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Autore: arashinosora5927    06/06/2021    1 recensioni
[Dear Evan Hansen]
Evan ha raccontato la sua storia ora il palco è di Connor, okay e anche di Evan che si ritroverà a convivere con una strana presenza.
Riporto parte delle cose così come sono state scritte nel libro limitandomi solo a tradurle, ma per il resto l'idea è mia e nei prossimi capitoli sarà apprezzabile la differenza.
TW: suicidio, Ghost!Connor, disturbi mentali, autolesionismo
Spero possiate apprezzare
[Treebros]
Genere: Angst, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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L'ho abbracciata tanto, per quelli che mi sono sembrati minuti interminabili e per un istante mi è persino sembrato che lei potesse sentirmi.

Poi la mia mamma è salita al piano di sopra ed è entrata nella mia stanza, si è seduta sul letto e ha continuato a leggere le lettere, Larry è passato davanti alla porta aperta camminando per il corridoio.

"Larry, vieni qui, vieni a conoscere Connor" ha detto mia madre facendogli cenno di sedersi vicino a lei.

Larry ha sospirato, si è messo le mani nei capelli, ha fatto un passo dentro la mia stanza e poi è uscito fuori augurandole buonanotte.

"Possibile tu non riesca a stare in questa stanza per più di cinque secondi?!" ha urlato mia madre.

"Sì, Cynthia! Questa stanza è vuota, Connor è morto... devo dirti altro?" ha risposto Larry con lo stesso tono carico di dolore.

Mia madre è rimasta in silenzio e si è limitata a stringersi una mano in petto.

"Lascio la luce accesa in corridoio..." ha detto Larry allontanandosi. Ho deciso di seguirlo ed è sceso di nuovo al piano di sotto diversamente da quanto dichiarato.

Ha tenuto lo sguardo basso finché non siamo passati davanti al grande specchio in salotto. Non so cosa abbia visto, forse se stesso, tutti i suoi errori, forse me, fatto sta che è scoppiato a piangere come non lo avevo mai visto prima.

"Ti ho dato il mondo e tu lo hai buttato lasciandoti dietro solo frantumi... è tutto perso e non ho niente da dire. Non posso cantarti un requiem... il mio mondo si è oscurato..." ha mormorato.

Per la prima volta ho desiderato abbracciare Larry, mettere da parte il fatto che non abbia capito e stringerlo semplicemente perché è mio padre e sta soffrendo, ma così come mi sono avvicinato ha fatto un gesto con la mano come se volesse scacciare una mosca proprio attragerso di me e ho sentito ancora una volta che Larry non mi accoglie, non mi vuole.

Lascio Larry e vado da Zoe, è lì che sarei voluto andare dall'inizio, nella sua stanzetta a consolare la mia sorellina.

La trovo a strimpellare la sua chitarra elettrica scollegata. Le sue dita eleganti accarezzano le corde facendole vibrare e conseguentemente suonare.

"Perché dovrei fingere? Ricordandoti attraverso un dolore usato..." canta con una voce sottile e melodiosa.

"Figlio affettuoso e un ottimo amico..." mormora con un tono carico di ironia.

"Oh... non vi viene da piangere?"

Mi ci vuole qualche istante per rendermi conto che Zoe mi ha scritto una canzone, queste parole raccontano di me, di noi, di come eravamo, della sua versione dei fatti che non è falsa, ma è incompleta.

Le ho urlato contro un paio di volte. Le ho sbattuto la porta in faccia. Ho bussato come un pazzo a quella porta. Ho minacciato di ucciderla, però lei ci crede davvero? Non le avrei mai fatto del male. È come in quella citazione: "pieno di rumore e furia che non significa nulla". Questo ero io. Okay no, quello era Shakespeare, ma solo perché non ho consegnato il mio saggio su Macbeth non significa che non ho prestato attenzione. Anzi forse ho prestato troppa attenzione.

Ora Zoe è sul tappeto, poggia la schiena contro il letto. Il suo strimpellare si ferma, adagia il plettro in bocca e scarabocchia su un taccuino.  Non riesco a ricordare l'ultima volta che sono stato nella sua camera da letto: eravamo come vicini di casa che hanno smesso di salutarsi. Pensavo fosse lei quella ordinata, ma qui dentro è il caos: vestiti sparsi, foto sfocate scattate con un'istantanea, un mucchio di corde di chitarra rotte, un vecchio toast su un piatto accanto a un coltello sporco.

