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Autore: artemide88    09/06/2021    2 recensioni
Isabella Black frequenta la più importante scuola della Virginia e non solo ha ottimi voti, ma sta per diplomarsi con un anno di anticipo. Vuole andarsene, da quella scuola e quella città, il prima possibile perché odia i bulli che la perseguitano. Potrebbe però avere vita più facile se rivelasse un piccolo dettaglio sulla sua vita...
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Buona lettura

CAPITOLO 22

Posai la tazza di tè e ringraziai la mia ospite per la sua disponibilità, prima di congedarmi.
“Spero solo che Rosalie possa accompagnarmi per la scelta.”
“Sono sicura che ne sarà lieta.”
Mi alzai e tesi la mano alla signora Hale proprio mentre entrava Rosalie che, appena si accorse della mia presenza, mi fissò incuriosita.
“Grazie ancora, signora Hale.”
“È stato davvero un piacere Isabella. Salutami tua madre.” Un cenno del capo e mi avviai all’ingresso.
Rosalie mi tallonava, in attesa di spiegazioni. Non le avevo detto che sarei andata a bere il tè da sua madre, mentre lei era agli allenamenti delle cheerleader. 
“Cosa stai architettando?”
“Vieni a fare shopping con me e lo saprai.” Le risposi enigmatica e me ne andai.
Nell’ultima settimana, dopo il falò dei Malandrini, ero decisamente molto più sicura di me stessa. Avevo trovato ben nascoste nel profondo della mia anima, una forza e una determinazione che non immaginavo di avere. Aveva ragione mio padre, essere un parafulmine per gli studenti più deboli non era sufficiente contro i bulli. Dovevo agire, essere una Swan fino al midollo e combattere per la mia scuola e per chi non poteva farlo.
Già frequentare una star come il Cigno Bianco mi aveva infuso un po’ di coraggio, ma il falò...ripensai alla faccia di Jessica Stanley e sorrisi tra me e me.

La mia pausa pranzo era tranquilla. Io e Edward eravamo chiusi nella nostra bolla d’amore, rilassati sulle sedie, la conversazione piacevole e allegra, a tratti sussurrata e carica di promesse. Stavamo evitando le manifestazioni d’amore più plateali per non urtare mio padre, ci accontentavamo di tubare innamorati.
A ripensarci, era una pausa pranzo troppo tranquilla e troppo anomala. I nostri compagni di scorribande non si erano ancora fatti vedere e ci stavano regalando la pace. Le loro macchinazioni e i loro intrighi erano ben lontani da noi.
Ma lo dovevo sapere che non sarebbe durato a lungo. All’improvviso quattro vassoi vennero sbattuti con forza sul tavolo e del cibo schizzò dai piatti. Sussultai per la sorpresa e per la veemenza del gesto. Anche quando io e il mio ragazzo tubavamo in modo più deciso, gli altri non erano mai stati così incavolati neri.
“Sono stanco di questa situazione.” Jasper era forse il più scuro in volto dei quattro. Tentai di fargli presente che io e Edward non stavamo facendo nulla di male. “Oh, Isabella, non dire sciocchezze! Non hai sentito l’ultima bravata della Stanley?”
Io e Edward ci guardammo e alzammo in contemporanea le spalle. Decisamente non eravamo al corrente di tutti i fatti della scuola.
“Se stavamo aspettando l’occasione giusta per agire, questo è il nostro momento.” Rosalie poteva competere con il biondino per il titolo di generale. “Possiamo fargliela pagare, ingraziandoci tutta la popolazione studentesca.”
“Ok. Fermi.” Cercai di mettere un freno alla rabbia e alla guerra che stavano preparando. “Che ha fatto di preciso?” I quattro si scambiarono occhiate cupe. Fu Alice a rispondermi.
“Ha dato fuoco ai compiti di una ragazza che ovviamente si è beccata una D e un richiamo ufficiale perché non ha consegnato l’elaborato di storia.”
