Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: J Stark    16/06/2021    0 recensioni
Cosa succederebbe se inaspettatamente ti ritrovassi nel mondo dell'Attacco dei Giganti? Conoscendo la storia agiresti per cambiare gli eventi o lasceresti che facciano il loro corso? Assisteresti da spettatrice/spettatore alla morte dei tanti personaggi o cercheresti a tutti i costi di salvarli?
Ti invito a scoprirlo unendoti all'avventura di Carol, la protagonista di questa storia.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Carol non ce la faceva davvero più, non c’era muscolo del suo corpo che non implorasse pietà ed era talmente sudata che la maglietta le si appiccicava addosso.
Levi, che dopo l’incontro con Shadis non sembrava affatto di buon umore, aveva deciso di farle pienamente recuperare il tempo perso quella mattinata.
Dopo tre ore di intenso allenamento lei aveva però decretato la fine di quell’estenuante sessione sdraiandosi sull’erba e non aveva alcuna intenzione di alzarsi.
Il Capitano, fresco come una rosa, la guardava accigliato pur consapevole che insistere non gli sarebbe valso a nulla.

«Tu sei pazzo, una persona normale non può tollerare un ritmo del genere, sono distrutta» ansimò la ragazza tirandosi su a sedere.

«Distrutta? Ma se hai avuto l’intera mattinata per poltrire» la rimbeccò lui scrutandola a braccia conserte.

«E chi ha detto che ho poltrito?»

«Allora che hai fatto, ti sei alzata presto e sei scesa ad allenarti? Oppure hai dato una pulita alla stanza?»

«Beh no…»

«Dunque hai oziato» sogghignò Levi dimostrando di averla smascherata e guadagnandosi un sonoro sbuffo da parte di lei.

«Non mi hai nemmeno raccontato come è andato il colloquio con Shadis»

«Tanto sai già tutto, l’hai detto tu stessa»

Carol alzò le braccia al cielo in segno di esasperazione

«Ma cosa vuol dire, si chiama “fare conversazione”»

«Si chiama “sprecare fiato inutilmente”» rispose lui impassibile e seccato come sempre, facendole intendere che cercare di farlo parlare sarebbe stata una battaglia persa in partenza.

«Allora cosa ne pensi dei miei progressi?» proseguì lei senza demordere, rimettendosi in piedi e cercando con espressione schifata di staccarsi dalla pelle il tessuto fradicio della maglietta.

«In una settimana di addestramento non si fanno miracoli, però devo ammettere che ormai hai appreso le basi»

La giovane si portò le mani alle guance strabuzzando gli occhi in una plateale e voluta espressione di stupore.

«Mi hai appena fatto un complimento?»

Ma Levi a dispetto delle altre occasioni questa volta non resse il gioco

«Tsk, se sono i complimenti che cerchi hai sbagliato persona e mondo. Qui combattiamo per sopravvivere, non abbiamo di certo tempo da perdere in fronzoli o carinerie»

Carol aveva posto la domanda con tono scherzoso per stuzzicarlo, ma quella fredda replica bastò a spegnere il suo entusiasmo facendola indispettire non poco.

«Stare un po’ agli scherzi non ti ucciderebbe mica sai? Risulteresti anche più simpatico» sbottò seccata chinandosi a raccogliere la propria attrezzatura.

«Non mi interessa piacere alla gente. Dovrei essere più affabile per chi, per quelli come te che si divertono a leggere delle nostre disgrazie e vivono con il sedere al caldo?» sibilò lui riservandole uno sguardo sprezzante.

Carol rimase a bocca aperta di fronte a quell’improvvisa insofferenza, non capendone il motivo dal momento che non le sembrava di avergli recato offesa. 
E benché consapevole che quello fosse un esempio del tipico meccanismo di difesa di Levi, non riuscì a perdonargli tale atteggiamento.

«Che cazzo vuoi dire, che solo perché nel mio universo non ci sono i giganti allora non abbiamo pericoli e viviamo tranquilli? Tu non sai nulla di me!»

Il volto del Capitano si rabbuiò in un istante

«Né tu di me»

Lei ormai aveva le lacrime agli occhi per la rabbia, ma nonostante ciò trovò la forza di sfidare quell’espressione glaciale.

«Ora me ne andrò a darmi una ripulita, perché la conversazione sta degenerando e non voglio litigare»

Era quello che avrebbe voluto dire.

Quello che disse invece fu ben altro.