Lady Macbeth è un altro famoso suicidio. C'è una sua battuta che ho sottolineato. Qualcosa su come non si ottiene una soddisfazione duratura nel causare distruzione. Alla fine, l'unica vera soluzione è distruggere se stessi.

Un nuovo suono, Zoe ha ripreso a cantare dolcemente.

"Potrei rannicchiarmi e nascondermi in camera... qui nel mio letto piangendo fino a domani... potrei cedere alla tristezza... ma dimmi, dimmi per cosa?"

Si ferma di nuovo, scribacchia sul taccuino il testo di questa canzone e canta a cappella. Avvicina la chitarra al petto come faceva con quell'orso lacerato che portava in giro quando eravamo passeggeri sui sedili posteriori della stessa corsa, quando condividevamo i letti durante le vacanze. Prima che Larry avesse una carta intestata ci ammucchiavamo tutti in una stanza d'albergo, davamo da mangiare ai gatti sotto il nostro terrazzo. Questo era ciò che succedeva nella nostra vecchia casa, Cynthia non voleva che li facessimo entrare. "Portano malattie" diceva.

Ci scambiavamo caramelle ad Halloween, a Zoe piaceva la cioccolata, a me solo le cose aspre. La mia sorellina voleva fare tutto ciò che facevo io: giocare con le mie macchinine e gli X-Men, fingere che fosse un soldato nel mio esercito. A un certo punto però ha smesso di combattere per me.

Dove è finita la sua lealtà? L'altro giorno quando io ed Evan abbiamo litigato è andata a vedere se stava bene. Se Evan stava bene. E io? Chi stava verificando se io stessi bene?

"Perché dovrei avere il cuore pesante? Perché dovrei iniziare a cadere a pezzi? Perché dovrei spezzarmi per...te?"

Ora che la sto ascoltando, non c'è modo di non sentire. Enuncia ogni sillaba richiamando la mia attenzione. Un momento privato inconsapevolmente condiviso. C'è così tanto dolore nella sua voce e e ancora di più nelle sue parole.

"Perché dovrei interpretare la ragazza a lutto e mentire? Dicendo che mi manchi e che il mio mondo è diventato buio senza la tua luce. Non canterò un requiem stanotte."

Dunque per la prima volta nella storia della famiglia Murphy sono tutti d'accordo e l'argomento è "non canteremo un requiem per Connor." Spiacente di informarti Zoe, che lo stai già facendo e ci stai riuscendo benissimo. Questa roba spacca, sorella. Dovresti proporla a qualche casa discografica e mi azzarderei anche a crederci se non fosse che mi stai sbattendo in faccia che ero un fratello di merda e non è esattamente qualcosa che voglio sentire risuonare alla radio.

"Sto piangendo di nuovo nella mia stanza. Perché non mi hai permesso di essere tua amica? Sei fuori controllo, non fai che mentire... mi hai tagliata fuori..."

Le lacrime le bagnano il viso e io mi chino di fronte a lei per asciugarle, ci riesco e ne sento l'umidità sul retro del mio indice, ma lei non sente me.

"Perché quando il cattivo muore il regno non si dispera... nessuno accende una candela per ricordarlo... nessuno lo piange... vanno tutti a dormire...quindi non mi dire che..."

Zoe estrae dalla tasca dei jeans la lettera, quella lettera, le mie 'ultime parole', non avevo idea la tenesse lei. Legge e rilegge, stringe la carta in un pugno.

"Non avevo ragione..." conclude la frase.

"Non dirmi che non era tutto bianco e nero. Dopo tutto ciò che mi hai fatto passare non dirmi che non è vero, che tu non eri il MOSTRO...che conoscevo..." Zoe canta con una potenza crescente, arriva al culmine con la parola che mi ha detto più spesso nella sua vita e poi crolla con una voce rotta e silenziosa sulle ultime parole.

Si alza dal pavimento, esce in corridoio, prende una delle nostre foto scattate al frutteto, una di quelle che Cynthia ha voluto esporre in corridoio. Ci ritrae abbracciati, io ho un cerotto sulla guancia sinistra e Zoe mi dà un bacio sulla guancia destra. Avrà avuto sei anni in questa foto, ma non ne sono sicuro, il punto è che noi eravamo questo. Come abbiamo potuto smettere?

