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Autore: Nana_13    09/06/2021    0 recensioni
- Terzo capitolo della saga Bloody Castle -
Dopo aver assistito impotenti allo scambio di Cedric e Claire, i nostri protagonisti si ritrovano a dover fare i conti con un epilogo inaspettato.
Ciò che avevano cercato a tutti i costi di evitare si è verificato e ora perdonare sembra impossibile, ogni tentativo di confronto inutile. Ma il tempo per le riflessioni è limitato. Un nuovo viaggio li attende e il suo esito è più incerto che mai. Pronti a scoprire a quale destino andranno incontro?
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3

 

Di nuovo in viaggio


Alla fine avevano deciso di comune accordo di aspettare almeno un paio di giorni prima di partire, sia per dare il tempo a Cedric di riprendersi del tutto, sia per mettere a punto un piano d’azione che non li facesse andare completamente allo sbaraglio. Giorni che avevano passato chiusi in casa di Laurenne per evitare di farsi vedere in giro. Non sapevano come avrebbe reagito la gente del villaggio e non intendevano scoprirlo, così si facevano raccontare eventuali novità dalla sciamana, che invece andava e veniva.

Il problema però fu che, già dopo qualche ora trascorsa tutti insieme in uno spazio limitato, si iniziò a respirare un’atmosfera decisamente poco rilassata. Il ricordo di quanto accaduto su quel ponte era ancora vivido e trovarsi ogni minuto in compagnia di Dean o costretti a incrociarne lo sguardo per qualunque motivo non era facile da sopportare. L’unico che sembrava reggere meglio il disagio della convivenza era Mark, ma solo perché, nonostante conoscesse Claire e gli dispiacesse per lei, a conti fatti era stato tra loro il meno toccato dalla vicenda. Oltre a questo, Rachel sospettava stesse cercando di mettersi nei panni di Dean per capirne le ragioni e che stavolta fosse in parte d’accordo con il metodo della soluzione drastica per ridurre i danni il più possibile. Tipico di Dean. Mark non gliene aveva parlato, probabilmente perché sapeva di scatenare la sua reazione, ma ormai riusciva a leggergli nella testa senza che aprisse bocca. In ogni caso, l’ultima cosa che le serviva era litigare anche con lui, quindi tenne per sé il fastidio provocatole dalla sottintesa comunella tra quei due e si concentrò sulle prossime mosse da fare.

Con l’aiuto di Laurenne, si misero a studiare da cima a fondo le antiche pergamene che la sciamana aveva preso in prestito dall’archivio della tribù, nella speranza di trovarvi qualche riferimento a Ludwig, ma scoprirono solo che la sua famiglia, appartenente alla dinastia austriaca dei von Eggenberg, era alleata dei Danesti nel periodo in cui erano in guerra contro gli avi di Nickolaij. 

Laurenne sbuffò, riemergendo dalla lettura dell’ennesimo foglio ingiallito. “Niente. Qui parla solo di battaglie tra Jurhaysh e vampiri. Nessuna menzione dell’Austria o luoghi precisi di essa e dubito che ne troveremo mai.” concluse affranta. “Mi dispiace, ma temo che dovrete cercare altrove.”

Dall’angolo in cui era seduto, Mark annuì con aria rassegnata. “Lo avevamo messo in conto, non preoccuparti.” 

“Tanto non possiamo più restare.” ribadì Dean. “Faremo qualche ricerca per conto nostro.” 

Suo malgrado, Juliet non riusciva proprio a condividere tutta quella fretta di andarsene dall’unico posto che le ricordava un minimo casa sua, ma capiva che non avevano scelta e questo le infondeva ancora più ansia per il futuro. Lasciare il villaggio avrebbe significato perdere qualsiasi protezione da Nickolaij e la sua sete di vendetta.

Era talmente presa da quei pensieri inquietanti, che trasalì quando all’improvviso qualcuno bussò alla porta. Sui volti degli altri lesse la stessa tensione, segno che ognuno di loro stesse pensando a una cosa sola. Erano venuti a prenderli per vederci chiaro su Jamaal, per processarli magari. Laurenne non si era sbilanciata granché sull’argomento, visto che a stento era riuscita a vedere Najat e a parlarle per più di qualche minuto, perciò rimasero tutti alquanto sorpresi nel ritrovarsela sulla soglia, accompagnata dal fido Abe. 

“Nat.” constatò la sciamana, nascondendo lo spaesamento dietro un sorriso. 

Lei ricambiò, anche se brevemente. “Sono riuscita a liberarmi solo adesso. Posso entrare?”

“Prego, vieni.”

Dopo aver fatto cenno ad Abe di aspettarla fuori, Najat si accomodò, mentre Laurenne le chiudeva la porta alle spalle. Dopodiché le chiese se potesse offrirle qualcosa, ma la ragazza scosse la testa. 

“Ti ringrazio, ma non rimarrò a lungo.” le disse in tono cortese, per poi posare lo sguardo su di loro. “Volevo parlare con voi di quello che intendete fare.”

“Sai che vogliamo lasciare il villaggio?” domandò Dean retorico. In realtà, immaginava già che ne fosse al corrente.

Najat annuì, seria in volto. “Laurenne me l’ha accennato.” 

“E cosa ne pensi?”

Prima di rispondere, si prese qualche secondo. “Penso che non abbiate tutti i torti.” sentenziò infine. “La situazione si è fatta parecchio tesa negli ultimi giorni, non ve lo nascondo. Sia gli anziani che diversi miei comandanti si lamentano del fatto che Jamaal fosse troppo morbido nei vostri confronti. Secondo molti di loro non avrebbe dovuto accettare di aiutarvi, ha rischiato troppo andando a Bran.” spiegò, confermando i timori espressi da Dean. 

“E Tareq?” intervenne Rachel in tono risentito. “Qualcuno ha detto loro di Tareq? Il vampiro che avete catturato avrà confermato il suo tradimento.” Le sembrava che l’attenzione generale fosse focalizzata un po’ troppo su di loro, anziché riconoscere che se quell’uomo non fosse stato lì forse ora Jamaal sarebbe stato ancora vivo. 

