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Autore: Lisbeth Salander    06/03/2021    6 recensioni
Il primo problema che pone sempre una guerra è saperla riconoscere.
È soltanto nel vedere gli eventi per ciò che sono, che ci si può preparare a combatterla, a capire chi è il nemico da fronteggiare.
Si tratta di un principio essenziale, matematico, quasi asettico nella sua ovvietà ma di difficile applicazione.
La verità è che nessuno vuole riconoscere una guerra, prepararsi all’idea di combattere o rassegnarsi al fatto che tempi di pace e serenità sono conclusi e voltare la testa dall’altra parte è terribilmente semplice.
È la più naturale e normale delle tentazioni, il più primordiale degli istinti: conservare il proprio mondo intatto, preservarlo da forze esterne che arrivano a scuoterlo.
Nessuno ama stare in allerta e riconoscere i segni di una guerra, nessuno ama squarciare il velo e vederci attraverso ma alcuni sembrano destinati a farlo.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alastor Moody, Albus Silente, Dorcas Meadowes, Ordine della Fenice
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Niente si oppose alla notte (tranne noi)

 

Il primo problema che pone sempre una guerra è saperla riconoscere
È soltanto nel vedere gli eventi per ciò che sono, che ci si può preparare a combatterla, a capire chi è il nemico da fronteggiare.Si tratta di un principio essenziale, matematico, quasi asettico nella sua ovvietà ma di difficile applicazione. 
La verità è che nessuno vuole riconoscere una guerra, prepararsi all’idea di combattere o rassegnarsi al fatto che tempi di pace e serenità sono conclusi e voltare la testa dall’altra parte è terribilmente semplice.
È la più naturale e normale delle tentazioni, il più primordiale degli istinti: conservare il proprio mondo intatto, preservarlo da forze esterne che arrivano a scuoterlo. 
Nessuno ama stare in allerta e riconoscere i segni di una guerra, nessuno ama squarciare il velo e vederci attraverso ma alcuni sembrano destinati a farlo.

 

Capitolo 1

 

Hogwarts 

5 novembre 1970

 

