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Autore: Nana_13    03/06/2021    0 recensioni
- Terzo capitolo della saga Bloody Castle -
Dopo aver assistito impotenti allo scambio di Cedric e Claire, i nostri protagonisti si ritrovano a dover fare i conti con un epilogo inaspettato.
Ciò che avevano cercato a tutti i costi di evitare si è verificato e ora perdonare sembra impossibile, ogni tentativo di confronto inutile. Ma il tempo per le riflessioni è limitato. Un nuovo viaggio li attende e il suo esito è più incerto che mai. Pronti a scoprire a quale destino andranno incontro?
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

 

La terza collana


Juliet scese le scale che portavano di sotto, schermandosi gli occhi con la mano quando il sole del tardo mattino la investì. Non trovando Laurenne né Samir, intuì che l’orario non fosse decisamente quello a cui ormai era abituata a svegliarsi da diversi mesi. Alla fine aveva ceduto alla stanchezza, nonostante i troppi pensieri le affollassero la testa, impedendole in un primo momento di prendere sonno. Il più invadente era senz’altro quello di Claire e la paura costante che le stessero facendo del male. E poi c’era Dean, sparito nel nulla dopo la loro discussione del giorno prima. Una parte di lei avrebbe tanto voluto sapere dove fosse finito, mentre l’altra continuava a ripetere chi se ne importa. In fondo, meglio così. Con tutto quello che aveva combinato, l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare era preoccuparsi di averlo offeso. Eppure non riusciva proprio a non preoccuparsene.

Con un sospiro si abbandonò di traverso su una sedia, fissando il vuoto davanti a sé. Odiandosi profondamente per la sua innata capacità di sentirsi in torto anche quando aveva ragione, chiuse gli occhi e tentò di scacciare via quei pensieri riflettendo su cosa avrebbe potuto preparare per colazione. Caffè innanzitutto. Quello forte e speziato di Laurenne li avrebbe di sicuro aiutati a ritrovare la lucidità. Qualcosa da mangiare? Sì, in effetti avvertiva un certo languore. La sera prima aveva a malapena toccato cibo. Dannato Dean...

-Ecco che ci risiamo- pensò afflitta. Alla fine tornava sempre lì, così rifletté che forse era inutile cercare di pensare ad altro. Con la mente ripercorse la conversazione avuta con Rachel dopo il funerale di Jamaal. 

“Sa benissimo che non mi stavo riferendo a lui, eppure se l’è presa lo stesso.” si era sfogata, dopo averle raccontato in breve l’accaduto. 

“Certo, non avendo altro a cui aggrapparsi ha giocato la carta della vittima.” aveva sentenziato lei in risposta. “Forse pensa che così lo perdonerai più facilmente.”

Le parole dell’amica l’avevano fatta riflettere. In effetti, non ci aveva pensato. Comunque, se quello era il suo piano aveva fatto male i calcoli, perché stavolta non avrebbe lasciato correre. Le sue azioni erano troppo gravi per dimenticarsene da un giorno all’altro. 

“Stavolta Claire ha davvero superato se stessa.” aveva aggiunto Rachel in tono amaro; poi, notando la confusione sul suo volto, aveva provveduto a spiegarsi. “Sì, ce l’ho anche con lei. Anzi, soprattutto con lei. Fa sempre così, prende e si butta nelle cose, senza consultare nessuno, senza preoccuparsi di nessuno. Ci ha del tutto ignorate. Come se la decisione che stava prendendo non ci riguardasse minimamente.” 

Concordando in fondo con lei, Juliet aveva abbassato lo sguardo, piena di sconforto. 

“Detesto questo suo modo di affrontare i problemi.” Ormai Rachel era a briglia sciolta. “Guarda com’è andata con Jamaal, ad esempio. Per qualche oscuro motivo pensava che Cedric fosse morto e ha preferito farsi consolare da lui, piuttosto che parlarne con me.”

In quel momento la perplessità sul viso di Juliet era diventata lampante. “Aspetta, farsi consolare in che senso?”

“In quel senso.” aveva replicato Rachel, sottolineando la parola quel perché capisse a cosa si stesse riferendo. “Come al solito, quando succede qualcosa, invece di venire da noi e sfogarsi si chiude a riccio o fa cose assurde che peggiorano soltanto la situazione. È così simile a Dean in questo che non mi stupirei se fossero parenti alla lontana.”

Nonostante continuasse a parlare, Juliet aveva faticato ad ascoltarla. In realtà, era rimasta ancora a Jamaal e alla relazione che a quanto pareva Claire aveva avuto con lui. Tuttora più ci pensava e più lo trovava difficile da credere, ma a sentire Rachel era andata proprio così. Claire si era davvero concessa a un uomo conosciuto da poco tempo mentre i ragazzi erano prigionieri a Bran, in bilico tra la vita e la morte. Incapace di passare sopra a quel discorso e andare avanti, aveva chiesto all’amica maggiori dettagli sui motivi che avevano spinto Claire verso un simile comportamento. Voleva capire, visto che tutto era successo nel periodo in cui non era se stessa e Rachel aveva cercato di riassumere i fatti a grandi linee, raccontandole della lite furiosa che avevano avuto sull’argomento. Lei che rifiutava con tutte le sue forze l’idea che i ragazzi fossero morti, mentre Claire si era incaponita nel sostenere quella possibilità, per poi scoprire di avere torto all’arrivo di Mark e Dean. 

“Inutile dire che lo sappiamo solo noi due.” aveva aggiunto Rachel alla fine del racconto. “Non l’ho detto neanche a Mark. Deve restare un segreto.”

Lei si era mostrata d’accordo. Sebbene non condividesse affatto le azioni di Claire, si rendeva conto che dirlo a Cedric sarebbe servito solo a provocargli ulteriori sofferenze. 

Ora iniziava sul serio a capire cosa l’avesse spinta a consegnarsi in cambio della sua vita. La conosceva bene. Non era capace di fare del male a nessuno, soprattutto se si trattava di persone che amava. Il senso di colpa doveva essere stato insostenibile. Sentì la tristezza invaderla, desiderando con tutte le sue forze di poterla raggiungere ovunque si trovasse. Anche solo per confortarla, offrirle una spalla su cui piangere. 