Che quel nome scatenasse un istinto tutt’altro che pacifista nella guerriera era più che evidente, ma la videro cercare di contenere la rabbia che il ricordo di quel momento ancora le infondeva. “Purtroppo no. L’abbiamo interrogato, ma non ha saputo dirci niente di utile. Comunque, ho provveduto io a informarli che Tareq è passato dalla parte del nemico. È stata la prima cosa che ho detto quando hanno chiesto spiegazioni, ma dicono che andare là sia stata comunque un’idea suicida. Tareq o no, ognuno di noi ha rischiato di non tornare vivo da quel posto.”

“Quindi la colpa di tutto sarebbe nostra.” ne dedusse Juliet allibita. Per certi versi capiva il loro punto di vista, ma per altri le faceva rabbia che li ritenessero responsabili dopo tutto quello che avevano dovuto passare. 

Najat inarcò un sopracciglio, ma non replicò subito, segno che fosse alla ricerca delle parole meno dirette da usare. “Beh, nessuno l’ha detto a voce alta, però…” 

Era parecchio esitante nell’esprimere ciò che tutti sapevano, forse per timore di offenderli, ma non c’era certo bisogno di essere espliciti per capire. 

“C’è anche dell’altro.” aggiunse, cercando di ignorare la loro delusione. Subito dopo guardò Dean e lui fece lo stesso, intuendo che la prossima cosa che stava per dire lo riguardava strettamente. “Qualcuno nel villaggio comincia a sospettare di te.” rivelò infatti.

“Cosa?” fece Mark stupefatto. “Com’è possibile? Nessuno sa che…”

“Ed era così, almeno in teoria.” lo interruppe lei. “Ma adesso girano delle voci, niente di sicuro ovviamente. Non so da cosa siano partite, forse perché al suo arrivo era stato rinchiuso o magari per via di quell’episodio al mercato...” ipotizzò. 

In effetti quella volta, quando aveva difeso Cordelia, Dean aveva sperato che la scena si fosse svolta in maniera abbastanza rapida da celare la forza non proprio ordinaria con cui aveva messo quel guerriero al suo posto, decisamente troppa per una persona comune. Ora invece non ne era più tanto sicuro e pensò che magari avrebbe potuto evitare di esporsi così. Sempre ammesso che fosse stato quello il fattore scatenante. Senza volerlo, dalla bocca gli uscì un’imprecazione.

“Sentite, non voglio farvi paura.” riprese Najat, vedendo le loro facce spaesate e allarmate allo stesso tempo. “Per il momento sono solo voci, ma se dovessero diventare qualcosa di più non posso assicurarvi che riuscirei a garantire per lui. Se si sapesse, sarebbe un grosso problema per me, ma soprattutto per voi. Non tutti qui sono tolleranti come lo era Jamaal.”

“Potrei anche rischiare di essere accusato della sua morte.” rifletté Dean, senza peli sulla lingua. “Per quanto ne sanno potrei averlo ucciso io.”

Lei però mise le mani avanti. “Adesso esageri...” 

“Forse, ma quanto ci vorrà prima che quei sospetti diventino certezze?” replicò in tono pratico. Non sarebbe potuta andare peggio di così. Finora era riuscito a nascondersi alla luce del sole, contando sul fatto che nessuno in quel posto avrebbe mai potuto pensare che proprio Jamaal avesse permesso a un vampiro di introdursi nella tribù. Adesso però le cose erano cambiate e urgevano misure estreme. “Dobbiamo andarcene prima possibile.” sentenziò definitivo. 

Mark si dimostrò subito d’accordo, alzandosi dalla sedia per dirigersi alle scale. “Vado a svegliare Ced.”

Il tempo di raccogliere le loro cose e preparare qualche provvista e si trovarono alle stalle, pronti a partire.

“Grazie per tutto l’aiuto che ci hai dato. Non so come avremmo fatto senza di te.” Rachel coinvolse Laurenne in un caloroso abbraccio, trasmettendole il sentimento di gratitudine che provava nei suoi confronti. Il suo supporto era stato fondamentale in uno dei momenti più difficili da quando avevano lasciato Greenwood. Aveva offerto loro un tetto, li aveva sfamati, protetti, sostenuti moralmente e soprattutto Juliet era di nuovo se stessa grazie a lei. Tutto questo senza pretendere nulla in cambio. L’esistenza di persone generose e disinteressate come lei, ma anche come i Weaver, alla cui morte le era capitato di pensare spesso, forse si poteva considerare uno dei pochissimi lati positivi di quei mesi da incubo.

La sciamana ricambiò l’abbraccio, stringendola forte a sé. “È stato un piacere, tesoro.”

“Troveremo il modo di sdebitarci.” aggiunse Mark, dopo aver sistemato le ultime cose sul cavallo. 

Laurenne gli sorrise, scuotendo leggermente la testa per fargli capire che non ce n’era bisogno. “Ora dovete pensare solo al viaggio che vi aspetta. Non sarà un’impresa facile, ma so che ce la farete.” disse fiduciosa, mentre stringeva anche Juliet in un abbraccio.

Prima di lasciarli agli ultimi preparativi, approfittò del fatto che Dean si fosse un po’ defilato rispetto agli altri per avvicinarsi e parlargli in privato. “Tieni, questa è per te.” 

Il modo in cui gli porse una sacca di stoffa che aveva portato con sé fu alquanto improvviso e lui le rivolse un’occhiata decisamente spaesata. Immerso nei suoi pensieri, non si era neanche accorto dell’arrivo della donna. Dopo un istante di esitazione, prese la borsa e la aprì, trovando all’interno un bel numero di bottigliette di vetro piene di quell’intruglio verde di sua invenzione che aveva già avuto il piacere di assaggiare. 

“Ho pensato che potessero tornarti utili. Il plenilunio non è così lontano.” disse la sciamana in un tono molto meno amichevole di quello che di solito usava con gli altri. 

Se si stava sforzando di non lasciar trapelare la bassa opinione che aveva di lui, il risultato non era dei migliori, ma Dean apprezzò comunque il pensiero e non attese oltre per ringraziarla.

“Qui ho segnato sia gli ingredienti che il procedimento per farne dell’altro. Non si sa mai.” aggiunse, consegnandogli un foglietto di carta, che Dean infilò in tasca. “Hai la mappa dei portali?” gli chiese poi, mentre lo guardava sistemare la borsa sul cavallo insieme al resto delle provviste. 

