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Autore: Lisbeth Salander    09/06/2021    6 recensioni
Il primo problema che pone sempre una guerra è saperla riconoscere.
È soltanto nel vedere gli eventi per ciò che sono, che ci si può preparare a combatterla, a capire chi è il nemico da fronteggiare.
Si tratta di un principio essenziale, matematico, quasi asettico nella sua ovvietà ma di difficile applicazione.
La verità è che nessuno vuole riconoscere una guerra, prepararsi all’idea di combattere o rassegnarsi al fatto che tempi di pace e serenità sono conclusi e voltare la testa dall’altra parte è terribilmente semplice.
È la più naturale e normale delle tentazioni, il più primordiale degli istinti: conservare il proprio mondo intatto, preservarlo da forze esterne che arrivano a scuoterlo.
Nessuno ama stare in allerta e riconoscere i segni di una guerra, nessuno ama squarciare il velo e vederci attraverso ma alcuni sembrano destinati a farlo.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alastor Moody, Albus Silente, Dorcas Meadowes, Ordine della Fenice
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Capitolo 2


3 dicembre 1970
Tamworth, Staffordshire

Quando si è presentata nel luogo indicatole da Albus Silente, non si aspettava di trovare un edificio fatiscente dai mattoni rossi e dalla tegole sin troppo inclinate.
Stretta nel mantello nero, tra la mobilia impolverata, pensa e ripensa al fitto scambio di lettere tra lei, il suo ex Professore di Trasfigurazione e Alastor Moody, pronti ad imbarcarsi in quella che ha tutte le carte per essere una missione suicida.
Per quanti siano i timori, le rimostranze, le perplessità, Dorcas riesce soltanto a pensare che dalle sue dimissioni come consigliera personale del Ministro nulla è riuscita ad appassionarla fino a quando non è arrivata quella causa giusta, quella battaglia nuova da combattere e in cui credere.
Il rumore della Materializzazione spezza il flusso di pensieri, dandole, al contempo, una scarica di adrenalina che non provava da troppo tempo.
Albus Silente e Alastor Moody incedono nella sua direzione e nei loro gesti, così come nei propri, c’è una consapevolezza diversa dall’ultima volta che sono stati tutti nella stessa stanza.
Non ci sono più convenevoli tra loro: l’urgenza di opporsi ha spazzato via tutto, lasciando spazio ad una complicità nuova.
«Dobbiamo rendere questo posto vivibile», commenta Dorcas perentoria, agitando rapidamente la bacchetta per eliminare gli strati di polvere, accendere luci, riportare ogni sedia al suo posto.
«Per questi primi tempi sarà la nostra base operativa. Hogwarts non può esserlo e Alastor ha bisogno di riservatezza e casa tua…» continua Silente.
«Casa mia è fuori discussione, così come la partecipazione di Christopher, mio marito, e dei miei figli. Loro non sono inclusi».
Sorprendendo persino se stessa, Dorcas si è resa conto di aver iniziato a dettare le sue condizioni di partecipazione, condizioni cui aveva appena accennato nelle lettere.
«Dorcas, potrebbe arrivare il momento in cui non ci sarà più possibilità di scelta e sarà necessario coinvolgere tutti. Arriverà un momento in cui nessuno sarà esente dal combattere», commenta Alastor con il suo solito pragmatismo.
«I miei figli, eccetto l’ultimo, non vivono più in Gran Bretagna e non ho intenzione di coinvolgerli in questa cosa. Per quanto riguarda mio marito, non posso garantire che sceglierà di stare dalla nostra parte», puntualizza con tono fermo mentre il continuo movimento di anelli tradisce il nervosismo che l’assale.
Moody si limita ad annuire e scrollare le spalle, mostrando ancora una volta un modo di fare che Dorcas ha scoperto esserle congeniale. 
Ogni discorso vagamente relativo al suo matrimonio è da anni fonte di ansie e disagi ma dinanzi a quei suoi compagni d’avventura la possibilità che suo marito scelga di schierarsi tra le fila opposte sembra essere una problematica di non particolare importanza.
«Ho un’altra condizione».
«Fidati, non ne dubitavamo che ce ne fossero altre».
«Non voglio ragazzini. Non porto a morire persone che hanno l’età dei miei figli, perché sapete entrambi che, se le cose degenereranno nel modo in cui pensiamo tutti e tre, le probabilità di morire sono ben più alte di quelle di sopravvivere».
«Tranquilla, Dorcas, non ho intenzione di reclutare i miei studenti», commenta con tono fintamente distratto Silente, intento ad aprire pergamene e mappe sul lungo tavolo da pranzo. 
«Nemmeno ragazzi che hanno appena messo il naso fuori dalla scuola, Albus, o aspiranti Auror che non hanno ancora terminato l’addestramento. Abbiamo bisogno di gente esperta, acuta e, soprattutto, allenata a combattere. Dev’esserci un lavoro differente dietro e non sarò responsabile di eccidi». 
«Siamo sempre lì. Potremmo aver bisogno dell’aiuto di tutti, dovremo essere noi ad allenare la gente a combattere in futuro. Non dobbiamo spronarli a chiudersi nelle case mentre lavorano a maglia ma svegliarli e invitarli ad essere pronti all’allerta», borbotta Alastor.
«Non dobbiamo offrirli come vittime sacrificali perché, parliamoci chiaro, questo sarebbero».