Per fortuna, l’arrivo di Rachel, seguita pochi minuti dopo da Mark, le ricordò che aveva ancora una colazione da preparare e la distrasse da quei pensieri. Almeno per il momento. Di Cedric invece neanche l’ombra, ma non era il caso di tormentarlo. Magari sarebbe sceso più tardi a bere del caffè e a mettere qualcosa sotto i denti, visto che della cena alla fine non aveva voluto saperne e la sua porzione se l’erano divisa lei e gli altri.

Erano tutti seduti al tavolo intenti a mangiare, quando l’espressione di Mark si fece d’un tratto pensierosa e prese a fissare il vuoto davanti a sé.

“Che c’è?” gli chiese Rachel confusa.

“Ripensavo al momento in cui il fantasma di Elizabeth è uscito dal corpo di Claire…” rifletté, guardandoli. “Non lo trovate un po’ strano?”

Lei storse il naso e si accigliò. “Per come siamo messi, ormai non mi stupisco più di niente.”

“No, intendevo non è strano che sia lei che Juliet avessero entrambe gli spiriti delle sorelle Danesti dentro di loro? Insomma, al di là dell’assurdità della cosa in sé, non credo si tratti di una coincidenza.” 

“Nemmeno io.” ammise Rachel. In effetti, la faccenda del legame con le sorelle era qualcosa che si portavano dietro fin dalla comparsa di Cordelia, ma non le era più capitato di ripensarci da quando se n’era andata. Ora però, con la visione del fantasma di Elizabeth e tutto il resto, quel collegamento era tornato a farsi evidente, anche se neanche lontanamente spiegabile. Prima Juliet, poi Claire… Un dubbio la assalì in quel preciso istante. Che lei fosse la prossima? Eppure non aveva mai avuto nessun incubo ricorrente o altre avvisaglie di un possibile legame con Margaret, la maggiore delle sorelle Danesti, a parte la collana che indossava. “Se c’è una cosa di cui sono certa è che le nostre vite sembrano legate a quella delle sorelle, ma non ho mai capito in che modo e al momento non me la sento di pensare anche a questo.” 

Mark sembrò comprendere il suo stato d’animo, perché annuì, riprendendo a mangiare ed evitando di continuare sull’argomento. 

Qualche minuto più tardi, si trovava in cucina con Juliet a sciacquare le stoviglie quando Dean si presentò inaspettatamente sulla porta di casa, di ritorno da chissà dove. Lo intravide dall’apertura ad arco che separava il lavabo dal resto della camera da pranzo, così che bene o male riuscì a mascherare la delusione nel vederlo ricomparire. Stava per convincersi definitivamente che se ne fosse andato.

L’unico a rivolgergli la parola fu Mark. “Che fine avevi fatto?” gli chiese, senza apparire inquisitorio. 

“Ero a farmi un’idea della nostra situazione.” rispose lui lapidario. Sia la sua espressione che il tono di voce trasmettevano freddezza e distacco. “E da quello che ho potuto sentire credo che la cosa migliore sia lasciare questo posto.” sentenziò infine. 

A quel punto, Rachel smise di fingere di non ascoltare e uscì dalla cucina, affrontandolo a viso aperto. “Come sarebbe a dire? Non puoi rispuntare dal nulla dopo ore e uscirtene così.”

Dean però non aveva intenzione di riaprire alcun dibattito. Ne aveva avuto abbastanza il giorno prima. “A meno che non vogliate finire tutti quanti con la testa mozzata, sarà il caso di cambiare aria.” ribatté, senza preoccuparsi di sembrare troppo brusco.

Quelle parole ebbero l’effetto di lasciarli allibiti per qualche istante, ognuno con l’immagine della propria testa che rotolava davanti agli occhi. 

“Scusa, potresti essere più chiaro?” chiese quindi Mark, fissandolo confuso. 

Dean allora parve rilassarsi, concedendosi un attimo per riflettere. “Ho avuto modo di parlare con Evan degli umori che si respirano nel villaggio da quando siamo tornati e purtroppo non ci sono buone notizie. Gli anziani ci ritengono in parte responsabili della morte di Jamaal, considerando che siamo stati noi a convincerlo a rischiare così tanto.” spiegò poi.

Lo stupore fu tale che Juliet boccheggiò un paio di volte prima di parlare. “Ma è stato Tareq.” disse banalmente. “Era uno di loro e invece li ha traditi passando dalla parte di Nickolaij. È con lui che dovrebbero prendersela!”

Dean annuì, senza guardarla. “Certo, ma Jamaal non si sarebbe mai spinto fino a Bran se non fosse stato per aiutare noi. Dunque non si può dire che abbiano tutti i torti. Inoltre, resta il fatto che solo noi, Najat e i pochi guerrieri presenti abbiamo assistito alla scena. Nessun altro ha visto Tareq scoccare quella freccia.” 

“E chi altro avrebbe dovuto vederlo?” domandò Rachel incredula. “Se non si fidano della parola del loro nuovo capo, allora di chi?”

“Mi è stato riferito che Najat non gode di una gran considerazione, specialmente tra gli anziani della tribù.” replicò Dean paziente. “Secondo loro è troppo giovane per ricoprire un ruolo tanto importante. Per non parlare del fatto che è una donna. Dovrà faticare per imporsi, questo è poco ma sicuro.” 

Rachel fece una smorfia di disappunto, come sempre sensibile a certi temi.

Lui però non ci badò. “Per questo penso che sia meglio togliere il disturbo.” proseguì. “Restando qui non faremmo altro che crearle problemi, oltre a quelli che ha già.”

Il fatto che Dean si preoccupasse dei problemi di Najat in quel modo fin troppo accorato per i suoi standard provocò in Juliet una strana sensazione di fastidio misto al risentimento nei suoi confronti. Non si trattava di gelosia, o almeno non credeva, piuttosto di insofferenza nel vederlo così interessato alle sorti di una che non si era mai disturbata a nascondere il suo disprezzo per lui in quanto vampiro.

“Sì, ma dove potremmo andare?” intervenne Mark a quel punto, dando voce al pensiero comune. “Greenwood è fuori discussione e se stai proponendo di fare un altro campeggio…”

“Già. Nel deserto magari.” aggiunse Rachel sarcastica.

Ignorando il suo commento, Dean proseguì. “Prima di Bran, dicevamo di andare a cercare Margaret. Potrebbe essere un punto di inizio.”

“Dimentichi che abbiamo solo una collana. Secondo Cordelia ne servono tre per trovare questa Margaret.” gli ricordò Mark in tono pratico.