Lui si limitò ad annuire. Non se ne separava da quando Najat gliel'aveva consegnata qualche ora prima, insieme a del denaro di diverse valute. –È tutto quello che sono riuscita a raccogliere- aveva spiegato per giustificarne la quantità esigua. Naturalmente l’aveva rassicurata, dicendole che se lo sarebbero fatto bastare. In quei pochi giorni trascorsi dal ritorno al villaggio, Dean aveva avuto l’impressione che il loro rapporto fosse migliorato, che lei avesse smesso di trattarlo come il nemico pubblico numero uno e ora mostrasse una certa stima nei suoi confronti, forse per ciò che aveva fatto a Bran. A dire la verità, gli sembrava che Najat fosse l’unica ad aver quantomeno apprezzato i suoi sforzi per tirarli fuori dai guai. Non che tenesse particolarmente alla sua approvazione, ma era già qualcosa.

“Bene.” disse Laurenne. “Mi spiace che Nat non sia qui per salutarvi, ma l’ho pregata di concedersi un po’ di riposo. Da quando siamo tornati non ha dormito praticamente mai.” 

Dean la rassicurò. “Non importa, sapeva che saremmo partiti entro sera. Ringraziala da parte nostra quando la vedi.” Detto ciò, mise il piede destro nella staffa e si issò a cavallo, guidandolo poi fuori dalla stalla, dove ad attenderlo c’erano gli altri e il guerriero che Najat aveva incaricato di accompagnarli a destinazione. Sahid, ricordava lo avesse chiamato. Dalla faccia non gli era sembrato molto entusiasta della cosa, ma aveva comunque obbedito agli ordini senza discutere. Del resto, da soli si sarebbero sicuramente persi in quel deserto.

Dopo aver aiutato Juliet a montare in sella, contro ogni aspettativa Cedric salì agilmente davanti a lei, come se sapesse farlo da sempre. 

“Sicuro di farcela?” gli chiese Mark con un po’ di premura. “Sei ancora provato…”

“Sto bene.” ribatté lui in tono secco, quasi interrompendolo; poi sembrò rendersi conto di essere stato troppo duro e la sua espressione si distese. “Non preoccuparti, ce la faccio.” lo rassicurò, mentre Juliet gli cingeva saldamente la vita con le braccia. 

Una volta pronti, rivolsero un ultimo saluto alla loro benefattrice e si misero in cammino, guidati da Sahid. Alla fine avevano deciso di partire al tramonto, in modo da non dare troppo nell’occhio, perciò era notte fonda quando i profili di alcune casupole iniziarono a intravedersi davanti a loro. La luminosità era scarsa, ma delle fiaccole accese piantate nel terreno segnalavano la posizione del piccolo villaggio dove erano diretti. In realtà, una volta arrivati scoprirono che più che di un villaggio vero e proprio si trattava di una sorta di avamposto, uno sparuto gruppetto di costruzioni in argilla del tutto simili a quelle che già conoscevano e che avevano lasciato da poche ore. 

Entrati nel villaggio, lo trovarono immerso nel silenzio. Non c’era nessuno ad accoglierli. Sahid si fece avanti con il suo cavallo, percorrendo un tratto di strada tra le casupole, seguito subito dopo da Dean e gli altri. 

“Siamo sicuri che sia il posto giusto?” chiese Cedric, scambiandosi un’occhiata perplessa con Mark, che gli cavalcava a fianco insieme a Rachel. 

Il guerriero però non rispose, continuando ad avanzare. A dire la verità non sapevano nemmeno se parlasse la loro lingua, visto che per tutto il viaggio non aveva spiccicato mezza parola. Percorso qualche metro, lo videro tirare le redini e il suo cavallo si fermò in corrispondenza dell’entrata di una casupola, anonima e senza particolari differenze rispetto alle altre. Dopodiché scese e bussò un paio di volte alla porta. 

Mentre aspettavano che qualcuno si palesasse, Dean percepì del movimento nella casa accanto e con la coda dell’occhio si accorse che gli abitanti li stavano spiando da dietro le tende, curiosi di sapere chi potesse essere a un’ora così tarda. Una voce proveniente dall’interno riportò la sua attenzione sulla porta d’ingresso, che infatti di lì a poco si schiuse e il volto di un uomo anziano comparve nella penombra. Lui e Sahid si scambiarono qualche parola, probabilmente un saluto, poi il padrone di casa uscì, presentandosi a loro già vestito e ben sveglio. Dalla sua espressione non trapelava la minima sorpresa nel vedere dei perfetti sconosciuti davanti casa sua in piena notte. 

“Voi dovete essere i protetti di Laurenne Aliseen.” constatò in un inglese dal forte accento straniero. Dopo aver studiato i loro volti uno a uno, non attese la risposta e passò subito alle presentazioni. “Il mio nome è Mukhtaar Khuwaylid, protettore del villaggio e umile servo del dio Shamash. Laurenne mi ha avvertito del vostro arrivo, siete i benvenuti.”

“Grazie a lei per averci accolti a quest’ora della notte.” ricambiò Rachel, sorridendo cordiale. Mentre si preparavano per partire, la sciamana li aveva informati che avrebbe mandato un falco al suo maestro di lunga data per metterlo al corrente dei fatti e chiedergli aiuto. Si trattava della stessa persona a cui si era rivolta per la faccenda di Cordelia e, ora che ce l’aveva davanti, Rachel non poté fare a meno di associare il suo aspetto alla stessa Laurenne. Sembrava una sua versione al maschile, solo più anziana, con una tunica di lana grezza molto simile a quella che spesso le aveva visto indossare e gli stessi lunghi dread, che nel caso del maestro, però, erano quasi completamente bianchi. 

Mukhtaar non ricambiò il sorriso, ma la sua espressione lasciò comunque intuire di aver apprezzato la sua cortesia. “Vi accompagno alla stalla. I cavalli devono riposare.”

Proseguirono dunque a piedi, approfittandone per sgranchirsi le gambe dopo il lungo tragitto in sella.

“Laurenne le avrà spiegato perché siamo venuti.” disse Dean, arrivando subito al sodo. 

