Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: J Stark    06/06/2021    1 recensioni
Cosa succederebbe se inaspettatamente ti ritrovassi nel mondo dell'Attacco dei Giganti? Conoscendo la storia agiresti per cambiare gli eventi o lasceresti che facciano il loro corso? Assisteresti da spettatrice/spettatore alla morte dei tanti personaggi o cercheresti a tutti i costi di salvarli?
Ti invito a scoprirlo unendoti all'avventura di Carol, la protagonista di questa storia.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Quella mattina a Carol non sembrò vero di poter dormire più del solito, era talmente rilassata che anche il duro guanciale ed il vecchio materasso le risultavano comodissimi.

Erano da poco passate le nove quando aprì gli occhi e nonostante iniziasse ad avvertire un certo languorino si concesse di rimanere un altro po’ a letto, godendosi placida i timidi raggi di sole che filtrando dalla finestra le intiepidivano la pelle.
A quell’ora Levi e gli altri dovevano già essere arrivati a destinazione, probabilmente stavano già parlando con l’Istruttore Shadis.
Benché fosse stata assegnata alla squadra del Capitano, Erwin non le aveva chiesto di unirsi a loro quella mattina e ciò l’aveva rammaricata un poco, poiché non le sarebbe dispiaciuto assistere al colloquio con Keith.
Ma dovette riconoscere che si trattava di una questione che non la riguardava e lei, seppur involontariamente, si era già intromessa in fin troppi aspetti di quel mondo. Almeno in questa circostanza doveva restarne fuori.

In certi momenti si ritrovava ancora a pensare che si trattasse di un sogno anche se più vivido e lungo del solito. 

Si aspettava da un momento all'altro di essere svegliata dal suo gatto Gimli, che come ogni mattina le poggiava la zampina sulla guancia per richiamare la sua attenzione ed avvisarla che era ora di colazione per entrambi.

Ma un rimprovero di Levi durante l'allenamento, una domanda di Hange mentre trafficavano in laboratorio o un battibecco tra Eren e Jean a tavola la catapultavano prontamente nel qui ed ora, confermandole che era tutto vero.

Le mancava terribilmente casa e ciò che la spaventava ancora di più era il pensiero che se le linee temporali della Terra e di Paradis procedevano alla medesima velocità, i suoi genitori a quel punto la ritenevano scomparsa e non osava immaginare quanto potessero essere preoccupati.
In cuor suo continuava a pregare che il tempo per loro si fosse fermato o scorresse con un ritmo ben più lento.

Un passero si appollaiò sul davanzale della finestra, picchiettando impertinente contro il vetro e poi dopo un attimo di esitazione volò via, veloce come i pensieri che affollavano la testa della giovane.

Mentre scrutava le chiazze di nuvole che correvano sull’azzurro intenso del cielo la mente vagò al racconto di Keith Shadis e l’immagine di quell’uomo abbattuto la invase di malinconia.

Per tutta la vita aveva creduto di essere speciale, un prescelto destinato a compiere grandi imprese che le persone comuni potevano solo sognare. Anzi, a detta di lui erano troppo indolenti e stupide persino per concepire tali azioni.
Anche lei aveva più volte ripetuto a sé stessa di essere diversa, anche lei aveva sdegnato la mediocrità sognando un futuro incredibile. Ma immancabilmente la vita l’aveva sempre riportata con i piedi per terra, ricordandole che la tracotanza di volersi avvicinare troppo al sole si pagava a caro prezzo.
Ritrovarsi a vivere quella strana avventura le aveva nuovamente fatto provare quell’orgoglio, quella sensazione di unicità.
Però in quel momento le parole dell’Istruttore le fecero nascere un oscuro presentimento, che come una lama gelata le penetrò il petto costringendola a raggomitolarsi nelle coperte per scacciare quello spiacevole brivido.

“Ma la verità è che io non sono in grado di cambiare niente, sono solo uno spettatore”

Da che ricordava si era sempre assunta, forse un po' ingenuamente e superbamente, il ruolo di salvatrice, determinata a portare giustizia nel mondo per quanto le sue capacità le consentissero. Ed ora, complice l'assurda situazione in cui si trovava, stava replicando il medesimo schema anche in quel frangente.

Voleva sistemare le cose, voleva salvarli tutti e desiderava essere protagonista anche lei nel farlo.