Dean allora si portò una mano alla tasca dei pantaloni, tirandone fuori un oggetto e posandolo sul tavolo davanti ai loro occhi. La pietra blu notte incastonata nell’argento emise un luccichio alla luce del sole che la colpì e rimasero a osservarla esterrefatti.

Quasi istintivamente, Rachel la prese tra le dita e in quel preciso istante avvertì una strana energia pervaderla, come una specie di scossa elettrica. Spaventata, ritrasse la mano e la collana ricadde sul tavolo.

“Che succede?” le chiese Mark allarmato.

Lei scosse la testa, come a dire di non averne idea, mentre anche la collana di sua nonna prendeva a brillare, ma stavolta di luce propria.

Fu Juliet la prima ad accorgersene “Ray…” mormorò preoccupata, indicandola.

“È già successo tempo fa, prima che tornassi tra noi.” le spiegò lei, sfiorando con le dita la pietra rossa che portava al collo. “Appena Cordelia l’ha toccata si è messa a brillare e secondo lei significa che Margaret è ancora viva. Le tre collane delle sorelle riunite dovrebbero aiutarci a trovarla, anche se non so in che modo.” Lo sguardo le cadde nuovamente sulla pietra blu, che ora giaceva inerte sul tavolo come un qualsiasi oggetto inanimato, riflettendo sull’origine della scossa che aveva sentito. Probabilmente la spiegazione più logica era che si fosse trattato di pura suggestione. A quel punto realizzò per la prima volta che erano di fronte alla collana di Elizabeth e il suo sguardo si posò in maniera quasi automatica su Dean. “Come facevi ad averla tu?” Stando a quanto aveva detto Claire, la sua collocazione avrebbe dovuto essere tutt’altra.

“Claire l’ha strappata a Nickolaij prima di svenire.” rispose lui infatti. “Io mi sono solo limitato a raccoglierla.” Non poteva negare di essere rimasto colpito dalla sua lucidità e prontezza di riflessi, pur ritrovandosi in una situazione così pericolosa e per di più in piena fase di transizione. Aveva da sempre commesso l’errore di considerarla piuttosto insignificante. Invece era riuscita a sorprenderlo.

“Bene, e siamo a due. Manca solo la terza, che se non ricordo male dovrebbe trovarsi in Austria, giusto?” ragionò Mark. 

Rachel annuì. “Così aveva detto Cordelia.”

“Perfetto. Allora è quella la prossima destinazione.” disse Dean, tagliando corto.

Le labbra di Mark però si piegarono in un sorriso amareggiato, come a fargli capire che stava correndo troppo. “E con Cedric come la metti? È in stato catatonico da ore, non vuole saperne di distogliere lo sguardo dal muro, figurati rimettersi in piedi e venire con noi fino in Austria.” 

“Senza contare l’assurdità dell’idea in sé.” aggiunse Rachel. “Non possiamo semplicemente andare in Austria, senza sapere neanche dove di preciso, e sperare che la collana salti fuori dal nulla. È ridicolo.” fece notare, sincera come solo lei sapeva essere. Ad ogni modo il suo ragionamento sembrò far breccia negli altri, placandone gli animi.

Anche Juliet dovette ammettere le sue perplessità. “Oltretutto siamo nel bel mezzo del deserto, non vedo come riusciremmo ad arrivarci.” rifletté.

“Questo non dovrebbe essere un problema.” replicò Dean. “Ci sono centinaia di portali sparsi per il mondo. Ne troveremo almeno uno che conduce in Austria.”

A Rachel però quel piano continuava a sembrare a dir poco sballato e privo di senso. Stavano per imbarcarsi di nuovo in un viaggio dalla destinazione indefinita, contando sulle supposizioni di una che probabilmente non aveva avuto neanche tutte le rotelle a posto. E poi per quanto ne sapevano il suo fidanzato, a cui diceva di aver regalato la collana, poteva averla persa o venduta al migliore offerente l’attimo dopo averla ricevuta. Nella peggiore delle ipotesi poteva addirittura essere stata distrutta. Erano passati secoli, in fondo. “Vi rendete conto che potrebbero volerci settimane? Oltre al fatto che probabilmente alla fine si rivelerà un enorme buco nell’acqua…”

“D’accordo senti, anch’io preferirei avere qualche certezza in più.” la interruppe Dean, stanco di dover discutere del come e del perché. “È vero, significherebbe avventurarsi in qualcosa di cui conosciamo a malapena l’essenziale, ma per ora è l’unica pista disponibile e dato che non possiamo restare qui non vedo alternative.” concluse categorico. 

Dopo averci riflettuto su, Mark si scambiò una rapida occhiata con Rachel. “Potremmo fare delle ricerche su quel tizio, il promesso sposo di Cordelia. Scoprire dove abitava. Così, tanto per non andare completamente alla cieca.” propose, attirando il suo interesse.

In effetti, Rachel la trovò un’ottima idea. Sempre meglio che girovagare per l’Austria senza meta, battendola palmo a palmo alla ricerca di un oggetto che poteva essere finito chissà dove. Inoltre, trovare Margaret avrebbe potuto essere l’unico modo per aiutare Claire. 

Lo stesso pensiero sembrò attraversare la mente di Juliet quando si guardarono ed entrambe capirono di non avere scelta. In cuor suo, Rachel continuava a essere scettica, ma l’evidenza dei fatti lasciava ben poco spazio ai dubbi. 

Dalle loro espressioni Dean intuì che si erano arresi, anche se nessuno lo disse apertamente. 

L’unico a parlare fu Mark. “Resta solo la questione di Cedric.” 

Dean annuì, consapevole di doversene occupare. “Con lui parlo io.” sentenziò risoluto. 

“Gran bella idea. Al momento sei esattamente la persona che vorrebbe vedere.” ribatté Mark ironico.

Lui però non gli diede importanza, facendo già per avviarsi al piano di sopra. “Non preoccupatevi di questo. Piuttosto, quando torna parlate con Laurenne e vedete di scoprire come raggiungere l’Austria il più velocemente possibile.” 

Sentì Rachel borbottare qualcosa in risposta, forse altre lamentele, ma ormai aveva già saltato l’ultimo scalino e in ogni caso l’avrebbe ignorata. Se metterli al corrente dei suoi piani significava sorbirsi comunque le loro obiezioni, tanto valeva fare di testa propria. 