Coprì con due falcate la breve distanza che la separava da lui, piantandoglisi davanti.

«Se abbandonassi per una volta questo tuo carattere perennemente incazzato ti accorgeresti del grande affetto che sei in grado di donare, qualcuno potrebbe persino innamorarsi di te.
Invece preferisci nasconderti dietro la fottuta corazza che ti sei costruito e chiudere fuori tutti.
E sai qual è la verità?»

Carol aveva il volto cremisi per la foga ed il naso era ad un palmo da quello di lui, tanto vicini da poter avvertire sul viso l’uno il respiro dell’altro. Lui nonostante fosse rimasto sorpreso dall’inaspettato sfogo della giovane era riuscito a non darlo a vedere.

«Tu hai paura Levi, una paura fottuta»

Pronunciò quelle parole scandendole una per una e lasciandole aleggiare nell’aria, come la profezia di una vecchia strega la cui certezza non si osa mettere in dubbio.

Le pupille del Capitano vibrarono e si dilatarono solo per una frazione di secondo, ma tale mutamento non sfuggì alla ragazza che ritenne conclusa vittoriosamente la propria arringa.

Senza nemmeno dargli modo di ribattere girò i tacchi lasciandoselo alle spalle.

Si sentiva ribollire e non capiva se provasse rabbia per lui o verso sé stessa, per aver pensato di potersi integrare bene in quel mondo, per essersi illusa di poter stringere un legame con lui.

L’unica cosa che voleva fare in quel momento era tornare a casa.

Levi nel frattempo era ancora lì dove la giovane l’aveva lasciato, per l’ennesima volta in una settimana ammutolito e scombussolato da quanto lei aveva detto.

Un luccichio attirò la sua attenzione, la spilla di Carol brillava a terra tra l’erba e sembrava giudicarlo severamente.
 





 
L’acqua calda del bagno aveva placato l’animo di Carol, che decise di non permettere alla collera di rovinarle la giornata.

Voleva godersi gli ultimi residui di calore del sole autunnale esplorando i dintorni del Quartier Generale.

Ormai mancavano due giorni alla partenza per Shiganshina e l’aria fremeva per l’agitazione dei soldati intenti negli ultimi preparativi.

Mentre osservava quei giovani militari si ricordò delle nuove rivelazioni di quella mattina e sentì un’improvvisa ansia stringerle il petto.

Sarebbe davvero riuscita a salvarli?

Spettatrice o protagonista?

Cominciava a comprendere l’entità del peso che Erwin portava quotidianamente sulle proprie spalle, non avrebbe mai voluto avere sulla coscienza la morte di qualcuno, il doversi confrontare con il dolore straziante di intere famiglie distrutte, lordarsi le mani di lacrime e sangue.

Scosse la testa nel tentativo di scacciare quegli oscuri fantasmi, come se davvero fosse così facile sbarazzarsene e prese il sentiero lastricato che dal cortile conduceva verso i giardini della caserma.

Lanciò un’occhiata al campo di addestramento, forse nella speranza di scorgere Levi, ma di lui non c’era traccia. Era dispiaciuta per le dure parole che si erano scambiati poco prima, tuttavia ringraziò mentalmente per l’assenza di lui poiché in quel momento non se la sentiva di intavolare un’altra conversazione.

Uno scenario fiabesco, con filari di alberi multicolore si stagliava davanti ai suoi occhi.

Le foglie secche si staccavano da quelle chiome scosse dal vento, vorticando nell’aria prima di posarsi a terra dove creavano un variopinto mosaico.

In fondo al prato, seduto all’ombra di un magnifico acero rosso ed immerso nella lettura di un libro, vi era Armin.

Carol si avvicinò al ragazzino, il quale non appena si accorse di lei sollevò lo sguardo dal volume rivolgendole un allegro saluto.

«Posso sedermi?» domandò lei indicando l’erba accanto al biondino.

«Ma certo» le rispose lui con la sua voce cristallina.

Carol prese posto sedendosi sulla giacca della divisa per evitare che il terreno umido le sporcasse i pantaloni.

L’occhio le cadde sul tomo rilegato in cuoio che l’amico teneva tra le mani.

«Cosa stai leggendo?»

Armin protese il libro verso di lei

«É un vecchio volume appartenuto a mio nonno, parla del mondo esterno!» disse elettrizzato, felice che lei avesse espresso interesse verso la sua lettura.