Emmett sospirò. “La poveretta si è rifugiata in bagno e non vuole uscire. Non smette di piangere perché teme l’ira dei genitori, ma non vuole nemmeno andare dal preside.”
“Quale bagno?” Chiesi, alzandomi. L’avrei convinta io a denunciare quell’arpia. Edward e gli altri abbandonarono i loro piatti e mi seguirono.
Trovai Maggie O’Shea in lacrime, rannicchiata in un angolo, consolata da una sua amica che le accarezzava i capelli cercando di calmarla. Rimasi spiazzata dalla sua fragilità e mi ritornò in mente in discorso che mi aveva fatto papà qualche mese prima. Non avevo protetto i miei compagni dai bulli perché non avevo insegnato loro a combattere e a ribellarsi. Mi sedetti vicino e cercai di parlarle con dolcezza, cercando di consolarla e di spronarla a denunciare Jessica, perché venisse punita, come meritava. Ma Maggie continuava a scuotere la testa e a dire, tra i singhiozzi, che non poteva mettersi contro l’ape regina. 
Ogni mio tentativo fu vano. 
“Io...io non sono come te.” Mi disse.
“Puoi esserlo. Ti accompagno io dal preside.”
Negò con il capo chino. “Non può mettersi contro di lei.” Ripeté l’amica.
“Perché lo ha fatto?” Chiesi alla ragazza. Da Maggie non avrei avuto più una sola parola. Era troppo turbata e il pianto aveva ripreso intensità.
“Maggie non ha svolto bene i suoi compiti e ha preso una misera C.” Mi rispose l’amica.
Emmett e Jasper si scambiarono una rapida occhiata, tentando di non farsi notare.
Maggie ululò e dovetti resistere all’impulso di tapparmi le orecchie. La ragazza vicino a me non poteva svolgere i compiti di quell’arpia, era solo al secondo anno. Una C era già un risultato apprezzabile.
“Jessica ha detto che...” Jasper intervenne, interrompendo la ragazza, e ribadendo che Jessica doveva essere denunciata, anche perché mio padre era su tutte le furie per il cestino della carta andato a fuoco.
Emmett voleva completare la frase della ragazzina, ma si beccò una gomitata nello stomaco dal biondo.
“Cosa ha detto?” Assottigliai lo sguardo perché sapevo che c’era qualcosa che non erano intenzionati a dirmi. Infusi tutta la mia volontà in quella singola occhiata, per piagarlo al mio volere. Era l’anello debole in quella conversazione. Voleva dirmi tutto, dovevo solo insistere.
“Ha detto che Maggie doveva solo dare la colpa a te. Se tu non avessi smesso di farle i compiti, lei non avrebbe dovuto trovare una sostituta e ora i compiti di Maggie sarebbero salvi.” Ancora una volta l’amica di Maggie intervenne.
Emmett si guadagnò due gomitate nello stomaco, una da Edward, l’altra da Jasper.
Lasciai che l’amica di Maggie si occupasse di lei e andai alla mia lezione successiva, pensando a quanto era successo.
A biologia, Edward interruppe i miei pensieri.
Mi arrivò un bigliettino appallottolato. 
Non è colpa tua.
E ribadì il concetto mentre andavamo a casa, ma io mi sentivo sempre più turbata. Non solo non avevo sconfitto Jessica, ma lei si stava rifacendo sui miei compagni. Come potevo permetterlo?
A cena, mio padre mi chiese se sapessi qualcosa di cestini bruciati e compiti andati in fumo, ma rispettai la volontà di Maggie e mi chiusi in un silenzio carico di sensi di colpa. La notte passò senza che potessi chiudere occhio. 
Il giorno dopo, con le occhiaie che arrivavano fino al mento, radunai la squadra di complottisti nel mio bagno prima dell’inizio delle lezioni.