In pochi passi raggiunse la stanza dove alloggiavano tutti insieme, l’unica altra camera da letto a parte quella dove dormiva Laurenne con il figlio, e la trovò immersa nell’oscurità. Le finestre erano schermate dalle pesanti tende di lana grezza che non facevano passare uno spiraglio di luce; tuttavia, ciò non gli impedì di individuare subito la sagoma di Cedric, seduto su una branda con le gambe incrociate, la schiena appoggiata al muro e lo sguardo fisso nel vuoto. Un senso di fastidio nelle viscere lo colse all’istante, ma si impose di restare calmo. Doveva prenderlo con le buone, altrimenti non avrebbe cavato un ragno dal buco. Senza dire nulla si diresse allora alla finestra e con un gesto secco scostò la tenda per far entrare i raggi del sole. –Molto meglio- pensò. 

Dall’altra parte della stanza, l’unica reazione di Cedric fu di strizzare gli occhi, accecato dalla luce, ma non inveì contro di lui né protestò. Dean dovette ammettere di riconoscerlo a stento. Per la prima volta da quando lo avevano salvato aveva modo di guardarlo bene e si accorse di quanto fosse dimagrito rispetto ai giorni del campeggio. Nickolaij non aveva certo la fama del padrone di casa generoso e quello trascorso al castello non doveva essere stato un soggiorno piacevole. D’un tratto iniziò seriamente a dubitare che fosse già in grado di mettersi in viaggio.

Dopo averlo osservato per un po’, decise di andare a sedersi sulla branda adiacente, vicino a lui ma comunque alla giusta distanza. A giudicare dall’odore che emanava, l’ultima volta che era riuscito a lavarsi risaliva a diverso tempo prima, probabilmente settimane, e a peggiorare il suo aspetto contribuivano la barba incolta di giorni e le profonde occhiaie scure. 

Dal canto suo, Cedric parve a malapena accorgersi della sua presenza e continuò a fissare un punto imprecisato davanti a sé, senza degnarlo nemmeno di un rapido sguardo. Per un po’ il silenzio regnò sovrano, mentre Dean pensava a come rompere il ghiaccio. 

“Come stai?” chiese infine, mantenendo un tono distaccato. Forse interessarsi al suo stato di salute era un buon modo di aprire la conversazione.

In cambio, però, non ricevette alcuna risposta.

Allora riprovò. “Non hai una bella cera. Dovresti mangiare qualcosa.” 

Silenzio. Magari intavolare un discorso con il muro sarebbe stato più appagante, ma Dean non si diede per vinto. 

“Dico sul serio, come farai a viaggiare in queste condizioni? Non reggeresti mezza giornata.”

Niente. Cedric non si sforzò nemmeno di muovere le pupille per lanciargli un’occhiata fugace, tanto per fargli capire che era sveglio e il suo cervello stava elaborando quanto appena sentito. 

Ormai quasi prossimo alla resa, Dean si mise una mano sugli occhi, abbandonandosi a un sospiro rassegnato. “Ascolta, so che al momento vorresti solo eliminarmi fisicamente, ma la priorità adesso è un’altra.” disse, stavolta più diretto. “Dobbiamo partire al più presto e se vuoi venire con noi devi rimetterti in forze. Immagino che tu voglia fare qualcosa per aiutare Claire, perciò ti conviene smetterla di piangerti addosso e reagire.” Si rese conto di aver ecceduto nei toni nell’istante successivo, ma ormai era fatta. Del resto, avere tatto non era mai rientrato nelle sue prerogative. 

Quelle parole così schiette però sembrarono ottenere l’effetto sperato, perché finalmente Cedric si riscosse, probabilmente per averlo sentito pronunciare quel nome, e il suo sguardo glaciale si posò su di lui. “Stava a te aiutarla e invece l’hai condannata. Ora è un po’ tardi per cercare di ripulirti la coscienza, non trovi?” La sua voce era piatta, totalmente priva di emozioni, come se le sofferenze patite gli avessero risucchiato qualsiasi volontà, anche quella di arrabbiarsi. Fece una pausa, in cui Dean provò a ribattere, ma non gliene diede il tempo. “Sai, il lato ironico della cosa è che ti avevo chiesto di proteggerla, di prendertene cura. Dovevi solo tenerla lontana dai guai. Non mi sembrava poi così difficile.”

“Ti assicuro che la questione era ben più complicata.” replicò Dean, riappropriandosi del suo diritto di parola. “Tu non eri presente, non sai cos’è successo prima che Claire…”

“No, infatti.” lo interruppe lapidario. Sul suo volto emaciato si dipinse un ghigno appena accennato. Dopodiché distolse di nuovo lo sguardo, facendogli capire che non c’era nulla che potesse dire in sua difesa. Nulla che gli interessasse almeno. “Io non so niente, tantomeno cosa vi abbia detto il cervello e perché sia andata a finire così. L’unica certezza è che fidarmi di te è stata una stronzata.” 

Dean sospirò ancora, incassando il colpo. Sapeva che non sarebbe stata un’impresa facile. “Le avevamo imposto di restare al sicuro qui al villaggio, ma lei ha fatto di testa sua e ci ha seguito fino a Bran.” spiegò paziente. “Deve aver aspettato fino all’ultimo momento, sperando che ti salvassimo senza il suo intervento, invece Nickolaij ci ha messo con le spalle al muro. A quel punto è venuta da me e mi ha chiesto di morderla, sapendo che, una volta trasformata, lui non avrebbe più potuto usarla per i suoi scopi. Il suo piano era valido e l’ho assecondata. Ecco, lo ammetto.” si arrese, dandogli quello che voleva. “Non pretendo che tu capisca le mie ragioni, ma almeno per adesso cerca di mettere da parte il risentimento verso di me e pensa a lei…”

“Io penso continuamente a lei!” reagì Cedric di getto, rivelando finalmente il suo reale stato emotivo. “L’immagine di Claire che si allontana su quel ponte non fa che tormentarmi e il pensiero di non essere riuscito a impedirle di fare questa follia…” La frustrazione era tale da non permettergli di continuare, furioso com’era con il mondo intero, ma soprattutto con se stesso. Chiuse gli occhi e serrò la mascella, come per contenere un’esplosione di rabbia imminente.

