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Autore: Snoirp    14/06/2021    1 recensioni
"AVADA KEDAVRA!" "Signor Potter!"
"[...]Può ammaliarti e prosciugarti sino all’ultima goccia di umanità che ti rimane!”.
"Harry [...] non voglio perderti".
“Ci proverò Hermione, posso dirti questo”
Era il 16 luglio del 1995 quando una scia di fumo, nera come la notte che la avvolgeva, sorvolava i cieli del Surrey, Little Whinging, con il suo epicentro nel numero 4 di Privet Drive. Un terribile incidente sconvolgerà la vita di Harry Potter e irrimediabilmente di chi lo circonda.
Una rabbia inspiegabile e alcuni cambiamenti di personalità lo trasformeranno.
Qualcuno riuscirà a contenerlo o Harry Potter perderà se stesso?
Genere: Azione, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Draco Malfoy, Il trio protagonista, Sirius Black | Coppie: Harry/Hermione, Ron/Hermione
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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“Il Medaglione”
 
Il venerdì si preannunciava umido e piovoso, esattamente come le giornate precedenti.
              
Harry lanciò una fugace occhiata al tavolo degli insegnanti nella speranza di vedere Hagrid seduto, che lo salutava con la manona.

Rimase estremamente deluso nel vedere la professoressa Grubbly-Plank, fare colazione al posto suo.

Mentre si sedeva e incominciava a spalmare del burro su una fetta di pane, dirottò i suoi pensieri su cose di maggiore rilevanza, come il fatto che tutti i compiti che aveva accumulato lo avrebbero sicuramente fatto rimanere sveglio sino all’alba. Oppure a come risolvere il problema “post-Umbridge” senza l’aiuto di Piton.

Sarebbe stato tutto più facile, se Hermione non avesse scoperto il suo piccolo problema.

Hermione.

Harry spostò lo sguardo dalla fetta di pane al posto che a colazione era regolarmente occupato dalla sua amica. Lei ancora non c’era. La sua mente cominciò a correre:

‘Le è successo qualcosa? Mi sarò spinto troppo oltre, abbracciandola in quel modo ieri sera? Devo averla sicuramente offesa! Adesso vado…’

“HARRY!”

Il moro venne brutalmente riscosso dai suoi pensieri. Ron, seduto al suo posto davanti a lui, era balzato in piedi e aveva sbraitato il suo nome. Probabilmente lo avevano sentito sino ad Hogsmeade.

“Weasley, dieci punti in meno a Grifondoro per aver lesionato i timpani alla stragrande maggioranza degli alunni e professori della scuola con le tue patetiche urla” sbottò Piton, che stava uscendo dalla Sala Grande proprio in quell’istante. Prima di varcare il portone, scoccò un’occhiataccia ad Harry.

Quest’ultimo, dopo essersi ripreso dalla sorpresa, fissò incredulo l’amico:

“Ma sei deficiente?” chiese al rosso, inarcando un sopracciglio.

Ron, che era diventato rosso come i suoi capelli, risedendosi rispose irato:

“Io sarei il deficiente? Miseriaccia amico, ti avrò chiamato sì e no dieci volte! Ma tu niente! Eri completamente assorto nei tuoi pensieri. Cosa avevi per la testa?”

Harry strinse gli occhi, continuando a fissarlo. Poi cominciò a mangiare come se nulla fosse successo.

“Oggi non sei sul nostro pianeta, Harry. Comunque, hai visto Hermione? Come mai non è ancora arrivata?” chiese cominciando a cercare la ragazza lungo tutta la tavolata.

Harry fu subito sull’attenti: “Nemmeno tu l’hai vista? Dobbiamo cercarla, potrebbe esserle successo qualcosa!”

“Ciao, ragazzi” disse una voce femminile alle spalle del moro.

Entrambi si voltarono prontamente in direzione della voce. Hermione era davanti a loro, ma aveva un qualcosa… di diverso.

“Ciao, ‘Mione” la salutò Harry, deglutendo rumorosamente.

La ragazza gli scompigliò affettuosamente i capelli, e si sedette al suo posto. Ron, nel frattempo, non aveva spiccicato la benché minima parola. Continuava a fissare la ragazza.

“Va tutto bene Ronald?” chiese Hermione un po’ preoccupata.

