Quello
che accade dopo fu rapido
Ritornò
alla scrivania, si sedette e mi diede una breve
occhiata rassicurante. Sembrava sicuro di sé, come se tutto
fosse programmato.
Sapevo che non
lasciava niente al caso, ma c’ero finita dentro e avevo
pagato.
Si
affrettò a digitare sulla tastiera del portatile, il
tizio era alle sue spalle assorto a guardare il laptop credendo di
portare a
casa le password.
Holmes
urtò il suo ombrello, rimasto appoggiato vicino alla
sedia e lo afferrò per non farlo cadere. Nello stesso
istante due fumogeni
rotolarono da sotto la porta.
Mycroft si sfilò
di
fianco alla scrivania, prese qualcosa sotto di essa. Il fumo si diffuse
rapidamente, si distingueva poco o nulla. Due uomini armati irruppero
nella
stanza con addosso delle maschere. Il sequestratore tossiva senza
tregua, cercando
aria e strofinandosi gli occhi.
Intravidi Myc
scivolare verso di me con una maschera simile, probabilmente era sotto
la
scrivania ed era per lui, ma la mise rapido sul mio volto.
“Laura
respira, ci sono i miei uomini.” Protestai perché
lo
vidi tossire, ma lui la tenne stretta sul mio volto. Non potei fare
altro
perché ero ancora legata.
Ovunque
c’era fumo, i suoi collaboratori bloccarono il
bastardo senza tanti complimenti, e lo portarono via, mentre scalciava,
urlava
e bestemmiava cercando aria.
Uno
dei suoi uomini gli impose la maschera. Lo vidi prendere
dei profondi respiri seduto al mio fianco e mi tranquillizzai.
I
suoi occhi erano nei miei. Mi accarezzò la mano e la tenne
stretta.
“Signore,
gli ordini? Ha bisogno di aiuto medico?” Si sfilò
la maschera. “No, va tutto bene.”
Respirò profondamente prendendo aria.
“Lo voglio vivo,
devo
sapere chi lo manda.” L’uomo vestito di scuro con
un microfono all’orecchio
annuì. “E la dottoressa, signor Holmes?”
“Me
ne occupo io. Fate una bonifica veloce.”
Era preciso e rapido nel dare ordini. Non
l’avevo mai visto così autorevole, sembrava
un’altra persona, un po' mi spaventò.
“È
finita Laura. Sei
tornata troppo presto, mi dispiace.” Tossì un po',
ma la stanza era stata
arieggiata e si avvicinò premuroso. Mi tolse la maschera.
“Respira ora, c’è
aria pulita.”
Non
riuscii a trattenermi, e lo assalii subito. “Lo sapevi vero?
E per quello che volevi restassimo fuori di più. Se solo
fossi stato più
chiaro… se mi avessi dato fiducia…”
Lui annuì
lentamente.
“Speravo non tornassi così presto. Non correvo
inutili pericoli, ma con te
dentro le cose sono cambiate.”
Intanto
mi esaminava, mi liberò le braccia delicatamente.
Ma reagii malissimo,
lo coprii di insulti, lo colpii sul petto con la mano sana. Urlai e mi
disperai
minacciando di ucciderlo, mentre sfogavo la mia rabbia mista alla paura
che
avevo dentro.
Ma
lui non indietreggiò di un passo, mi abbracciò
con forza,
mentre mi portava nella stanza di servizio del personale e mi fece
stendere sul
divano. Ero spossata, arrabbiata, ma soprattutto terrorizzata per
averlo visto
in pericolo.
Sentivo
l’odore del sangue e il bagnato sul collo, e tutta
la tensione accumulata mi fece capitolare, chiusi gli occhi e mi
abbandonai a
lui. Lo sentii fremere.
“Laura,
guardami, stai bene?” La voce era preoccupata, mi
scosse dolcemente. “Ti
prego continua a
insultarmi. Lo preferisco.”
Prese
delle garze e cominciò a tamponare il taglio con
decisione. Mi contorsi un poco per il dolore e mi lamentai per la sua
irruenza.
“Fa piano, Gesù! Così mi fai
male.”
Allentò
la mano. “Non è profondo, tranquilla, ma sanguina.
Cosa devo fare?” Mi
guardò con gli occhi
smarriti. “Forse è meglio chiamare i
soccorsi.”
