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Autore: arashinosora5927    11/06/2021    1 recensioni
[Dear Evan Hansen]
Evan ha raccontato la sua storia ora il palco è di Connor, okay e anche di Evan che si ritroverà a convivere con una strana presenza.
Riporto parte delle cose così come sono state scritte nel libro limitandomi solo a tradurle, ma per il resto l'idea è mia e nei prossimi capitoli sarà apprezzabile la differenza.
TW: suicidio, Ghost!Connor, disturbi mentali, autolesionismo
Spero possiate apprezzare
[Treebros]
Genere: Angst, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Quello che è seguito sono stati i venti minuti più lunghi della mia... è sempre difficile capire che vocabolo usare.

Evan è stato raccolto da terra come se fosse un animale ferito ed è stato portato in infermeria. Lì ha iniziato invece a dimenarsi come ho visto fare ai pazienti psichiatrici rinchiusi nei manicomi in un documentario sull' igiene mentale negli anni '30.

"Non mi serve il Diazepam!" ha urlato probabilmente riconoscendo la confezione.

"Sono solo triste, non sono pazzo! Ho paura... ma non sono pazzo!"

Era un ridente pomeriggio primaverile quando a casa Murphy fece ingresso la prima confezione di benzodiazepine che avessi mai visto, Larry la teneva tra le mani e la sventolava come se fosse uno splendido gioco che non vedevo l'ora di ricevere.

"Dai Connor, prendiamo le medicine che starai meglio" aveva detto e io... io gli urlai addosso le stesse parole che aveva appena pronunciato Evan.

Larry voleva seriamente imbottirmi di una roba ipnotica in giardino davanti agli occhi curiosi di qualsiasi passante?

È così, drammatico, tragico addirittura, sei tu quello che sta male eppure sei dottore di te stesso e sembri essere l'unico che sappia cosa fare, di cosa avresti bisogno e non lo fai ugualmente.

L'infermiera ha continuato a ripetere a Evan di calmarsi e tante altre stronzate, poi Evan si è dimenato ancora sul lettino urtando sia l'apparecchio per le flebo che il comodino dove erano state appoggiate le pillole. È stato il momento in cui Evan ha vinto la sua lotta contro gli psicofarmaci sedativi.

"Non ho bisogno di farmaci, ho bisogno di qualcuno che mi ascolti, qualcuno a cui io possa dire la verità, qualcuno a cui importi davvero..."

Ho avuto paura, paura che si rimangiasse tutto e buttasse i nostri piani all'aria.

"Io...ti ho ucciso... Connor, ti ho ucciso io..." ha insistito con questa storia davanti agli occhi sconvolti del personale sanitario scolastico.

"Evan, no! Per l'ennesima volta, non mi hai ucciso tu. Mi hai forse puntato una pistola alla testa? Me lo hai detto tu di fare ciò che ho fatto?!"

"Connor, cazzo! È colpa mia, sono stato io la goccia che ha fatto traboccare il vaso..."

"Basta, Evan!" non ricordavo di avere urlato così da... mai forse.

Ho preso un respiro profondo, ho fatto del mio meglio per non crollare e poi ho aperto di nuovo la mia bocca.

"Questa è la cazzata che mi sono raccontato... la verità è..."

Sorpresona della vita mentre stavo per dire le parole che entrambi attendevamo sono entrati i miei genitori nella stanza.

"Evan, tesoro" ha detto mia madre quasi gettandosi su di lui, Larry è rimasto all'impiedi vicino allo stipite salutandolo con un cenno della mano e un sorriso forzato.

Hansen ha tremato, si è guardato intorno spaventato e confuso e ai suoi occhi l'infermiera ha saputo rispondere solo "abbiamo provato a chiamare tua madre, ma non ha risposto. Allora abbiamo pensato di chiamare i genitori di Connor dal momento che eravate tanto amici."

Nessuno ha fiatato, tranne Cynthia che ha continuato a ripetere "povero tesoro mio."

Qualche lacrima più tardi mia madre si è asciugata gli occhi e ha tamponato anche il viso di Hansen con un altro fazzoletto. Né io né lui ci eravamo resi conto che avesse pianto prima di vedere le zone più scure sul panno appena usato.

"L'ho ucciso io... Connor è morto a causa mia" ha detto poi Hansen con una serietà tale che per un secondo ho pensato che Evan fosse venuto ad assassinarmi e sarebbe stata anche un'opzione da prendere in considerazione se non fosse che l'Evan che conosco io chiede scusa anche alle mosche se per puro caso chiude la finestra prima che siano uscite.

"Che stai dicendo?" abbiamo detto io e mia madre all'unisono, Larry è subito intervenuto con un classico "non vedi che è sconvolto, Cynthia? Sta delirando." Cynthia gli intimato di tacere con un sonoro "sssh!"

La situazione era talmente surreale che non riuscivo a fare altro che partecipare da esterno, da spettatore.

"Quella mattina io e Connor abbiamo litigato... io penso sia stato troppo per lui..." ha detto Hansen tirando su col naso.

Cynthia lo ha abbracciato, gli ha accarezzato i capelli con infinita premura. "Tesoro, tesoro mio meraviglioso, quella mattina abbiamo litigato tutti con Connor, io, Larry, Zoe...nessuno di noi voleva che succedesse quello che è successo. Non siamo assassini, Evan. Mio figlio, mio figlio era arrivato al limite, ma tu non c'entri niente..."

Cynthia si è allontanata ha chiesto all'infermeria di uscire e lasciarci da soli, poi ha preso una lettera dalla borsa e ha iniziato a leggerla.

"Caro Evan Hansen, parlare con te mi è di conforto. Tu sei l'unico che mi capisce veramente e sei anche l'unico che mi ascolta. A volte non so esprimermi, ma dove non arrivano le parole arrivano i sentimenti. Grazie per quello che c'è adesso tra noi, è bello" ha letto, poi ha preso le mani di Evan tra le sue e gli ha sorriso.
"Tu gli facevi del bene, non puoi averlo ucciso... lascia che la colpa ricada su chi ce l'ha davvero..."

