesso la ferita. Non gli importava. La baar'ur avrebbe fatto ciò che doveva. Anche se era abbastanza sicuro che tutto quel sangue non provenisse solo dalla ferita sulla gamba.

Il paziente non aveva ancora emesso alcun suono, però, e Paz intrecciò le mani davanti a sé con un sospiro tagliente, spostando gli occhi sulla corazza ammaccata di Ge'talsol, in cerca di un segno che fosse davvero ancora vivo.

«Senza dubbio un'infezione,» annunciò la baar'ur dopo un istante, abbastanza piano da dare l'idea che stesse parlando tra sé, più che con Paz. «Febbre, lacerazioni multiple sul torso e sugli arti...»

Fece una pausa, inclinò di nuovo di lato la testa, come se stesse ascoltando qualcosa, e poi la scosse.

Rovistò di nuovo nella sua borsa e ne estrasse quello che sembrava uno stetoscopio. Fece un gesto impaziente dell'elmo verso di lui.

«Puoi togliergli la corazza?»

Paz si mosse in silenzio, con quella stessa irritazione di poco prima che cresceva dentro di lui, anche se non sapeva dire da dove scaturisse. A prescindere dai loro trascorsi personali, prima come amici e poi come avversari, Ge'talsol era ancora un Mandaloriano. Ed era ferito, il che significava che era suo compito e onore aiutarlo a riprendersi il prima possibile.

Anche se è praticamente un traditore?
Anche se è un debole e un vigliacco e un bugiardo?

Paz grugnì mentre sganciava le fibbie che assicuravano la corazza al petto del Mandaloriano. Non capì immediatamente cosa significasse l'improvviso respiro spezzato sotto di lui, però – e quello fu il suo errore, perché in un batter d'occhio Ge'talsol era di nuovo vivo, vegeto e pronto a combattere.

Il primo colpo, seppur assestato a mani nude e sbilenco, impattò alla cieca contro lo zigomo in rilievo dell'elmo di Paz. Gli fece scattare di lato la testa, inviandogli un tenue lampo di dolore lungo il collo. Ge'talsol mosse al contempo l'altra mano verso la sua corazza e vi assestò uno spintone, violento, ma non abbastanza da scostarsi di dosso quello che aveva identificato come un aggressore.

Ma, per quanto quella non fosse una situazione convenzionale, gli anni d'addestramento di Paz entrarono in azione non appena il primo, inaspettato colpo raggiunse il bersaglio. Non provò nemmeno a reprimere i suoi istinti; non era certo di poterci riuscire nenche volendo, non dopo la giornata appena trascorsa.

In un fiotto di sangue bollente e senza il tempo di considerare chi fosse l'"avversario", il suo pugno scattò verso il basso, impattando con un rintocco contro l'elmo del Mandaloriano ferito. Inchiodò l'uomo con un ginocchio nel ventre – suscitando un rantolo stentato e un sibilo di dolore a malapena udibile – e completò il contrattacco agguantando il polso esteso di Ge'talsol in una presa ferrea.

Accadde tutto nell'arco di tre secondi, a malapena, e non rifletté neanche – o forse non voleva – sul fatto che il Mandaloriano sotto di lui si era fatto esanime subito dopo il primo momento di reattività, con l'elmo che sbatacchiava mollemente qua e là.

E poi, Paz venne colpito di nuovo in faccia, con più forza – stavolta dal calcio del bastone impugnato dalla baar'ur. Che non aveva nemmeno notato, in effetti.

«Mandaloriano! Controllati!» gridò lei.

Paz rilasciò all'istante la presa, realizzando cos'era accaduto. Si spinse via da Ge'talsol, che ansimava pesantemente sollevando e abbassando vistosamente la corazza. Paz era stato a un passo dal perdere il controllo. Il respiro dell'uomo ferito sfumò in un rantolo sibilante. Un rantolo che non era causato solamente dalla quasi-ripassata che gli aveva appena dato.

Un qualcosa di simile al senso di colpa – ma non del tutto, non ancora – lo investì, lasciando dietro di sé un rosso ronzio per poi scivolare via. Mugugnò a denti stretti e si allontanò più che poté in quella stupida stanza troppo piccola. La baar'ur abbassò il bastone, forse capendo che Paz non avesse davvero avuto cattive intenzioni.

«Che– che state facendo?»

La voce di Ge'talsol si levò, impastata e senza preavviso, risuonando al di fuori dell'elmo mentre tentava di tirarsi su a sedere, a dispetto della piccola rissa che era quasi scoppiata. Ottenne solo un grido di dolore alto e strozzato, e la baar'ur gli pose gentilmente una mano sul petto, riportandolo disteso e inducendolo a rilassarsi e  combattere l'adrenalina che, Paz lo sapeva, già gli scorreva nelle vene.