«Per il momento, non è degli studenti o delle nuove reclute degli Auror che dobbiamo preoccuparci», interrompe Silente, «Concordo con Dorcas. Ci serve gente svelta e in grado di contrastare questa minaccia, visto che, da come mi hanno riferito, il Ministro non ha intenzione di fare altro».
Dorcas alza gli occhi al cielo, prendendo posto alla sinistra di Silente, lasciandosi sfuggire uno sbuffo di dissenso nel ripensare al suo ultimo incontro con il Ministro Jenkins.
«Eugenia non farà assolutamente nulla. Lo ha ribadito nella riunione di stamattina», ribadisce Alastor.
«Questa sarà la sua rovina politica. Quando la minaccia incomberà e si farà più seria, la sua poltrona sarà la prima a cadere. Sarà il capro espiatorio e accuseranno lei di essere stata inadeguata», spiega Dorcas, nel tentativo di quietare l’inspiegabile dolore al petto che avverte.
La rovina di Eugenia le appare la cronaca di un disastro annunciato, decisa com’è a mettersi sullo stesso sentiero di tanti altri prima di lei e a commettere i medesimi errori.
«Per allora, però, noi dovremo cercare di contrastare e disinnescare questa minaccia con ogni mezzo possibile, nella speranza che, quando il Ministero deciderà di attrezzarsi, ci sarà una speranza in più».
Continua nervosamente a stringere gli anelli, ripercorrendo le liste di nomi fatte in quei giorni e ponderando le parole di Silente. 
«Dorcas, tu sai perché ti ho voluta insieme ad Alastor e perché penso tu sia essenziale in questa operazione. Mi fido del tuo intuito, ovunque ci porterà».
«Abbiamo bisogno di contatti, di informazioni. Non dobbiamo semplicemente trovare persone allarmate da ciò che succede. Ci servono persone utili, in grado di aiutarci realmente a prevenire ogni mossa e questo significa anche andare a cercare in ambienti improbabili», dice tutto d’un fiato.
«Che intendi per ambiti improbabili esattamente?», le chiede Alastor dubbioso.
«Ci servono agganci al Ministero, oltre te. Questa è una guerra che va combattuta dall’interno: dobbiamo cercare gli anelli deboli dei Purosangue, quelli disposti a cedere i loro diritti».
A Dorcas non sfugge il lampo che attraversa gli occhi di Silente e il leggero incurvarsi delle sue labbra. 
«Come te, quindi», ribatte rude Alastor.
«Esattamente come me». 
«Hai dei nomi?», chiede a bruciapelo Albus.
«Ne ho uno che potrebbe fare al caso nostro. Cercare un Purosangue che sia disposto ad andare contro tutti i privilegi del proprio status è come cercare di conversare di Divinazione con un Centauro e poi, in questo momento, dobbiamo far leva sulle giuste corde. Piuttosto, avete idee su chi potrebbe essere preoccupato per questi attacchi al Ministero?».
«Credevo avessi contatti anche lì». 
«Eugenia è stata sufficientemente intelligente da far capire che chiunque fosse in contatto con me non sarebbe più stato visto di buon occhio al Ministero. Le mie notizie le ho da fonti extra - ministeriali, per così dire».
«Fonti che sono egualmente preziose. Ad esempio, tutto quel che passa per la Testa di Porco è una fonte diretta e, oserei dire, estremamente utile». 
«Del resto, è grazie ad Aberforth se conosciamo alcuni tra i Mangiamorte», commenta Alastor.
«Di chi parliamo?».
«Nott, Rosier, Dolohov, Mulciber1. Dovrebbero essere i suoi fedelissimi ma ho il sentore che abbiano raccolto più consensi» elenca Silente.
Dorcas non batte ciglio: li conosce tutti. In quel circolo chiuso che è la società magica, è impossibile che famiglie come quelle, come la loro, come la sua, non si conoscano, pronte a muovere i propri interessi a scapito d’ogni altra esigenza.
«Non sarà facile arrivare a loro» sentenzia mentre pensa, in particolare, a Rosier e Nott, protetti dall’aura di intangibilità che dà loro il sangue.
«Hai idee?», chiede Silente a bruciapelo.
«Non siamo ancora nelle condizioni di arrivare ad uno scontro diretto, Albus».
«Dobbiamo anticiparli e in questo puoi aiutarci solo tu», conclude Alastor.
«Posso provarci. Intanto, non possiamo essere solo noi tre e dovremo attivarci per trovare le persone giuste, senza far allarmare né una parte, né l’altra».
«Io potrei avere una persona al Ministero ma devo capire come agire. Albus, come intendi procedere?».
«Direi che da oggi in poi dovrebbe essere Dorcas a rispondere a questa domanda», risponde aggiustandosi gli occhiali a mezzaluna, «Del resto, è per questo che l’abbiamo voluta così tanto».
Dorcas non riesce a reprimere un sorriso compiaciuto ed elettrizzato all’idea di tornare ad essere il comandante in carica. Sa che Albus proverà sempre a tirare i fili nella direzione da lui voluta - è quel che fa da sempre - ma quella missione è un’opportunità che non può perdere.
«Dobbiamo trovare nuove persone e fidate ma, soprattutto, cercare di capire se ci sono in programma altri attacchi a villaggi Babbani. Prima o poi, il loro piano d’azione cambierà e non dovremo farci trovare impreparati».
«Non lo saremo», replica Alastor con tono agguerrito, «Sei pronta a mettere mano alla bacchetta o sei troppo arrugginita?».
«Io non sono mai arrugginita, Moody, mai».