La vedo baciare la nostra foto, stringerla al petto e poi scoppiare in un pianto che non sa frenare con singhiozzi e urla. Larry e Cynthia accorrono, si stringono attorno a lei, mi inserisco anche io nell'abbraccio.

Finalmente siamo insieme.

"Continuo a vedere Connor nella bara, con il sangue alla bocca e la pelle ingrigita... non ricordo più come era mio fratello..." mormora.

Larry la stringe più forte, Cynthia le accarezza i capelli. "Dobbiamo essere forti e cercare di ricordarlo quando aveva quel suo bel colorito, pallido, ma vivo" sussurra.

"Vi voglio bene" riesco finalmente a dire e dopo qualche minuto mi allontano, lasciandoli nell'abbraccio di cui hanno sempre avuto bisogno.


Torno da Evan, lo trovo nel suo letto, non dorme, sta fissando il soffitto, solo questo.

"Ti sono mancato?" gli domando forzando un sorriso sulle labbra.

"Connor!" esclama lui, sembra decisamente felice di vedermi.

Probabilmente è mancato più lui a me specialmente perché nessun altro mi può sentire e il silenzio è spaventoso.

"Quel deficiente di Kleinman si è preso cura di te?" gli domando. Mi risponde annuendo.

"E hai cenato?"

Annuisce di nuovo.

"Tua madre è in casa?"

L'ennesimo cenno del capo.

"Puoi sussurrare o parlarmi col pensiero, non devi preoccuparti."

Evan lo fa di nuovo, annuire. "Ero preoccupato per te... sei scomparso... ho paura che te ne andrai anche tu..."

Lo guardo, mi metto seduto su un lato del suo letto, accenno un sorriso che non raggiunge gli occhi.

"Aspetta, hai pianto? Dove sei stato? Cosa è successo?"

Gli è bastato vedermi per dimenticarsi di se stesso e concentrarsi sulla mia sofferenza.

"Dai miei, da Zoe... ora sanno la verità ed è grazie a te."

Prima che io possa dire qualsiasi altra cosa Evan mi abbraccia, mi stringe talmente forte che mi domando se non stia cercando di spezzarmi a metà.

"È la cosa giusta, Connor, abbiamo fatto la cosa giusta" mormora.

Devo ammetterlo, si sta bene tra queste braccia, si sta bene con questo calore, con il profumo di Evan che mi solletica le narici e le sue labbra che quasi sfiorano il mio collo.

"Come hanno reagito?" chiede.

"Hanno bisogno di tempo... un po' come me" rispondo.

"Tu invece? Stai meglio?"

Evan annuisce, penso che perderò la testa se lo farà ancora nei prossimi minuti. "Ora che sei tornato sì... continuo a sentirmi in colpa perché stiamo mentendo ai tuoi..." mormora.

"Evan, non devi" gli dico con sicurezza. "Le nostre bugie li stanno unendo, la verità non avrebbe fatto altrettanto e penso sia questo il punto."

Evan si allontana appena, mi guarda negli occhi, mi asciuga le lacrime. "Vuoi dormire con me stasera?" mi domanda.

È buffo perché il suo tono mi ricorda quello dei miei quando alcune notti mi svegliavo in preda al panico a causa degli incubi e loro mi chiedevano se volessi entrare nel lettone e quello stesso sembrava un posto così sicuro nonostante ci fossero dentro i miei aguzzini.

"Io non dormo, Hansen" gli ripeto per l'ennesima volta.

"Non è questo che intendevo e lo sai... volevo solo dirti che io ci sono e questo è tutto ciò che posso offrirti..."

Ci deve essere una ragione per cui sto singhiozzando tra le sue braccia, ma non ho voglia di concentrarmici.


Siamo a scuola, Evan ha appena ricevuto i risultati di un test per il quale non aveva studiato manco per sbaglio e per sua fortuna era solo autovalutativo, lo stringe ancora in mano mentre entriamo in mensa.

'Non eri parte del mio quotidiano, le nostre strade non si erano mai davvero incrociate. Come me vivevi solo nello sfondo e se ci siamo incontrati a metà strada in questa vita da comparse io non me ne sono mai reso conto. Mi fa rabbia che la tua morte ci abbia uniti, io... volevo un amico vivo...' mi comunica Hansen. Le sue parole mi feriscono in una certa misura, ma ci leggo tutto l'affetto di cui sono riempite.