“Io… Tu… Sì… Ma cosa? Quando? Hai qualcosa di diverso” constatò infine Ron.

“Oh, che gentile Ronald, lo hai notato. Mi fa piacere” sorrise contenta la ragazza.

“S-sì, ovviamente l’ho notato! Come avrei potuto non notare…”

Il ragazzo si stava palesemente arrampicando sugli specchi. Fece capire ad Harry, indicando con gli occhi Hermione, che doveva assolutamente aiutarlo.

Il moro roteò gli occhi sbuffando, i quali però incontrarono quelli della ragazza, che lo guardavano quasi come se attendessero la sua approvazione.

“Stai molto bene, ‘Mione. Come mai questi dettagli aggiuntivi?” sorrise tranquillo il ragazzo.

La ragazza si era truccata leggermente quella mattina. Non che ne avesse bisogno, il suo viso era molto piacevole e bello anche senza alcun tipo di ritocco, ma non l’aveva mai fatto da quando i ragazzi la conoscevano. Con un po’ di mascara e matita, i suoi occhi risaltavano particolarmente, donandole uno sguardo più penetrante.

 Aveva anche sistemato i capelli, che apparivano molto più morbidi.

La ragazza assunse un colorito più vivace, leggermente imbarazzata. “Grazie, Harry. Diciamo che volevo risaltare un po’ di più del solito” disse sorridendo, guardandolo di sottecchi.

Lo sguardo del ragazzo, per qualche motivo, si adombrò. Lasciò la colazione restante nel piatto.

Durante le lezioni della giornata, mentre Harry si incupiva più del dovuto al pensiero di dover passare ulteriore tempo con la Umbridge, Ron fu particolarmente taciturno.

Quando ormai mancavano pochi minuti alle cinque, Harry salutò gli amici.

“Mi raccomando per i provini, Ron. Dacci dentro!” disse dando una pacca sulla spalla all’amico.

“Ah, sì, i provini. Certo!” disse il ragazzo, ritrovando lo spirito che gli era mancato durante tutta la giornata. “Allora a dopo, amico”

“Harry… Stai attento” gli disse Hermione sottovoce, dopo essersi avvicinata.

Il moro le fece un cenno di assenso, mentre iniziava a dirigersi verso l’ufficio della Umbridge.

Quando bussò alla porta dell’ufficio, gli fu detto di entrare. La pergamena bianca e la penna nera affilata erano già posizionate sulla scrivania.

“Sa cosa fare, Signor Potter” disse la Umbridge, sorridendogli in un modo che Harry trovò stomachevole. Il suo umore era calato a picco con una velocità esponenziale.

Dalla finestra alla sua destra poteva scorgere in lontananza il campo da Quidditch, dove c’erano delle figure che libravano nell’aria. Era impossibile distinguere Ron, fra queste.

Quando ormai la pergamena luccicava di gocce di sangue e a causa dell’avvenire della sera, il campo da Quidditch non fu più distinguibile, la Umbridge parlò:

“Credo che finalmente il messaggio sia penetrato a sufficienza Signor Potter, può andare”

Harry raccolse le sue cose il più velocemente possibile, e fece altrettanto per arrivare in Sala Comune. I suoi occhi lanciavano scintille.

“Mimbulus Mimbletonia!” grugnì alla Signora Grassa, facendo il possibile per coprire la mano che gocciolava sangue.

Un gran baccano lo accolse, Ron gli venne subito incontro, offrendogli un sorso di Burrobirra.

“Sono Portiere, amico!”

“Grandioso” rispose secco Harry, senza nemmeno guardarlo. “Hermione?”

Ron, contrariato per lo scarso entusiasmo dell’amico, gli rispose un po’ offeso: “Seduta là” fece indicando una delle poltrone vicino al camino che solitamente utilizzavano. Hermione sonnecchiava su una di esse, con un libro pericolosamente inclinato in mano.

Harry superò in fretta Ron, sentiva il sangue che stava scivolando nel palmo della mano.

Angelina lo intercettò. “Mi dispiace di essere stata un po’ dura con te, Potter. So che è il tuo migliore amico, non è un fenomeno, ma con un po’ di lavoro…”

“Ora non ho tempo, levati!” ringhiò Harry, iniziando a salire i gradini due per volta.

