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Autore: coopercroft    16/06/2021    0 recensioni
Laura Lorenzi è un giovane dottoressa italiana, arrivata a Londra per specializzarsi in patologa forense. Convive con un doloroso passato che l'ha chiusa in una solitudine forzata.
Quel lavoro, che tanto ha voluto, le fa conoscere un uomo complicato e singolare con cui inizia un rapporto altalenante pieno di luci e ombre: Mycroft Holmes, fratello maggiore del più noto Sherlock.
Quella frequentazione problematica trascina Laura in gioco di potere, di attentati, di omicidi che logorerà entrambi.
Tra discussioni e riavvicinamenti, si ritroverà a combattere con caparbietà per quel sentimento tormentato che li avvolge sempre più strettamente: una "solitudine elettiva" che li porterà ad aprirsi reciprocamente.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Quello che accade dopo fu rapido

Ritornò alla scrivania, si sedette e mi diede una breve occhiata rassicurante. Sembrava sicuro di sé, come se tutto fosse programmato.

 Sapevo che non lasciava niente al caso, ma c’ero finita dentro e avevo pagato.

Si affrettò a digitare sulla tastiera del portatile, il tizio era alle sue spalle assorto a guardare il laptop credendo di portare a casa le password. 

Holmes urtò il suo ombrello, rimasto appoggiato vicino alla sedia e lo afferrò per non farlo cadere. Nello stesso istante due fumogeni rotolarono da sotto la porta.

 Mycroft si sfilò di fianco alla scrivania, prese qualcosa sotto di essa. Il fumo si diffuse rapidamente, si distingueva poco o nulla. Due uomini armati irruppero nella stanza con addosso delle maschere. Il sequestratore tossiva senza tregua, cercando aria e strofinandosi gli occhi.

 Intravidi Myc scivolare verso di me con una maschera simile, probabilmente era sotto la scrivania ed era per lui, ma la mise rapido sul mio volto. 

“Laura respira, ci sono i miei uomini.” Protestai perché lo vidi tossire, ma lui la tenne stretta sul mio volto. Non potei fare altro perché ero ancora legata.

Ovunque c’era fumo, i suoi collaboratori bloccarono il bastardo senza tanti complimenti, e lo portarono via, mentre scalciava, urlava e bestemmiava cercando aria.

Uno dei suoi uomini gli impose la maschera. Lo vidi prendere dei profondi respiri seduto al mio fianco e mi tranquillizzai.

I suoi occhi erano nei miei. Mi accarezzò la mano e la tenne stretta.

“Signore, gli ordini? Ha bisogno di aiuto medico?” Si sfilò la maschera. “No, va tutto bene.”  Respirò profondamente prendendo aria.    

 “Lo voglio vivo, devo sapere chi lo manda.” L’uomo vestito di scuro con un microfono all’orecchio annuì. “E la dottoressa, signor Holmes?” 

“Me ne occupo io. Fate una bonifica veloce.”  Era preciso e rapido nel dare ordini. Non l’avevo mai visto così autorevole, sembrava un’altra persona, un po' mi spaventò.

 “È finita Laura. Sei tornata troppo presto, mi dispiace.” Tossì un po', ma la stanza era stata arieggiata e si avvicinò premuroso. Mi tolse la maschera. “Respira ora, c’è aria pulita.”

Non riuscii a trattenermi, e lo assalii subito. “Lo sapevi vero? E per quello che volevi restassimo fuori di più. Se solo fossi stato più chiaro… se mi avessi dato fiducia…”

 Lui annuì lentamente. “Speravo non tornassi così presto. Non correvo inutili pericoli, ma con te dentro le cose sono cambiate.”

Intanto mi esaminava, mi liberò le braccia delicatamente.

 Ma reagii malissimo, lo coprii di insulti, lo colpii sul petto con la mano sana. Urlai e mi disperai minacciando di ucciderlo, mentre sfogavo la mia rabbia mista alla paura che avevo dentro.

Ma lui non indietreggiò di un passo, mi abbracciò con forza, mentre mi portava nella stanza di servizio del personale e mi fece stendere sul divano. Ero spossata, arrabbiata, ma soprattutto terrorizzata per averlo visto in pericolo.

Sentivo l’odore del sangue e il bagnato sul collo, e tutta la tensione accumulata mi fece capitolare, chiusi gli occhi e mi abbandonai a lui. Lo sentii fremere.