Ho sentito un brivido, non ricordavo di essere stato così sentimentale, forse volevo essere poetico, ma è vero che mi piace il mio rapporto con Hansen ed è vero che dà quando parlo con lui mi sento più leggero e no, non è perché sono incorporeo, non solo almeno. Il mondo al suo fianco è la stessa merda, ma non sono più solo. Non sembra più bello, semplicemente ho qualcuno con cui condividere questo panorama raccapricciante, qualcuno che non cerca di convincermi che non ci vedo bene.

"Evan, abbiamo letto tutte le lettere che hai voluto condividere con noi e non potremo mai ringraziarti abbastanza per averci affidato i vostri scambi privati. Ci hai mostrato Connor, lo stesso Connor che avevamo sotto gli occhi e non riuscivamo a vedere. Dalle vostre parole si vede che Connor era un buon amico per te, che si prendeva cura e preoccupava per te. Non riesco neanche a immaginarlo perché ero così abituata a vederlo soffrire che il pensiero di sentirlo ridere mi sembra così falso. Eppure lui stava bene con te, anche se i suoi problemi non erano risolti lui era felice in una certa misura" ha continuato a dire Cynthia accarezzando con delicatezza le mani di Hansen.

"Hai detto che ci sono altre e-mail. Io e Larry ti siamo grati per qualunque cosa tu scelga di mostrarci con tutto il tempo che ti occorre, ma in queste parole Connor vive e io lo vedo chiaramente, è come se fosse ancora qui. Vorrei poter continuare a sentirlo vivo per sempre e mi domandavo se ci sono e-mail relative alla sua lotta contro l'abuso di sostanze. Se ti ha mai parlato delle persone da cui acquistava la droga..."

Larry l'ha interrotta. "Ne abbiamo parlato, Cynthia. Non è questo il punto."

"P-Potresti solo controllare?" lo supplica mia madre. "Vorrei dei nomi, qualcuno a cui chiedere di più. Larry pensa che sia una perdita di tempo, ma se sapessi anche solo un nome la notte dormirei... voi fumavate insieme quindi..."

Avrei voluto urlare qualcosa, dire che alla fine dei conti per mia madre si riduce sempre tutto alla droga, ma Hansen mi ha preceduto.

"Non ho mai fumato, né da solo né con Connor" c'era una strana sicurezza nel suo tono.

"Ma Zoe ha detto che quando parlate di alberi..." Hansen l'ha bloccata di nuovo.

"Sono alberi, non droga. Io sono un appassionato di botanica, Connor se l'è fatta piacere a furia di ascoltarmi. Insieme ci siamo arrampicati o ci siamo messi al riparo sotto le folte chiome a leggere un libro. Prima che se ne rendesse davvero conto ha iniziato ad apprezzare molto il contatto con la natura, ha detto che gli ricordava la sua infanzia, la spensieratezza, i giorni felici, i momenti in cui bastava prendere un ramoscello da terra per sentirsi bene. Per questo, nonostante gli alberi siano una passione mia e solo mia, in qualche modo Connor ha finito per condividerla."

Cynthia stava per dire qualcosa, ma Hansen ha proseguito imperterrito fermandosi solo per riprendere fiato.

"Inoltre è vero che Connor faceva uso di marijuana, ma non era quello il problema. È una pianta con comprovate proprietà terapeutiche ed era l'unica che lo faceva sentire come se non stesse vivendo un incubo da cui non poteva svegliarsi. Certo, a lungo andare gli avrebbe fatto male per questo volevo smettesse, ma al contempo l'erba, perché solo di erba si trattava, non era il problema."

Larry e Cynthia lo hanno guardato con sgomento, poi hanno elaborato le informazioni.

"Grazie" ho mormorato col labiale piazzandomi davanti a lui. Evan è davvero la mia voce.

I miei genitori si sono scambiati sguardi preoccupati, benevoli, poi hanno entrambi accennato un sorriso.

"Connor era bipolare, aveva bisogno di medicine che non ha mai preso, ma se quelle sostanze lo hanno aiutato a stare meglio allora... allora sono felice che qualcuno gliele abbia fornite" ha detto Cynthia.

Evan mi ha guardato carico di sorpresa e potevo sentire i suoi pensieri, non in maniera figurata, per davvero.

'Non mi avevi detto che sei bipolare...'

"E che cosa sarebbe cambiato? Sarebbe stato solo peggiore" ho chiuso la conversazione sul nascere.

Cynthia ha rimesso le lettere in borsa, accarezzato il viso di Evan e sorriso un po' di più.

"Allora, chiarito il punto che hai fatto solo bene a Connor... quando vieni di nuovo a cena da noi? Sei parte della famiglia ormai. Ci sono delle lettere in cui chiami Connor "fratello" e questa cosa la sento dentro a livello spirituale. Sono sicura che anche Connor vorrebbe che tu stessi con la tua famiglia, cioè noi."

Ho capito cosa sta facendo mia madre: sempre in uno di quei documentari bizzarri che guardavo -neanche mi stessi preparando per questo momento- hanno detto che ogni persona elabora il lutto a modo proprio e alcune persone non si arrendono alla scomparsa. Può succedere pertanto che cerchino di sostituire, di colmare quel vuoto con qualcuno che non potrà mai essere come la persona che se ne è andata. Mia madre ha dimenticato che Evan non è me, cioè da una parte lo ricorda molto bene, vede le differenze, si comporta come non ha mai fatto, dall'altra mi domando se non abbia già compilato i moduli per adottarlo. Forse una parte di lei pensa che trattando bene Evan potrà guarire dagli errori commessi con me? Io sono seriamente preoccupato che invece abbia semplicemente trovato un nuovo figlio.