Albus Silente cammina avanti e indietro, senza sosta, da ore percorrendo infinite volte il perimetro della stanza. 
Sulla sua scrivania, al centro dello studio, giace l’Edizione Straordinaria de La Gazzetta del Profeta, elegantemente affiancata da alcuni numeri precedenti.
Ormai la consapevolezza di quel che sta accadendo gli fa compagnia da giorni: a nessuno piace riconoscere i segni di una guerra divenuta ineluttabile, persino quando tutti continuano a negare, negare, negare perché ammettere la loro esistenza significherebbe non poter tornare indietro.
È un terreno difficile su cui muoversi, ne è certo. 
Gli eventi delle ultime settimane hanno scosso gli animi di tutta la comunità magica ma, come si è trovato a considerare più volte, non abbastanza
Ancora cullati dalla convinzione che, dopo l’arresto di Grindelwald, ogni pericolo sia ormai lontano e volutamente dimentichi di ogni pericolo, i più importanti esponenti della società sembrano aver pericolosamente sottovalutato il malcontento che si è diffuso negli ultimi anni e la minaccia che si sta diffondendo a macchia d’olio.
Quando Alastor Moody irrompe nel suo studio con passo sicuro e deciso, Albus Silente è certo che l’Auror sia una delle poche persone ad aver riconosciuto i segni di quella guerra imminente.
Conosce bene il suo ex alunno e sa che, se non fosse turbato, se non ci fosse qualcosa che gli annerisce i pensieri, non avrebbe mai lasciato il Quartier Generale Auror. 
«Hai già letto la notizia, non avevo dubbi», commenta con il tono pungente e diretto che lo ha sempre contraddistinto, guardando con distacco i fogli sparsi sulla scrivania.
«Vorrei sapere, in tutta franchezza, cosa ne pensi».
Albus continua a camminare, a mettere in fila un passo dopo l’altro nella stessa traiettoria che percorre da ore.
«Albus, io…».
«Sappiamo bene che quella scritta dal buon Ferguson Clarich1 è una notizia sin troppo scarna e povera di dettagli per corrispondere a realtà».
Alastor si lascia andare su una delle poltrone presenti senza nascondere il peso di giorni e giorni di lavoro. 
Silente nota che ha lo sguardo stanco e segnato, le occhiaie profonde sintomo di notti in bianco.
«Sono stati devastati tre villaggi, tutti nei dintorni di Wick. Le vittime sono solo Babbani. Non hanno risparmiato nessuno, nemmeno bambini. C’erano centinaia di corpi. Hanno usato ogni genere di Maledizione, Albus».
Il tono di Alastor non tradisce emozioni, ben temprato dalle vicissitudini della sua professione. 
Da anni Capo del Dipartimento Auror, distintosi sin dal primo giorno per una carriera brillante, ha l’aria di chi non è più sorpreso di scoprire quanto ogni volta possa spingersi lontano l’uso indegno e brutale della Magia Oscura. 
Eppure, c’è qualcosa nel modo in cui scandisce ogni parola che tradisce un profondo disgusto per ciò che è stato costretto a vedere.
«Che genere di Maledizioni?», chiede Silente con fermezza.
«Molti sono stati torturati, per ore, a giudicare dallo stato dei corpi. Altri hanno usato la Maledizione Imperius, soprattutto sulle donne. Hanno bruciato e tagliato qualsiasi cosa fosse sul loro tragitto».
Il volto di Albus si contrae in una smorfia di orrore e ripugnanza.  Ha l’aria di chi sta combattendo una battaglia con se stesso per costringersi a raccontare. 
«Credi ci sia stata una ragione particolare?», chiede con voce stanca.
«È il sesto villaggio che devastano quest’anno. Ho visto altre venti famiglie Babbane attaccate, torturate e decimate, nonostante Il Profeta abbia dato notizia soltanto di sei di queste».
«È questa la linea di Eugenia2? Me ne sorprendo».
«Credeva che saremmo riusciti ad arginare le prime senza troppe difficoltà. In altri casi, non credevamo nemmeno fossero casi di nostra competenza», spiega Alastor.
«Pensava che sarebbe stata facilmente risolvibile come le rivolte di tre anni fa3, suppongo», sibila Silente, sistemandosi gli occhiali a mezzaluna sul naso.
«Aveva concesso maggior tolleranza ai Purosangue per placare le rivolte ma non si è resa conto di aver soltanto differito l’inevitabile», sentenzia Alastor, tagliando a corto.
«Ora ci dev’essere qualcosa che ha intenzione di fare».
«Non abbiamo niente in mano, niente se non quel marchio».
Silente si accarezza la barba, in tono distratto. 
«Certo, non si può dire che un teschio ed un serpente siano di straordinaria originalità», commenta dopo alcuni minuti di silenzio, «Tuttavia, stanno lentamente riuscendo nel creare un clima di terrore».