16 dicembre 1970
Londra, Ministero della Magia


Sin dall’incontro con Dorcas e con Silente, Alastor ha pensato attentamente a come avvicinare Benji Fenwick, impiegato all’Ufficio Internazionale della Legge sulla Magia.
Benji Fenwick ha quasi cinquant’anni, tra i capelli nerissimi fanno capolino alcuni ciuffi grigi e ha, di tanto in tanto, l’abitudine di toccarsi i baffi quando c’è qualcosa che non lo convince e di fare piccoli movimenti circolari con le mani quando un racconto lo appassiona.
Alastor lo ha notato, fermandosi ad ascoltare le storie sulla sua avventurosa vita, dal semestre frequentato nella scuola di Koldovstoretz2, al ritorno nella casa materna a Mumbai. 
Benji Fenwick, secondo il suo occhio allenato di Auror, è un uomo che conosce il mondo e, ancor di più, è un uomo che conosce gli uomini, abituato com’è a trattare ogni giorno con ciascuno di loro, a trovare una soluzione ad ogni problema, districandosi tra le questioni internazionali di applicazione della legge magica.
È un uomo che non potrebbe essere più diverso e distante da lui, pronto eternamente all’azione e poco ai filosofismi, ma del quale quella neonata associazione che Albus ha deciso di mettere insieme ha estremamente bisogno. 
Benji ha qualcosa che manca a tutti loro: un’incredibile umanità, di cui vi è poca traccia nella misteriosa onniscienza di Silente, nella mente analitica e intuitiva di Dorcas e nelle proprie capacità strategiche.
Se il loro piano dovrà funzionare, avranno bisogno anche del capitale umano, di qualcuno come Benji che sappia come guarire le ferite, senza perdersi in un bicchiere d’acqua, ma affrontandole con il pragmatismo che lo ha sempre contraddistinto.
Decide di bloccarlo quella sera, quando l’Atrio è ormai semideserto e stanno andando via soltanto gli ultimi ministeriali, con una scusa che regge poco ma della cui efficacia non dubita.
«Fenwick, avrei bisogno di un parere…confidenziale», borbotta, prendendolo sotto braccio come fossero da sempre migliori amici e passandogli il fascicolo della strage di Wick.
Alastor scruta attentamente le sue reazioni mentre Benji legge la fitta relazione che ha stilato, tradendo l’orrore e la preoccupazione.
«Non è il mio ambito di competenza, Moody», gli dice richiudendolo con un unico movimento secco.
«Lo so. È il mio, ma vorrei sapere se hai sentito altro».
Benji lo guarda con aria sospettosa, toccandosi nervosamente i folti baffi neri.
«Hai parlato con Marcus Darby?».
Quella domanda e il riferimento al Segretario Anziano del Ministro coglie Alastor di sorpresa, che si trova a scuotere la testa prima ancora di poter decidere quale reazione avere.
«Capisco», sussurra Benji, «E come mai credi che io sappia altro?».
«Conosco il modo in cui lavori, Fenwick. L’ho apprezzato più volte e so che sei in grado di capire il genere umano più di chiunque altro…»
«Non vedo come questo c’entri con questo orrore».
«Temo, purtroppo, che abbia tutto a che fare con questo orrore e credo che lo sappia anche tu».
Benji sospira e, dopo un lungo momento di silenzio, annuisce sussurrando «Preferisco parlare in un posto più confidenziale».