"È questo l'incipit del tuo libro?" cerco di sdrammatizzare.

'Dico sul serio, Connor. Hai una vaga idea di quanto faccia male tutto questo? Mi distrugge sapere che sei morto e anche se quando mi relaziono con te quasi me ne dimentico di certo non posso raccontare a nessuno della nostra amicizia...' risponde.

Sospiro, svolazzo dietro la sua testa, c'è la fila per la mensa quindi il minimo che posso fare è fargli sapere in anticipo le opzioni.

"Porridge e pollo arrosto, per contorno spinaci e fagiolini" dico.

Evan alza lo sguardo, mi sorride. "Di cosa hai voglia?" chiede a bassa voce.

"Porridge e spinaci" rispondo.

Evan ridacchia. "Prenderò il pollo arrosto e i fagiolini" dice.

"Perché? È un dispetto?!" chiedo.

"No" risponde Hansen. "È che abbiamo gusti diametralmente opposti."

Una ragazza si gira verso Hansen, lo squadra da capo a piedi e poi ride. Vorrei tirarle i capelli perché lo so che sta deridendo Evan, ma resto buono buono cercando di cambiare discorso prima che Hansen abbia un attacco di panico per questo evento che per molti potrebbe essere insignificante, ma per me ed Evan è più che una condanna a morte.

"Dove è finito il tuo fedele panino con burro di arachidi e marmellata?" gli domando.

'Stamattina mi sono dimenticato di prepararlo e poi dopo ieri... non avevo molta fame' risponde col pensiero.

Ci andiamo a sedere, Evan poggia il vassoio sul tavolo in fondo alla mensa, lancia sguardi furtivi a mia sorella immaginando un mondo in cui stanno insieme. Abbassa lo sguardo spaventato, forse non vuole che Zoe lo veda o forse il problema sono io.

'Sì, mi piace tua sorella, scusami' ammette col pensiero. 'Jared adesso è convinto che stavamo insieme e io non riesco a fargli capire diversamente. Ho deciso di stare al suo gioco perché finalmente mi sta trattando in maniera decente e non sospetterà che abbiamo inventato tutto.'

"Lo avevo capito, Evan" gli dico tranquillamente. "Mia sorella è fantastica, non vedo perché non ci si possa innamorare di lei."

Forse questa frase mi è uscita più amara di quanto sperassi.

'Però mi sembra una mancanza di rispetto nei tuoi confronti...mi sembra di starti tradendo...'

Sospiro, mi seggo di fronte a lui e gli sfiorò il braccio ingessato con una mano delicatamente. "È mia sorella, non mia figlia e anche se lo fosse stata la vita è tua, è sua, siete liberi di provare ciò che provate. E poi non è che stessimo davvero insieme, Hansen, non mi stai tradendo."

"Non intendevo in quel senso!" squittisce Hansen attirando gli sguardi di alcune persone a mensa. Prende il cellulare ridacchiando istericamente. "M-Madri... a volte ti fanno... perdere il senno" dice.

Sono veramente fiero di lui, prima risponde a Jared, poi riesce a gestire molto meglio queste situazioni imbarazzanti. Sta facendo molti progressi!

Ciò nonostante... "Ricordati di comunicarmi col pensiero quando non puoi parlare ad alta voce" dico.

"Hey Evan" qualcuno si siede su di me, Evan ridacchia appena mentre mi sposto accanto a lui. "Sam" dice il ragazzo seduto di fronte a noi.
"Siamo compagni a inglese."

Evan mi guarda spaesato, poi guarda l'altro ragazzo altrettanto spaesato. "Oh giusto. Ciao" dice poco convinto.

Sam riprende a mangiare, Evan fissa la riga tra i suoi capelli. 'Da dove viene? È sempre stato qui? Fondamentalmente ho trascorso questi anni di liceo come una nullità. Essere riconosciuti all'improvviso mi inquieta' mi dice.

Tutti in mensa stanno fissando Hansen e non capisco perché, ha solo espresso un pensiero ad alta voce, niente di più. Tuttavia non è un guardare costante, in effetti ho usato il termine sbagliato, semplicemente l'occhio cade su Hansen, le persone si girano appositamente per guardarlo anche solo per un istante e poi tornare a mangiare e non lo fanno tutte insieme.