Alastor scuote la testa mentre il sopracciglio sinistro si alza in segno di profondo scetticismo.
«Non credo che la gente, la nostra gente sia terrorizzata, Albus. Non credo che siano molti quelli che hanno capito ciò che ci aspetterà in futuro».
Un sorriso soddisfatto spunta sul volto del Preside. È tutta la sera che aspetta di sentire quelle parole: è sempre stato sicuro che un uomo di battaglia come Alastor Moody abbia intuito sin dal primo istante il pericolo rappresentato dai Mangiamorte e, soprattutto, da colui che li guida. 
Tom Riddle, il suo ex brillante studente, è diventato il capo di una banda criminale prendendo da qualche anno il nome di Lord Voldemort, nome che da lì a poco sarà destinato a riecheggiare molto di più.
Che ci sia lui, dietro le atroci azioni che da mesi hanno iniziato a susseguirsi, è un sentore che Silente ha iniziato ad avere sin dal primo istante. Gli indizi che ha raccolto personalmente lo hanno immediatamente messo in allerta e sono mesi che è consapevole di quanto l’ideologia malsana, sottesa agli atti perpetrati dai Mangiamorte, si stia diffondendo tra le famiglie Purosangue.
«Su questo, amico mio, temo di doverti dare ragione». 
Lo sguardo dell’anziano Preside si assottiglia mentre intreccia le mani e osserva l’espressione di Alastor divenire, se possibile, ancora più dura.
«Al momento, in ogni caso, non abbiamo alcuna prova certa che siano stati questi sedicenti Mangiamorte e, soprattutto, che dietro ci sia Lord Voldemort», afferma l’Auror. 
«Immagino che Eugenia non voglia forzare i Protocolli di sicurezza».
«Tu lo faresti? Ha sedato le rivolte dei Purosangue per quelle poche briciole riconosciute ai Maghinò. Se forza i Protocolli, se impone controlli di bacchette a tappeto e ci autorizza a piombargli in casa, senza uno straccio di prova, tanto vale lasciare la poltrona».
Se c’è una cosa in cui Alastor è impareggiabile, è nel presentare la realtà per quel che appare, nuda e cruda, senza fronzoli e abbellimenti. 
È per questo, del resto, che è il miglior Auror in circolazione da anni ed è per questo che Albus è certo di non potercela fare senza di lui, di aver bisogno di unire le sue forze a quelle di Alastor.
Le sue parole scottano ancora, forti della ragione nell’affermare che la protesta dei Maghinò e le rivolte dei Purosangue in risposta a quella protesta sono una questione ancora fresca e indimenticata per il Ministero.
Ministro soltanto da pochi mesi, Eugenia Jenkins si era trovata, due anni prima, a fare i conti con le pretese di coloro che vivevano ai margini della Società Magica.
La protesta dei Maghinò era presto degenerata e finita nel sangue a causa dell’intervento di alcuni convinti Purosangue, che La Gazzetta del Profeta aveva efficacemente definito come «Irriducibili»
C’erano stati tre arresti ed un decreto che riconosceva ai Maghinò il diritto di avere una minuscola delegazione al Wizengamot e minime garanzie di partecipazione per la tutela dei loro diritti.
Il malcontento che quella vicenda aveva provocato nell’élite della società magica aveva cementificato il dissenso per quella politica troppo aperta, troppo progressista, come aveva commentato Abraxas Malfoy durante una delle sedute del Consiglio di Hogwarts.
«Quel che ci occorre, Alastor, è che nelle persone maturi la consapevolezza della guerra», sussurra, finalmente, Silente.
«Certo, Albus. Ora mi metto a gridare che siamo ad un passo dalla guerra e tutti mi crederanno. Non è così che funziona e non è questa la linea ufficiale», ringhia Moody.
«Allora, dovremo ricorrere a mezzi diversi dalla linea ufficiale».
Il silenzio che cala nell’ufficio dopo le sue parole è interrotto solo dal sospiro di Alastor quando comprende, finalmente, dove voglia arrivare l’amico.
«Non posso contrastare apertamente il Ministero, Albus. Non sarebbe produttivo e, francamente, Eugenia non merita questo», puntualizza con la solita severità.
«Ho intenzione di provare a parlare con Eugenia ma ho il sentore che le mie parole saranno vane. Quanto al resto, temo di dover concordare con te».
«Come pensi di fare?».
«Vedi, Alastor, ci serve una strategia di persuasione ed istruzione. Dobbiamo lavorare con intelligenza, muoverci con estrema cautela e rendere la gente pronta per il momento in cui non ci si potrà più tirare indietro».
«Ed in questo non c’è nessuno più bravo di te».
«In verità, amico mio, qualcuno c’è».