16 dicembre 1970
Bath, Somerset


Si è ritrovato velocemente nel piccolo salotto di Benji Fenwick con la pressante e odiosa sensazione di tasselli che non riescono ad andare al loro posto.
Il riferimento a Marcus Darby, il secondo in comando dopo Eugenia Jenkins, ha acceso un campanello d’allarme difficile da spegnere e al quale non poteva resistere. 
Per quanto ne ha sempre saputo, Marcus, da quando Dorcas è stata messa fuori dai giochi, si è preoccupato di mantenere alto il gradimento della sua superiore, con un occhio di favore alle tasche dei Purosangue con cui finanziare la prossima campagna elettorale.
«Si può sapere cosa c’è di tanto importante?», chiede con impazienza mentre Benji fruga, con una lentezza infinita, tra i cassetti della propria scrivania.
«Qualche settimana fa, è venuto da me Dearborn, Caradoc Dearborn, uno stagista dell’Ufficio Passaporte, un novellino del secondo livello. Diceva di aver notato qualcosa di strano e che la cara Patricia O’Neil lo aveva mandato da me per spicciare la cosa».
Alastor non ne è stupito. È cosa nota che l’Ufficio Trasporti aspetti da tempo il pensionamento della O’Neil, ormai anziana e annoiata, nota per la sua inefficienza ma anche per l’essere imparentata con i Fawley.
«Di che si trattava?».
«Di una strana attivazione di Passaporte non autorizzate. L’Ufficio, o meglio, lui aveva rilevato una serie di movimenti sospetti dall’Albania».
«Albania? Di che periodo parliamo? Perché dovrebbero interessarmi?».
«Si tratta di ingressi ripetuti tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre ma non soltanto è questa la cosa interessante».
«Ci sono stati ingressi illegali nel periodo della strage di Wick e non sarebbe interessante? Per tutti i fondatori, Fenwick, ma perché non sono stato avvisato prima?», sbotta carico d’ira.
«La cosa più anomala», continua Benji, per nulla scalfito dall’impeto di Alastor, «è che tutte le Passaporte erano concentrate in un raggio di cinque miglia da lì». 
«Vengono dall’estero, quindi».
«La teoria di Dearborn, che mi sono sentito di appoggiare, è che loro facessero base all’estero per evitare di poter essere tracciati in alcun modo».
«Ormai il Ministero non concede praticamente a nessuno la tracciabilità della Materializzazione. Ci vuole l’intervento dell’intero Wizengamot. Indagare in questo modo è diventato più complicato di scoprire la tomba di Salazar Serpeverde», borbotta Alastor, costantemente infastidito dal modo in cui tutte quelle inutili autorizzazioni gli sbarrano la strada ogni giorno.
«Mi rendo conto», sussurra Benji, «ma sai meglio di me che ogni Magia lascia tracce e che in questo modo seguire i segnali sarebbe stato molto più complesso».
«Vediamo se ho capito bene, Fenwick, perché sono stanco, molto stanco. La teoria tua e dello stagista è che ci sia un’organizzazione molto più ampia dietro questi presunti attacchi e che questo coinvolga anche Maghi di altre Nazioni?».
«Non so se ci siano Maghi di altre Nazionalità ma c’è, di sicuro, un collegamento con l’Albania. Non so per quale ragione, ma il mio intuito mi fa pensare che sia così». 
Alastor chiude gli occhi, nel tentativo di elaborare informazioni, di capire cos’è che gli sfugga del quadro generale e come quella indagine, quella storia, che già appariva complessa sin dall’inizio, si sia improvvisamente complicata.