E se invece il ruolo che le apparteneva fosse quello di semplice spettatrice?

Se si fosse illusa di poter cambiare le sorti di quel mondo, quando in realtà poteva solo assistere impotente agli eventi, proprio come Shadis?

Era una possibilità, certo, ma allora a che pro farle attraversare le dimensioni e spedirla lì.
Istintivamente prese la spilla dal comodino e la rigirò tra le dita scrutando attentamente quelle ali splendenti in campo argento, nella vana speranza di vedervi riflesse le risposte alle proprie domande.

Ma l'unico effetto che ottenne da tale contemplazione fu quello di far sorgere ulteriori dubbi.

Chissà quale era davvero lo scopo del signor Eldar, chissà perché aveva scelto proprio lei.

Carol aveva molte domande da porre al furbo libraio e quando avrebbe fatto ritorno a casa si sarebbe subito fiondata in quella libreria pretendendo i dovuti chiarimenti.

Eppure non riusciva ad essere arrabbiata con lui perché in cuor suo sapeva di aver bisogno di quel viaggio, proprio come l'anziano le aveva velatamente anticipato.

Possibile che si sentisse più viva in quell'universo immaginario che nel mondo reale?

Percepiva ogni cosa con più entusiasmo, anche i rapporti che stava stringendo in quella realtà sembravano più genuini e profondi.

E riflettendo su quanto si stesse affezionando a quei personaggi, il pensiero volò quasi automaticamente a Levi.

Aveva sempre avuto un debole per gli uomini riflessivi e misteriosi fino al midollo, ma tra tutti il Capitano era stato l'unico ad affascinarla tanto profondamente.
Se con gli altri personaggi di fantasia non le risultava difficile mantenere bene in chiaro che fossero fittizi, con lui era molto più complicato.  Dopo aver recuperato tutte le stagioni dell'Attacco dei Giganti, manga compreso, spesso si scopriva imbambolata a sognare ad occhi aperti mirabolanti avventure, immancabilmente a fianco di Levi. Quando si accorgeva di essersi lasciata andare all'ennesima, sciocca fantasia finiva con l'imbarazzarsi e darsi della stupida da sola.
Ed ora che quei sogni si erano in parte avverati tenere a freno l'immaginazione richiedeva uno sforzo ancora più considerevole, a maggior ragione dovendo trascorrere tutti i giorni a contatto con il Capitano in carne ed ossa.

Tutto di lui l'attraeva, ma erano soprattutto le piccole cose a colpirla.

L'espressione stizzita che assumeva inarcando il sopracciglio di fronte a qualcosa che non gli andava a genio.

L'ormai celebre e peculiare modo in cui reggeva la tazzina.

La delicatezza e la cura con cui metteva in infusione le foglie di tè, in netto contrasto con la furia che mostrava sul campo di battaglia.

L'accenno impercettibile di sorriso, che veniva prontamente represso nel giro di qualche istante, quando assisteva ad una scenata di Hange.

L'attenzione che dedicava a Carol durante gli allenamenti, aiutandola quando ne aveva bisogno prima ancora che fosse lei a chiederlo.

La sicurezza che traspariva dalla sua figura, dal suo atteggiamento, come se fosse fatto di duro granito e nulla potesse scalfirlo.

Pur sapendo che a dispetto delle apparenze nemmeno lui fosse invincibile, Carol in questo lo ammirava molto, anche se con una punta di invidia.
Quanto desiderava essere in grado di celare altrettanto abilmente le proprie paure ed insicurezze, restituendo al mondo una maschera impavida.

Si mise a sedere sul letto, decisa ad interrompere almeno per la mattina quell'incessante vorticare di pensieri.
Levò le braccia al soffitto per stiracchiarsi e dopo un sonoro sbadiglio poggiò i piedi sul pavimento di legno consumato. Gli spifferi che si infiltravano tra le fessure della finestra la fecero rabbrividire, annunciando che per quanto la giornata fosse soleggiata non si sarebbe prospettata molto calda.
Si gettò sulle spalle la coperta di lana che era adagiata ai piedi del letto e si guardò intorno.