 

Bisbrooke, Rutland

7 novembre 1970

Quell’autunno la pioggia sembra non concedere loro alcuna tregua. Picchia incessantemente, senza mai lasciare che il cielo divenga terso e lì, nelle Midlands Orientali, quel giorno non è possibile scorgere nemmeno un brandello di cielo.
Dinanzi al portone dell’enorme maniero della famiglia Meadowes, Alastor Moody non fa altro che lamentarsi della scarsa visibilità a causa della pioggia. 
«Tu sei convinto che ci aiuterà?», chiede nuovamente ad Albus, che, al contrario di lui, non sembra essere minimamente infastidito dall’attesa che le porte si spalanchino.
«Lo spero, Alastor, lo spero», sussurra con il solito tono sibillino.
Alastor non riesce a non reprimere uno sbuffo d’irritazione.
Ha già provato, nei giorni precedenti, a dire all’amico come la richiesta d’aiuto, ai limiti della disperazione, a Dorcas Meadowes sia destinata ad essere un buco nell’acqua.
Appartenente ad una delle più note e celebrate famiglie tra le Sacre Ventotto, Dorcas Meadowes è una delle donne più chiacchierate e misteriose dell’Alta società magica.
Da quel poco che ha saputo nel tempo, ha sposato un suo cugino in modo da non perdere il cognome e da non mischiarsi ad altre famiglie, nessuna reputata sufficientemente all’altezza. 
Nonostante tutti si aspettassero una brillante carriera politica per il suo carattere brillante e carismatico, la Meadowes aveva stupito tutti e si era ritirata alcuni anni prima in quel maniero, riducendo al minimo i suoi impegni sociali e mondani.
Le voci che si sono rincorse negli anni sussurrano che Dorcas Meadowes non sia cambiata dai tempi della scuola e, nonostante siano passati quasi trent’anni dai tempi in cui entrambi erano ad Hogwarts, Alastor Moody ricorda perfettamente quel che ha pensato di Dorcas Meadowes, di qualche anno più piccola, non appena l’ha incontrata anni prima. 
Dorcas Meadowes era, all’epoca, la più grande rompiboccini che avesse mai incontrato e oggi è pronto a giurare che l’età non abbia fatto altro che peggiorarla.
Quando le porte del maniero si aprono, non può fare a meno di gettare uno sguardo profondo a quanto lo circonda.
Che i Meadowes fossero ricchi lo ha sempre saputo, né avrebbero potuto non esserlo date le costanti elargizioni al Ministero. 
Che i Meadowes fossero così schifosamente ricchi, avrebbe dovuto immaginarlo dal modo in cui chiunque è solito pronunciare il loro nome con maggiore sacralità di quello di Merlino.
Dorcas Meadowes li attende in piedi accanto al camino, con le braccia eternamente conserte, proprio come Alastor la ricorda, avvolta in una veste da maga bianca mentre sul suo anulare sinistro risalta l’anello con lo stemma di famiglia.
Dall’espressione severa e impenetrabile che ha, Alastor ha la certezza che Dorcas Meadowes è rimasta la stessa rompiboccini di sempre.
Si salutano rapidamente, mentre Dorcas non esita a fare gli onori di casa offrendo loro dell’Idromele e invitandoli ad accomodarsi.
«Devo dirvi che sono sorpresa da questa visita», dice portandosi il calice alla bocca ma dando segno di essere in allerta.
«Ottimo Idromele, come al solito», replica Silente, eludendo, in un primo momento, il commento di Dorcas, che continua a fissarlo accigliata. 
Alastor osserva con fervido interesse la scena, incuriosito dal modo in cui Albus convincerà Dorcas Meadowes a mettersi in società con loro e opporsi ai tempi bui che verranno.
«Ho saputo che sei Capo del Dipartimento, Alastor. Congratulazioni», dice Dorcas con sincera cortesia.
«Ti ringrazio. Mi aspettavo che tu saresti diventata, come minimo, Stregone Capo del Wizengamot», replica lui, non riuscendo a trattenersi.
«Quel genere di carriera non faceva per me», incalza affilata, rigirandosi più volte e nervosamente gli anelli che le adornano le dita.
«Alastor, ha ragione, mia cara. Hai sempre avuto uno spiccato intuito politico combinato ad una intelligenza fuori dal comune».
Alastor non può fare a meno di pensare che le parole di Albus hanno sempre l’effetto di sospendere il tempo e colpire corde inaspettate mentre lo sguardo di Dorcas si fa ancor più severo nel soffermarsi su Silente esigendo risposte che stentano ad arrivare.
«Qual è la ragione di questa visita?».
«Siamo venuti a farti una proposta», esordisce Silente.
Dorcas si irrigidisce immediatamente ma tenta di dissimulare ogni emozione versando altro Idromele.
«Dubito di poterti essere utile, Albus. Sono una donna di campagna, ormai», replica con un sorriso tirato ed incredibilmente amaro e in quelle parole Alastor sembra cogliere una forma di rimpianto, insoddisfazione, di rabbia.
«Sono certo che tu abbia letto dei terribili attacchi di questi ultimi mesi ai danni dei Babbani e che abbia notato come si stiano intensificando», prosegue Albus con tono serafico.
«Sono un’accanita lettrice della Gazzetta, Clarich non mi perdonerebbe mai se mancassi un’edizione straordinaria e nell’ultimo periodo ce ne sono state molte».
«Naturalmente, vogliamo tutti dare soddisfazione al lavoro del caro Ferguson. Tuttavia, sei una donna troppo intelligente per non esserti posta domande su quel che sta accadendo nel nostro mondo, Dorcas».
«Sarebbe impossibile non porsi domande davanti ad atti del genere», taglia rapidamente a corto.
«Sei anche troppo intelligente ed acuta per non esserti data delle risposte».
Dorcas si alza scattante con uno sguardo ancor più indurito e l’espressione sospettosa che non l’abbandona mai.
«Che cos’hai intenzione di chiedermi?», ripete ancora una volta in tono calmo e deciso.
«Aiuta me ed Alastor a combatterli. Trova un modo insieme a noi».
«Voi dovete essere completamente fuori di testa».
Dorcas inarca il sopracciglio sinistro e poi scuote la testa, fissandoli come se le avessero proposto una vacanza al San Mungo.