Mi resi conto che si
stava perdendo, l’Ice man era in difficoltà.
Nei suoi occhi vidi passare il dubbio, si tormentava la
mascella. Così
mi calmai e decisi di aiutarlo. “Myc,
non sai disinfettare una ferita?”
Gracchiai irritata. Si
fece
coraggio, mi fissò e annuì.
Prese
la cassetta del pronto soccorso. Si tolse la giacca
arrotolò le maniche della camicia e disinfettò le
mani. Cominciò
a pulire con cura la ferita. Mi
osservava, ad ogni mia piccola smorfia di dolore si fermava. Poi cercò di
unire i lembi del taglio. Ma
brontolò. “Ci vorranno dei punti, sei tu
il medico! Chiamo
John o Molly. Io non
lo so fare.”
Sorrisi,
perché lo sorpresi con le mani tremanti, le presi e
le strinsi, cercai di rassicurarlo.
“Prendi uno specchio dentro il mobile dello
studio e portalo, Ti guido
io.” Ero tranquilla, aggrottò la fronte non del
tutto convinto. “Va bene ci
provo se ti fidi di me.” Lo fulminai. “Dopo quello
che mi hai fatto? Devo per
forza.”
I
suoi occhi mi rimbalzarono addosso. “Mi dispiace.”
Mormorò, così flebilmente che quasi non lo
sentii, si girò e tornò poco dopo.
Sistemai lo specchio, e lo guidai. Gli spiegai come applicare i punti
adesivi.
Il
taglio non era profondo, era di circa cinque centimetri,
netto e pulito. Molto
basso alla base
del collo, probabilmente la cicatrice sarebbe rimasta.
Mycroft
fu preciso, mentre gli davo le istruzioni e lui le
seguiva attento. Non tremava più, ma era nervoso, un piccolo
tic gli era
comparso sul labbro superiore. E sudava.
“Tranquillo,
vai bene, sei bravo.” Lo rassicurai come
potevo. “Un po' meno come “friends” e
questa ferita me lo ricorderà.”
Rabbuiò
in volto, non riuscì a rispondermi. Sembrava
meditare mentre riponeva la cassetta del pronto soccorso. “Metterò
fine a tutto questo Laura, sono
stato uno sconsiderato. Partirò.”
La
voce tradì una strana rassegnazione.
Cercai
di sedermi sul lettino, la spalla mi doleva, ma non
era lussata, con un paio di antidolorifici sarebbe stata a posto.
Lo
fissavo con le spalle curve e sentii una preoccupazione
sottile percorrermi. “Che intendi dire per partire? Sembri
sconfitto, ti sei
arreso?”
“Già,
forse lo sono, visti tutti i pericoli che ti ho fatto
correre. Devo andare alla fonte di tutti questi problemi e devo
muovermi
io.” Si
girò per aiutarmi a rimettermi
in piedi, mi scortò fino alla poltrona.
Sembrava
improvvisamente invecchiato. Prese a girare per la
stanza.
“Mycroft
hai solo sbagliato a non dirmelo, lo fai spesso per
proteggere le persone, preferisci non coinvolgerle.”
Il volto fu percorso
da un rimpianto mai passato. “Già, come per mia
sorella Eurus. I miei genitori
non me l’hanno ancora perdonato.”
Agitò
la mano come per allontanare un fantasma.
Sapevo cosa aveva fatto per tenere protetta la famiglia da
lei.
“Ora
basta! Non cambierai il tuo atteggiamento. Sei così e
rimarrai tale. Iperprotettivo e anche arrogante.”
“Hai
ragione, lo sono, soprattutto arrogante.” Tentennò
mentre decideva cosa fare.
Ero sporca di sangue,
la camicia era imbrattata, non potevo rimanere così.
Lui
aveva acquistato serenità, smise di girare per la stanza
come un animale in gabbia, aveva trovato una soluzione.
“Ti
porto a casa mia a Pall Mall, ti prendi mezza giornata.
Avviserò Molly.”
Non
feci in tempo a protestare, la ferita e la spalla si
fecero sentire, lo vidi parlare al telefono, venne verso di me.
“È tutto
sistemato, Anthea farà il resto.”
Tentai
di oppormi, ma la stanchezza si fece sentire tutta.
“Avanti
non essere testarda come sempre, vieni con me!” Stavolta me lo
ordinò.