Lo sciamano annuì in maniera quasi impercettibile. “Sono anche al corrente della tua… natura.” aggiunse; poi, pur non guardando nessuno, si accorse lo stesso della sorpresa sul suo volto. “Sì, so che sei tu. Laurenne non ha voluto nascondermelo. E poi dopo tutti questi anni ho imparato a distinguervi dalle persone comuni.”  

Dean allora tornò a guardare la strada davanti a sé, portandosi dietro il cavallo per le briglie. “Non ha nulla da temere dalla mia cosiddetta natura.” replicò serio. 

Il suo tono non sembrò aver offeso lo sciamano, che provvide subito a rassicurarlo. “Non ne dubito. Se Laurenne non ti considera una minaccia, chi sono io per farlo? Mi fido ciecamente del suo giudizio e comunque il tuo segreto è al sicuro con me.”

Qualcosa nella sua umiltà e nel suo tono pacato convinse Dean a credergli, così non disse nient’altro e continuò a camminare. 

Giunti alle stalle, lasciarono i cavalli alle cure di Sahid e tornarono verso l’abitazione dello sciamano. 

“Dunque, Laurenne ha parlato di un portale qui, nel suo villaggio.” esordì Dean di nuovo, mentre andavano. All’arrivo aveva cercato di farsi un’idea di dove potesse essere collocato un portale in mezzo a quelle quattro case, ma non era riuscito a capirlo. 

Mukhtaar ridacchiò sotto i baffi, divertito da tanta impazienza. “Non sei uno che perde tempo tu, eh?” osservò. “Ad ogni modo sì, il portale c’è, ma ve lo mostrerò domattina. Ora credo sia meglio per voi riposare un po’, sarete stanchi per il viaggio.”

Dean fece per ribattere, ma l’occhiata che si vide rivolgere dagli altri bastò a fargli capire che a loro invece la proposta dello sciamano non dispiaceva affatto. 

“Sai, non è che abbia proprio tutti i torti.” gli fece notare Mark infatti subito dopo.

A quel punto, dovette arrendersi e accettare di attendere fino al mattino seguente, nonostante si sentisse tutto fuorché stanco. Certo, in fondo perché era un vampiro, ma non solo per questo. In quel momento aveva anche una gran voglia di agire, per distrarsi ed evitare di ripensare ai giorni passati. Cosa che puntualmente faceva ogni volta che non aveva niente da fare. Così cercò di concentrarsi sulle prossime mosse, mentre guardava gli altri rifocillarsi con cibo e acqua offerti dal loro gentile ospite. 

“Immagino che la situazione al villaggio non sia delle più tranquille ora che il Qayid è venuto a mancare.” rifletté Mukhtaar, facendo fallire i suoi tentativi di pensare ad altro. Poi lo vide farsi scuro in volto. “Lui era la nostra guida. Un uomo giusto e onesto, oltre che un grande guerriero. Che Hilal possa accoglierlo tra le sue braccia.” 

Il ricordo di Jamaal e della sua scomparsa riportò la malinconia sui loro volti. Da come li aveva accolti, non sembrava che lo sciamano fosse al corrente dei dettagli di quella tragica notte e nessuno si sognò di raccontarglieli. Tuttavia, Juliet pensò fosse giusto dire qualcosa per mostrare solidarietà. “Ci dispiace davvero molto, non avremmo mai voluto che accadesse. Jamaal ha dato la sua vita per aiutarci e non potremo mai ripagarlo abbastanza.” 

Gli occhi scuri dello sciamano incontrarono i suoi, prima di rivolgerle un sorriso benevolo. “Vedo molta bontà in te. Ti ringrazio per le tue parole.” Detto questo, le sfiorò la spalla con la mano in un gesto di riconoscenza, per poi augurare loro buon riposo e ritirarsi nella sua stanza.

“Non so voi, ma a me è passato il sonno.” brontolò Rachel, una volta rimasti soli. 

Cedric sogghignò amaro, appoggiando la schiena contro il muro e fissando un punto indefinito davanti a sé. “Benvenuta nel club, sorella.” commentò sarcastico.

“Perché non ricapitoliamo il percorso?” propose allora Mark. “Così, tanto per stare tranquilli.”

Dean pensò fosse una buona idea e senza perdere altro tempo tirò fuori la mappa, stendendola sul tavolo in modo che tutti potessero guardarla. Somigliava più a una cartina geografica del mondo, ma con sopra segnati tutti i punti in cui si trovava un portale e in quale luogo conduceva. A sentire Najat, alcuni di essi potevano non esistere più, vista l’età del manufatto e i cambiamenti che la disposizione dei portali aveva subito nel tempo. Di altri, invece, poteva essere diversa la destinazione rispetto a quella riportata. Alcune località infatti erano sbarrate e riscritte sopra, altre ancora avevano nomi mai sentiti prima. Insomma, la cosa si presentava più complicata del previsto.

“Al momento noi siamo qui.” mostrò Dean, indicando un punto sulla cartina in piena penisola araba. Nello stesso punto era contrassegnato un portale con sopra scritta la località di destinazione.

Rachel alzò un sopracciglio perplessa. “Kharga.” 

“È in Egitto.” chiarì lui in tono piatto. 

“Sì, ci arrivavo anche da sola. La so leggere una cartina.” ribatté, punta sul vivo.

“Okay, che ci andiamo a fare in Egitto? Non si era detto Austria?” si intromise Cedric sbrigativo, già stufo dei loro battibecchi.

Dean sospirò paziente. “Da qui non c’è un passaggio diretto per l’Austria. Il portale più vicino è per Kharga, poi ne prenderemo un altro nelle vicinanze che dovrebbe condurci a Rheine, in Germania. Dopodiché…”

Cedric però ne aveva abbastanza. “Gesù, faremmo molto prima con l’aereo!” lo interruppe esasperato. 

“Certo, senza soldi né documenti?” replicò Dean pratico. “Viaggiare con i portali non sarà il massimo della rapidità, ma è il modo più sicuro nella nostra situazione.”

Il silenzio che seguì lasciò intendere che aveva ragione, anche se nessuno si sognò di riconoscerlo. 