C’è una ragione, però, se ha scelto proprio Benji Fenwick in quell’impresa assurda che ha deciso di intentare con Albus e Dorcas e una di quelle è il senso di affidabilità e fiducia assoluta che gli trasmette.
In quel momento, non ha altra scelta che fidarsi dell’intuito di Benji Fenwick e pensare che, sì, esiste un’organizzazione molto più strutturata ed organizzata di quella che aveva immaginato, probabilmente con mezzi e risorse che loro non avranno mai.
«Quindi, mi vuoi spiegare perché non ne sono stato informato?», chiede dopo alcuni minuti di silenzio.
«Darby è venuto da me, pochi giorni dopo il mio incontro con Dearborn. Gli servivano delle relazioni per il Ministro e abbiamo parlato del più e del meno e anche della strage di Wick. Lì temo di aver commesso un terribile errore».
Benji Fenwick - glielo si legge in faccia - è un uomo poco abituato a sbagliare sulla natura delle persone e nel caso di Marcus Darby quella delusione brucia ancora al punto.
«Gliene hai parlato?».
«Gliene ho parlato e lui si è agitato, chiedendomi di consegnargli tutte le pratiche e di non parlarne con nessuno perché si trattava di una vicenda della massima segretezza. Ho capito subito di aver sbagliato, ho preso tempo, eseguito un Incantesimo Gemino e gli ho consegnato le pratiche volute».
«Darby è coinvolto in qualche modo», conclude Alastor, «Dubito sia tanto idiota da partecipare attivamente ma probabilmente conosce chi c’è dietro e vuole evidentemente fare il loro gioco».
«Questo vorrebbe dire che il Ministro appoggia degli assassini?», suggerisce Benji, tradendo per la prima volta, da quando hanno iniziato a parlare, il proprio pensiero. 
«Eugenia è una brava persona, ma è consigliata male».
«Le cose sono cambiate da qualche tempo a questa parte e, infatti, non è finita qui».
«Hai rivisto Darby?».
«Si è ben guardato dal comunicare con me soltanto tramite posta via gufo».
«Classico dei codardi».
«Hanno licenziato Dearborn».
«Di punto in bianco?».
«Di punto in bianco. Sono andato a cercarlo poche ore dopo e la O’ Neil mi ha detto che era venuto il Segretario Anziano del Ministro in persona a parlare con lui. Pare gli abbia offerto un lavoro meglio retribuito alla Gringott».
«E la O’ Neil se l’è bevuta? Per tutti i fondatori, quella donna è sempre stata una sciocca».
«Sì, ha borbottato qualcosa sull’essere stata lasciata senza stagista per qualche zellino in più. In ogni caso, Dearborn non ha mai avuto quel posto».
«Come lo sai?».
«Ho i miei contatti alla Gringott. Non mi ha mai risposto neanche ad una delle lettere che gli ho inviato».
«Sarà risentito con te. Gli hai pur sempre fatto perdere il posto».
«Non credo sia questo, credo ci sia qualcosa di diverso» conclude laconico Benji, «Se non ti ha parlato Darby, come mai hai deciso di venire da me?».
Sorpreso dalla domanda, Alastor si rende conto di aver quasi dimenticato il reale motivo per cui ha deciso di avvicinare Fenwick quella sera.
«Sei un funzionario molto valido».
«Lavoro all’Ufficio Internazionale della Legge sulla Magia e questo caso non presentava alcun profilo di internazionalità in base al fascicolo».
Nella risposta di Benji, Alastor ha una conferma di più sulle sue sensazioni: Fenwick è l’uomo di cui lui, Albus e Dorcas hanno bisogno. 
«Ho una proposta da farti, Fenwick, ed è una questione di massima segretezza». 