«Sei l’unica che può farlo. Non conosco nessuno che abbia il tuo intuito e la tua lungimiranza, nessuno che conosca i meccanismi di questa società meglio di te», replica Silente per nulla scalfito dal rifiuto della padrona di casa.
«Ed è proprio la mia lungimiranza che mi fa dire che siete fuori di testa. La piega che prenderanno gli eventi è chiara, Albus. È inutile girarci intorno».
«Si può sempre tentare di cambiare quella piega», afferma Alastor, intromettendosi finalmente in quella discussione.
«È una battaglia persa e quello che abbiamo visto fino ad ora non è assolutamente nulla rispetto a quello che verrà. Non c’è niente, assolutamente niente, che si possa fare per fermarli». 
«Non c’è niente che non si possa fermare, non c’è Mago Oscuro che non abbia una debolezza, non c’è persona che non commetta errore. È su questo che si fonda il mio lavoro. Non esistono battaglie perse, non per me», replica con durezza.
Se c’è una cosa di cui Alastor Moody è sempre stato convinto, è che non esista guerra che non possa essere vinta, che la battaglia contro il Male sia una battaglia da combattere ogni giorno, ogni istante, senza mai cedere, senza mai arrendersi, senza mai abbassare la guardia, esercitando una vigilanza costante sul mondo circostante ma combattendone ogni pericolo.
Dorcas vacilla e lui è convinto di intravedere nei suoi occhi un barlume di sorpresa e ammirazione.
«Sono delle bellissime parole ma questa è una battaglia che non ho intenzione di combattere».
«Perché?», chiede Silente con curiosità.
«Proprio perché conosco sin troppo bene questa società, ti dico che non c’è possibilità. Il vero potere è concentrato in mano a pochissime famiglie, il Ministero e la stessa Hogwarts sono legati a questi stessi soggetti…».
«Mi permetto di contraddirti su Hogwarts…», la interrompe Albus mentre Alastor tace, condividendo intimamente quella parte di discorso di Dorcas.
«Oh, Albus, insomma! Tu sei l’unica persona che prova a contrastarli ma nel Consiglio ci sono anche io e so perfettamente cosa c’è dietro Hogwarts e quali siano gli interessi che muovono l’amministrazione della scuola», s’accende Dorcas, «Saresti davvero sorpreso se uno tra i più insospettabile dei tuoi studenti fosse nelle schiere di questi Mangiamorte?».
L’obiezione di Dorcas è più dolorosa di una stilettata. Silente china il capo amareggiato e Alastor, memore delle conversazioni degli ultimi giorni, sa bene che è già certo che alcuni dei suoi studenti si siano arruolati pronti a torturare, uccidere, maledire senza scrupolo alcuno.
«Non direi sorpreso. Deluso».
«E sono anche consapevole che tu sappia che non è tutto qui, che non è questa la vera ragione».
Alastor si schiarisce la voce e chiede spiegazioni.
«Li appoggeranno, silenziosi ed omertosi come solo certi maghi sanno essere» sentenzia Dorcas, con un moto di disgusto.
«Siamo preparati a questo. È per questo che bisogna agire ora», si infervora Alastor alzandosi in piedi e attirando l’attenzione della padrona di casa.
«E come vorresti agire? Le fonti ufficiali non dicono nemmeno che i responsabili sono sempre gli stessi, non viene indicata chiaramente una minaccia. Per cosa, esattamente, la gente dovrebbe mettere mano alla bacchetta?».
«Quale migliore causa se non quella di difendere i più deboli?», chiede Silente.
«Be’, Albus, magari su questa motivazione dobbiamo lavorarci», sbotta Alastor. Pragmatico e lucido, è consapevole che in quella fase, in cui la minaccia non è ancora esplicita ma è rimasta imbrigliata nei sottotesti di tutte le atrocità commesse, dovranno puntare a qualcosa di più immediato che ai soli ideali.
«Volete chiedere alle persone di combattere in una causa che non ha nemmeno dei confini noti e che non siamo in grado di vincere».
«Dovresti avere maggiore fiducia negli esseri umani. Te lo dicevo anche quando ero soltanto un tuo Professore», predica affettuosamente Silente.
«E io ti ho sempre detto che non ho mai capito da dove provenga il tuo straordinario ottimismo, anche davanti ad eventi del genere».
Alastor scuote la testa, percorrendo nervosamente il salone, con un unico pensiero a tormentarlo: stanno perdendo tempo.
«Quindi, non ci aiuterai?».
«Non mi avete nemmeno detto cosa dovrei fare esattamente».
Albus si alza e raggiunge Alastor in pochi istanti, fissando Dorcas con la sua solita aria imperturbabile.  «Credevo fosse ovvio a questo punto. Aiutarci a trovare persone che vogliano impedire l’arrivo di questi tempi così bui, che sappiano scegliere tra ciò che è giusto piuttosto che ciò che è facile».
Dorcas distoglie lo sguardo, stringendo con forza le dita inanellate attorno alla veste bianca.
«Niente si oppone alla notte, Albus. Dovresti saperlo», afferma con tono malfermo.
«Potremmo opporci noi», continua Alastor, conscio di quanto Dorcas Meadowes abbia un’intelligenza e peso politico necessario in quella battaglia.
«Prima accetterete che è una causa persa, prima potrete conviverci». 
«È un peccato che tu ci abbia detto di no. Avrei voluto chiederti di parlare con Eugenia», continua Silente con tono pacato, come se Dorcas Meadowes non abbia appena reso palese che il loro viaggio in quella landa inospitale sia stato un fallimento totale.
«Eugenia non ascolta più i miei consigli da tempo, Albus. Credevo fossi a conoscenza anche di questo».
«Sono a conoscenza del fatto che la Dorcas che conoscevo non aspettava che un consiglio fosse richiesto», sibila con tono indecifrabile.
«I tempi sono cambiati. Eugenia è il Ministro ed io non sono più la sua consigliera politica da anni». 
«E, se posso permettermi, si vede», chiosa Silente prima di far segno di congedarsi ad Alastor.
 