“Va bene, allora che Egitto sia.” concluse Juliet. Inutile continuare a discuterne se tanto l’unica soluzione era seguire il percorso indicato dalla mappa. A quel punto propose a tutti di riposare almeno quella manciata di ore che restavano all’alba e gli altri furono d’accordo. 

Ognuno cercò di sistemarsi come meglio poteva, anche perché lo spazio a disposizione era limitato. Quando Mark si stese a terra su dei cuscini, Rachel lo imitò, accoccolandosi al suo fianco e lasciando che la stringesse a sé. Il calore che provava standogli accanto era la sola cosa in grado di darle conforto in quello che riteneva essere senza dubbio il periodo peggiore della sua vita. Perfino aver trascorso l’infanzia nella sostanziale assenza di una madre non reggeva il confronto con quello che stava passando ora. Chiuse gli occhi, nel tentativo disperato di addormentarsi e svuotare la mente da tutti quei pensieri, ma in fondo sapeva già che non ci sarebbe riuscita. 

Li riaprì il mattino dopo che le pareva fosse passato al massimo un quarto d’ora, eppure, a giudicare dal gran mal di testa che le era scoppiato e dal raggio di luce che la colpì di taglio filtrando dalle tende, doveva essere di più. Lentamente si sfilò dall’abbraccio di Mark e a fatica cercò di mettersi a sedere, schermandosi il viso con un braccio dal sole che la accecava. Aveva dormito sempre nella stessa posizione e adesso sentiva tutti i muscoli della parte destra indolenziti. Il tempo di tornare lucida e vide Dean seduto per terra a pochi metri di distanza, vicino all’entrata, perfettamente sveglio e intento a rimuginare. Con ogni probabilità non aveva chiuso occhio, ma non sembrava affatto risentirne. Anzi, più andava avanti e più si convinceva che per lui l’alternanza tra notte e giorno fosse un fattore superfluo. –Chissà cosa gli passa per la testa- pensò. A dire la verità, le era capitato spesso di chiederselo da quando lo conosceva.

Nel frattempo, il suo movimento aveva svegliato Mark, che la cercò con il braccio, pensando di trovarla ancora accanto a sé. Poi aprì gli occhi e la vide lì seduta, ricambiandola quando lei gli sorrise dolcemente. 

Non passò molto che furono tutti in piedi e di nuovo pronti a partire, anche se non prima di aver accettato la gentile offerta dello sciamano di fare colazione, visto che non avevano idea di quando sarebbe stato il prossimo pasto della giornata. 

 

-o-

 

Rosemary lasciò le sue stanze e si diresse nei sotterranei del castello, determinata come raramente le era capitato di sentirsi da molto tempo a quella parte. Doveva scoprire a tutti i costi cosa era accaduto su quel ponte e l’unica da cui poteva saperlo era la ragazzina di cui Nickolaij si era invaghito, ora prigioniera nelle segrete. Era passato qualche giorno, ma aveva ancora davanti agli occhi l’immagine di lei che cadeva in ginocchio e iniziava a tremare convulsamente. Poi il fantasma di una donna sconosciuta si era materializzato sopra di loro e, per quanto ritenesse assurda anche solo l’idea, si era messo a parlare con Nickolaij. Liz l’aveva chiamata. Chi diavolo era questa Liz e perché lui si era così infuriato dopo aver scoperto che la ragazzina non era più umana? In tanti anni non ricordava di averlo mai visto perdere il controllo, mai. Anzi, aveva sempre trovato il modo di mantenere il sangue freddo di fronte alle situazioni più inaspettate, uno dei motivi per cui lo ammirava. Eppure, quella notte sul ponte lo aveva visto perdere completamente la lucidità, come se per la prima volta non fosse in grado di gestire le cose. 

Davanti all’imponente grata di ferro che segnava l’ingresso alle prigioni trovò due vampiri di guardia, che non appena la videro arrivare si staccarono dal muro dove erano appoggiati per darsi un contegno di fronte a lei.

“Milady.” la salutò uno dei due, abbassando lo sguardo in segno di rispetto.

Mary però non era in vena di cerimonie. “Devo parlare con la prigioniera.” li informò in tono secco. Quando però lesse l’incertezza negli occhi di quei due, sentì subito la rabbia ribollire nelle vene. Aveva già i nervi a fior di pelle, senza che ci si mettessero anche loro. “Che aspettate, dannati imbecilli? Fatemi passare!” insistette furibonda.

Dopo essersi scambiato l’ennesima occhiata titubante con il suo compare, il vampiro che l’aveva salutata si degnò di fornirle una spiegazione. “Siamo spiacenti Milady, ma abbiamo ricevuto ordine di non lasciar passare nessuno.” 

“Stai insinuando che io sarei nessuno?” gli chiese, punta sul vivo. Come si permettevano quei due inetti?

Lui sembrava davvero in seria difficoltà. “Beh, no…” si affrettò a balbettare. “Ma vi prego di capire…”

A quel punto Mary ne aveva abbastanza ed era già pronta a farsi largo con la forza se non si fossero decisi subito a levarsi di torno. “Sentite scimmioni, vi consiglio di togliervi dai piedi, altrimenti…”

“È tutto apposto. Me ne occupo io.” esordì d’un tratto una voce alle sue spalle. 

Quando si voltò, vide Dustin venire verso di loro, accompagnato dal suo solito atteggiamento calmo e controllato. “Vi porgo le mie scuse, Milady. Lord Byron ha disposto di bloccare l’accesso ai sotterranei.” spiegò pacato.

-Ah ecco- pensò lei, alquanto sorpresa. Dunque era un’iniziativa di Byron. Chissà perché aveva deciso una cosa del genere. Cosa aveva di tanto importante da nascondere? In ogni caso, aveva un obiettivo preciso e nessuno, tanto meno quel druido leccapiedi, sarebbe riuscito a ostacolarla. “Le disposizioni di Lord Byron non valgono per me. Io devo entrare ed entrerò, non ho certo bisogno del vostro permesso.” Detto ciò, mise fine a ogni cerimonia, scansò con una gomitata uno dei due vampiri di guardia e oltrepassò il cancello d’accesso alle prigioni. 

Dustin le fu subito al fianco. “Come volete, ma lasciate che vi accompagni.”