“Ma che modi sono!” si voltò verso Ron. “Si può sapere che diavolo gli prende?” sbuffò, tornando a bere la sua bevanda. Il rosso guardò la schiena del suo amico che scompariva dalle scale.
 
 
 
Harry sbatté violentemente la porta del dormitorio e poi si assicurò che nessuno lo disturbasse: “Colloportus!

La stanza era ancora deserta, ma non avrebbe avuto molto tempo prima che la festa al piano di sotto finisse e i suoi compagni trovassero la porta chiusa a chiave.

Ormai il sangue stava gocciolando su tutto il pavimento. Il ragazzo spalancò il suo baule con un colpo secco, incrinandone il legno. Cacciò per terra alcuni vestiti che nascondevano quello che stava cercando.

Cominciò a sfogliare a uno a uno i libri che aveva preso da Grimmauld Place, ma si rese ben presto conto di non riconoscere la lingua nella quale erano scritti.

“MALEDIZIONE!” ruggì, scagliando il libro che aveva in mano dentro il baule.

Un rumore metallico placò la sua furia, inducendolo a rovistare sul fondo per trovare cosa lo aveva causato.

Nella mano ora stringeva il catenino dorato del medaglione che aveva trovato nella tana di Kreacher, dopo il duello con Sirius. Gli ricordò che non aveva più avuto modo di esercitarsi su quello che questi gli aveva insegnato.

Sorrise amaramente, desiderando più che mai come in quel momento di essere insieme a lui. Avrebbe sicuramente saputo cosa fare per sollevargli il morale.

Si mise ad osservarne i dettagli, tenendolo dritto di fronte a lui.

“Tu non incontri esattamente il mio gusto…” disse un po’ rammaricato, sapendo che stava parlando di qualcosa che apparteneva alla famiglia dei Black. Non che gli importasse tanto della famiglia, ma era pur sempre quella di Sirius, anche se lui la ripudiava. Prese in mano il medaglione, accarezzando con il pollice i piccoli smeraldi che formavano la lettera “S” sulla sua superficie. Notò che mentre lo teneva, la sua mano formicolava leggermente, ma non vi diede peso.

Mentre stava per riposarlo sul fondo del baule, il suo occhio cadde sulle pagine di uno dei libri che prima stava sfogliando. Riusciva perfettamente a leggerlo.

“Ma cosa…” si chiese sconcertato, strizzando gli occhi quasi lo aiutassero a capire come era possibile tutto ciò. Lasciò il medaglione sopra una vecchia pergamena, ed acciuffò il libro incriminato. Dopo aver letto qualche parola, sbatté le palpebre per una frazione di secondo, e questi tornò improvvisamente ad essere illeggibile.

Harry spalancò gli occhi, e ben presto capì il nesso che collegava quello che gli stava accadendo.

“Harry, perché la porta è chiusa? Aprimi!”, la voce di Ron lo fece riemergere bruscamente dai suoi pensieri, stava provando -con una velata insistenza- ad aprire la porta.

‘Porca…’

Buttò alla rinfusa nel baule tutto quello che aveva tirato fuori, tenendo solo una maglietta che avvolse intorno alla mano sanguinante, come una sorta di bendaggio.
Gratta e Netta

Ripulì il più in fretta possibile il sangue che si era accumulato sul pavimento, poi, quasi si lanciò sul letto. Si isolò chiudendo le tende del suo letto. Appena in tempo.

Alohomora!

La porta venne spalancata e poté sentire distintamente i passi di Ron che si avvicinavano al suo letto.

“Harry, tutto bene? Che miseriaccia stai facendo?” disse il rosso infastidito, facendo scorrere la tenda del letto del moro.

Harry era sdraiato a pancia all’aria, le gambe accavallate, le mani dietro la testa e rigorosamente nascoste sotto il cuscino. Si voltò a guardare Ron.

“Ah Ron, scusa se ho chiuso la porta, avevo paura che entrasse qualcuno che non fossi tu e avevo voglia di stare un po’ da solo. Sai, la punizione con la Umbridge… A proposito, complimenti per il ruolo di portiere, te lo meriti!”

Ron, un po’ sorpreso dal repentino cambio di carattere dell’amico, lo scrutò qualche secondo, evidentemente cercando qualcosa che non andava. Poi, complice il suo nuovo ruolo nella squadra di Quidditch, si ritrovò a spiegare ad Harry le incredibili parate che aveva fatto durante il provino, esagerando un po’, come al suo solito.