Lasciamo la mensa, Evan si sente in soggezione, andiamo fuori su una panchina. Il vassoio resta sul tavolo. Salta fuori che Hansen ce lo aveva il panino suo solito, il suo SunButter, ma per ragioni a me sconosciute mi ha mentito.

"Perché Evan? Perché mi hai detto che non ce l'avevi?" gli chiedo cercando di mostrarmi benevolo.

'Volevo davvero riuscire a mangiare qualcosa di diverso, scusami Connor.'

"Lo farai stasera" dico senza farmi problemi. "Serata tacos con la tua mamma, no?"

Evan adesso ha l'acquolina in bocca, i suoi occhi sono vispi e lo stomaco brontola pronto a ricevere il suo cibo.

La panchina improvvisamente trema e qualcuno si è seduto di nuovo su di me.

"Oh mio Dio, come stai?" domanda Alana Beck. Non so perché tutto a un tratto le interessi.

"Sto bene, credo" le risponde Hansen. Lei sussulta come se stesse soffrendo. "Sei fantastico."

"Io?"

"Jared ha raccontato a tutti di te e Connor, quanto eravate intimi..."

Mi sto incazzando, tanto. Fottuto Kleinman, lo sapevo che eri solo un bastardo. Io trovo il modo per ammazzarlo se la storia del mio suicidio viene imputata in qualche modo all'omosessualità, all'unica cosa mia con cui mi sia mai trovato davvero a mio fottuto agio.

"Che eravate... tipo, migliori amici" conclude Alana.

Ora è Evan a tremare.

"Tutti parlano di quanto sei stato coraggioso questa settimana" dice Alana, le mani giunte, una suora che consola un paziente costretto a letto. 

"Tutti?" la voce di Hansen si incrina e quasi si spezza. È per questo che tutti continuano a guardarlo anche da fuori la mensa. Sam da lontano annuisce come se avesse risposto alla domanda di Evan.

"Voglio dire, chiunque altro nella tua posizione cadrebbe a pezzi" dice Alana. "Dana P. ieri a pranzo ha pianto così forte che si è stirata un muscolo in faccia. È dovuta andare in ospedale".

"Dana P. non è nuova quest'anno? Neanche lo  conosceva Connor" commenta Evan.

"Ecco perché stava piangendo. Perché ora non ne avrà mai la possibilità" mormora Alana. "Connor sta unendo la scuola. È pazzesco! Persone con cui non ho mai parlato prima vogliono parlare con me ora perché sanno quanto Connor significava per me."

Alzo un sopracciglio perplesso. "Quanto significavo per te?"

Che io ricordi tra me e Alana Beck c'è stato forse un progetto di inglese quando avevamo dodici anni.

"È molto stimolante. In realtà ho aperto un blog su di lui, una sorta di pagina commemorativa" prosegue Alana.

Il battito cardiaco di Hansen triplica, un lungo sorso d'acqua aiuta a malapena. "Non avevo capito che fossi amica di Connor" mormora.

"Non lo eravamo, Hansen. Questa è l'ipocrisia di cui volevi scrivere su Twitter l'altro giorno" gli dico subito per calmarlo.

"Non amici, davvero. Più come conoscenti, ma conoscenti stretti" risponde Alana, almeno ha la decenza di dire la verità.

Il mio battito cardiaco di Hansen rallenta, ma non abbastanza.

"Probabilmente non ti hai mai parlato di me" mormora Alana. "Se devo essere sincera penso che una parte di me abbia sempre saputo che voi due eravate amici. Hai fatto davvero un buon lavoro nel nasconderlo, ma lo sapevo perfettamente." Si avvicina di più a Evan. "Raccontami."

"Cosa?"

"Raccontami di voi, della vostra amicizia. La foto di Connor che tutti continuano a postare?  Quella in cui l'altro ragazzo è tagliato fuori. L'altro ragazzo sei tu, vero?"

Alana lo studia e Hansen ha troppa paura anche solo per respirare.

"No" rispondo io al posto di Hansen. Evan è Evan, ma lui era lui.