«Ti salviamo la vita,» ringhiò basso Paz, un mero secondo prima di ripensarci, considerato ciò che era appena accaduto.

L'elmo di Ge'talsol seguì la sua voce.

«Paz?»

Paz sbuffò ironico dal naso nell'udire la sorpresa nella voce dell'altro, anche se la vulnerabilità che trapelò assieme a essa gli fu familiare, in un modo che non avrebbe dovuto affatto farlo ridere.

«Già. Scioccante, vero?»

La baar'ur osservò in silenzio quello scambio di battute, ma, quando il suo paziente proruppe in una fitta di tosse – una tosse che, anche attraverso l'elmo, suonò umida e dolorosa – si allungò verso la sua borsa, estraendone quello che sembrava un qualche tipo di sensore.

«Dov'è la ferita più grave, Mandaloriano?» chiese, con fermezza e ignorando del tutto Paz.

Lui quasi sbuffò di nuovo a quella domanda, con il ronzio tiepido delle sue emozioni in subbuglio che si faceva sempre più stringente, nonostante tentasse di arrestarlo stringendo con forza i pugni. Persino lui era in grado di dire che la ferita più grave fosse quella alla gamba. Anche se non ne era del tutto certo, visto che la maggior parte dei Mandaloriani che conosceva erano sopravvissuti a molto peggio senza collassare teatralmente nella loro alcova.

Debole.

«Gamba,» grugnì Ge'talsol, con una mano che si allungò istintivamente verso di essa, come se così facendo potesse strizzar via il dolore con le dita.

La baar'ur bloccò la sua mano e la premette di nuovo contro la branda.

«C'è qualcos'altro che necessita di cure immediate?» chiese ancora, passando lentamente il sensore sopra la ferita. Lanciò un bip subito dopo, e lei si chinò a leggere il risultato.

«N–no.»

La sua voce si fece più bassa, come se stesse scivolando via, e la baar'ur mugugnò tra sé, come se non credesse del tutto a ciò che le aveva appena detto. Portò una mano alla sua gabbia toracica, gesto che Paz ritenne futile, almeno finché il suo paziente non riprese di colpo conoscenza, con un sobbalzo di dolore.

Costole incrinate, dunque. Magari rotte. O peggio.

«Hai febbre e un'infezione. Ricordi come ti sei ferito?»

«Felucia, credo,» mormorò lui in risposta, la voce più impastata che mai.

Paz espirò piano dalla bocca, distogliendo lo sguardo da lui.

«La febbre, dico. La– la gamba è stata dopo,» finì Ge'talsol, dopo qualche istante.

La baar'ur scosse la testa, come se quelle parole non avessero significato. Di certo non ne avevano per Paz. Chi teneva traccia di ogni singolo Mandaloriano che entrava e usciva dal rifugio, se non il suo clan? E Ge'talsol non ce l'aveva, no?

«Hai delle scorte mediche, qui con te?»

Attesero in silenzio per qualche istante, prima di vedere l'elmo di Ge'talsol girare qua e là, come se stesse cercando qualcosa. Strinse i pugni, per poi rilassarsi di nuovo, e il suo elmo si fermò infine su un lato, guardando il muro opposto a Paz.

«Aq Vetina,» bofonchiò, le parole flebili, pronunciate indubbiamente oltre un velo di sofferto delirio. «Ha detto che sarebbero stati lì... Raanaan... ha detto...»

Paz guardò di nuovo quello che un tempo aveva chiamato amico – vod – senza poterlo evitare. Ge'talsol era di certo febbricitante, malato, esausto. Paz lo sapeva, così come sapeva il significato dei nomi che aveva appena mormorato il Mandaloriano. Perché lui e quel mangiafango disteso sulla brandina erano davvero stati amici, un tempo. Avevano giocato insieme da bambini, combattuto insieme come fratelli di Credo, si erano aiutati in più di una situazione difficile, prima di arrivare al loro scontro definitivo.

E Paz sapeva che per Ge'talsol – no, per Din, il nome che nessuno di loro aveva più pronunciato per anni – Aq Vetina era casa. Sapeva chi fosse Raanaan e che tipo di spettri evocasse quel nome, per l'uomo di fronte a sé. E, kriff, tutto quello contava qualcosa, anche se non avrebbe mai, mai – cascasse Malachor – chiamato di nuovo Din un amico. Il ronzio rosso nel suo petto s'infiammò di nuovo, ma stavolta gli sembrò più sopportabile.

«Mandaloriano? Sei ancora con noi?» chiese la baar'ur dopo un momento, sollevando da sola la corazza e controllando ciò che aveva avuto intenzione di controllare – il cuore, o forse i polmoni. Paz non aveva prestato molta attenzione, nel mentre.

Quando Din non replicò, gli controllò il polso. Poi si voltò verso Paz.