“Dobbiamo fare qualcosa.” Dissi loro. “Pensateci, è il momento giusto per agire. Ha esagerato questa volta.” Erano indecisi sul da farsi, così diedi loro appuntamento all’ora di pranzo per esporre le nostre idee di vendetta.
Peccato che i loro piani fossero irrealizzabili, senza coinvolgere il preside.
“Io la spia non la faccio.” Emmett aveva tentato per tutto il tempo di convincermi a parlare con mio padre.
“E allora Jessica deve essere umiliata davanti a tutti.” Rosalie prese la parola. “Deve essere qualcosa a cui l’intera scuola possa assistere.”
“Non faremo niente nei corridoi o la sospensione ce la becchiamo noi.”
“Insomma, Isabella, cosa proponi, allora?” Jasper era esasperato per le mie continue bocciature ai suoi piani.
“Venerdì c’è l’ultima partita di campionato.” Edward era rimasto in silenzio per tutto il tempo. Si guadagnò tre sguardi fulminanti. Per noi ragazze non era proprio il caso di pensare al football in quel momento.
I ragazzi, invece, sembrarono rianimati. Parlottarono tra loro, senza metterci al corrente della loro idea. 
Jasper finalmente si degnò di rivolgersi anche a noi.
“Venerdì è il giorno giusto per agire, ma come?” Si prese il mento tra le mani, come un generale che sta pianificando la strategia.
“Un modo c’è, ma Bella deve essere d’accordo.” 
“Non ho intenzione di fare nulla che...”
Edward si avvicinò a me e mi baciò. “Se sarai tu a punirla, lo smacco sarà doppio. Devi solo essere te stessa.”
E così decidemmo i dettagli, Jasper e Alice si incaricarono di organizzare il tutto e studiarono la serata nei minimi dettagli. L’idea non mi piaceva per nulla, ma Edward mi assicurò che sarebbe stata una serata perfetta.
Dopo la partita, per festeggiare il trionfo della squadra, vincitrice del campionato, si sarebbe tenuto il tradizionale Falò dei Malandrini, una specie di festa goliardica, con falò ovviamente, con l’obbligo di indossare delle maschere.
“Una specie di Martedì Grasso, insomma.”
Il mio ragazzo si concesse un ghigno. “Sì, qualcosa del genere.”

Mi ritrovai ad assistere, senza voglia, con l’ansia che mi faceva martellare il cuore nel petto, alla prima partita di football della mia vita. Mi accompagnò persino Jacob, rientrato appositamente per l’ultima di campionato. Era rimasto con il muso lungo per tutta la cena perché sarei andata alla partita. Per lui non avevo mai fatto uno sforzo simile. Mentre andavamo allo stadio, non mi disse una sola parola se non per chiedermi, con studiata casualità, se sarei andata al falò. Uno sbuffo, come risposta, fu per me più che sufficiente. Non mi interessava quali risvolti sociali potesse avere andare al falò, o quali film mentali si stesse facendo Jacob.
Io avevo solo accettato di attuare la vendetta contro Jessica, poco mi importava di quel fuocherello dal diametro enorme che avrebbe potuto incendiare tutta la città. Sul posto, per fortuna, sarebbe stata presente una squadra di volontari di vigili del fuoco. 
“Pronta?” Edward mi posò un braccio attorno alle spalle, fresco di doccia dopo che la squadra aveva sonoramente battuto gli avversari. Jacob era in visibilio per la vittoria e aveva dato fondo a tutto il suo fiato per il tifo, cercando al contempo di spiegarmi ogni azione. Io avevo ascoltato piuttosto disinteressata, cercando di trovare la calma per attuare il piano dei congiuranti. Mio fratello era ancora troppo esaltato per notare il mio nervosismo e per dire alcunché quando salii in macchina con Edward, invece che con lui.
“Tieni.” Edward mi porse una maschera. “È la più semplice che ho trovato per non ostacolare la visuale.”
Mi rigirai la semplice mascherina di pizzo nero intagliato.