Nei giorni precedenti aveva avuto così poco tempo per sé stessa o era talmente esausta per gli addestramenti di Levi che le era mancata l'occasione di ispezionare la stanza.
Sì avvicinò quindi alla vecchia scrivania ormai segnata dal tempo oltre che dai tarli e ne aprì il primo cassetto, da cui si innalzò subito uno spiacevole lezzo di muffa ed umidità. Al suo interno trovò un ragno che sgusciò veloce fuori dallo scomparto ed una penna d'oca spennacchiata.
Passò al secondo cassetto che si rivelò più ostico da sbloccare, tanto che Carol dovette fare leva con un piede sul bordo del mobile. Dopo qualche poderosa trazione il blocco cedette e con uno scricchiolio sinistro il cassetto mostrò il proprio contenuto, che consisteva in una pila di carteggi ingialliti, forse vecchi documenti della Legione.
Ad un’attenta analisi però la ragazza notò che il legno sembrava stranamente traballante sotto il peso dei fogli, rivelando infatti un doppio fondo.
Nel vano nascosto erano riposti un distintivo sgualcito del Corpo di Ricerca chiazzato di sangue ormai ossidato ed un diario in pelle nera.
Incuriosita si mise a sfogliarne le pagine vergate da una grafia ordinata e dal tratto delicato per nulla difficile da decifrare. Il frontespizio recava solo la lettera X puntata, forse ad indicare le iniziali del suo possessore.
 
"Ho finalmente deciso di trascrivere in un secondo diario i miei pensieri, perché questi avvenimenti stanno diventando talmente difficili da gestire che temo ne perderei il filo una volta tornato a casa."
 
Recitava così la prima, enigmatica pagina del diario datata anno 830 e Carol venne immediatamente rapita da quella narrazione singolare.
 
"Non potrò portare con me questo taccuino, non mi è mai possibile conservare nulla di questi strani viaggi. Solo la mia coscienza mi accompagna ma a volte ho paura che anche questa possa abbandonarmi, troppo messa alla prova per non impazzire.
Dopo quasi un mese di continuo andirivieni mi sono ormai acclimatato a questa seconda esistenza in una vita che in realtà non mi appartiene, ma in cui cerco di essere un ospite il meno invadente possibile.
Non so mai in anticipo quando arrivo né quando è ora di andarmene, ma se mi concentro riesco a percepire qualcosa un attimo prima di partire.
È un tenue ed improvviso formicolio che si diffonde nel mio corpo immergendolo in un torpore simile a quello del dormiveglia."
 
La giovane era sempre più sbigottita da quanto stava leggendo.
L'autore denotava una grande capacità di analisi unita ad una spiccata vena narrativa, lanciandosi in minuziose descrizioni di scene di vita quotidiana; dalla visita al mercato cittadino ai momenti di svago con i commilitoni e dalle pagine trasudava un senso di sorpresa e meraviglia, come se chi scriveva fosse un turista in viaggio in un paese straniero. Tuttavia egli era volutamente criptico e quando menzionava nomi o luoghi lo faceva sempre con iniziali puntate, probabilmente per timore che il diario potesse finire nelle mani sbagliate.

Un sospetto iniziò infatti a sorgere in Carol, perché più si addentrava in quei racconti misteriosi più le sembrava che quella persona fosse effettivamente uno straniero e che avesse vissuto un'esperienza per certi versi molto simile alla propria.

Inoltre, per quanto quello fosse un alloggio destinato agli ufficiali del Corpo di Ricerca e di conseguenza il possessore del diario dovesse essere un Caposquadra, in quel registro non c’era traccia di freddi resoconti di vertici militari o spedizioni. Tale considerazione non fece che acuire i dubbi della ragazza.
Si chiese da quanto tempo quella stanza dovesse essere in disuso se nessuno aveva mai portato alla luce quel quadernino. Però effettivamente, se mai qualcuno fosse incappato in quegli scritti, ad una lettura superficiale essi sarebbero apparsi come deliri mentali di un pazzo, qualcosa su cui riderci sopra e riporre nuovamente nel cassetto.