Londra, Ministero della Magia 

27 novembre 1970

Ha impiegato venti lunghissimi giorni a convincersi, venti giorni in cui le parole di Albus Silente e Alastor Moody non hanno fatto altro che rimbombare nella sua testa come un’eco molesta di ideali lasciati andare anni prima.
Una parte di sé è ancora fermamente convinta di quanto ha detto loro: non c’è possibilità di combattere e vincere retaggi e  pregiudizi di una società saldamente ancorata all’idea della primazia del sangue, una primazia che si riverbera in ogni ambito.
Quegli ideali muovono le fila del Ministero, di Hogwarts, del commercio, impediscono passi avanti reali e concreti, tracciano linee immaginarie ma insuperabili tra chi ha il potere e chi sarà eternamente ostacolato e visto con sfavore per mere ragioni di nascita.
Dorcas ha la consapevolezza di chi è nata dalla parte giusta e ha visto infinite porte spalancarsi dinanzi a sé.
Un’altra parte di se stessa, però, freme al pensiero di abbattere i pilastri di quel mondo che non ha mai condiviso, in cui s’è ritrovata prigioniera a causa della sua stessa famiglia. 
Si è ritrovata a stendere liste di nomi, a pensare ad amici e conoscenti che non esiterebbero a mettere mano alla bacchetta se fosse necessario. 
Le ha accartocciate con rabbia e rimorso - sentimenti con i quali convive da tempo - tornando a convincersi che, no, non c’è alcuna possibilità contro quella rivoluzione sanguinosa che incombe.
La piccola sala d’attesa fuori l’Ufficio del Ministro è un luogo che non le è familiare.
Fino a pochi anni prima, per lei non era mai esistita attesa. 
Adesso, invece, passeggia nervosa in quell’atrio così insolito, carica di tensione ed impegnata a reprimere ogni risentimento.
«Il Ministro Jenkins ha detto che si può accomodare», sussurra la voce incolore della giovane strega intenta a gestire la posta di Eugenia.
Dorcas annuisce e non esita ad entrare.
Il silenzio, la tensione e l’imbarazzo che avvolgono lei e il Ministro della Magia sono talmente pesanti da poter essere tagliati con un coltello.
Anni d’amicizia, sogni condivisi e traguardi raggiunti si sono sgretolati contro le prime difficoltà degli incarichi politici di Eugenia. 
Il loro ultimo incontro risale a qualche anno prima, dove si sono urlate e rinfacciate di tutto, ogni singolo episodio fino a fare a brandelli tutto ciò che c’era stato di bello. 
Dorcas era uscita sbattendo la porta e, da allora, c’era stato solo silenzio.
Eugenia non si alza neppure, limitandosi a poggiare lo sguardo su di lei e ad osservarla mentre s’avvicina alla poltrona predisposta per gli ospiti. Ha un’espressione dura mentre accende uno dei suoi sigari. 
Dorcas non può fare a meno di pensare che sia solo il primo dei modi in cui l’ex amica tenterà di infastidirla, ben conscia di quanto detesti l’odore del sigaro.
«Sono sorpresa di vederti qui», prende parola il Ministro.
«Sono sorpresa di essere qui», replica con velocità Dorcas mentre Eugenia non reprime un sorriso amaro.
Per due persone come loro, abituate a parlare di tutto, il silenzio ferisce come cento spade.
«A cosa devo l’onore?», chiede Eugenia con una punta di sarcasmo.
«So bene quali sono i nostri rapporti e sono consapevole del fatto che tu abbia mille motivi per non ascoltarmi», esordisce Dorcas, avvertendo una difficoltà ed un fastidio che non ha mai provato in precedenza nella sua veste di consigliera, «Pensavo fosse mio dovere venire qui».
«Ti ascolto».
«Non puoi sottovalutare gli attacchi ai villaggi dei Babbani, il modo indegno e disgustoso in cui questa gente sta utilizzando la magia».
Le parole sono uscite fuori con maggiore durezza di quella che aveva preventivato, assumendo le pericolose sembianze di un ordine, ordine che non può più permettersi di dare.
«I miei Auror stanno facendo tutto il possibile. Sono fiduciosa nel fatto che in breve tempo prenderemo questi balordi e daremo loro una punizione esemplare».