Alana sorride "lo sapevo" dice. Anche Sam sorride da lontano e Hansen è confuso perché non solo non ha detto niente, ma non ha neanche mosso un muscolo facciale che potesse parlare al suo posto.

"Aspetta Evan" mormora Alana mentre si alza, Hansen la afferra per una mano prima che sia troppo tardi.

"No, non sono io" specifica. "Connor aveva un altro amico che mi aveva menzionato qualche volta, ma non so niente su di lui, credo sia lui."

Potrei quasi piangere, per me è fondamentale che Evan abbia detto la verità. Istintivamente mi metto alle sue spalle e gli accarezzo la schiena.

"Grazie" mormoro.
"Non mi piace mentire" dice Evan a bassa voce, Alana si allontana diretta chissà dove.

Evan toglie le tende, punta alle porte della mensa, Jared gli si para davanti a braccia aperte. Evan si inserisce per ricevere un abbraccio, ma Kleinman lo spinge via.

"Che fai?" domanda l'idiota.

"Scusa... pensavo..." mormora Evan.

"Sto cercando di mostrarti una cosa, stronzo" dice Jared indicando suo petto, lì dove c'è una spilla con la mia faccia sorridente. Sempre la stessa foto. Jared infila una mano nella tracolla e ne estrae una spilla identica alla sua, la appunta sulla camicia di Evan.

"Li vendo a cinque dollari l'uno, ma tu puoi avere la tua per soli quattro" dice Kleinman.

Evan è ferito, mantiene lo sguardo basso e gli occhi lucidi. "Fai soldi su... di Connor..." mormora. "Continui..."

"Hey, lo sto facendo per un buon fine adesso. Stiamo raccogliendo dei soldi per un gruppo di ascolto. Per evitare che altri facciano la fine del tuo ragazzo."

Ora sia io che Hansen siamo sorpresi. "Stiamo?" domandiamo all'unisono.

"Non hai visto i braccialetti con le iniziali di Connor che Sabrina Patel ha iniziato a vendere? O le magliette fatte dalla mamma di Matt Holtzer?" 

"No, non posso credere che lo stiano facendo."

"Forse ti sembrerà strano Evan, ma questa scuola ha bisogno di un vero e proprio gruppo di aiuto e quello che è successo a Connor ha fatto capire a tutti noi che non si può più rimandare. Ho inoltrato una richiesta al preside Howard perché si promuovano iniziative di consapevolezza sulla salute mentale. Ringraziami dopo." 

Io e Hansen siamo sbalorditi, quella testa di cazzo non è così testa di cazzo come sembra. La testa di cazzo parziale si allontana e stavolta Evan viene avvicinato dalla mia sorellina.

"Oh ti prego, togliti quella spilla ridicola" mormora Zoe. Mi ha tolto le parole di bocca.
"Connor l'avrebbe odiata, non credi?"

"Confermo" gli dico fluttuando alle spalle di Zoe. Evan rimuove la spilla e sorride, come un ebete.

La mia sorellina si allontana e Hansen continua a fissarla mentre sparisce tra la folla, schiocco le dita per attirare la sua attenzione.

Hansen trema, essere nel laboratorio di informatica lo rende nervoso, forse perché appena la settimana scorsa gli ho preso la lettera, abbiamo avuto quello scontro e poi mi sono... vabbè andiamo avanti.

Si guarda intorno, non so cosa stia cercando. "Saresti ancora vivo se non avessi mai stampato quella lettera" mormora.

Sbuffo profondamente. "Di nuovo con questa storia, Hansen? Non prenderti colpe che non hai."

'Ma è vero... tu saresti qui se io..." gli occhi di Hansen si riempiono di lacrime, di nuovo. Io gli volo davanti e gliele asciugo così come ho fatto con mia sorella. "E allora? Pure che fosse? Guarda cosa ci ha dato la mia morte? Vuoi davvero tornare indietro a quando non avevi nessuno se non te stesso a cui scrivere una lettera?"

Hansen nega con un cenno del capo. "No, però... non mi sembra comunque giusto... non si dovrebbe morire a 17 anni e non per suicidio" dice a voce alta senza rendersene conto attirando di nuovo tutti gli occhi su di sé.