“… ed è così che con quest’ultima incredibile finta ho ingannato Angelina, inducendola a tirare proprio dove volevo io!” concluse tutto soddisfatto il ragazzo, mentre alcuni compagni di dormitorio stavano rientrando dalla festa.

“Grandioso amico! Senti… Sono un po’ stanco, è stata una giornata piuttosto lunga. Che ne dici se ci riposiamo e ne riparliamo domani?” propose Harry, nella speranza che il suo amico fosse accondiscendente.

“Ma sicuro… Non ti cambi, Harry?” chiese Ron con una punta di curiosità.

Il ragazzo si rese conto di non essersi nemmeno cambiato data la fretta che aveva. “Oh, sai, magari più tardi! Adesso non riuscirei nemmeno ad alzarmi senza addormentarmi!” rise Harry, nella speranza di risultare comico.

Ron lo guardò improvvisamente serio e ad Harry si gelò il sangue. Ma poi il giovane Weasley scoppiò in una fragorosa risata, facendogli tirare un sospiro di sollievo.

“Ahh amico, come ti capisco… Quando abbiamo Pozioni tutta la mattinata sono nella tua medesima situazione! Allora notte, Harry!” lo salutò contento, dirigendosi verso Neville, pronto a raccontare a qualcun altro le sue grandi doti da portiere.

“Notte, Ron” rispose Harry, tirandosi dietro le tende e aspettando di sentire il russare dei suoi compagni.
 
 
 
Più di qualche ora era passata prima che Harry potesse sgattaiolare silenziosamente fuori dal letto e mettersi il suo pigiama, recuperando una pila di quei libri neri e polverosi e il medaglione dorato.

Prima di sedersi sul letto e chiudere le tende, notò come la maglietta che aveva usato come “benda provvisoria” fosse zuppa di sangue, e che qualche piccola goccia era caduta sulle lenzuola bianche.

La mano gli lanciava delle fitte atroci e bruciava come se fosse in fiamme. Non sanguinava più come prima, ma non si era nemmeno formata alcuna crosta. La ferita era ancora aperta.

Tergeo” sussurrò Harry, ripulendo velocemente lenzuola e maglietta. Si guardò intorno nella speranza che tutti i suoi compagni avessero il sonno abbastanza pesante da non sentire i suoi sussurri. E considerando che erano stati abituati al russare di Ron, non ci sarebbero stati troppi problemi.

Una volta isolato dal resto della stanza, si rese conto di essere nel buio più completo. Non poteva usare Lumos, la luce avrebbe sicuramente potuto svegliare qualcuno più probabilmente di qualche sussurro.

Harry sorrise impercettibilmente, puntò la bacchetta verso la sua fronte e la fece scendere in verticale in mezzo agli occhi, sino alla punta del naso.

Visibula Noctambulus”.

Riaprendo gli occhi, constatò che aveva funzionato. Poteva vedere al buio.

Prese il medaglione fra le mani, accarezzandolo piano.

‘Che cosa sei tu?’ era solo una delle tante domande che gli aleggiavano nella mente. Lo indossò.

Improvvisamente una scarica di energia gli pervase il corpo, sentendosi irradiato dal potere sino alla punta delle dita. Era una sensazione fantastica, si sentiva come se potesse lanciare magie anche senza l’ausilio della bacchetta. Notò come quel medaglione aderiva perfettamente al suo petto, quasi fossero due calamite che si attiravano.

Cominciò a sfogliare un libro dietro l’altro, assetato di quello che potevano contenere al loro interno. Ben presto, uno strano déjà-vu lo assalì. Tutte le volte che finiva di leggere un incantesimo -la maggior parte erano magie offensive intenzionate a mutilare o creare un deficit importante nel nemico- era come se pensasse: ‘Si, io lo conosco. Io questo incantesimo lo so già’.

Trovò infine quello che stava cercando. L’incantesimo che Piton aveva usato più volte per curare la sua mano. In fondo alla descrizione completa dell’incantesimo, era stato aggiunto un appunto:

Utile per curare le ferite inferte da Sectumsempra.

Cosa diamine era il Sectumsempra? Chi aveva messo quell’appunto?