“Sto conoscendo meglio questa realtà tra le mura di cui avevo letto solo vaghe testimonianze ed ho capito che non l'abbiamo mai conosciuta davvero. Ho sempre cercato di mantenere la mia mente sveglia ed aperta, senza farmi condizionare troppo da ciò che volevano impormi gli altri e toccando con mano la verità.
Ora riconosco che mi è stata data un’opportunità di conoscenza incredibile, ma sarà un segreto che dovrò portarmi nella tomba.
Le informazioni che ho raccolto nel mio peregrinare potrebbero portare ad una pace duratura, tuttavia nessuno mi crederebbe mai, troverei solo un pubblico di sordi ad ascoltarmi.
Non per mancanza di fede o lungimiranza, ma perché l’odio spesso è la scelta più comoda per gli arrivisti e quella che porta maggior profitto economico. Se ciò che mi è stato riferito corrisponde al vero presto questa terra, che è già un comodo capro espiatorio per numerose azioni, diverrà anche il diretto oggetto delle mire espansionistiche di M.
E a quel punto quanto ho da dire risulterebbe davvero scomodo ed io con esso. In fondo, per quale motivo chi brama il potere dovrebbe condividere, quando si può essere gli unici padroni di ogni cosa?”
 
I racconti si susseguivano negli anni e le preoccupazioni su un’imminente guerra si facevano sempre più pressanti e ricorrenti.
Narrazioni dai toni lugubri e pessimistici si alternavano ad altre più leggere ed in merito a queste ultime Carol notò una costante.  Si trattava soprattutto di aneddoti in cui compariva la figura di una certa E. a cui l’autore sembrava essere molto legato, forse un’amica o qualcosa di più.
Il profondo affetto per quella misteriosa donna cresceva e diveniva più solido di anno in anno.
Era evidente dalla dolcezza con cui E. veniva descritta mentre accarezzava un gatto nei giardini del Quartier Generale.
Traspariva quando X. catturava talmente bene lo splendore del sorriso di lei che Carol poteva quasi immaginarla ridere davanti a sé vivida e reale. 

Ma la buona sorte non era stata affatto benevola verso i due malcapitati e le cupi nuvole che avevano iniziato ad ammassarsi sopra le loro teste si tramutarono in una violenta tempesta nell’anno 834.

E. è morta.
Ed è solo colpa mia.
Se ci fosse stato il vero G. sarebbe sopravvissuta. Perché lui sarebbe stato in grado di uccidere il gigante che aveva davanti a sé invece di soccombere al terrore.
Invece in quel campo aperto c’ero io, e per salvare me lei ha perso la vita.
Il senso di morte che ho provato quando quella orripilante creatura mi stava per divorare non è nulla in confronto al dolore lancinante che mi ha invaso quando E. è spirata tra le mie braccia.
Non riesco a sopportare il fardello di questo ennesimo senso di colpa che mi squarta, che come un impietoso strozzino continua a bussare alla porta della mia misera esistenza.
Oggi più che mai mi sento davvero un demone, merito l’odio, il disprezzo.
Merito di morire.”
 
Carol si scoprì con le lacrime agli occhi nel leggere quella confessione a cuore aperto, di una sofferenza e tragicità devastanti.

Fuori dalla finestra il sole stava continuando a splendere, ma in quella stanza e nel cuore della giovane era calata una cupa mestizia.

Si soffermò su quella frase che suonava come una micidiale coltellata

“Mi sento davvero un demone”

Procedendo con la lettura del diario la giovane aveva covato il sentore che quella persona potesse essere in realtà un Marleyano. Vi erano troppe considerazioni sull’arretratezza di Paradis, troppi riferimenti a mire colonialiste che ancora non appartenevano alla mentalità degli abitanti dell’isola.
Ma ora quella particolare affermazione la poneva di fronte ad un cambio di rotta, che si trattasse sì di una persona nata e cresciuta a Marley, ma nel distretto di internamento e quindi Eldiano?
Sembrava plausibile, tuttavia non si spiegavano tutti quegli strani discorsi su partenze e ritorni improvvisi, né tantomeno quel “se ci fosse stato il vero G.”

Era tutto molto nebuloso ed al momento risultava davvero impossibile per Carol trovarci un senso logico.

I rintocchi delle campane del municipio la riscossero, si erano già fatte le dodici. Incredibile quanto veloce il tempo fosse volato.

Dato che presto Levi e la squadra avrebbero fatto ritorno, decise di rimandare le macchinazioni ed il proseguo della lettura a più tardi.

Ripose quindi il quaderno nel cassetto e quando vide il distintivo insanguinato lo stomaco le si strinse.

Quello doveva appartenere ad E.

L’unico frammento di lei che aveva fatto ritorno a casa.
 
   
 
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