Comunque sia, tornando al mio racconto: Hansen mi ha guardato sbalordito, Larry si è messo a dire "Cynthia, Evan ce li ha già dei genitori" con un tono amaro che non gli riconosco. "Larry, la tua famiglia è un concetto complesso. Non c'entra il sangue, c'entra il legame. Evan allora, quando vieni a cena da noi?" ha detto Cynthia.

"P-Presto..." ha mormorato Evan probabilmente non sapendo che dire.

l'infermiera è tornata nella stanza assistendo all'entusiasmo di Cynthia, che ha abbracciato Evan per la terza o forse quarta volta in pochi minuti, e poi ha chiesto di uscire. I miei lo hanno salutato con un bel sorriso sulle labbra.

"Hansen, se ti senti meglio puoi tornare in classe" ha detto l'infermiera.

Evan non ha risposto, è sceso dal lettino con un sorriso sulle labbra simile a quello dei miei, un'espressione che non mi spiegavo e non sapevo indagare.

Abbiamo terminato la giornata scolastica e ora siamo qui, di nuovo nella sua camera, oggi è la serata tacos ed Evan è molto emozionato.

"Ti piacciono così tanto?" gli domando.

Evan mi sorride, i suoi occhi brillano. "Non lo so, ho l'acquolina in bocca solo a pensarci, ma penso che mi piaccia di più condividerli."

Ora mi è chiaro, Evan sta aspettando sua madre, lo sta facendo come la moglie di un Marine che finalmente riceve la notizia del ritorno del suo amato.

"Evan, stai bene?" eccola Heidi, irrompe nella stanza facendo ondeggiare il cappotto marroncino e i lunghi capelli biondi. "Mi hanno chiamata da scuola oggi, mi hanno detto che sei stato portato in infermeria, che è successo?"

Osservo Hansen chiudere gli occhi mentre sua madre gli accarezza la testa con delicatezza e la accoglie sul suo petto sedendosi al bordo del letto. "Sto bene" risponde Evan. "Ho avuto un calo di pressione, niente di rilevante..."

"Dovresti dirle la verità" mormoro, ma Hansen non mi ascolta, né mi rivolge qualunque forma di attenzione.

"Mi dispiace tesoro, ero bloccata a lavoro, la figlia degli Hunter si è ingoiata una Dash pod per una stupida sfida sui social e dopo poco sono arrivate altre ragazzine tutte di quell'età, è stata una giornata pesante."

Un cosa che mi dà molto fastidio da suicida quale sono è vedere tutti questi ragazzini che scrivono di voler morire sui social, che accettano queste sfide folli solo per avere visibilità. A volte penso che sono come me solo che io avevo una dignità o qualcosa di simile, altre volte penso solo che la popolarità ha dato alla testa e farebbero di tutto pur di far parlare di loro come Lola Nigel che a dieci anni ha raccontato di essersi fatta scopare da tre ragazzi delle superiori.

"Chi si è preso cura di te? La scuola mi ha detto che hanno trovato qualcuno che ti potesse aiutare."

"Jared" risponde Evan senza pensare.

Heidi è euforica, parla con un tono che sembra quasi malizioso, penso che anche lei sospetti che il figlio non sia esattamente etero come crede o forse mi piace pensarlo, ci ritornerò in seguito.

"Uuuh sembra che tu e Jared andate sempre più d'accordo, adesso passate più tempo insieme. Mi sento sollevata se c'era lui con te. Ho sempre detto che è un ottimo amico per te."

Evan taglia corto "Sì sì, davvero fantastico." Nella sua testa ci sono solo tortillas ripiene.

Heidi mantiene la borsa su una spalla, le chiavi in tasca tintinnano e nello spacco del giubbotto riesco a vedere la stoffa del camice. "Sono orgogliosa di te, ce la stai mettendo tutta per superare il tuo disturbo."

Evan resta in silenzio, si sottrae leggermente dall'abbraccio.

"Beh, io adesso vado, ma ho lasciato i soldi sul tavolo. Ordina quello che vuoi, okay? Oggi è un gran giorno sono sicura che riuscirai a parlare anche con il ragazzo delle consegne."

Si è spezzato il mio di cuore non oso immaginare quello di Hansen. Osservo la sua espressione facciale mutare, l'entusiasmo spegnersi e gli occhi inumidirsi. "Stasera doveva essere la nostra serata tacos..." mormora Evan. "Dovevamo vedere insieme le domande per il saggio..."

"È stasera! Oh mio Dio... Oh, tesoro, me ne ero completamente dimenticata... merda, è martedì" dice Heidi, prende dalla tasca del cappotto un portachiavi con una bella croce rossa disegnata e troppe chiavi attaccate. "Mi hanno affidato l'interno reparto..."

"Non importa..." mormora Evan.

Heidi sembra colta da un'illuminazione. "Sai cosa? Potresti guardare le domande da solo per rifletterci e poi mandarmi dei messaggi così possiamo scambiarci le idee in materia, mi sembra geniale! In questo modo puoi capire davvero cosa vuoi scrivere."

Hansen non parla, annuisce e non sostiene lo sguardo.

"Possiamo fare i tacos un'altra sera, Evan.  Potremmo farlo domani sera. Che ne dici di domani sera?"

"Domani non posso. Ho... sono occupato."

Heidi non lo ascolta, guarda l'ora sul suo cellulare. "Merda, sono in ritardo!"

Evan si alza dal letto, le si avvicina di nuovo, ma stavolta è più come se volesse spingerla fuori dalla stanza. "Dovresti andare, quelle vite non si salveranno da sole e sono sicuro che la maggior parte dei codice rosso avvengano di sera."

"Evan..." mormora Heidi, ora lo vede, si rende conto che ha ferito suo figlio.

"Chiamo il ragazzo delle consegne, io e Connor staremo bene."

Heidi sobbalza, si copre la bocca con una mano. "Il tuo amico? Quello che ti ha firmato il gesso?" domanda.