17 dicembre 1970
Tamworth, Staffordshire


Quando ha lasciato l’appartamento di Benji qualche ora prima, non avrebbe mai pensato di ritrovarsi in quella che poche settimane prima avevano eletto la loro base operativa. 
È bastato uno scambio di gufi con Dorcas perché entrambi concludessero che nulla poteva essere più prudente che vedersi in quell’edificio che di giorno in giorno viene rafforzato con nuove protezioni.
Dorcas è già lì, in piedi davanti al camino e avvolta in abiti più informali delle altre volte.
Vestita così - pensa Alastor - gli viene sembra quasi priva di quella serietà che l’accompagna ovunque, soprattutto quando lo accoglie con una tazza calda prima di sedersi e ascoltare ogni dettaglio di quanto scoperto quella notte.
Dorcas non lo interrompe mai, mentre passo passo lui le descrive ogni scoperta, ogni dettaglio che Benji gli ha riferito poche ore prima, mentre entrambi prendono ancor più consapevolezza di quanto corrotto sia un sistema di cui entrambi hanno fatto gli interessi.
Quando Alastor finisce, sta quasi albeggiando e c’è un silenzio pesante tra loro.
«Darby è un abile uomo politico, molto attento alle alleanze» dice Dorcas, più a se stessa che ad Alastor, «e mi sembra palese che abbia deciso da quale parte giocare».
«Credi che Eugenia ne sia consapevole?».
«Che Darby abbia deciso di coprire le stragi? No, ma non è del tutto inconsapevole».
«Non penso di seguirti».
«Il fine giustifica i mezzi, Alastor. Lei non vede, lei non sa ma vuol rimanere dov’è e Darby le assicura i risultati. È una questione di metodo».
«È per questo che te ne sei andata?».
«È complicato» chiosa.
«Se la smetti di parlare per enigmi, può diventare molto semplice».
«Eugenia ha perso di vista l’obiettivo. Ad un certo punto, non so dirti esattamente quando, ha dimenticato tutto quello per cui avevamo lottato ed è diventata esattamente quello che avevamo combattuto».
«E tu sei andata via».
«È più complicato di così ma, sì, sono andata via e lei ha trovato qualcuno che facesse il lavoro di sempre, alle sue condizioni».
«Quindi, Eugenia è il nemico?». 
«No. Non è lei il nostro nemico, neanche all’interno del Ministero. Lei sarà solo la prima a cadere, proprio perché non vuole né vedere né sentire, né assumersi alcuna responsabilità sarà semplicissimo farla crollare».
Alastor nota che Dorcas stringe le mani attorno ad una tazza che ormai è diventata fredda, assorta nel fissare un punto imprecisato della stanza.
Sono ad un bivio e lo sanno entrambi perché forse, proprio come dice Dorcas, Eugenia non è un nemico ma i nemici, quelli veri, quelli che uccidono e torturano senza uno schema ben preciso, hanno risorse ben maggiori di quanto avrebbero realmente pensato e loro sono tre, anzi quattro con Benji, a combattere una guerra della quale nessuno sembra accorgersi.
«Questi movimenti dall’Albania… cosa ne pensi?» le chiede reclamando la sua attenzione.
«Non hanno paura». 
«Che intendi? Credevo non volessero lasciare tracce».
«E userebbero una Passaporta non autorizzata? Non hanno paura perché sanno di essere coperti».
Alastor le fa cenno di continuare perché non è certo di seguire l’intuito di quella donna che riesce persino a fargli rimpiangere i discorsi assurdi di Albus. 
Dorcas sorride comprensiva, in un modo che oserebbe definire materno, prima di rispondergli.
«Le leggi magiche in Albania sull’utilizzo di Magia Oscura sono, per usare un eufemismo, estremamente flessibili e loro devono saperlo. In altri termini, è gente a cui piace sperimentare, piegare i limiti della Magia, spingersi e non essere rintracciati. La strage di Wick è solo un’ulteriore riprova di quanto abbiano deciso di spingersi in là ma sappiamo entrambi che non si fermeranno qui».
«E così vanno in Albania per sperimentare?».
«Sì, e per cancellare le tracce. Su questo sono d’accordo. Per l’utilizzo di Passaporte non autorizzate, basta pagare una lauta somma. Non si passa per il Wizengamot».
«La tracciabilità della Materializzazione è praticamente impossibile da ottenere».
«Ti servono gravi indizi di colpevolezza, Alastor. Un movimento di Passaporte non è abbastanza. È un elemento circostanziale, ma non hai nulla in mano per aprire un’inchiesta e una cosa del genere sarebbe uno scossone per il Ministero. Farebbero fuori te, piuttosto che andare a fondo».
«Come minimo, Darby proverebbe a farmi spedire in Kazakistan se provassi a mettergli il bastone tra le ruote».
«Tu saresti un bell’osso duro. Altro che quel povero stagista!».
«Ma prima o poi quel damerino avrà ciò che gli spetta. Ora dobbiamo capire quali tracce copre».
«Sappiamo già quali tracce copre. Rosier, Nott…i soliti nomi che fanno laute donazioni a questo o quel Dipartimento». 
«Mai al mio, però!».
«Pensi sia un caso? Non conviene! Molto meglio avere un Ufficio Passaporte disposto a chiudere un occhio ma con i fondi per un altro stagista, piuttosto che aiutare Cacciatori di Maghi Oscuri».
Alastor batte i pugni sul tavolo in un moto di stanchezza mista ad esasperazione. Non è solo una banda di criminali da combattere, non sono semplicemente Maghi Oscuri. 
È una lotta più profonda, più complessa, più sottile e difficile di quanto aveva creduto quando nello studio di Albus ha deciso di arginare quest’ondata d’odio e paura che sta pian piano travolgendo il Mondo Magico.
«Mi servi in azione, Dorcas» le dice a bruciapelo.
«Quando ci sarà da metter mano alla bacchetta…».
«Non parlo di mettere mano alla bacchetta, non in questo momento. Parlo di sapere quando mettere mano alla bacchetta e prima che sia troppo tardi. Spalanca tutte le porte che ti sono aperte, fai buon viso a cattivo gioco. Dobbiamo trovare i maledetti gravi indizi di colpevolezza, dobbiamo trovare qualcosa che mi consenta di fermarli, dobbiamo anticiparli o questa nottata e le prossime che faremo non saranno servite a niente. Hai una mente straordinaria ma non possiamo limitarci a pensare. È il momento di agire».
Dorcas si irrigidisce e stringe ancora più forte la tazza che ha tra le mani, mentre il sole è ormai alto e ricorda ad entrambi di un mondo che corre anche se loro si sono fermati a riflettere.
«So cosa fare» sussurra lei, non appena Alastor si volta verso di lei in procinto di andare via.