Domande alle quali in quel momento Harry non poteva, o forse non voleva dare risposta. Capì presto che ciò che lui aveva sbagliato quel giorno, nell’ufficio del professore di Pozioni, era la pronuncia dell’incanto.

Vulnera Sanetur” pronunciò con un ghigno, venendo di nuovo ammaliato da quella sensazione. La ferita questa volta fu completamente guarita, e non lasciò alcuna traccia. Era stato un successo.

Improvvisamente gli venne in mente Hermione. La promessa che le aveva fatto. Si sentì uno sciocco e una specie di surrogato di mago oscuro. Ma nonostante tutto non aveva fatto niente di male, stava solo curandosi da delle ferite. Stava solo imparando.

Apprese con grande disappunto che molte delle magie riguardavano l’Occlumanzia e la Legilimanzia, cose che lui non conosceva assolutamente. Ma gli venne in mente che magari, con una visitina in biblioteca o… Nel Reparto Proibito, avrebbe potuto facilmente colmare tale lacuna.

Finita la lettura, infischiandosene improvvisamente di fare rumore, ripose i libri nel baule e lo riordinò.

“Harry, v’ tutt bne?” chiese Ron con la voce impastata.

“Dormi” soffiò Harry, con un sottilissimo velo di ira nella voce.

Si levò con grande rammarico il medaglione, notando che sembrava essere diventato improvvisamente più pesante. Molto più pesante. Lo nascose sul fondo del baule, sotto i libri, i vestiti e le pergamene.

Un macigno di stanchezza gli crollò addosso, quasi non riusciva più a tenere gli occhi aperti in autonomia. Si lasciò cadere sul bordo del letto, addormentandosi all’istante.

Ronald Weasley quella mattina non avrebbe ricordato di aver sognato due occhi scarlatti squadrarlo con odio nel cuore della notte. 
 
 
 
La mattina seguente Harry fu il primo del suo dormitorio a svegliarsi. La cicatrice gli pulsava. Rimase disteso per qualche secondo a letto, disturbato da quel dolore inaspettato e provando a gustare il piacere del sabato mattina. Non doveva essere molto presto, ma non essendoci lezioni, gli studenti potevano recuperare le energie dalla settimana appena trascorsa.

Si alzò dal suo letto e cominciò a vestirsi. Osservò la mano che la sera precedente era insanguinata e segnata dalle sue ore di punizione con la Umbridge, ora perfetta. Recuperò dalla sua borsa i libri, le pergamene e l’inchiostro, e si diresse verso la Sala Comune.

Si acciambellò sulla sua poltrona preferita vicino all’ormai morente fuoco e stappò la boccetta dell’inchiostro. Doveva recuperare tutti i compiti che non era riuscito a svolgere a causa dei suoi… impegni.

Sarebbe stata una lunga mattinata.

Mancava solamente il tema di Pozioni quando la voce di Hermione lo distrasse. “Buongiorno Harry”.

“Ciao, ‘Mione” rispose lanciandole un breve sorriso, per poi tornare con la testa ai suoi doveri.

“Non scendi a fare colazione? Fra poco dovrebbe arrivare anche Ronald” gli disse la ragazza, fermandosi ad osservarlo vicino al ritratto della Signora Grassa.

“Forse più tardi, adesso voglio finire quello che ho lasciato indietro durante questa settimana infernale…” sospirò.

“Da chi ti sei fatto aiutare a medicare la mano ieri?” domandò Hermione, un velo di paura nella voce.

Silenzio.

“Harry, avevi detto…”

“Lo so cosa avevo detto, Hermione” la fermò immediatamente il ragazzo. “Infatti, si è trattato dell’ultima volta. Spero di non averne più bisogno, o almeno di non dovermi ridurre a tanto. Avresti preferito che passassi una notte insonne per i dolori lancinanti?” le chiese con astio.

“Non ho detto questo” lo rimbeccò la ragazza. “Avrei preferito che ti facessi aiutare da qualcuno, ma evidentemente vuoi riuscire a fare tutto da solo. Ci vediamo Harry” e se ne andò via, lasciando il ragazzo con l’amaro in bocca.

“Sì, ci vediamo…” sbuffò e tirò un calcio al tavolino davanti a lui, ribaltandolo e facendo schizzare inchiostro da tutte le parti. Imprecò sonoramente.