“Tranquilla, andrà tutto bene.” Edward mi strinse una mano, con fare rassicurante.
“Ci sarà tutta la scuola. E anche Jake.” Mormorai dando voce alle mie paure. 
“Ma ci sarò anche io con te.” Strinse più forte la presa sopra il mio ginocchio e mi fece il suo sorriso mozzafiato. Spense la macchina e mi distrasse dai miei pensieri con un bacio. “Cerca di divertirti, stiamo pur sempre andando a una festa.”
“Io non vado mai alle feste.” Borbottai poco convinta. Edward alzò gli occhi al cielo. Sapevo che non capiva come avessi potuto vivere così fuori dal mondo scolastico per ben tre anni.
“Quando sarà il momento, pensa solo a che lezione darai a quella maledetta zanzara.” Mi strappò una risatina e scesi più serena dalla Maserati.
Jake, il volto nascosto solo da una mascherina argentata, era nel suo elemento e festeggiava con chiunque gli capitasse a tiro, ignorando per lo più la mia mano intrecciata a quella di Edward. Forse le rassicurazioni sussurrate in aeroporto lo avevano convinto a darci tregua.
O forse la rassicurazione che fossi ancora vergine.
“Venghino, gentili signori e dolci donzelle, è ora dei giochi!” Jasper, con una macabra maschera da medico della peste, urlava con un megafono a tutti i partecipanti, metà dei quali ubriachi, di avvicinarsi al falò per assistere ai giochi offerti dalla popolazione studentesca. Era lui il gran cerimoniere, aiutato da una solerte Alice che gli faceva da spalla, commentando, con ironia e un vocabolario desueto, i compagni.
La squadra di football sfilò, con il sottofondo della banda che suonava la colonna sonora di Momenti di Gloria. 
“Spacconi.” Sussurrai e Edward, tornato al mio fianco, rise.
Poi fu il turno delle cheerleader che intrattennero il pubblico con piroette e acrobazie. Oltre che a una impressionate piramide umana.
Visto che era un Carnevale, si erano appositamente formate delle finte squadre di football e di cheerleader che presero in giro quelle ufficiali, facendo pose esagerate e saltelli imbarazzanti. Ma tutto faceva parte del rovesciamento dei ruoli. 
Qualche altro studente fece del suo meglio con giochi di prestigio e scenette comiche. Non sapevo che i miei compagni di classe avessero così tanti talenti nascosti. 
Infine, fu il momento del gran finale. Il mio gran finale. Se il mondo poteva capovolgersi per una notte, allora anche il Brutto Anatroccolo poteva sconfiggere l’Ape Regina.
Jasper annunciò la mia performance, tacendo cosa avrei fatto, anche se il bersaglio era un chiaro indizio.
Calò il silenzio mentre affiggevo il mio bersaglio e mi allontanavo a sufficienza. Edward mi porse la patella per proteggere le dita, il parabraccio e il paraseno. Poi mi diede arco e frecce.
La squadra di football si strinse in un cordone di sicurezza per impedire che la folla di intralciarmi. 
Mossi il collo a destra e sinistra per rilassarmi. Il mio ragazzo mi baciò davanti a tutti e nel silenzio generale risuonò un grugnito e vari insulti, tutti di Jake. La tensione sembrò stemperarsi un attimo e la folla ridacchiò. Qualcuno sussurrò la sua preoccupazione sulle mie capacità e tutti si spostarono alle mie spalle, allontanandosi dal cordone umano dei giocatori.
Presi l’arco e una freccia. Tesi la corda. La rilasciai perché mi tremavano le mani per l’ansia. Mi diedi della sciocca e trassi un profondo respiro escludendo tutti i presenti dalla mia mente. Per me esisteva solo l’arco, la freccia incoccata e i compiti della Stanley appesi al bersaglio. L’arpia aveva visto che i suoi fogli erano scomparsi dal suo armadietto, forzato nel pomeriggio da un Emmett abile scassinatore?