18 dicembre 1970
Londra, Downing Street3


C’è un senso di disagio profondo che l’ha sempre avvolta nel dover tessere relazioni sociali. 
Nonostante la professione svolta per tanti anni, lei, così autoritaria ed inflessibile, non è mai stata a suo agio nel doversi rapportare, nel dover ricercare compromessi, nel dover adattare le proprie soluzioni alle altre.
Mentre si trova seduta nel salotto della residenza dei Vance, non può fare a meno di chiedersi se stia facendo la scelta giusta a rivolgersi a quella donna tanto diversa da lei o se non sia un fallimento annunciato.
Emmeline Vance è tutto ciò che Dorcas, con sommo dispiacere di sua madre, non è stata: una perfetta socialite, introdotta nei migliori salotti della città, con una fitta rete di amicizie e di inviti, nonostante la discendenza non perfettamente pura, pronta a sorridere con gentilezza e a conversare per ore, inserita e ben voluta praticamente ovunque.
È un fatto noto nell’alta società magica che la madre di Elliot Vance, il padre di Emmeline, fosse imparentata con la famiglia reale inglese4
 e che questo aveva leggermente declassato i Vance dalla cerchia di famiglie Purosangue maggiormente ambite, già da diversi decenni.
I Vance non sono abbastanza Purosangue per rientrare nelle Sacre Ventotto ma lo sono a sufficienza per essere invitati a tutti i più importanti eventi sociali, non troppo nobili per la politica magica ma solo per l’Alta società.
Questo Dorcas lo ha sempre avuto ben chiaro dagli anni accanto ad Eugenia e dalle fitte corrispondenze intrattenute con la maggior parte delle famiglie magiche moderate. 
Tra lei ed Emmeline Vance, del resto, c’è sempre stata una cortesia quasi glaciale, uno scambio di sorrisi e gentilezze fredde e fini a se stesse che non sono mai riuscite a tramutarsi in amicizia.
Emmeline è una donna dalla quale Dorcas si è sempre sentita lontana, una donna che non è mai realmente riuscita a capire e la cui bellezza così vistosamente aristocratica l’ha sempre intimorita.
La bellezza di Emmeline è sempre stata ingombrante, impossibile da ignorare per chiunque si trovasse nella sua stessa stanza, magnetica e in grado di intimidire persino una donna che non è abituata mai a chinare il capo.
C’è un filo sottile di cortesie che si scambiano da mezz’ora, incapaci entrambe di fare un passo oltre e andare al di là dei convenevoli per svelare i propri pensieri. 
È sempre stato quello il problema tra loro: calare gli scudi che si sono costruite per mostrare cosa c’è dietro.
Se c’è una cosa di Emmeline che Dorcas ha imparato nei loro incontri superficiali, è che è una donna che non si tradisce mai, fedele sempre a se stessa e alle proprie idee, imperturbabile, chirurgica in ogni movimento ma soprattutto nel pensiero. 
È di quest’aura di bellezza e imperturbabilità che Dorcas ha bisogno per aprire portoni di una società da cui ha sempre tentato di scappare e in cui Emmeline, che del distacco cordiale ha fatto un’arma invincibile, sembra destreggiarsi benissimo.
«Mi hanno raccontato che il mese scorso sei stata a trovare il Ministro», le dice cambiando, senza alcun tipo di preavviso, il tono della conversazione.
«Dovevo fare un tentativo. Immagino ti abbiano anche detto che è miseramente fallito». 
Emmeline accenna un sorriso di assenso, senza che nessun muscolo del viso tradisca realmente quel che sta pensando.
«Il Ministro è una donna complicata», commenta enigmatica.
«Credevo che il suo nuovo sottosegretario mantenesse i contatti con i suoi vecchi elettori».
«In questo momento, credo stiano guardando altrove». 
Nello sguardo e nelle parole controllate che si scambiano, Dorcas è certa di cogliere uno scintillio di insofferenza da parte di Emmeline, scintillio che aveva solo potuto immaginare attraverso una sommaria ricostruzione di alcuni eventi della vita della donna che le sta di fronte.
«Non credi sia arrivato il momento di parlare delle reali ragioni di questo incontro?», le chiede Emmeline senza indugiare oltre, con una ferma gentilezza che non riesce ad essere sbrigativa ma soltanto esigente.
Dorcas si apre finalmente nel primo vero sorriso sincero, come se il senso pratico della sua ospite non fosse altro che una conferma ulteriore delle proprie intuizioni.
«Prima ho bisogno di sapere qualcosa», le dice cogliendola di sorpresa.
«Sono curiosa di sapere la ragione che ti ha spinta a chiedermi di vederci dopo così tanto tempo e senza che avessimo mai davvero parlato in modo confidenziale».
Dorcas non reprime un risolino nervoso, consapevole che è arrivato il momento di scoprire le carte in un modo che potrebbe anche ritorcersi contro di lei.
«Ho bisogno di sapere per quale ragione lo scorso anno hai interrotto il tuo fidanzamento con Antonin Dolohov».
Emmeline scoppia a ridere, poco prima di agitare la bacchetta e riempire ancora i calici dinanzi a loro.
«Spero tu sia libera per cena perché ne avremo per molto». 