In tutta sincerità Mary avrebbe preferito che si togliesse dai piedi, tuttavia non faticava a capire il motivo di tanta premura. “Se hai paura delle conseguenze, tranquillizzati. Con Byron me la vedo io.” Non che ormai avesse tutto questo potere su di lui da quando l’aveva scoperta mentre cercava di liberare Dean, ma sarebbe stato giusto assumersi la responsabilità delle proprie azioni in caso fosse venuto a recriminare. Inoltre, lo conosceva da anni e sapeva come prenderlo.

Una volta davanti alla cella dove era rinchiusa la ragazza, si avvicinò alla grata per sbirciare all’interno e la trovò lì a pochi metri, seduta sul pavimento con la schiena appoggiata al muro. Teneva il viso chino sulle ginocchia e mantenne quella posizione anche dopo il loro arrivo, come se non se ne fosse nemmeno accorta. 

“Siamo sicuri che sia ancora viva?” chiese a Dustin, d’un tratto colta dal dubbio.

Lui annuì appena. “Così mi risulta.”

“Ehi, ragazzina!” la chiamò Mary, volendo accertarsene. Non che le importasse, ma aveva bisogno di informazioni che avrebbe potuto darle solo da viva.

Lei allora sollevò lentamente la testa, guardandoli con aria assente. Era evidente quanto anche solo quel movimento le costasse fatica e non ci voleva un genio per capire che non si era ancora nutrita da quando Dean l’aveva trasformata. Perché Mary sapeva che era stato lui. Chi altri poteva averlo fatto? La domanda era perché.

“Apri la grata. Voglio entrare.” ordinò sbrigativa, decisa a scoprirlo.

Dalla faccia che fece intuì che Dustin non fosse molto propenso a lasciarglielo fare, ma poi lo vide sfilarsi dalla cintura il mazzo di chiavi che aprivano le porte dell’intero castello. Da quando Dean lo aveva sottratto senza troppa fatica a due guardie per liberare gli umani, di tutti i membri della Congrega lui era l’unico a cui ne fosse concesso uno. Senza esitazioni scelse una chiave, diede un paio di giri nella toppa e la grata si aprì a colpo sicuro, emettendo un cigolio.

Quando Mary entrò nella cella e si avvicinò alla ragazza ebbe la conferma che le sue prime impressioni fossero corrette. –Ha davvero una pessima cera- pensò. Ormai la transizione sembrava quasi ultimata e se non si fosse nutrita al più presto probabilmente non sarebbe arrivata al plenilunio. In realtà, per quanto ne sapeva quello poteva essere benissimo il piano di Nickolaij, lasciarla lì a morire di fame. Se così fosse stato, non avrebbe voluto trovarsi nei suoi panni.

Lentamente si avvicinò ancora, fino ad arrivare a meno di un metro da lei. A quel punto si chinò, per poterla guardare meglio. 

Dall’altra parte, Claire ricambiò lo sguardo, non particolarmente colpita di vedersela davanti. “Che cosa vuoi?” le chiese in un mormorio roco.

“Qui le domande le faccio io.” chiarì Mary per tutta risposta; poi le afferrò il mento, sollevandoglielo in modo da studiare ogni dettaglio del suo viso. “Da settimane non faccio che scervellarmi sul perché Nickolaij sia ossessionato da un essere insignificante come te. Che cosa lo avrà colpito così tanto?” Nelle orecchie sentiva ancora la sua voce mentre annunciava di volerla addirittura sposare. O era impazzito all’improvviso, oppure esisteva un’altra ragione che lei continuava a ignorare.

Con un gesto sprezzante, lei si divincolò dalla sua presa, lanciandole un’occhiata di astio profondo. “Perché non vai a chiederglielo? Così mi lasci in pace.”

A Mary sfuggì una risatina sommessa. “Tra poco ci penserà la morte a darti pace, sta tranquilla. Nel frattempo ci sono diverse cose che voglio sapere da te, a cominciare dal motivo per cui Dean ti ha morso. Perché so che è stato lui, quindi non sprecarti a inventare storielle.” 

La vide esitante nel rispondere, probabilmente troppo debole per fare conversazione, ma non per questo le avrebbe concesso una tregua. 

“Gliel’ho chiesto io.” cedette infine.

Mary non ne rimase più di tanto sorpresa. Erano anni ormai che Dean aveva abbandonato il loro consueto stile di vita, perciò avrebbe trovato difficile credere che l’iniziativa fosse partita da lui. “Perché?” le domandò ancora, ma la ragazza era davvero restia a collaborare. “Ci saranno state ragioni importanti dietro una simile scelta e Dean non è uno che agisce d’impulso. Dunque cosa lo ha spinto ad accettare la tua richiesta?”

“Che te ne importa?” ribatté Claire in tono annoiato. 

Quella sfacciataggine stava rischiando di minare la sua pazienza già di per sé precaria e lì per lì Mary avvertì l’impulso di prendere a schiaffi quella sua faccia di bronzo, ma si impose di mantenere la calma. “Pura curiosità.” Si strinse nelle spalle.

Sul volto della ragazza si dipinse un ghigno beffardo e scosse la testa, ma si ostinò a rimanere muta come una tomba. Chissà, forse cambiando strategia e prendendola con le buone avrebbe avuto maggiori speranze di ottenere qualche risultato. “Ascolta, in laboratorio ho delle scorte di sangue. Se mi dici quello che voglio sapere, magari potrei portartene un po’. Ne hai davvero bisogno.” provò a tentarla.

“Te le puoi anche tenere. Ci ha già provato il tuo padrone e gli ho risposto che preferirei morire piuttosto che diventare parte della vostra combriccola.”

Mary rimase più sorpresa nello scoprire che Nickolaij fosse uscito dal suo studio senza che lei ne sapesse nulla che della replica sfrontata di quella stupida. “D’accordo, se hai deciso di lasciarti morire scelta tua. A me non interessa. Ma visto che ormai non ha più niente da perdere, cosa ti costa rispondere alle mie domande?” 

Dopo un attimo di esitazione, lei sospirò. “Se lo faccio te ne andrai?” 

Mary annuì. Le sarebbe bastata solo qualche spiegazione in più e al resto avrebbe provveduto da sola. 