Si sentiva del tutto inutile, era palese, e in quel momento Dean non poté fare a meno di provare compassione per lui. In fondo, se si fosse trattato di Juliet la sua reazione sarebbe stata pressoché la stessa, se non peggio. Ricordava ancora quando Mary gli aveva detto che era morta, laggiù in quella cella. Gli era crollato il mondo addosso. “Non avresti potuto impedirglielo.” Cercò allora di consolarlo. “Era consapevole di quello che stava facendo e nessuno sarebbe stato in grado di farle cambiare idea.”

Il suo tentativo di tirarlo su di morale sortì però l’effetto opposto.

“Sì, invece! Qualcuno c’era!” replicò Cedric, fuori di sé. “Tu eri lì! L’aveva chiesto a te, avresti potuto rifiutarti.” 

“Ci ho provato…”

“Non abbastanza!” lo interruppe di nuovo. “Non ci hai provato abbastanza.” ripeté, stavolta quasi in un sussurro.

Dean però rimase calmo, lasciandolo per qualche istante a sbollire la rabbia, prima di riprendere. “Ascolta, quel che è stato è stato. Ormai non serve a niente tormentarsi. Piuttosto, pensa a come andare a riprendertela.” 

Cedric abbassò lo sguardo, mentre il suo respiro tornava lentamente a un ritmo normale. “E come?” chiese afflitto.

“Vieni con noi. Troviamo Margaret.” gli propose. “Lei saprà come aiutarci.”

Lui lo guardò, a dir poco stralunato. “Di che diavolo parli? Non so nemmeno chi sia questa Margaret…”

Dean però scosse la testa. “Saprai tutto quando ti deciderai a uscire da questo cubicolo.” ribatté, ormai sicuro di aver trovato il giusto approccio. Il trucco era capire come invogliarlo a darsi una svegliata e pensava di esserci riuscito. Soddisfatto, gli concesse del tempo per rifletterci su, vedendolo pian piano assimilare l’idea. 

“Va bene.” cedette infine. Poi puntò gli occhi su di lui, mostrandosi risoluto. “Anche se questo non cambia le cose. Non ti perdonerò mai per quello che hai fatto.” mise in chiaro.

Dean ne era certo, così annuì senza nascondere la propria rassegnazione. “Lo so.” 

Stabilito questo, Cedric si alzò, senza aiuto nonostante glielo avesse offerto, e insieme fecero per scendere. Erano sulla soglia quando Dean si voltò un’ultima volta a guardarlo. “Ah, per prima cosa direi che ti serve un bagno.”

Nel frattempo, gli altri di sotto stavano già discutendo con Laurenne, tornata da poco, dei preparativi per la partenza e rimasero alquanto stupiti nel vederli arrivare insieme. 

“Tutto okay, Ced?” domandò Mark dopo un attimo di esitazione e parve più sollevato quando l’amico mugugnò un sì di risposta. 

Anche Juliet si sentì meglio. Almeno a una prima occhiata non sembravano essersi presi di nuovo a pugni ed entrambi apparivano tranquilli. Senza degnare Dean di uno sguardo, si avvicinò a Cedric. “Come ti senti?” gli chiese apprensiva. Non trovava difficile immaginarlo e la sua era più che altro una domanda retorica, ma lui non se ne mostrò infastidito.

“Sporco.” mormorò in tono secco.

Juliet sorrise intenerita, poi lo prese delicatamente per mano e lo guidò nel retro della cucina, dove in previsione aveva già riempito la tinozza d’acqua tiepida. Con la coda dell’occhio aveva intravisto il disappunto sul volto di Dean, forse preso in contropiede dal fatto che stesse accompagnando Cedric a fare il bagno, ma non gliene importava nulla. Che pensasse quello che voleva. Ormai aveva perso il diritto di protestare.

Tra loro non ci fu la minima traccia di imbarazzo quando lo aiutò a togliersi di dosso i vestiti che portava da quando li avevano catturati settimane prima, praticamente degli stracci non più recuperabili, e a entrare nella tinozza. Vederlo ridotto in quel modo le fece provare una pena infinita, ma si sforzò di non farglielo notare. Non voleva che si sentisse compatito. Così, con una spugna prese a lavargli la schiena in silenzio, mentre lui provvedeva al resto. In quei semplici gesti Juliet percepì il legame che accomunava entrambi nel dolore per aver perso una persona amata. 

“Mi sei mancato.” gli sussurrò spontanea.

Le labbra di Cedric si piegarono in un sorriso appena accennato, poi sollevò la mano per poggiarla sulla sua, ferma sulla sua spalla. Non disse nulla, ma bastò a farle capire che anche per lui era lo stesso.

Una volta ripulito dalla sporcizia, lo aiutò a vestirsi con gli abiti che Laurenne aveva ripescato dal guardaroba del marito e che a occhio avrebbero dovuto andargli bene. Poi, mentre lui si faceva la barba cercò di dargli una sistemata ai capelli, cresciuti decisamente troppo, finché non gli restituì un aspetto se non altro simile a quello che ricordava. 

Dopo aver osservato la sua opera allo specchio, gli rivolse un sorriso soddisfatto. “Ecco qua.”

Lui diede un’occhiata distratta alla sua immagine riflessa, decisamente concentrato su altro. “Juls…” mormorò d’un tratto, spostando lo sguardo su di lei. “Posso sapere che ci facciamo qui? Cos’è questo posto?” chiese, come se avesse realizzato solo in quel momento di non averne idea.

Intenerita, Juliet si rese conto che in effetti era una domanda legittima, solo che non la stava rivolgendo proprio alla persona più adatta, visto che lei per prima si era ritrovata lì senza sapere come ci fosse arrivata. Per sommi capi provò a spiegargli cos’era successo da quando si erano separati, così come lo aveva sentito da Rachel e Claire dopo essersi svegliata in casa di Laurenne, vedendolo sgranare gli occhi quando gli raccontò del suo cambio di personalità. “Lo so, anch’io non riuscivo a crederci quando l’ho saputo, ma a quanto pare è andata così.” gli disse, condividendo il suo stato d’animo.

Cedric continuò a fissarla incredulo ancora per qualche istante, prima di sbattere le palpebre nel tentativo di assimilare il concetto. “Accidenti, se mai un giorno usciremo da tutto questo giuro che niente nella vita potrà più sorprendermi.” 