 


Fonte: Harry Potter e il Principe Mezzosangue, I Ed., Capitolo 20, pag. 406:«Allora se dovessi andare alla Testa di Porco adesso, non ne troverei un gruppo - Nott, Rosier, Mulciber, Dolohov - in attesa del tuo ritorno?».
Koldovstoretz, una delle undici scuole di Magia registrate presso la Confederazione Internazionale dei Maghi ed indicata da. J.K. Rowling. Dovrebbe trovarsi presumibilmente in Russia.
Downing Street è la strada in cui ha la residenza e sede il Primo Ministro britannico. Nel libro Harry Potter e il Principe Mezzosangue viene riportata la notizia dell'omicidio di Emmeline anche sui giornali Babbani proprio perché avvenuto a pochi passi dal Primo Ministro.
Emmeline è descritta come una strega dall'aria nobile e mi sono divertita ad inserire questo piccolo particolare.


Note: Come avevo già annunciato, i miei tempi sono particolari e tengo troppo a questa storia per lasciare qualcosa di intentato. Ragione per la quale temo che gli aggiornamenti saranno un po' lunghi. Nonostante io tenda a scrivere di getto, ho bisogno costante di ricontrollare tanti piccoli dettagli e cercare di far incastrare quello che è il mio personalissimo canon con il vero canon.
In questo capitolo, che è ancora preparatorio in senso stretto, ho presentato Benji, il personaggio al quale, probabilmente, devo la nascita dell'intero progetto. Mi è capitato in una lista di personaggi per un gioco di scrittura e per lui ho immaginato una storia che all'epoca non sono riuscita a scrivere ma che, quando ci arriverò, sarà una parte fondamenale di questa storia e che mi ha motivata a scrivere e ad allargare da quel singolo episodio a tutto il resto. La descrizione di Benji Fenwick si basa su pochissime indicazioni date su Pottermore, che lo descrivono dalla carnagione più scura, ragione per la quale ho cercato di costruire un background un po' diverso.
Insomma, non voglio dire che da ora in poi la storia sarà in discesa ma conto di essere leggermente più rapida.
Per chiunque abbia speso un briciolo del proprio tempo per questa storia, ho soltanto infiniti ringraziamenti.
Fede



 

   
 
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