"Sì, lui... i suoi genitori hanno divorziato e ora si è trasferito in Canada dal padre. Ci vediamo online..." cerca di inventare Evan mentre io lo squadro completamente sconvolto. Hansen esce dalla porta lasciando sua madre nella sola compagnia dei rimpianti.

"Evan, Evan mi dispiace che il tuo amico si sia trasferito. Deve essere dura per te. Perché non me lo hai detto?"

Evan la guarda solo per un istante, poi sospira. "È un po' difficile dirti le cose se non ci sei mai."

Heidi esce di casa di tutta furia come se chiudendo la porta alle sue spalle potesse lasciare dentro ogni dolore e non portarselo dietro.

Evan scende le scale, raggiunge la cucina e si siede a tavola. "Che vuoi mangiare?" mi domanda. Lo so che ha imparato che non ho bisogno di nutrirmi ha solo bisogno di compagnia.

"Tacos, no? Che domande, Hansen!" gli rispondo.

Evan mi sorride e poco dopo il ragazzo delle consegne bussa alla porta. Andrei volentieri ad aprire al suo posto, ma anche se riesco a toccare i tasti del computer non riesco ancora a imprimere la forza necessaria per fare girare un pomello. Senza contare che sarebbe spaventoso e allarmante aprire la porta e mostrare al povero garzone dei pacchi di mater-bi fluttuanti.

"Può lasciare fuori, le passo i soldi tramite la buca per le lettere" si decide a dire Hansen dopo aver fissato la porta con diffidenza.

Il resto viene consegnato allo stesso modo. Quando Evan è sicuro che il ragazzo se ne sia andato esce e va a recuperare la cena. Io accendo il televisore e metto un programma comico, ne abbiamo bisogno entrambi. Ci sarà un'altra sede in cui gli farò capire che sua madre cercherà il suo amico Connor in Canada chiedendo alla scuola. Del resto penso anche che i turni di Heidi ci daranno tutto il tempo per dimenticare questa bugia.

"Domani vai a cena dai miei?" gli chiedo una volta consumate le tortillas.

Evan mi risponde con un cenno del capo. "Ho una famiglia che apprezza la mia compagnia finalmente."


Siamo di nuovo a casa mia, di questo passo Evan ci prenderà la cittadinanza.

"Oh Evan, ti aspettavo tra un'ora" ha detto mia madre aprendogli la porta. "Respira" gli ho suggerito io vedendo che già stava iperventilando perché non solo il ritardo, anche l'anticipo è spaventoso.

Evan è entrato in casa scusandosi a profusione e si è proposto di apparecchiare e aiutare a cucinare. Mi è bastato assistere alla scena per sentire i pensieri di mia madre 'Connor non si è mai offerto di dare una mano in casa.' Grazie tante, mamma, adotta Evan allora.

Comunque per quanto mi possano girare i coglioni Evan sta solo cercando di essere gentile e si trova meglio con mia madre che con la sua quindi non lo biasimo davvero. In effetti solo adesso mi rendo conto di quante cose dessi per scontate: qualcuno che ti costringe a mettere comunque qualcosa nello stomaco, i calzini che magicamente dal tremosifone finivano nel cassetto... Evan non ha una madre che si occupa di tutto questo, di riservargli quelle piccole attenzioni speciali che alleggeriscono il quotidiano.

"Non preoccuparti Evan, ho tutto sotto controllo, ma ti ringrazio. Perché non vai di sopra a trascorrere un po' di tempo da solo con Connor?"

Mi viene da ridere perché se sapesse, se sapesse che io Hansen viviamo in simbiosi non lo direbbe. Anche Evan ridacchia appena, le sue guance si tingono di una sfumatura rosea, Cynthia la interpreta come imbarazzo.

Evan non risponde, semplicemente fa un leggero inchino e si dilegua.

"Va bene per te?" mi domanda. Del resto portare qualcuno nella tua stanza è un po' come mostrargli una parte profonda di te, una parte anche scomoda, ma penso che anche se non volessi dovrei ricambiare il favore perché ho ficcato il naso nelle sue cose private dal primo giorno, prima accidentalmente e poi ci ho preso gusto. Glielo devo.

"Benvenuto all'inferno" gli dico indicandogli la porta da aprire sennò cento cento andava in camera di Zoe e Hansen in camera di mia sorella non ci deve entrare.

Tutto è rimasto uguale, beh del resto sono morto da troppo poco tempo per ristrutturare. Evan si guarda intorno seguo il percorso che fanno i suoi occhi: il letto matrimoniale, il pavimento in legno consumato dai miei stivali, le pareti bianche che ho fatto del mio meglio per distruggere tappezzate di poster tra film e gruppi musicali e dipinti amatoriali.

Gli occhi di Hansen indugiano su un vecchio biglietto attaccato al muro che recita "mi sono messo le mutande oggi", un regalo di un qualche cugino che aveva capito quanto fosse difficile anche solo alzarmi dal letto ogni giorno e che ogni singolo gesto per quanto potesse sembrare insignificante era un piccolo trionfo.

Accanto a quel biglietto c'è un'istantanea che mi ritrae con il dito medio esteso. Lo smalto nero che indosso ha delle minuscole lettere bianche che puoi decifrare solo se ti avvicini di più. "Boo!" mormoro. Evan sobbalza.

"Intendo che è questo che c'è scritto" cerco di spiegare. Evan annuisce tremando ancora. "Forse non sta a me dirtelo, ma non sei nella posizione più consona per dire una cosa simile."

Ridacchio, come ho già detto Hansen è uno spasso.

"Me l'ha scattata Zoe, lo ha fatto per provare la sua nuova macchina fotografica."

Evan annuisce, quel tipo di gesto che ti fa capire che ha ascoltato ogni singola parola e probabilmente conserverà l'informazione per sempre.

"Non ti piaceva fare foto vero?" mi domanda.