Juliet ridacchiò. “Già, per fortuna Laurenne ha rimesso le cose apposto. Non so come, ma sono di nuovo io.” concluse. Dopodiché lo aiutò ad alzarsi. “Ora però devi mangiare qualcosa, non farmi arrabbiare.” lo redarguì, facendogli capire che non avrebbe sentito ragioni. 

Cedric non osò obiettare e insieme tornarono nella stanza principale, dove Dean stava ancora discutendo con Laurenne della loro decisione di lasciare il villaggio. Quando lei, Rachel e Mark le avevano accennato la cosa, non si era mostrata molto convinta e non le sembrava che adesso la situazione fosse migliorata. Oltretutto, non le era andato a genio ciò che Dean aveva fatto a Claire, contribuendo a far calare ancora di più la già scarsa stima che nutriva nei suoi confronti. 

“Non sarete al sicuro là fuori. Nickolaij ha spie ovunque, non devo certo essere io a dirtelo.” gli stava facendo notare, cercando di mantenere un tono neutro ma in realtà apparendo decisamente ostile.

In ogni caso, lui non sembrò curarsene. “Un motivo in più per lasciare il villaggio. Ora che ha Tareq dalla sua parte quanto pensi che ci metterà per mandare qualcuno a cercarci?”

“Ma perché dovrebbe farlo?” si intromise allora Mark. “Perché continuare a perseguitarci quando ormai ha ottenuto quello che voleva? Adesso ha Claire…”

Dean però gli parlò sopra, alquanto infastidito dalla sua ingenuità. “Quello che voleva era Claire da umana e noi…Cioè io gliel’ho impedito.” si corresse. “Finché non si sarà vendicato, non smetterà di darmi la caccia e per estensione anche a voi. Senza contare che ora abbiamo la sua collana e probabilmente la rivorrà indietro.” spiegò pratico. Sarebbe stato ridicolo pensare che Nickolaij li avrebbe lasciati in pace solo perché era riuscito a prendersi Claire. Aveva visto la sua reazione sul ponte dopo aver scoperto che era stata morsa e il modo in cui lo aveva fulminato nell’istante in cui si era reso conto che fosse opera sua. In quello sguardo aveva potuto leggere una sentenza di morte, prima ancora che si tramutasse in minaccia esplicita. 

“No, mi dispiace.” riprese infine in tono più pacato, rivolgendosi di nuovo a Laurenne. “Sono consapevole dei rischi, ma qui non siamo più visti di buon occhio e lo sai. Inoltre, se restassimo non saremmo di alcuna utilità alla causa. Margaret Danesti potrebbe avere la soluzione ai nostri problemi, dobbiamo trovarla.” disse, sicuro di sé. “Cercheremo di non attirare troppo l’attenzione. Ora, se tu conoscessi un modo per trovare i portali che ci occorrono senza dover girare il mondo intero sarebbe un gran passo avanti.”

Il ritorno di Cedric e Juliet, però, interruppe la conversazione, facendo convergere gli sguardi dei presenti su di loro. Laurenne rivolse a Cedric un sorriso sincero, lieta che si fosse ripreso, informandosi subito sulle sue condizioni di salute e dicendogli che più tardi gli avrebbe dato un’occhiata, per stare più tranquilli; poi si rivolse di nuovo a Dean. “Tornando a noi, abbiamo delle mappe che indicano tutti i portali conosciuti e utilizzati dalle varie tribù. Parlerò con Najat per vedere se è d’accordo a darvene una. Sono rare e molto preziose per noi, quindi devo chiedere il suo permesso. Comunque, sarà il caso che la mettiate al corrente delle vostre intenzioni.” concluse.

“Lo faremo. Ti ringrazio.” rispose lui, facendoselo bastare.

Mentre Cedric si faceva visitare dalla sciamana, Juliet si offrì ancora una volta di preparargli qualcosa da mettere sotto i denti e Mark e Rachel la seguirono, pur di non dover rimanere nella stessa stanza con Dean. 

Rachel stava affettando una carota quando vide Mark pensieroso in un angolo, con il volto rabbuiato. “Adesso che ti prende?” gli chiese allora.

Lui parve riscuotersi e la guardò. “Niente, stavo solo pensando a Ced…”

“A che proposito?” fece Juliet incuriosita.

Mark esitò un istante, forse incerto se esprimersi o meno. “Mi chiedo come abbia fatto Dean a convincerlo a scendere in sì e no dieci minuti, quando con me non voleva saperne. Insomma, ovviamente sono contento che sia qui e che sembri stare meglio, però…” Scosse la testa, lasciando la frase in sospeso. Che fosse frustrato dalla cosa era evidente.

A quel punto Rachel sospirò, per un momento mettendo da parte la carota. “Beh, qualcosa deve avergli detto. Lo conosci ormai, avrà fatto leva sul suo orgoglio ferito. Che importa? Basta che alla fine si sia deciso. Non poteva continuare a fare l’ameba, no?” 

Lui annuì, abbassando lo sguardo e appoggiandosi al bancone della cucina. “Sì, sì, è solo che mi secca non sapere cos’è successo tra quei due, tutto qui.” tagliò corto.

A quanto pareva, il leggero complesso di inferiorità che Mark nutriva nei confronti di Dean non era mai svanito del tutto, nonostante gli errori di quest’ultimo e il fatto che le disavventure comuni avessero creato un certo legame di amicizia tra loro. O almeno così era sembrato a Rachel, a cui sfuggì un sorriso intenerito. Non sapeva più come dimostrargli che non aveva niente da invidiare rispetto a Dean, soprattutto ai suoi occhi. Così, senza aggiungere altro, si avvicinò appena e gli prese la mano, trasmettendogli ciò che provava. 

“Puoi sempre chiederlo a Cedric.” gli suggerì Juliet, continuando a pelare patate. “Non credo si farebbe problemi a raccontarti cosa si sono detti.” 

Mark però fece spallucce, mostrando di voler lasciar perdere la cosa. “No, in fondo Ray ha ragione. L’importante è il risultato.” sentenziò. “E poi abbiamo cose più serie a cui pensare.”

Rachel annuì concorde. “Già. Credete che andare in Austria sia davvero una buona idea? Insomma… Non vi pare un po’ azzardato?”

“Azzardato è dire poco.” ridacchiò nervoso. “Ma per adesso non vedo che altro potremmo fare.”