“Che succede?” chiese una voce proveniente dalle scale che conducevano ai dormitori.
Ron stava procedendo verso di lui.

“Miseriaccia, sei già a fare i compiti? Ma lo sai che giorno è oggi? Hai visto Hermione? Se non mi lascerà copiare i suoi appunti sarò spacciato” cominciò a brontolare il ragazzo, passandosi una mano nei capelli.

“Hermione è già andata. Io vi raggiungerò dopo” si ripeté nuovamente Harry.

“Uhm, va bene allora. Sono affamato! Magari dopo puoi darmi una mano ad allenarmi a fare qualche parata… Sai, in vista degli allenamenti” chiese Ron, con un’aria da cane bastonato.

“Non dovrebbero esserci problemi, a dopo”

“Sì, a dopo amico”

Non passò molto tempo prima che Harry venisse interrotto di nuovo, questa volta in maniera definitiva.

“Signor Potter”. Harry si girò all’udire quella voce chiamarlo.

Minerva McGonagall lo guardava dall’entrata della Sala Comune di Grifondoro, le mani unite e il suo solito portamento severo.

“Il professor Silente desidera vederla nel suo ufficio” annunciò la professoressa.

Fu come udire un tuono durante una giornata soleggiata: inaspettato. Silente non si era propriamente comportato bene con lui durante le vacanze estive, e sembrava che facesse di tutto per ignorarlo. Ma adesso era stato proprio lui a richiedere un incontro.

“Faccia strada, professoressa” sorrise leggermente il ragazzo, ancora un po’ spiazzato dalla rivelazione.

La McGonagall gli sorrise leggermente, poi cominciò a dirigersi verso la statua del Gargoyle che nascondeva la scalinata che conduceva all’ufficio del preside, seguita dal ragazzo.

“Un po’ inusuale studiare al sabato mattina a quest’ora Potter, hai accumulato delle consegne?” gli chiese la professoressa.

“Purtroppo è proprio così, professoressa. Ho avuto uno spiacevolissimo… Imprevisto, che mi ha costretto a procrastinare più del dovuto. Ma sarò puntuale, non si preoccupi” spiegò Harry.

“Era quello che volevo sentire, Signor Potter” annuì la McGonagall. “Negli ultimi mesi ha avuto degli ottimi risultati e mi dispiacerebbe se li rovinasse. Per qualsiasi cosa, il mio ufficio è sempre aperto. Sorbetto al limone” disse la professoressa. Erano finalmente arrivati.

Il ragazzo sorrise leggermente e si trattenne dal chiederle il perché di quella convocazione. Non avrebbe dovuto aspettare molto altro tempo, prima di conoscerlo.

Dopo aver salito la scalinata, mentre il ragazzo stava per bussare alla porta, una voce dietro ad essa interpellò entrambi:

“Prego, entrate”

Il professor Silente era seduto alla sua scrivania, ma dava la schiena all’ingresso dal quale entrarono. La professoressa McGonagall procedette sino a mettersi anch’essa dietro la scrivania, di fronte al preside.

“Harry, sono felice tu sia venuto. Mi duole doverti parlare di certi argomenti, ma Severus è stato molto premuroso nell’accertarsi che certe azioni che tu sembra aver compiuto ultimamente a scuola non passassero a me inosservate. Già che ci siamo, potresti anche parlare di quello che è successo questa estate, se sei d’accordo” si affrettò a spiegare il preside. Per tutto il tempo che parlò, continuò a dare le spalle al ragazzo.

“Non le è bastato ignorarmi per tutta l’estate? Nemmeno riesce a guardarmi negli occhi mentre mi parla?” parlò irrispettosamente il ragazzo.

“Signor Potter!” lo redarguì stizzita la McGonagall.

“E non mi ha fatto chiamare per sapere se sto bene o se sono stato ferito,” soffiò, facendo un velato -ma nemmeno troppo- riferimento ai metodi della Umbridge, “ma perché Piton ha avuto da ridire su di me?” adesso il ragazzo mostrava chiari segni di rabbia, l’aria cominciava a scaldarsi nell’ufficio.

“Signor Potter! La smetta!” ora la professoressa era furibonda, sembrava che le dovesse scoppiare una coronaria da un momento all’altro.