«Vai,» gli disse. «Finirò la mia visita e ti dirò cosa fare.»

Paz raddrizzò le spalle.

«Sarò io il suo guardiano?»

La baar'ur si alzò, e Paz capì dalla tensione nel suo profilo che era irritata – forse anche arrabbiata – per ciò che era accaduto nemmeno un minuto prima, quando Paz aveva quasi malmenato un paziente infermo, spedendolo in un oblio febbricitante per nessun valido motivo se non il suo elmo vuoto e irascibile.

Anche se, in effetti, un motivo valido ce l'avrebbe anche avuto. In un qualche modo contorto.

«Non sei del suo clan?»

«Non ha un clan. Non più.»

La baar'ur lo osservò, poi si voltò di nuovo verso la sua borsa.

«Allora trova qualcuno che lo assista finché non sarà guarito.»

Paz chinò il capo in segno d'assenso e rispetto, per poi sgusciar via cautamente dall'alcova che, se ne accorse solo allora, era terribilmente calda e soffocante con tre persone dentro, di cui una febbricitante.

Si accigliò nel notare un capannello di trovatelli curiosi raccolti in corridoio.

«Fuori di qui!» tuonò, e il gruppo si divise in due, affrettandosi a sparire nel buio in un coro di sussurri e qualche sporadica risatina.

Paz li guardò allontanarsi, poi si voltò, guardando il punto in cui la baar'ur si era accostata di nuovo alla ferita infetta, applicando una benda intrisa di unguenti sulla pelle. Sì, la rabbia non era scomparsa, e rimestava dentro di lui a ogni respiro; ma c'era anche qualcos'altro.

Un vecchio dovere, forse.

Una vecchia lealtà che un tempo aveva considerato indistruttibile.

Paz si incupì, ma rimase in attesa finché la baar'ur non uscì dalla stanza, togliendosi i guanti e fissandolo con una tensione esplicita nelle spalle. Fece un cenno del capo verso Ge'talsol – o Din, come la sua memoria gli rammentò di nuovo, in modo irritante – e prese a spiegargli la situazione:

«Tornerò stasera per occuparmi delle costole e per somministrargli altre cure. Se la febbre non passa o l'infezione non rientra, avrà bisogno di medicine più potenti e di stretta supervisione. Se questo sarà il caso, lo sposteremo nei miei alloggi per monitorarlo costantemente.»

Paz annuì.

«Non tenterai di nuovo di ucciderlo?» chiese lei, e stavolta un pizzico di divertimento – sporcato dal tono fondamentalmente serio della domanda – emerse chiaramente nella sua voce.

Paz cercò di ricacciare indietro l'impulso di stringere le dita attorno a un'arma.

«No.»

«Bene,» disse lei. «Aliit ori'shya tal'din

La famiglia conta più del sangue.

Nonostante quel detto familiare sembrasse urticante e polveroso, quando si fece largo nel flusso dei suoi pensieri, Paz annuì. Infondo, era quello il fulcro di tutto. Non si trattava di accudire quello che un tempo era stato un amico – non si trattava nemmeno di aver cura di qualcuno in quanto tale, per lui stesso o per il suo clan.

Si trattava di prendersi cura di un fratello Mandaloriano – un altro membro del Credo, dell'unica famiglia che ognuno di loro aveva – ed era quello, il modo in cui scelse di vedere la cosa. I Mandaloriani erano una famiglia, dunque Ge'talsol era famiglia. Hut'uun o meno.

«Questa è la Via,» disse Paz.

«Questa è la Via,» fece eco la baar'ur, mentre già ripercorreva i suoi passi, portando con sé la propria borsa.

Dentro l'alcova, il Mandaloriano fremette. Paz contrasse la mandibola.

Aveva un brutto presentimento.


 




 


Glossario Mando'a:
- baar'ur: medico
- vod: fratello
- Ge'talsol: il nome che Din ha scelto di usare nel Rifugio. Fusione della parola "rosso" e "uno" in Mando'a, lett. "Il Rosso/Colui che è rosso"
- hu'tuun: codardo (particolarmente offensivo)

Note della Traduttrice:

Cari Lettori,
no, non ho dimenticato questa traduzione. Semplicemente, questo è il penultimo capitolo disponibile e speravo che l'autrice agigornasse nel mentre, cosa che non è accaduta. Proverò a contattarla prossimamente, visto che anch'io sono più o meno sparita a causa di imegni accademici/lavorativi, e spero di darvi presto buone nuove ♥

Nel frattempo, mi dedicherò alla traduzione del prossimo capitolo, un mostro di 16 pagine che credo dividerò in due – col benestare di Roanoke :')
Alla prossima, e grazie per chi ha letto, commentato e votato sin qui! ♥

-Light-

 

   
 
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