«Tu sai chi c’è dietro tutto questo?», chiede Dorcas.
«Mi è arrivato qualche nome, voci, più o meno prive di fondamento», conclude con sufficienza Eugenia, continuando a rigirare il sigaro tra le mani.
Dorcas si irrigidisce immediatamente nel realizzare che il muro che Eugenia ha tirato su le appare insormontabile.
«Dovresti parlare alla stampa e allertare i Maghi, porre in evidenza il genere di minaccia che rappresentano».
«Non c’è nessuna minaccia per la quale io debba terrorizzare la popolazione, Dorcas. Sono finiti i tempi dei ‘dovresti’, non sai più cosa accade qui dentro. Sono perfettamente in grado di gestire questa… situazione», puntualizza perentoria e rancorosa, proprio come l’ultima volta che si sono viste.
Dorcas inghiotte rancore e veleno, pur di continuare a rimanere lì, seduta su quella sedia, ad implorare un passo politico che non arriverà mai - ormai le è chiaro.
«Stavo cercando di tenderti una mano, non di darti ordini. A te arrivano voci, così come arrivano anche a me. Non lavoro più qui ma sono ancora informata su quello che accade nella società di cui sono parte», continua con fermezza, «ed è proprio per il bene di questa società che so esserti tanto cara se ora sono qui. Oggi massacrano Babbani, domani massacreranno i Nati Babbani, poi ancora i Magonò, non esitando a calpestare chiunque li osteggi, e non si potrà più gettare la testa sotto la sabbia».
«Sono lieta che tu non ti sia isolata. Mi era stato riferito diversamente», commenta con evidente livore, «Dubito che le nostre fonti siano le medesime. Come ti ho detto, è tutto sotto controllo e non c’è nessuna minaccia che sta per distruggere il mondo magico ma ti ringrazio ugualmente per la preoccupazione».
Dorcas sospira, rassegnata e sconfitta, dinanzi all’ostilità dell’amica di un tempo mentre sotto la pelle affiora un desiderio di giustizia che era sopito da anni.
«Mi rattrista vedere come tu non riesca ad andare oltre i nostri dissidi personali. La donna con la quale ho lavorato era in grado di riconoscere i pericoli che doveva fronteggiare».
Non appena pronuncia quelle parole, è certa che il suo tempo in quella stanza è ormai concluso. Il lampo di risentimento negli occhi di Eugenia è tale da non lasciare alcun dubbio.
«Ti pregherei di accomodarti fuori. Non ho altro tempo da concederti», le dice perentoria, indicandole la porta con un cenno del capo.
Dorcas non proferisce parola nel catapultarsi fuori dall’Ufficio del Ministro. Gira il suo anello più volte, tentando di barcamenarsi nel vortice di pensieri che le aggrovigliano la mente.
Percorre velocemente i corridoi stretti e chiacchierati del Primo Livello: la voce che Dorcas Meadowes ha rimesso piede al Ministero si è sparsa con una velocità incontrollabile e gli occhi dei Ministeriali le si posano addosso con fastidiosa insistenza.
S’avvicina agli ascensori tesa e nervosa, convinta di voler uscire immediatamente da quel luogo che sembra toglierle aria dai polmoni.
Invece, inspiegabilmente, si trova a dire «Secondo Livello, Ufficio Applicazione della Legge Magica».
Ancora seguita e importunata dal chiacchiericcio che l’accompagna, stringe distrattamente mani ed elargisce sorrisi di circostanza prima di arrivare finalmente al Quartier Generale degli Auror.
L’accoglie un giovanotto imberbe, con occhiali minuscoli e rotondi, e un’aria spaurita che non si addice ad un Auror.
«Ho bisogno di parlare immediatamente con Alastor Moody. Sono Dorcas Meadowes». 
Quando pochi minuti dopo si ritrova nell’ufficio di Alastor Moody, non può fare a meno di notare il sorriso compiaciuto e soddisfatto dell’Auror. 
«Se tu e Albus non avete desistito, sono dei vostri» annuncia, guardandolo negli occhi.
«Credevo che avessi detto che niente potrà opporsi alla notte», replica sorridente ma con aria di sfida.
«Tranne noi, Alastor. Noi possiamo farlo».
 