Lo
avrei preso volentieri a schiaffi se solo la spalla mi
avesse retto. Eccolo lì che ci ricadeva! Lui decideva sempre
tutto e anche la
vita degli altri.
“Mi
hai messo in pericolo, e mi chiami testarda? Hai una
bella faccia tosta!” Ero amareggiata dal suo comportamento
così strafottente.
Mi
fissò silenzioso, poi mi prese per la vita e mi sostenne.
“Discuteremo
in seguito, ora dammi la possibilità di
curarti, quando ho avuto la febbre io te l’ho data.” Ero senza forze, mi
lasciai andare, lui mi
strinse di più.
“Ti
porto a casa, mi prenderò cura di te, è il minimo
che
possa fare. Ma soprattutto ho voglia di stare in tua
compagnia.” Mi sorpresi
per l’ultima frase.
Sicuro
che non ruzzolassi a terra, prese la giacca mi aiutò
a indossarla, si caricò la mia borsa e sempre tenendomi per
la vita mi portò
all’auto.
Albert
ci venne incontro e sussultò quando mi vide, cercai
di convincerlo che stavo bene, ma mi uscì una affermazione
talmente debole che
feci peggio.
Mycroft
mi accomodò dietro, poi salì e mi fu affianco.
Istintivamente
appoggiai la testa sulla sua spalla. Mi
protesse con la sua mano, e mi tenne vicino. L’altra la
portò sul mio braccio
dolorante. Sentii il suo odore, sapeva di tabacco, forse fumava anche
se non
l’avevo mai visto. Il profumo di biancheria pulita. Persi
ogni ritegno per
tutto lo stress accumulato. e piansi piano, ma temendo di infastidirlo,
cercai
di scostarmi un po' più in là.
“No,
Laura, rimani, sono stato io a portarti a questo.” Mi
abbracciò forte, e mi tenne con lui. Aveva cominciato a
caricarsi di tutte le
colpe. Non c’era nulla da fare, era Mycroft con
l’armatura lucente, pronto a
sacrificarsi per le persone che amava
Sapevo
che invadevo la sua zona confort dove non permetteva
a nessuno di entrare. Eppure mi avvolgeva di calore, mi sentii meglio,
rimasi
con la testa affondata a bagnargli la giacca costosa. Mi diede il tempo
di
decomprimere.
“Stai
bene?” Mi sollevò il volto e tolse di tasca il suo
prezioso fazzoletto, quello che non usava mai, asciugò le
mie lacrime.
“Sei
un bastardo Myc, mi fai stare male, eppure è qui che
voglio essere.” Tra
una lacrima e un
sorriso mi uscì un mormorio rauco. Mi sorrise dolcemente,
nascondeva il rimorso
negli occhi.
“È
vero Laura, sono un bastardo, non merito la tua amicizia.” Ma non era amicizia quella
che provavo in
quel momento era di più. Avevo paura che lo capisse,
allentai il suo abbraccio.
Ma
eravamo pericolosamente vicini, il suo volto era lì a
pochi centimetri. Provai l’impulso di baciarlo.
“Myc,
non essere stupido? Pensi davvero che questa sia
amicizia? Sei troppo intelligente, sai quello che proviamo.”
Si
fece serio, ma mi tenne più forte, fece per dire qualcosa
mentre era indeciso. “Laura, io non voglio forzarti. Ho poco
da offrirti se non
pericoli e incertezze.”
Lo
sentivo vibrare, mentre sul volto gli passava la vita
intera, piena di rinunce, di solitudine, di dolorosi rimpianti.
Gli accarezzai la
guancia, scivolai con la mano sulla nuca, gli sfiorai i capelli corti e
lo
percorsi lentamente.
Ci
avvicinammo di più, desiderosi, le labbra vicine. Fu un semplice
appoggiarsi, poi la voglia di
conoscerci, di assaporarci fu irrefrenabile e il bacio divenne
profondo,
liberatorio.
Mycroft
era rilassato, per la prima volta lo sentii mio, era
dolce e abbandonato. Niente più mura alte e invalicabili,
ora era soltanto un
uomo emozionale. I nostri occhi chiusi mentre imparavamo
l’uno dall’altro. Ci
staccammo quasi senza fiato, mi teneva il volto fra le mani, mi
guardava perso
dentro ai miei occhi, io dentro ai suoi.
“Laura…”
Mormorò.
“Mycroft…”
Sorrisi…