Niente, era vero. Non potevano fare niente se non cercare di rendersi utili a modo loro. Mai come in quel momento Rachel si sentiva assillata dai dubbi, in cima a tutti l’incertezza di quello che stavano per affrontare. Come al solito erano costretti a dare retta a Dean e a buttarsi alla cieca in un altro folle viaggio, in cui le possibilità di successo erano davvero minime. Aveva il brutto presentimento che ad aspettarli ci fosse solo l’ennesimo calvario.

 

-o-

 

Quando Claire si svegliò era al buio. Tutto era immerso nel silenzio e l’unico rumore udibile era il ticchettio ripetuto di una goccia d’acqua che cadeva sulla pietra da chissà dove. D’istinto sbatté le palpebre più volte per permettere agli occhi di adattarsi, scoprendo così di non averne bisogno. Certo, non aveva mai avuto problemi di vista, ma adesso riusciva addirittura a distinguere forme e dimensioni dell’ambiente circostante senza l’aiuto di alcuna luce. Com’era possibile?

Poi ricordò. Ogni cosa. Uno dopo l’altro i ricordi riaffiorarono nella sua mente, o almeno quelli che precedevano l’istante in cui aveva perso i sensi. Da quando Dean aveva accettato di morderla allo scambio tra lei e Cedric sul ponte, il quadro degli ultimi eventi era più o meno completo, anche se a un certo punto l’unica cosa percepibile era stato il dolore, talmente lancinante da toglierle il respiro. Si era accasciata per terra, d’improvviso aggredita da forti spasmi allo stomaco, poi ricordava di aver alzato lo sguardo e visto la mano di Nickolaij calare su di lei. Dopodiché più nulla.

Spaesata, si guardò intorno, sfruttando la nuova abilità per farsi un’idea di dove fosse e la risposta giunse rapida e fin troppo ovvia. Si trovava in una delle celle del sotterraneo, ancora una volta prigioniera, ancora una volta sola. Non ricordava come fosse finita in quel buco senza finestre, ma non era difficile immaginarlo. 

Una nuova fitta allo stomaco la riportò al presente. Una specie di crampo, come quando si ha fame, ma molto più forte e decisamente meno sopportabile. Le sue conoscenze in materia di vampirismo si fermavano alla semplice esistenza dei vampiri e al fatto che si nutrivano di sangue umano per sopravvivere, cosa che del resto sapeva già prima di incontrarne uno in carne e ossa. Era successo tutto così in fretta in quella foresta che Dean non aveva avuto il tempo di prepararla a dovere su quanto stava per affrontare. Sapeva solo che il mentre sarebbe stato doloroso, ma non aveva idea di quando sarebbe finita e di come avrebbe gestito il seguito. 

Un’altra fitta. Claire si piegò su se stessa, coprendosi l’addome con le braccia. Sentiva male dappertutto. Nelle ossa, nei muscoli, fino alla punta dei capelli. Gli effetti del morso di Dean erano ormai palesi e la sua paura di ciò che sarebbe venuto dopo non faceva che aumentare. -È stata una follia- pensò. –Che mi è saltato in mente?

–Cedric era in pericolo e questo era l’unico modo che avevi per salvargli la vita- rispose quasi subito un’altra voce nella sua testa. –Nickolaij lo avrebbe ucciso se non ti fossi consegnata-. È quello che continuava a ripetersi, un po’ per farsi coraggio, un po’ per non pensare al dolore che non le dava tregua. 

Sollevò le gambe e si strinse forte le ginocchia al petto, mentre un altro tipo di sofferenza oltre a quella fisica la invadeva completamente. Sarebbe rimasta a marcire in quella fogna per sempre, non avrebbe mai più rivisto nessuno dei suoi amici, dei suoi cari. Non avrebbe più rivisto Cedric. Lo aveva sentito gridare che sarebbe tornato a prenderla, ma era solo una promessa dettata dalla disperazione, lo sapeva bene, non si illudeva che avrebbe potuto mantenerla. Come se non bastasse, il pensiero di Jamaal morto su quel ponte non smetteva di assillarla. Non aveva neanche potuto dirgli addio prima che spirasse. Il senso di colpa per averlo illuso, approfittando della sua generosità e infine conducendolo alla morte era troppo da poter sopportare. Quando l’aveva visto steso a terra, inerte tra le braccia di Najat, si era sentita inutile come mai in vita sua, ma aveva dovuto restare nascosta per non mandare all’aria il suo piano. Se Rachel e Juliet l’avessero vista, era sicura che le avrebbero impedito di consegnarsi a Nickolaij, anche a costo di legarla e trascinarla via con la forza. Ora quasi rimpiangeva di non averglielo lasciato fare. 

Gli occhi le si inondarono di lacrime e prese a singhiozzare, nascondendo il viso tra le ginocchia. Intanto il dolore, che non l’abbandonava mai, si era mischiato ai crampi allo stomaco, ripresi dopo una breve pausa. –Quando finirà tutto questo?- Strinse i denti, non riuscendo a reprimere un gemito quando un altro spasmo la colse.

“Lo so, è doloroso.” 

Claire trasalì al suono di una voce improvvisa e inaspettata. Aveva dato per scontato di essere sola e invece c’era qualcun altro oltre a lei in quella prigione. Si voltò a destra, nella direzione dove le sembrava fosse arrivata e si accorse di una piccola falla nel muro, un buco appena sufficiente a far passare un topo. Si trascinò carponi fin lì, schiacciandosi contro il pavimento di pietra per poter guardare dall’altra parte, ma riuscì a scorgere soltanto una porzione di parete della cella accanto. “Chi c’è?” chiese allora, la voce resa roca dalle continue fitte. 

Non ricevendo risposta sospettò di esserselo sognato. Ora sentiva anche le voci. Stava davvero impazzendo; poi ripensandoci si convinse del contrario. “So che ci sei. Ti ho sentito prima.” insistette.

“È vero, mi hai scoperto.” ironizzò lo sconosciuto nell’altra cella.

Claire tentò di ignorare l’ennesimo crampo allo stomaco per concentrarsi su di lui. “Sei umano o vampiro?” 

“Sono come te.” rispose in tono neutro. Era chiaro che non ne fosse proprio entusiasta. “O meglio, come sarai tra poco.” precisò.

“Che vuoi dire?”

Lo sconosciuto esitò qualche istante, prima di spiegarsi. “Il processo non è completo. Il tuo corpo si sta ancora adattando, ecco perché senti tanto dolore. Ma presto il veleno avrà invaso ogni singola goccia del tuo sangue e a quel punto sarà finita.”