'Se la connessione Wi-Fi non avesse funzionato e il comando non avesse mai raggiunto la stampante tu saresti ancora vivo. Se mia madre non avesse fissato quell'appuntamento con il Dr. Sherman in quel giorno specifico, tu saresti ancora vivo. Inoltre, se non mi fossi mai rotto il braccio non ci sarebbe stato nessun gesso da farti firmare. Sono stato fortunato considerando che sono caduto da molto in alto, questo è ciò che mi hanno detto tutti. Non mi sentivo molto fortunato, sdraiato lì nel dolore fisico più atroce della mia vita. Avrei potuto rompermi la schiena, mi si sarebbe potuta aprire la testa. Il ranger Gus mi ha portato all'ospedale, continuava a chiedermi cosa stessi facendo lassù su quell'albero. Non sapevo come dirgli che all'improvviso mi era venuta voglia di arrampicarmi su un albero quando avrei dovuto lavorare. Ho inventato una storia sul momento, volevo trovare un cane che si era smarrito. "Chiamami sul walkie-talkie. Quante volte te l'ho detto? Qualsiasi cosa fuori dall'ordinario, mi chiami sul walkie-talkie." Era arrabbiato. Ci ho messo un po' a capire che Gus per quanto si comportasse come un amico era in realtà il mio capo. "Le regole esistono per tenerti al sicuro" ha detto. "Per tenere tutti al sicuro, compreso il parco. Mi sembra che tu abbia appena buttato queste nozioni fuori dalla finestra."  Aveva ragione, sinceramente, non mi importava della sicurezza in quel momento. Non era lì che avevo la testa. "Guarda, so che stai soffrendo" ha detto. "Ma se non impari da questa esperienza allora tutto il dolore è inutile." Non mi importava quanto fosse duro con me, ne ero grato in realtà. Almeno a qualcuno gliene importava qualcosa. "Hai chiamato i tuoi?" mi ha chiesto. La reazione del ranger Gus è stata migliore di quella che ho ricevuto da mio padre quando gli ho parlato il giorno dopo. "Haley, la mia figliastra, si è rotta il polso l'anno scorso ed è tornata ad allenarsi nel giro di pochissimi giorni" ha detto. Pensava di farmi sentire meglio? Beh non ha funzionato. Avrei preferito una risposta diversa da quella che mi ha dato, anche ridicolizzarmi per essere stato goffo, o solo scherzare su quanto sia sfigato o condividere la storia di quella frattura ossea che ha avuto quando era piccolo. Tutto, purché parlasse di me e non della sua nuova famiglia, anzi della sua famiglia. "Ho lasciato un messaggio a mia madre" ho detto a Gus.  "Penso che sia di turno." Guarda caso proprio quel giorno non era in ospedale invece. Ricordo di essermi sentito sollevato quando l'ho capito.  Non parlo con il ranger Gus da quando è finito il mio apprendistato. Sono stato con lui cinque giorni alla settimana per due mesi, e ora non abbiamo più niente a che fare l'uno con l'altro.  Non lo so. Sembra solo un po' incasinato.  Un minuto prima siamo una squadra o qualcosa del genere e ora è probabilmente impegnato a insegnare il mestiere a una nuova recluta. Vorrei scrivergli qualcosa, ma non legge le e-mail e non entra negli account dei social network che gli ho creato sotto richiesta. Tutti mi abbandonano, Connor, però io forse... ti ho ucciso.'

Nel momento in cui Evan conclude il suo pensiero è a terra, accovacciato su se stesso, stretto come un feto che non vuole nascere e spera sua madre prenda un qualcosa per abortire.

"Evan..." riesco solo a mormorare. I compagni del corso di informatica si accalcano, fanno la gara a chi lo deve aiutare ad alzarsi e portarlo in infermeria. Vorrei che ci lasciassero soli invece perché questa è una questione tra me e lui.

"Connor..." mormora lui a sua volta, guadagnandosi tutti gli sguardi di apprensione e tenerezza dei presenti.

"Perché ti sei ucciso, ti prego, ho bisogno di sapere perché... cosa ti ha fatto scattare? È colpa mia?!"

L'infermiera che hanno chiamato arriva mentre cerco di convincere me stesso a dire o meno la verità.

"Mi sono tolto la vita per delle spunte blu" mormoro mentre Evan viene portato in infermeria di corsa. "Tu non avevi neanche il mio numero, se lo avessi avuto probabilmente adesso sarebbe tutto diverso."
   
 
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