“Laura, guardami, stai bene?” La voce era preoccupata, mi scosse dolcemente.  “Ti prego continua a insultarmi. Lo preferisco.”

Prese delle garze e cominciò a tamponare il taglio con decisione. Mi contorsi un poco per il dolore e mi lamentai per la sua irruenza. “Fa piano, Gesù! Così mi fai male.”

Allentò la mano. “Non è profondo, tranquilla, ma sanguina. Cosa devo fare?”  Mi guardò con gli occhi smarriti. “Forse è meglio chiamare i soccorsi.”

 Mi resi conto che si stava perdendo, l’Ice man era in difficoltà.  Nei suoi occhi vidi passare il dubbio, si tormentava la mascella. Così mi calmai e decisi di aiutarlo.  “Myc, non sai disinfettare una ferita?”  Gracchiai irritata.  Si fece coraggio, mi fissò e annuì.

Prese la cassetta del pronto soccorso. Si tolse la giacca arrotolò le maniche della camicia e disinfettò le mani.  Cominciò a pulire con cura la ferita. Mi osservava, ad ogni mia piccola smorfia di dolore si fermava.  Poi cercò di unire i lembi del taglio.  Ma brontolò. “Ci vorranno dei punti, sei tu il medico!  Chiamo John o Molly. Io non lo so fare.” 

Sorrisi, perché lo sorpresi con le mani tremanti, le presi e le strinsi, cercai di rassicurarlo.  “Prendi uno specchio dentro il mobile dello studio e portalo, Ti guido io.” Ero tranquilla, aggrottò la fronte non del tutto convinto. “Va bene ci provo se ti fidi di me.” Lo fulminai. “Dopo quello che mi hai fatto? Devo per forza.” 

I suoi occhi mi rimbalzarono addosso. “Mi dispiace.” Mormorò, così flebilmente che quasi non lo sentii, si girò e tornò poco dopo. Sistemai lo specchio, e lo guidai. Gli spiegai come applicare i punti adesivi.

Il taglio non era profondo, era di circa cinque centimetri, netto e pulito.  Molto basso alla base del collo, probabilmente la cicatrice sarebbe rimasta.

Mycroft fu preciso, mentre gli davo le istruzioni e lui le seguiva attento. Non tremava più, ma era nervoso, un piccolo tic gli era comparso sul labbro superiore. E sudava.

“Tranquillo, vai bene, sei bravo.” Lo rassicurai come potevo. “Un po' meno come “friends” e questa ferita me lo ricorderà.”

Rabbuiò in volto, non riuscì a rispondermi. Sembrava meditare mentre riponeva la cassetta del pronto soccorso.   “Metterò fine a tutto questo Laura, sono stato uno sconsiderato. Partirò.”

La voce tradì una strana rassegnazione.

Cercai di sedermi sul lettino, la spalla mi doleva, ma non era lussata, con un paio di antidolorifici sarebbe stata a posto.

Lo fissavo con le spalle curve e sentii una preoccupazione sottile percorrermi. “Che intendi dire per partire? Sembri sconfitto, ti sei arreso?”

“Già, forse lo sono, visti tutti i pericoli che ti ho fatto correre. Devo andare alla fonte di tutti questi problemi e devo muovermi io.”  Si girò per aiutarmi a rimettermi in piedi, mi scortò fino alla poltrona.

Sembrava improvvisamente invecchiato. Prese a girare per la stanza.

“Mycroft hai solo sbagliato a non dirmelo, lo fai spesso per proteggere le persone, preferisci non coinvolgerle.”

 Il volto fu percorso da un rimpianto mai passato. “Già, come per mia sorella Eurus. I miei genitori non me l’hanno ancora perdonato.”  Agitò la mano come per allontanare un fantasma.  Sapevo cosa aveva fatto per tenere protetta la famiglia da lei.

“Ora basta! Non cambierai il tuo atteggiamento. Sei così e rimarrai tale. Iperprotettivo e anche arrogante.” 

“Hai ragione, lo sono, soprattutto arrogante.” Tentennò mentre decideva cosa fare.

 Ero sporca di sangue, la camicia era imbrattata, non potevo rimanere così.

Lui aveva acquistato serenità, smise di girare per la stanza come un animale in gabbia, aveva trovato una soluzione.

“Ti porto a casa mia a Pall Mall, ti prendi mezza giornata. Avviserò Molly.” 

Non feci in tempo a protestare, la ferita e la spalla si fecero sentire, lo vidi parlare al telefono, venne verso di me. “È tutto sistemato, Anthea farà il resto.”  Tentai di oppormi, ma la stanchezza si fece sentire tutta.  