Liberai la mente da qualsiasi pensiero e mi concentrai al massimo, piantai bene i piedi nel terreno per avere più stabilità e mi ritrovai sola con il calore del fuoco vicino al viso. Nemmeno la mascherina era d’intralcio.
Notai appena la folla trattenere il respiro come un solo uomo quando rilasciai la corda. Durò solo qualche secondo prima che esplodesse in un turbinio festoso e io mi rilassassi. 
Edward mi prese l’arco e mi strinse in un abbraccio folle, facendomi vorticare tra le sue braccia.
“Stupenda, stupenda!” Continuava a ripetere e io mi rilassai davvero, ridendo come una pazza.
Alice, saltellando come un folletto degno della maschera che indossava, andò al bersaglio e staccò la freccia.
“Signori e signore, questi sono dei compiti. Jessica? Jessica Stanley?” Chiamò guardandosi attorno nella folla. Calò di nuovo il silenzio mentre il sibilo infuriato di Jessica fendeva la folla mentre lei si avvicina traballante sui tacchi. Dei tacchi su un campo di erba bagnata dalle recenti piogge e dai drink rovesciati e calpestata da studenti ubriachi, non sembravano essere stati una buona idea. 
Strappò i fogli dalle mani di Alice e li sventolò in aria. Il buco della freccia, ben visibile, aveva rovinato gran parte della sua grafia svolazzante.
“Stronza!” Mi urlò in faccia.
“Tranquilla Jessica.” Replicai serafica, mentre Alice mi porgeva la freccia. “Li abbiamo fatti correggere al tuo professore e ne abbiamo fatto delle copie.” Jasper ed Emmett presero a distribuirle. Le mani si allungavano per poterne prendere una copia, come se fossero caramelle gratis. “Sappi che ti sei meritata un inclassificabile.” Jasper le tese una copia con un bel voto in rosso sulla prima pagina. Io rigiravo la freccia tra le mani, soffermandomi a saggiare la punta acuminata, in un chiaro invito ad attaccarmi fisicamente. 
Lei si sprecò in insulti e sembrava volersi strappare i capelli per la rabbia.
“Questo è quello che ti attende. Ogni volta che tu farai un torno a un compagno di scuola, o che pretenderai che qualcuno ti faccia i compiti o brucerai un cestino della carta...ebbene sarai punita.” Mi avvicinai come una gatta al suo orecchio. “La prossima volta la freccia ti sgonfierà le tette in silicone.” Sbiancò e indietreggiò di un passo, portando istintivamente una mano al seno. 
Raccolse la poca dignità che le era rimasta, mentre la popolazione studentesca ululava il suo apprezzamento per le mie doti d’arciere e perché l’avevo fatta, finalmente, pagare alla stronza. Anche Jake si avvicinò per complimentarsi. Mi prese tra le braccia e mi fece volteggiare con meno grazia di Edward, rischiando di farmi vomitare. Urlava che ero la sua sorellina e nei suoi occhi vidi tutto l’orgoglio fraterno. 

Ovviamente, le ripercussioni non si fecero attendere.
Il giorno dopo venni convocata da zia Sue, sconvolta perché la nonna di Jessica aveva bocciato il mio abito per il ballo delle debuttanti a poco più di una settimana dall’evento. Aveva dovuto disdire l’ordine fatto alla sarta. Segretamente ne fui felice. Un abito di chiffon bianco, vaporoso, non era proprio nel mio stile.
La vecchia megera mi aveva anche impedito di indossare il bianco. 
Zia Sue voleva sapere che avessi combinato, era fuori di sé, anche se in realtà se la rise quando le raccontai la mia prodezza, complimentandosi con se stessa per avermi iniziato al tiro con l’arco.
“Dobbiamo scegliere un altro abito e un altro colore. Temo che la sarta non farà in tempo a confezionarlo.” Disse quando smise di ridere.
“Io avrei un’idea, zia. Mi basta l’approvazione di un membro del comitato giusto?”