Le sue parole indicavano un’esperienza pregressa. Quel tizio aveva passato lo stesso inferno che stava passando lei. “Quanto durerà?” gli chiese ermetica. 

“Difficile a dirsi. Dipende da quando sei stata morsa.” rifletté lui. “Hai fame?”

A chiunque altro quella domanda sarebbe parsa strana, fuori contesto, ma Claire sapeva bene a cosa si riferisse. In realtà, avrebbe tanto voluto non doverlo ammettere a voce alta. “Sì.” Le uscì quasi in un sussurro, talmente se ne vergognava. 

Non poteva vederlo, ma dal tono che usò intuì la sottile soddisfazione dello sconosciuto. “Allora sei a buon punto.”

A Claire sfuggì un sorrisetto amaro, prima di riuscire a stento a tirarsi su e appoggiare la schiena contro il muro. Per quanto da un lato la notizia la allietasse, dall’altro non c’era nulla di cui gioire. Stava per trasformarsi in una creatura assetata di sangue, senza che potesse fare niente per impedirlo.

Intanto i suoi muscoli continuavano a bruciare e lo stomaco attanagliato dai crampi non smetteva di chiedere nutrimento. Decisa a non ascoltarlo, serrò gli occhi per un attimo, scacciando via i brutti pensieri. Doveva resistere. “Da quanto tempo sei qui?” domandò, cercando di distrarsi.

“Non ti importa davvero.” disse infatti lo sconosciuto. “Comunque, se parli di Bran diverse settimane. In questa cella, beh, da quando ho cercato di scappare. Non so quanto tempo è passato di preciso.” spiegò infine. 

Più parlavano e più Claire avvertiva una certa affinità con quel ragazzo, o almeno dalla voce le sembrava tale. In fondo, stavano condividendo la stessa sorte. “È stato coraggioso da parte tua. Mi dispiace che alla fine tu non ci sia riuscito.”

“A me no.” replicò lui inaspettatamente. “Quello che ho fatto è tradimento. Merito di essere rinchiuso qui.” 

Claire non immaginava di ricevere una risposta simile e per qualche istante rimase interdetta, ripensando a quanto aveva appena sentito. “Che stai dicendo? Ti hanno tolto la libertà, costretto a vivere rintanato in un sotterraneo…” 

“Me la sono tolta da solo.” le parlò sopra. “Sono già fortunato che Nickolaij abbia deciso di risparmiarmi. È un grande onore per uno qualunque come me e gliene sarò riconoscente fin quando vivrò.”

Claire rimase allibita. Stava delirando, non c’era altra spiegazione. I giorni trascorsi prigioniero dovevano avergli provocato un serio danno al cervello. “Sai cosa ha fatto quel mostro? Ha distrutto le nostre vite e quelle di molti altri. Ci ha manipolato per i suoi scopi e adesso tu lo difendi? Ti sbagli se pensi che ti ha risparmiato perché tiene a te, non gliene importa niente…”

“Sta zitta!” gridò furioso. “Non dire un’altra parola contro di lui. Tu non lo conosci, non sai cosa ha fatto per me. Mi ha accolto quando non avevo più nessuno.”

Era vero. Claire non conosceva la storia di quel ragazzo, ma era altrettanto vero che lui non conosceva la sua. Perché discutere con qualcuno che non aveva idea di quello che Nickolaij le aveva fatto passare? Che continuasse pure a crederlo un benefattore, ora lei aveva ben altro a cui pensare. I dolori non le lasciavano un attimo di pace. Rinunciando definitivamente a ogni tentativo di farlo ragionare, rimase in silenzio e prese a respirare a fondo, cercando per quanto possibile di rilassarsi.

“Sei ancora lì?” lo sentì chiederle in tono incerto dopo qualche minuto.

Claire sospirò, rivolgendo lo sguardo al soffitto della cella. “Dove vuoi che vada?”

“Senti…” esitò. “Scusa, sono stato scortese.”

Lei scosse la testa, ancora appoggiata alla parete ruvida e fredda. “Lascia stare.” Stava vivendo una situazione talmente assurda e degradante che offendersi sarebbe stato ridicolo da parte sua. 

“Immagino che anche per te non sia stato facile.” continuò il ragazzo, a quanto pareva in vena di chiacchiere. Forse aveva solo bisogno di qualcuno con cui sfogarsi. “Hai un accento familiare. Sei americana?”

In effetti aveva ragione. Claire non ci aveva fatto caso. A dirla tutta, trovare qualcuno che parlasse inglese col suo stesso accento in Romania non era affatto scontato. “Sono del Montana.” confermò.

“Sul serio? Incredibile, anch’io vengo da lì. Conosci Greenwood?” le chiese, più eccitato per via della strana coincidenza.

Sentendo quel nome, lei si riscosse. 

“Sono partito da lì quest’estate, insieme a mio padre. Si era fissato di voler trovare i resti di uno stupido manufatto che si diceva fosse disperso in Romania. Eravamo accampati da queste parti, quando un gruppo di vampiri ci ha trovato. Poi non ricordo bene cos’è successo, ma uno di loro deve avermi morso, perché il dolore che ho provato… Quello sì che me lo ricordo.”

Claire però non lo stava più ascoltando da un pezzo. Mentre lui parlava la sua mente era tornata velocissima a diverso tempo prima, quando si trovavano ancora tutti al castello e Dean l’aveva appena liberata. Stavano andando dagli altri, laggiù nei sotterranei, quando lungo la strada avevano incontrato due vampiri. Uno era un veterano e Dean si era messo a chiacchierare con lui per distrarlo. Lei non aveva capito una parola, considerando che parlavano in romeno, ma adesso uno strano pensiero iniziò a frullarle nella testa. Di tutta la conversazione l’unica cosa giunta forte e chiara alle sue orecchie era stato un nome, pronunciato alla fine. Ricordava di esserne rimasta colpita già allora, pur dimenticandosene subito dopo per la fretta di ritrovare gli altri. E adesso l’accento del suo vicino di cella, il fatto che avesse menzionato Greenwood, perfino la sua voce… Sì, quella voce lei la conosceva molto bene, da anni in realtà. D’improvviso tutti gli indizi si collegarono tra loro e un solo volto le comparve nitido davanti agli occhi. Come aveva fatto a non accorgersene subito? 

“Jason…” mormorò incredula.

 
   
 
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