“Nickolaij voleva usare il mio corpo per riportare in vita Elizabeth.” rivelò Claire. “Sapevo che diventando un vampiro glielo avrei impedito, ecco perché ho chiesto a Dean di mordermi.” 

Per diversi secondi Mary rimase a fissarla, rimuginando su quanto aveva appena sentito. Che storia era quella? Byron stava davvero giocando al dottor Frankenstein? Perché di sicuro dietro c’era lui e la sua mania dell’occulto, non era difficile arrivarci. Ora però la domanda principale era un’altra. “Chi diavolo è questa Elizabeth?” le chiese, dando fiato ai pensieri. 

“La sua di ex di cinque secoli fa.” 

La notizia fu talmente improvvisa da lasciarla per un attimo senza parole. Nickolaij aveva avuto un’amante? Non ne aveva mai sentito parlare, neanche una volta in tutti gli anni trascorsi al suo fianco. In effetti, ora qualcosa iniziava a tornare. Forse la visione eterea di quella donna abbigliata all’antica era la chiave di tutto. “Quindi quel fantasma era lei...” dedusse ad alta voce, ma in realtà ancora immersa nelle sue riflessioni. 

Tutto ciò che ottenne fu un’occhiata a dir poco confusa da parte della ragazza.

“Fantasma?”

Mary allora si riscosse, tornando a guardarla. “Quello che è uscito dal tuo corpo sul ponte. Stavamo camminando, quando d’un tratto ti sei accasciata a terra e il fantasma di una donna è comparso sopra di noi. Non ricordi?”

L’espressione spaesata di Claire le fece capire che non aveva idea di cosa stesse parlando, di conseguenza non c’era nient’altro che potesse dirle. Avrebbe dovuto sciogliere i nodi da sola. Così si alzò, facendo per andarsene, quando un forte rumore metallico attirò la loro attenzione sul corridoio. Due vampiri di guardia stavano trasportando un ragazzo semisvenuto, tenendolo sotto le braccia per aiutarlo a reggersi in piedi. 

“Jason…” mormorò Claire, allarmata nel vederlo in quello stato; poi sollevò lo sguardo su Mary. “Che gli avete fatto?” 

Lei però non la degnò di risposta, limitandosi a girare i tacchi e uscire finalmente da quel buco inospitale, seguita a ruota da Dustin.

“Siete rimasta soddisfatta dell’incontro?” le chiese, mantenendo un tono disinteressato mentre entrambi ignoravano le grida di protesta della ragazza.

Mary non capì se glielo stesse chiedendo per un motivo o se avesse semplicemente voglia di impicciarsi dei fatti suoi. In ogni caso, non lo avrebbe assecondato. “Abbastanza.” tagliò corto. Era già quanto mai sicura che sarebbe andato dritto filato da Nickolaij a riferirgli della sua iniziativa, perciò meno cose gli confidava meglio sarebbe stato per lei. 

Ora la prossima mossa era cercare di saperne di più sulle origini di Elizabeth, chi era e cosa si nascondeva realmente dietro l’interesse di Nickolaij a riportarla in vita. Perché se c’era una cosa su cui avrebbe scommesso la testa era che ci fosse ben altro al di là delle apparenze, un secondo fine che al momento non riusciva a vedere, ma che aveva tutta l’intenzione di scoprire. Il desiderio di capirne di più andava di pari passo con la sensazione di inutilità che stava provando da qualche tempo a quella parte. Era la prima volta da anni che si sentiva un’estranea nella vita di Nickolaij e temeva di aver perso la sua fiducia. Altrimenti perché non metterla al corrente dei suoi progetti con quella ragazza?

D’un tratto avvertì un gran bisogno di farsi un drink, anche se sapeva non le avrebbe fatto effetto, ma doveva mandare giù qualcosa di alcolico. Così, dopo essersi separata da Dustin, si diresse verso la sala comune. 

Era quasi arrivata, quando lungo il corridoio incrociò l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento. Dalla parte opposta, Byron non si disturbò a fingere di non averla notata, al contrario suo, e proseguì verso di lei come se niente fosse, finché non si ritrovarono uno di fronte all’altra. 

“Milady.” la salutò, chinando leggermente il capo.

Mary però rimase fredda e non ricambiò il saluto. 

“Vedo che anche questa volta avete ritenuto di essere al di sopra delle regole.” 

Presa in contropiede, si rese conto ben presto di aver imboccato l’unico corridoio direttamente collegato ai sotterranei e che quindi, essendosi incontrati lì, Byron non avesse impiegato molto a fare due più due. “Non so di cosa parli.” replicò comunque in tono fermo, cercando di mostrarsi superiore nonostante dentro stesse imprecando. –Come diavolo fa a essere sempre nel posto giusto al momento sbagliato?- pensò irritata. 

Un ghigno sornione si dipinse allora sul volto del suo affezionato collega. “Mi chiedo cosa penserebbe sua Signoria se venisse a conoscenza della vostra abitudine di far visita ai prigionieri a sua insaputa.” 

Una minaccia neanche troppo velata che Mary non faticò a cogliere. Così come il riferimento all’episodio avvenuto mesi prima con Dean. Solo in seguito aveva scoperto che Nickolaij aveva già pianificato la sua fuga con la complicità di Tareq e che, se Byron non l’avesse fermata quella notte, la sua vita sarebbe finita non solo per il tradimento in sé ma anche per aver intralciato i piani del suo signore. Sapeva che prima o poi Byron ne avrebbe approfittato per usare quella storia contro di lei, ma non per questo era disposta a lasciarlo fare. Doveva ancora venire il giorno in cui Rosemary avrebbe ceduto ai ricatti.

“Mi permetto di suggerirvi di trovare modi migliori per impiegare il tempo. Concentrandovi sul compito affidatoci da sua Signoria, ad esempio...” 

“Ti assicuro che tutto procede come stabilito. Tu piuttosto preoccupati della tua parte del lavoro.” lo interruppe, stanca di subire le sue paternali. Come osava darle della lavativa? Normalmente non avrebbe permesso né a lui né ad altri di prendersi una simile confidenza, ma stavolta si rendeva conto di non avere il coltello dalla parte del manico e la cosa la mandava, se possibile, ancora più in bestia. “Ora, se non ti dispiace, avrei altro di cui occuparmi.” Detto ciò, senza nemmeno degnarsi di guardarlo in faccia, lo superò e proseguì per la sua strada, cercando di contenere la rabbia.