Ero andata a parlare con la madre di Rose proprio per quello e anche se io odiavo lo shopping mi ero ritrovata con le mie due nuove amiche nella boutique più rinomata della città a scegliere un abito.
“Isabella!” Rosalie si stava spazientendo. Aveva trovato già da alcuni minuti il suo abito, rosso a sirena, e voleva che mi concentrassi per trovare il mio.
Ogni proposta della commessa veniva bocciata.
Anche Alice stava perdendo la pazienza.
“Non vanno bene.” Dissi loro. “Voglio qualcosa di unico, anche se non proprio adatto a un ballo.”
“Certo che per non amare lo shopping, ne hai di pretese.” Rosalie alzò gli occhi al cielo. “Questi” Indicò la carrellata di abiti bocciati “Hanno tutto quello che è richiesto.”
“Ma non vanno bene.” Ripetei.
La commessa, esasperata come le mie accompagnatrici, stava per stramazzare al suolo per la disperazione.
“Facciamo così. Troviamo un abito per Alice, poi ne riparliamo.”
“Rose me ne presta uno dei suoi.” Rispose la piccoletta, perplessa. Non volevo metterla in imbarazzo per essere un’orfana che viveva grazie all’assistenzialismo statale, ma dovevo attuare la seconda parte del mio piano contro le Stanley.
“No, Alice. Non va bene. Quest’anno debutterai anche tu, non sarai solo una volontaria.” Le due mi guardarono stralunate. “Ho chiesto alla madre di Rose di inserirti nella lista. Il vestito te lo regalo io, così non dovrò pensare ai tuoi regali di compleanno e Natale per i prossimi dieci anni.”
“Io...io non posso.” Alice era a corto di parole. Si torturava le mani.
Le presi le mani tra le mie.
“Permettimi di farlo. Voglio farlo, voglio che tu sia con noi quella sera. So che sai ballare e che puoi essere una grandiosa debuttante. Sarebbe stupendo essere tutte e tre in pista. Accetta per favore.” Annuì solo e ci dedicammo alla ricerca del suo abito. A un’unica condizione, che potesse contribuire alle spese dell’abito con i risparmi guadagnati dalle vittorie nelle competizioni di scacchi, perché non voleva rinunciare per così tanto tempo ai suoi regali di Natale.
Alice stava provando una serie di abiti argentati e io vagai per il negozio in cerca di ispirazione per il mio abito.
“Qual è il tuo piano?” Rosalie era comparsa alle mie spalle, di soppiatto. “Non ti permetto di far diventare Alice una tua pedina.”
“Se ero io la pedina, però, andava bene.” Le risposi con freddezza, senza voltarmi. “Voglio davvero che Alice debutti con noi.” Mi decisi ad affrontarla a viso aperto, tanto lo sapeva che avevo anche un secondo fine. “Il nostro obbiettivo principale è farla pagare a Jessica. Se lei sarà dei nostri, le assesteremo un duro colpo. Sua nonna perderà molto potere, invece tua madre ne acquisterà di nuovo. Cattureremo più di due piccioni con una fava e saremo tutti più contenti.” Intravidi nei suoi occhi una scintilla di pericolosa freddezza. 
“Le servirà un cavaliere.”
“Non ti preoccupare, ho già organizzato tutto io.” Edward aveva già iniziato con le ripetizioni di ballo.
“Sono ammirata, non pensavo che avessi così tanto fegato.”
Stavo per ringraziarla, quando vidi dietro le sue spalle, il mio vestito.





p.s. dell'autrice: nelle mie più rosee previsioni, questa storia avrebbe dovuto vedere la parola fine già agli inizi di maggio. Purtroppo non è stato così e mi dispiace, perchè è una storia completa e solo da revisionare. gli impegni sono tanti e gli imprevisti mi stanno rallentando.
posso solo ringraziarvi per la pazienza...
alla prossima
Sara


   
 
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