1Ferguson Clarich, Direttore della Gazzetta del Profeta, personaggio originale.
2Eugenia Jenkins, Ministro della Magia, eletta nel 1968. Fonte Lexicon e Wizarding World.
3Le proteste dei Magonò, cui segue la rivolta dei Purosangue, sono riportate dal sito Wizarding World e dal Lexicon e si svolgono dopo il 1968. 


Note: il tema della Prima Guerra Magica è uno di quelli a cui mi sono sempre avvicinata, ho girato intorno, studiandolo perché tra i tanti periodi è quello che mi ha, da sempre, più affascinata nella lettura della saga. Quella Prima guerra, i suoi protagonisti, le sue logiche si riverberano, inevitabilmente, anche sulla seconda. 
Di quel periodo, però, non sappiamo praticamente nulla se non le poche (e insoddisfacenti) informazioni che l'autrice ha dato in merito. 
Personalmente, ho cercato di partire da lì, da quelle pochissime informazioni e di immaginare la mia versione dei fatti, cercando sempre una sorta di quadratura del cerchio.
E, quindi, qui siamo agli inizi di una guerra che, come detto da Silente nel Primo Capitolo di Harry Potter e la Pietra Filosofale, durerà undici anni e tra le poche cose che si sanno c'è la creazione di questa società segreta, fondata da lui stesso, che si oppone alla minaccia di Voldemort e dei Mangiamorte.
Non sarà una storia d'azione, quanto più che altro di riflessione, sul perché sia stato necessario e sul modo in cui questa associazione nasce, vive e, a suo modo, muore. 
Non sono in grado di delineare un ritmo nell'aggiornamento, che temo seguirà molto i miei umori. Posso soltanto ringraziare chiunque deciderà di leggere anche una piccola parte di questa storia, anche se un ringraziamento particolare va alle mie amiche che ho tediato per giorni con le mie paturnie per questa storia.
Un abbraccio,
Fede

 

   
 
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