"Non sapevo sorridere" rispondo alzando le spalle. "Voglio dire... le mie labbra si incurvavano e in qualche modo sembrava sbagliato, sembrava forzato. Mi riusciva meglio la faccia da persona che non ha più voglia di vivere. Almeno era realistico."

Evan resta in silenzio, poi sospira, mi allunga una mano visto che è l'unico con cui posso interagire e mi accarezza il braccio che ho inconsciamente iniziato a torturare con le mie unghie. "Non potevi sorridere" mi dice bloccando la mia mano.

"Lo so che non senti più dolore fisico, ma non voglio che tu lo faccia comunque" mi precede.

"È un riflesso condizionato, suppongo" gli dico. Hansen annuisce amaramente. "Lo so."

Evan mi lascia la mano, anzi me la risistema lungo un fianco e poi riprende a guardarsi attorno come se stesse cercando qualcosa. Guarda, continua a fissare punti della stanza, apre i cassetti, fruga tra le mie cose.

"HEY!" lo riprendo senza averne davvero il diritto. Evan si blocca, poi mi guarda deciso. "Sai tutti i miei segreti, lasciami scoprire un po' di più chi sei."

Vorrei ribattere, dirgli che non è colpa mia se passo attraverso le cose, che non avevo intenzione di vedere il suo diario segreto, né le mutande modello a mutandina bianche anonime di cui è pieno il primo cassetto del comodino a destra del letto, ma la verità è che tutto questo interesse da parte di qualcuno, interesse reale, l'ho solo sognato fino ad adesso quindi... "Fa pure, Hansen. Non ho segreti per te."

Dopo aver frugato a dovere per una buona decina di minuti Hansen mi guarda come in preda a un'epifania e con un tono che non riesco a comprendere mi dice "non c'è assolutamente niente di correlato allo sport in questa stanza!"

"Fanculo gli sport, la passione di Larry, il mio tormento" rispondo di getto.

Hansen sembra sollevato, si siede sul mio letto -oh fa pure Hansen, come se fossi a casa tua proprio- e si porta la mano sana al petto."Mi sono sempre sentito fuori luogo con quelli della mia età perché non ho alcun interesse né a guardare né tantomeno a giocare a qualsiasi sport" mormora.

"Quando sei Americano e non guardi il football o proprio non vuoi giocare a baseball tuo padre ti guarda come se fossi uno strano esperimento scientifico fallito ed eventualmente ti costringe ad omologarti perché sennò non può vantarsi con i suoi amici di quella volta che suo figlio prese la palla al volo e segnò il punto decisivo o come cazzo si dice" mi esce spontaneo.

Evan mi guarda negli occhi, io osservo il riflesso che non c'è nei suoi, probabilmente lui può vedersi nei miei, non ha importanza. Mi sorride. "Credevo di essere l'unico..." mormora.

"No, siamo persino in due, pensa te..." scherzo solo a metà. Hansen sorride di nuovo, c'è una strana luce nei suoi occhi.

"Non ho potuto fare a meno di notare che i tuoi scaffali sono pieni di libri. Vedo Guida galattica per autostoppisti, Il giovane Holden, Il grande Gatsby e I misteri di Pittsburgh. Ci sono titoli di cui non ho mai sentito parlare. Hai mezza dozzina di romanzi di Kurt Vonnegut e non pensare che non abbia notato la copia scolastica di Macbeth."

"Sembri sorpreso, Hansen" intervengo.

"La contraddizione: Connor Murphy in biblioteca" dice con un sorriso furbo sulle labbra.

"Il tuo tributo alla mia morte?" scherzo.

Evan scuote la testa. "No, stavo pensando che dalla stanza di qualcuno puoi davvero capire chi era. Tu eri un incompreso. Gli insegnanti ti mettevano voti bassi, a scuola girava voce che fossi stato mandato a una privata perché in realtà hai perso un anno, invece sei un mangiatore di libri, esattamente come me."

Resto in silenzio, non so che dire, vorrei che mia madre potesse ascoltarlo perché lei era convinta che tutti quei volumi fossero lì solo per prendere polvere, Hansen con un solo sguardo invece ha saputo affermare che ci ho vissuto.

"Sei un intellettuale dunque, uno di quelli che divorano pagine e pagine purché sia roba buona e sembrano non averne mai abbastanza."

"Dio Hansen, come è possibile che ogni volta che apri bocca sembra sempre che tu ti stia riferendo ad altro? I libri non sono droga."

Evan mi guarda, fa l'occhiolino più impedito a cui abbia mai assistito e mi dà una spallata. "O forse sono l'unica droga che anche se crea dipendenza non fa male."

Sorrido io stavolta, penso di dovergli dare ragione, ma quello che Hansen non sa o che forse non ha semplicemente mai provato è che ogni volta tornare a essere Connor Murphy era spaventoso specialmente se avevi passato buone ore a vivere nella pelle di Holden Caulfield o peggio ancora in quella di Jay Gatsby.

"Nelle terre estreme" riprende a parlare Hansen. "Ho visto prima il film e poi sono andato a leggermi il libro. Trovo assurdo, ma anche illuminante come si possa morire per un semplice errore.."

Resto in silenzio. A me lo stai dicendo, Hansen?   È stato un errore anche togliermi la vita, un errore semplice, una decisione folle presa in una frazione di secondo, tempo di ingoiare e sapere che lo avevo fatto per l'ultima volta.

"Io e te abbiamo così tanto in comune!" commenta Hansen con rinnovato entusiasmo.

"Connor, che cazzo, ci saremmo seduti a mensa allo stesso tavolo da pranzo e avremmo potuto parlare per ore dei libri che avevamo letto. Scambiarci libri concretamente, consigliarceli, discutere di quanto fa schifo essere uno a cui non piace lo sport negli Stati Uniti..."