Anche se ci volle tutta la sua forza di volontà per non spaccare qualcosa lungo il tragitto, alla fine giunse all’ingresso della sala comune, ma una volta lì non fece in tempo ad entrare che alcune voci dall’interno la spinsero a restare in ascolto dietro la soglia.

“Ragazzi, mi annoio a morte. Sono giorni che ce ne stiamo qui senza fare niente.” sentì lamentarsi una voce femminile che riconobbe all’istante. Era quell’oca di Lucy.

“Già, a chi lo dici.” concordò un’altra voce, stavolta di un uomo. “Alek saprebbe trovare il modo di divertirsi. A proposito, qualcuno l’ha visto?”

“Io sì. Morto.” rispose un altro con noncuranza. “Il suo cadavere era insieme agli altri di sotto in cortile, con un bel buco nel petto. È stato certamente uno di noi.” li informò.

Seguì un breve momento di silenzio.

“Quel bastardo traditore di Dean, poco ma sicuro. Quei due non si sono mai sopportati.” commentò quindi il vampiro che aveva chiesto di Alekseij. “Beh, pazienza. Dovremo arrangiarci per conto nostro.” sospirò rassegnato, anche se nel suo tono Mary non percepì la minima traccia di dispiacere. 

“Qualcuno per caso si è fatto un’idea di quello che è successo l’altra notte?” sentì chiedere da Lucy. “Io non ci ho capito niente, so solo che il vecchio Nick era fuori di sé. Per un attimo ho avuto paura che ci avrebbe uccisi tutti.”

-È quello che vi meritereste- pensò Mary disgustata.

Uno dei vampiri ridacchiò. “Secondo me non ne avrebbe il fegato.”

“Come sarebbe a dire?” replicò Lucy, sorpresa dalle sue parole.

“Pensateci, perché l’altra notte non ha fatto fuori quei quattro umani lui stesso? Erano lì, a pochi metri di distanza. Invece ha preferito tornarsene nella sua torre, lasciandoci come sempre tutto il lavoro sporco.” si spiegò il vampiro. “La verità è che ha paura, ve lo dico io. Senza di noi non riuscirebbe a combinare nulla.”

Al suo ragionamento seguì un altro attimo di silenzio, segno che ciascuno dei presenti stesse riflettendo su quanto appena sentito. 

“In effetti, non ricordo di averlo mai visto combattere di persona. Soprattutto contro i cacciatori.” disse un altro. “Manda sempre avanti noi, neanche fossimo carne da macello. Se volete saperlo, questa storia comincia a stancarmi.”

“Giusto. Non vedo perché dovremmo continuare a sottostare ai suoi ordini senza avere neanche voce in capitolo. Quale sarebbe la ricompensa? Siamo in tanti, potremmo già prenderci tutti gli umani che vogliamo, perché darne conto a lui?”

A quel punto, però, Mary decise di aver sentito abbastanza. In quel discorso c’era tutto il materiale necessario per accusare quegli idioti di tradimento e al momento lei non era certo in vena di lasciar correre. “Nickolaij è il vostro Signore e padrone, ecco perché.” esordì, comparendo sulla porta. Il suo sguardo glaciale si posò su di loro, inchiodandoli su ogni singola sedia o tavolo su cui si trovavano seduti. “Dovete a lui tutto ciò che avete, le vostre insulse vite dipendono dalla sua volontà di concedervele e invece di ripagarlo ve ne state qui a oziare e dar fiato alla bocca.”

La sua vista li fece restare tutti di sasso, compresi i due che un secondo prima stavano sproloquiando alle spalle di Nickolaij.

“Milady, noi non…” provò a giustificarsi uno di loro.

“Silenzio!” gli impose lei categorica. Poi entrò nella stanza, avvicinandosi con aria minacciosa. “Come osate, voi miserabili…” mormorò, stentando a calmare il tremolio nella voce. “Provate a ripetere davanti a me quello che avete detto. Vedremo poi chi ha davvero paura in questo castello.”

Come prevedibile, nessuno ebbe il coraggio di emettere un fiato, così Mary rimase diversi istanti a fissarli uno a uno, pronta a dare una lezione di rispetto a chiunque si fosse azzardato a parlare.

“Ora aprite bene le orecchie, branco di ingrati traditori.” riprese poco dopo. “Se dovessi sentirvi un’altra volta frignare, lamentarvi o anche solo dovessi sospettare che uno di voi intende mettere di nuovo in discussione la sua leadership, non andrò subito da Nickolaij a riferirglielo, no. Prima mi toglierei qualche soddisfazione, traendone il massimo godimento. Poi lo informerei della vostra bella chiacchierata e vi assicuro che allora rimpiangerete sul serio di essere nati.” Detto ciò, certa di essere stata chiara, girò i tacchi e fece per uscire. “Siete avvisati.” aggiunse infine, lasciando la sala.

Se prima la rabbia che aveva in corpo era tanta, ora aveva raggiunto livelli incalcolabili. Rabbia diretta in primis verso Nickolaij, che l’aveva lasciata sola a gestire quel covo di vipere. Per sfogare la frustrazione, afferrò un candelabro da un tavolino nelle vicinanze e lo scagliò con forza contro il muro, mandandolo in frantumi. Adesso ci mancava solo un ammutinamento ed erano al completo. Almeno per il momento era abbastanza sicura di essere riuscita a contenere il problema, ma tirava una brutta aria e lui non poteva continuare a starsene rintanato nel suo studio a frignare per quella ragazzina, invece di approfittare della debolezza dei cacciatori. Il loro capo era morto e ora, grazie a Tareq, conoscevano la posizione esatta del villaggio. Era il momento perfetto per attaccare, ma continuando così rischiavano di perdere il vantaggio e mandare tutto a rotoli.

Tutta quella storia le aveva perfino fatto passare la voglia di bere, così si diresse dritta al laboratorio, sperando di trovare un po’ di conforto nei suoi veleni.

 
   
 
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