“Avanti non essere testarda come sempre, vieni con me!”  Stavolta me lo ordinò.

Lo avrei preso volentieri a schiaffi se solo la spalla mi avesse retto. Eccolo lì che ci ricadeva! Lui decideva sempre tutto e anche la vita degli altri.

“Mi hai messo in pericolo, e mi chiami testarda? Hai una bella faccia tosta!” Ero amareggiata dal suo comportamento così strafottente.

Mi fissò silenzioso, poi mi prese per la vita e mi sostenne.

“Discuteremo in seguito, ora dammi la possibilità di curarti, quando ho avuto la febbre io te l’ho data.”  Ero senza forze, mi lasciai andare, lui mi strinse di più.

“Ti porto a casa, mi prenderò cura di te, è il minimo che possa fare. Ma soprattutto ho voglia di stare in tua compagnia.” Mi sorpresi per l’ultima frase. 

Sicuro che non ruzzolassi a terra, prese la giacca mi aiutò a indossarla, si caricò la mia borsa e sempre tenendomi per la vita mi portò all’auto.

Albert ci venne incontro e sussultò quando mi vide, cercai di convincerlo che stavo bene, ma mi uscì una affermazione talmente debole che feci peggio.

Mycroft mi accomodò dietro, poi salì e mi fu affianco.

Istintivamente appoggiai la testa sulla sua spalla. Mi protesse con la sua mano, e mi tenne vicino. L’altra la portò sul mio braccio dolorante. Sentii il suo odore, sapeva di tabacco, forse fumava anche se non l’avevo mai visto. Il profumo di biancheria pulita. Persi ogni ritegno per tutto lo stress accumulato. e piansi piano, ma temendo di infastidirlo, cercai di scostarmi un po' più in là.

“No, Laura, rimani, sono stato io a portarti a questo.” Mi abbracciò forte, e mi tenne con lui. Aveva cominciato a caricarsi di tutte le colpe. Non c’era nulla da fare, era Mycroft con l’armatura lucente, pronto a sacrificarsi per le persone che amava

Sapevo che invadevo la sua zona confort dove non permetteva a nessuno di entrare. Eppure mi avvolgeva di calore, mi sentii meglio, rimasi con la testa affondata a bagnargli la giacca costosa. Mi diede il tempo di decomprimere.

“Stai bene?” Mi sollevò il volto e tolse di tasca il suo prezioso fazzoletto, quello che non usava mai, asciugò le mie lacrime.

“Sei un bastardo Myc, mi fai stare male, eppure è qui che voglio essere.”  Tra una lacrima e un sorriso mi uscì un mormorio rauco. Mi sorrise dolcemente, nascondeva il rimorso negli occhi.

“È vero Laura, sono un bastardo, non merito la tua amicizia.”  Ma non era amicizia quella che provavo in quel momento era di più. Avevo paura che lo capisse, allentai il suo abbraccio.

Ma eravamo pericolosamente vicini, il suo volto era lì a pochi centimetri. Provai l’impulso di baciarlo.

“Myc, non essere stupido? Pensi davvero che questa sia amicizia? Sei troppo intelligente, sai quello che proviamo.” 

Si fece serio, ma mi tenne più forte, fece per dire qualcosa mentre era indeciso. “Laura, io non voglio forzarti. Ho poco da offrirti se non pericoli e incertezze.” 

Lo sentivo vibrare, mentre sul volto gli passava la vita intera, piena di rinunce, di solitudine, di dolorosi rimpianti.

 Gli accarezzai la guancia, scivolai con la mano sulla nuca, gli sfiorai i capelli corti e lo percorsi lentamente.

Ci avvicinammo di più, desiderosi, le labbra vicine.  Fu un semplice appoggiarsi, poi la voglia di conoscerci, di assaporarci fu irrefrenabile e il bacio divenne profondo, liberatorio.

Mycroft era rilassato, per la prima volta lo sentii mio, era dolce e abbandonato. Niente più mura alte e invalicabili, ora era soltanto un uomo emozionale. I nostri occhi chiusi mentre imparavamo l’uno dall’altro. Ci staccammo quasi senza fiato, mi teneva il volto fra le mani, mi guardava perso dentro ai miei occhi, io dentro ai suoi. 

“Laura…” Mormorò.

 “Mycroft…” Sorrisi…

 

 

 

 

 

 

   
 
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