C'è dolore nel suo tono, un dolore che non riesco a sopportare perché anche io mi sto rendendo sempre più conto che sarebbe bastato pochissimo, un attimo in più e adesso io ed Evan saremmo davvero in carne e ossa all'ombra di un fottuto albero a leggere libri mentre ci rendiamo conto che la felicità è nascosta nell'impensabile.

"Mi dispiace, non dovrei parlare così. Tu avevi i tuoi motivi per arrivare a tanto e noi siamo comunque amici adesso quindi non dovrei essere così triste perché non posso dire a mia madre che vado con Connor a fare un picnic..."

Sospiro, mi viene naturale fargli una carezza sulla testa, un piccolo gesto di affetto che testimoni quanto dispiaccia anche a me per la nostra situazione. È così che devono sentirsi la maggior parte delle coppie omosessuali da quando c'è Trump al governo: amare qualcuno, trascorrere ore e ore meravigliose in sua compagnia e non poterlo dire a nessuno.

Forse per cambiare argomento Hansen prende dallo scaffale più vicino al letto uno dei libri con la copertina rigida. Io sono paralizzato. Quella non è la mia pelle nuda, è la mia anima privata di ogni singolo velo, sono i miei organi esposti senza più un solo strato protettivo.

Evan vede i miei schizzi, bizzarri, snervanti, carichi di emozioni che lo raggiungono. Guarda l'uomo in galosce con in mano un ombrello per difendersi dai ratti e dai ragni che cadono dal cielo. C'è una piccola battuta a margine che testimonia il mio grande senso dell'umorismo, Evan infatti ride.

"Perché sei nella stanza di mio fratello?" Hansen si alza dal letto e alza le mani come un criminale colto in flagranza dalla polizia e il mio volume per scarabocchiare finisce per terra. La voce di Zoe ci coglie talmente alla sprovvista che anche io sobbalzo ed esco dalla stanza di corsa come se non fosse la mia.

"Sono arrivato troppo presto e tua madre mi ha chiesto di passare un po' di tempo da solo con Connor..." mormora Evan in risposta, mi guarda spaventato e capisco che mi sta supplicando di rientrare.

"Oh chiedo scusa allora, ho interrotto qualcosa?" lo provoca mia sorella sarcastica. In realtà sì, era un momento molto intimo e speciale, ma di certo non posso dirglielo e non posso dirlo neanche a Evan.

"Ai tuoi non dà fastidio che sei sempre qui?" riprende Zoe.

Hansen alza nuovamente le mani come se fosse pronto a essere arrestato. "È solo la seconda volta, non mi sembra molto."

Zoe alza lo sguardo al soffitto, solleva le spalle. "Sarà, ma ultimamente mi sembra che mi stai sempre intorno, Hansen."

Evan rabbrividisce, credo abbia notato una certa somiglianza nel modo in cui io e Zoe ci esprimiamo.

"Io vivo da solo con mia madre..."

"E con me!" sottolineo cercando di strappargli una risata, Evan infatti ridacchia appena.

"Lei lavora quasi tutte le sere e quando non lavora è a lezione..." mormora.

Zoe si appoggia allo stipite della porta. "Lezione?" domanda.

"Roba legale" taglia corto Hansen.

"Ah sì? Mio padre è un avvocato" dice Zoe.

"Oh..." mormora Hansen grattandosi l'orecchio nervosamente.

"Dov'è tuo padre?" chiede Zoe, Evan si scortica la pelle dietro l'orecchio destro. "Lui..." si schiarisce la gola tossendo più volte. "Lui... vive in Colorado. Se ne è andato quando avevo sette anni quindi sicuramente non gli importa se sono qui."

Zoe alza un sopracciglio. "Il Colorado non è vicino."

"No, non lo è. Milleottocento miglia di distanza, in realtà o qualcosa di simile. Non l'ho mica calcolato..."

"Certo che lo hai fatto" diciamo all'unisono io e mia sorella.

Zoe si fa avanti nella stanza, dà un calcio accidentale al malcapitato cestino della spazzatura in metallo.

Non avevo idea che la situazione di Hansen fosse così difficile, avevo intuito qualcosa, qualche problema con suo padre, ma non avevo capito che si trattava di un vero e proprio abbandono.

Evan sembra avere fretta di cambiare discorso. "Comunque, i tuoi genitori sembrano davvero fantastici."

Zoe ride istericamente. "Come no" dice. "Non si sopportano, litigano per tutto il tempo." Si avvicina un po' di più si siede sul mio letto, Evan indietreggia istintivamente contro la spalliera.
 
"Beh, tutti i genitori litigano, no? È normale" azzarda Hansen.

"Mio padre è in negazione totale, non ha nemmeno pianto al funerale" dice Zoe con un sospiro. Hansen cerca di nuovo disperatamente di cambiare argomento. "Tua madre ha detto che per cena ha fatto le lasagne senza glutine. Suona davvero..." 

"Immangiabile?" lo interrompe Zoe.

Evan scuote la testa anche se gli viene da ridere perché io e Zoe abbiamo lo stesso tagliente senso dell'umorismo. "Niente affatto, sei fortunata ad avere una madre che cucina per te tutte le sere... io vado avanti a pizza..."

"Sei fortunato che ti sia concesso di mangiare la pizza" dice Zoe.

"Non ti è permesso mangiare la pizza?"

Zoe alza gli occhi al cielo. "Ora possiamo, suppongo. L'anno scorso mia madre era buddista quindi non dovevamo mangiare prodotti animali." 

"Era buddista l'anno scorso ma quest'anno no?"

"Questo è un po' quello che fa. Trova interesse in cose diverse e si lascia assorbire completamente, ne fa il suo temporaneo stile di vita, la sua intera personalità. Per un po' è stato Pilates, poi è toccato a "Il Segreto", poi è stata la volta del buddismo. Ora credo si tratti del dilemma dell'onnivoro o una cosa simile. È difficile portare il segno."