“Il Professor Piton, Harry. Suvvia Minerva, più pacata” rispose Silente. “Harry ha un valido motivo per essere in collera”.

Anche se gli dava le spalle, Harry poteva vedere un leggero sorriso sul volto del preside. Si chiese se non sapesse perfettamente che tipo di sadica fosse la Umbridge.

“Signor Potter,” riprese la McGonagall con più calma, “il professor Silente si è preoccupato eccome per lei. E se non la guarda è solo per…”

“Paura che io sia posseduto da Voldemort, ovviamente” realizzò improvvisamente.

Evidentemente questo non era ciò che la McGonagall o il preside volevano che il ragazzo capisse, perché entrambi si congelarono e nella stanza calò il silenzio.

“Era così chiaro, eppure continuavo a non capire…” disse Harry, ragionando a voce alta. Poi si mise a fissare con serietà i suoi due professori, riflettendo sulla scelta delle parole da utilizzare.

“Professor Silente, Professoressa McGonagall… Potremmo avere delle cose di cui parlare in sospeso, ma ora non ha importanza. Immagino ci siate arrivati ben prima di me, ma penso sia arrivato il momento che io impari l’Occlumanzia” disse con convinzione nella voce.

“Eccellente Harry, sono felice di ritrovarti con una rinnovata astuzia e senso di giudizio… Giusto qualche giorno fa Minerva non ha fatto altro che parlare di te e di quanto tu sia l’orgoglio di Grifondoro ultimamente… Insieme alla signorina Granger ovviamente” disse con una leggera risatina Silente, vista l’occhiataccia che si vide arrivare dalla professoressa.

“Bene professore, riguardo quest’estate…”

“Sirius si è già premurato di raccontarci solo ed esclusivamente quello che tu gli hai riferito. Forse addirittura meno di tutto ciò. Ti dimostra la stessa fedeltà che aveva nei confronti di tuo padre, James” Silente intervenne la risposta del ragazzo sul nascere. “Quindi dubito che ci sia molto di cui parlare, al riguardo. D'altro canto," riprese con tono che non ammetteva repliche, "nonostante non dubiti delle tue nuove capacità di apprendimento, desidero che tu prenda lezioni di Occlumanzia da Severus, uno dei migliori in questo campo” concluse serio.

“Professore, sa bene i miei trascorsi con Pit… Il professor Piton. È consapevole che potrebbe non finire bene se ci mettesse in una stanza insieme per così tanto tempo?”

Harry si concesse di provare ad alleggerire la tensione nell’aria con una piccola battuta che, a giudicare dalla leggera risata del preside e dal velato sorriso sul volto della professoressa, aveva funzionato.

“Ne sono consapevole, ma mi duole dover insistere. Severus mi ha parlato di una certa tua propensione verso delle tematiche particolari, non vorrei mai che tu finissi con l’ammirare qualcosa che è tutt’altro che ammirevole. Non serve che ti dica chi alla tua età aveva una certa propensione per questo genere di cose” raccontò Silente, una nota amara nella voce.

“Non ha di che preoccuparsi, professore” disse freddamente il ragazzo. “È stato solo un piccolo incidente di percorso, nulla di cui valga la pena discutere”

“Bene, ragazzo mio. Se non hai altre domande, penso che tu possa finalmente andare a fare colazione. Le tue lezioni con Severus inizieranno già da questa sera, se sei d’accordo. Spero di poter tornare presto a guardarti negli occhi, Harry”

“Senz’ombra di dubbio professore. Buona giornata” disse il ragazzo. “Professoressa” la salutò Harry con un cenno del capo. Si diresse fuori dall’ufficio del preside, chiudendosi la porta alle spalle.

“Che cosa ne pensi, Albus?” chiese Minerva. “Severus aveva ragione?”

“No, cara Minerva” rispose Silente con tono grave e aria stanca. “Severus non aveva ragione. Ha sottovalutato la situazione, il rischio sta diventando, ogni momento che passa, più grande”

“L’abbiamo perso?” chiese la professoressa, sconvolta.

“Non ancora. Ma se qualcosa non devierà la sua rotta… Il mondo magico potrebbe avere un futuro non molto radioso davanti” concluse il preside, guardando Minerva con le sue iridi cristalline.
   
 
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