"Penso che sia bello che tua madre abbia tutti questi interessi. La mia è letteralmente solo astrologia e musica rock, non ha interessi reali, né hobby, non li coltiva, suppongo perché non abbia tempo. L'ho portata a fare un'escursione con me e ha detto che non le piacciono gli insetti."

"No Evan, non è bello. È proprio quello che succede quando sei ricco e non hai un lavoro. Diventi pazzo." 

"Mia madre dice sempre che è meglio essere ricchi che poveri."

"Beh, probabilmente tua madre non è mai stata ricca, allora." 

"E probabilmente tu non sei mai stata povera." 

Cala il silenzio, Evan mi guarda con quegli occhi che dicono "sono fottuto", ma io non sono affatto deluso dal suo comportamento, anzi.

"M-Mi dispiace così tanto" balbetta. "Non volevo... è stato terribilmente scortese." 

Zoe ride. "Non avevo idea che fossi capace di dire qualcosa che non sia gentile."

"Non lo sono. Non dico mai cose che non sono carine. Non penso nemmeno a cose che non siano carine. Mi dispiace davvero" inciampa Hansen sulle sue stesse parole.

"Oh Hansen, io ero così colpita e tu lo stai rovinando" scherza mia sorella.

"Mi dispiace."

"Davvero non devi continuare a ripeterlo."

Zoe prende un cubo di Rubik da sotto al mio comodino e sospira.

"Vuoi dirlo di nuovo, non è vero?" gli domandiamo all'unisono.

"Sì, grazie. Scusami, mi dispiace non volevo."

Zoe sorride, un sorriso vero, pieno, luminoso, Hansen si scioglie. "Connor ci ha impiegato tutta l'estate a risolverlo" dice guardando l'oggetto tra le sue mani.

Per la precisione vorrei sottolineare che non è vero, l'ho fatto più e più volte e Zoe pensava che ci stessi mettendo molto tempo. Il mio record è di cinque minuti e 36 secondi.

"Io non ci sono mai riuscito invece..." mormora Evan.

"Sai... mia madre non voleva vedere la realtà delle cose. Non sapeva mai dire quando mio fratello era fatto. Parlava lentamente e si autoconvinceva 'Connor è solo stanco" e cercava di convincere anche noi "Connor non è sotto stupefacenti. Ha sonno. Ha avuto gli incubi. Non ha dormito stanotte. Ha studiato tanto..' "sull'ultima frase Zoe ride istericamente.

"Perché lo ha fatto?" chiede con un sussurro. "Questo è ciò che mia madre non fa che ripetere e io non ho il cuore di elencarle i motivi che conosco."

Evan sta zitto, ascolta ogni parola con premura. Posa una mano sulla spalla di mia sorella e si fa più vicino, cerca di darle conforto.

"Tu eri il suo migliore amico, Evan. Cosa ti ha detto prima di andarsene? Tu devi saperlo. Cosa ti ha detto di me? Perché ha scritto 'E tutta la mia speranza è riposta in Zoe, che non conosco nemmeno e che non mi conosce.'? Cosa significa?"

Evan cerca le parole, in aria, in alto, verso di me, attende una risposta che non gli so dare perché nel caso si fosse dimenticato quella lettera l'ha scritta lui e non io.

"Lui... Connor..." tenta. "Ti vuole bene e pensa che..."

Zoe lo interrompe. "Hansen, mio fratello è morto. Puoi usare il passato, è tutto ciò che ci resta di Connor."

Mi si stringe il cuore.

"Connor pensa cioè pensava" riprova Hansen stringendosi nelle spalle e ingoiando a vuoto. "Che tu e lui eravate distanti..."

"Oh sì, due mondi separati" incalza Zoe.

"E-E s-se so-solo non fosse stato così... sarebbe stato meglio..."

"Quindi tu e Connor parlavate di me?" domanda la mia sorellina, gli occhi le brillano.

"Oh, sì, certamente, a volte. Voglio dire, se lui tirava fuori l'argomento. Io non ti ho mai menzionata, neanche una volta, a meno che non fosse per chiedere se andava ancora male con te e puntualmente andava ancora male. Ovviamente. Perché mai avrei dovuto parlare di te sennò?! Era lui che voleva parlare di te, di voi, delle cose con i vostri, insomma Connor sì, esatto, Connor, tuo fratello, pensava che tu fossi assolutamente fantastica" risponde Evan con un solo fiato al punto tale che arriva a fine frase in affanno.

Zoe ridacchia, io la seguo.

"Potresti fare il rapper" scherzo.

Hansen ride a sua volta. "Il nuovo Eminem, eh?"

Zoe lo guarda stranito ed Evan rimpiange immediatamente di aver risposto al mio scherzo.

"Pensava che fossi fantastica? Mio fratello?" domanda perplessa.

"Sì. Ovviamente. Voglio dire, forse non ha usato quella parola esatta, ma-"

"Perché?"

"Perché pensava che tu fossi fantastica?"

"Sì."

"Bene, okay, fammi provare a ricordare" mormora Evan, mi aspetto di trovare il suo sguardo invece non ci incontriamo.

"Ogni volta che hai un assolo nella band chiudi gli occhi, probabilmente non sai nemmeno che lo stai facendo, ma sulle tue labbra appare questo mezzo sorriso, come se avessi appena sentito la cosa più divertente del mondo, ma è un segreto e non puoi dirlo a nessuno. Dal modo in cui sorridi però, è un po' come se stessi svelando il segreto anche a noi che siamo lì per ascoltarti."

"Davvero?" domanda Zoe emozionata arrossendo appena.

"Assolutamente. Almeno questo è quello che Connor mi ha detto" si corregge Hansen.

Sospiro, mi appoggio sul letto con loro e mi sento di troppo. Evan sta parlando con le sue parole, stavolta non sta dando voce anche ai miei sentimenti, mi sta solo confessando che la cotta per mia sorella è più grande di quanto pensassi e che ha passato molto tempo a osservarla.

"Non pensavo fosse sveglio ai miei concerti. I miei genitori lo costringevano sempre a partecipare."

Zoe abbassa lo sguardo e gratta la cucitura della trapunta del letto. "Sai, la prima volta che ha detto qualcosa di carino su di me è stato nel suo messaggio, nella lettera che ha scritto a te... non ha saputo neanche dirmelo." 

"Oh, ma lui voleva farlo solo che... solo che non poteva."

Zoe sospira, incrocia le braccia al petto. "E ti ha detto altro su di me?" Un secondo dopo già rimpiange di aver chiesto. "Non importa. Non mi interessa nemmeno."

Evan insiste. "Ha detto tante cose su di te" dice guardandola intensamente negli occhi.

"Lui pensava che fossi davvero bella ehm no" si interrompe Hansen tossisce, si sistema il colletto della camicia e riprende. "Pensava che fossi una gran figa con quelle ciocche indaco tra i capelli e quando ti sei tinta tutta la testa di blu ha detto che eri stata molto coraggiosa."

"Ma se ha continuato a chiamarmi "lesbica" anche dopo che la tintura si è scaricata?!" ribatte Zoe scettica.

"Beh è il cliché delle lesbiche per eccellenza, non puoi darmi torto" dico alzando le spalle davanti agli occhi perplessi di Hansen.

"Era il suo modo per dimostrarti che si interessava a ciò che facevi, gli piaceva prenderti in giro, lo sai, lo faceva sentire più vicino a te."

Evan prosegue l'ennesimo racconto inventato o meglio la serenata per mia sorella. "Connor non faceva che ripetermi quanto si sentisse meglio solo vedendo il tuo sorriso e che nonostante lo negassi continuavi a compilare i quiz sulle riviste per adolescenti."

Zoe si mette comoda e continua ad ascoltare con un sorriso crescente sulle labbra.

"Connor ti guardava tutto il tempo, si limitava a tenerti d'occhio, immagino. Sapeva che quando ti annoi scarabocchi sui risvoltini dei jeans o che mastichi i tappi delle penne o che la tua fronte si increspa proprio al centro quando sei arrabbiata."

"Non pensavo mi prestasse attenzione..." mormora Zoe.

"Oh non faceva che pensare a te. La sua amata sorellina da proteggere..."

"Avrei solo voluto saperlo..."

"Lo so. È solo che non sapeva come dirti tutto questo. Non sapeva come dirti che... era il tuo più grande fan. Nessuno era un fan più grande di lui. Sapeva quanto sei incredibile. Sei così unica, Zoe. Sei bellissima e intelligente e simpatica, buona, non si può non amarti."

Zoe arrossisce, gli sorride appena.

"Voglio dire che tu sei tutto per me, cioè per Connor, Connor diceva "lei è tutto per me". Ma ha tenuto tutto nella sua testa, non sapeva parlare con te, non riusciva a trovare la strada, ma diceva sempre 'se potessi dirglielo, se potessi dirle tutto ciò che vedo, che lei è tutto per me, ma ci separano un milione di mondi e parole non dette e non saprei neanche da dove cominciare.' "

"Cosa altro ha notato mio fratello?" domanda Zoe, ora Hansen ha tutta la sua attenzione.

"Si chiedeva come facessi a ballare come se tutto il mondo attorno non esistesse e perché ti piacesse tanto usare la macchina fotografica istantanea. Perché fossi rimasta nella band quando è chiaro che hai la stoffa per essere una solista e quanti giorni sarebbero passati prima di rivederti portare le trecce che ti donano così tanto."

Zoe lo guarda sognante, attraverso ogni parola sembra rivivere dei ricordi che non so raggiungere.

" 'Io ti amo', questo voleva dirti Connor. 'Ti amo, Zoe...ma tu non mi crederai mai e io non so dimostrarlo quindi busso alla tua porta con rabbia perché è l'unico modo in cui sono riuscito a esprimermi.' "

Ci sono tante cose che vorrei dire, ma Hansen  conclude la frase sulle labbra di mia sorella.

"Cosa stracazzo stai facendo?!" gli urlo addosso. Hansen sobbalza, fa un volo all'indietro.

"Che ti prende?" gli domanda Zoe sconvolta.

"Mi dispiace... non volevo, non volevo... sono stato preso dal momento e l'atmosfera e Connor... scusami, Zoe, scusami."

Zoe ridacchia appena. "Ti stai scusando con mio fratello?"

Hansen annuisce a raffica come se volesse farsi saltare la testa.

"Lui non vuole, cioè Connor non vorrebbe questo e tu neanche... quindi..."

Zoe lo zittisce con un dito sulle labbra. "Io voglio e Connor non c'è."

Io ci sono e come invece, lo rendo ben chiaro piazzandomi davanti ad Hansen e facendogli capire con un gesto secco che trovo il modo di tagliargli la testa se non si allontana immediatasubito da mia sorella.

"T-Tu vuoi?" domanda Hansen sconvolto.

Rifaccio lo stesso gesto. "M-Ma Connor no" sottolinea immediatamente Hansen. "Lo sanno tutti, è una regola non scritta le sorelle degli amici sono sacre, non si toccano. Connor mi ucciderà, ucciderebbe, se sapesse Connor mi odierebbe e io gli voglio troppo bene, non posso fargli questo."

"Quindi se fossi l'amore della tua vita rinunceresti a me solo perché mio fratello deceduto non l'avrebbe presa bene?"

Hansen sospira e annuisce, sta per dire qualcosa, ma viene interrotto dalla voce di Cynthia. "Ragazzi, è pronto! Venite a tavola."

È nostalgico, è come se mia madre avesse appena chiamato me e Zoe, con la differenza che al mio posto c'è Evan e certamente non ho mai baciato sulla bocca mia sorella.

"Sai cosa, Hansen? Mettiti col fantasma di mio fratello se ci tieni tanto."
   
 
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