Carol ne sfogliò delicatamente le pagine, affascinata dai disegni dai colori brillanti che raffiguravano luoghi esotici, pensando che in fondo quelle rappresentazioni non erano molto lontane dalla realtà.
Quello doveva essere il libro che Armin aveva mostrato gelosamente solo ad Eren e Mikasa, e si sentì speciale per il fatto che l’avesse condiviso anche con lei pur conoscendola da pochi giorni.

«È davvero un libro prezioso»  

Un ampio sorriso illuminò il volto del ragazzino, grato che qualcun altro avesse riconosciuto la bellezza racchiusa in quelle pagine.

«Sai, io credo davvero all’esistenza di quei luoghi. Prima ancora di poterli vedere di persona io sono fermamente convinto che là fuori oltre queste alte mura ci siano immense distese di sabbia, continenti di ghiaccio…ed il mare» decantò lui volgendo lo sguardo davanti a sé verso la foresta, ma la ragazza sapeva che in realtà esso si stava posando ben oltre l’ampia distesa di alberi.

Quei fulgidi occhi azzurri avevano oltrepassato il Wall Maria ed erano già là, su quelle bianche sponde a contemplare le cristalline acque dell’oceano di cui tanto amava parlare.

Carol si lasciò ammaliare da quelle iridi celesti così diverse da quelle di Erwin eppure cariche della stessa luce, della stessa fame di conoscenza.

Eren aveva ragione, negli occhi di Armin c’era davvero un bellissimo sogno.

La giovane avvertì ancora la medesima stretta al cuore di poco prima e la consapevolezza dell’imminente catastrofe si fece nuovamente strada nella propria mente.

Lui era uno dei personaggi che amava di più ed essere a conoscenza delle sue sofferenze future la rattristava.

Quel ragazzino minuto così sottovalutato da tutti e soprattutto da sè stesso, che in quel momento era così felice di confidarle il proprio sogno, non aveva idea del dolore e della disperazione dei quali di lì a pochi anni sarebbe stato testimone.
Il pacifico Armin che credeva fermamente ci fosse sempre un’alternativa alla violenza, alla guerra, presto avrebbe visto la propria incrollabile fede capitolare di fronte agli errori ed orrori di Eren. 
Lui che da sempre era considerato “debole” si sarebbe ritrovato con la responsabilità del ruolo di Comandante sulle proprie spalle e con il compito di salvare il mondo.

Un’improvvisa folata di vento agitò le fronde dell’acero facendo cadere a terra alcune foglie, Armin ne raccolse una e la contemplò con espressione infantile, assorto nei propri pensieri.

“Un giorno, prima del tramonto del sole noi tre abbiamo fatto una gara verso l’albero sulla collina.
Eren, che ebbe l’idea, iniziò subito a correre e Mikasa gli andò immediatamente dietro.
Ovviamente io ero ultimo.
Ma c’era un bel vento quel giorno ed era piacevole anche solo correre così.
Cadevano molte foglie e…proprio in quel momento, per qualche motivo pensai che forse, la ragione per cui ero nato era per fare quella gara con loro.
Pensai la stessa cosa mentre leggevo un libro in un giorno di pioggia, quando uno scoiattolo mangiò le noccioline che gli avevo offerto e anche mentre facevamo un giro insieme al mercato.
Pensai che quei momenti felici sarebbero diventati preziosi.
Questa foglia l’ho trovata nascosta nella sabbia e ai miei occhi, anche se non c’è bisogno di qualcosa di simile per potersi moltiplicare, rimane qualcosa di incredibilmente prezioso.”

Il ricordo del dialogo tra lui e Zeke balenò nella mente di Carol.

«Hai ragione Armin, quei luoghi meravigliosi esistono»

Il biondino la guardò attentamente, stupito da quella frase.

«Il giorno in cui li vedrai di persona imprimiti quelle immagini negli occhi e nel cuore. Promettimi che quando le cose si faranno difficili, quando la speranza vacillerà e tutto sembrerà perduto, tu ripenserai a quel momento. Non permettere mai alle sofferenze ed alle cattiverie di questo mondo di offuscare la purezza della tua anima e la bellezza del tuo sogno.
Promettimelo, Armin» concluse lei con gli occhi umidi di lacrime.

«S-Sì, lo prometto» rispose lui perplesso, non riuscendo ad afferrare appieno il vero significato di quelle parole, ma sentendo nel profondo del proprio cuore che esse dovevano essere custodite e mai dimenticate.

La giovane lo strinse in un vigoroso abbraccio.

Nell’innocenza di Armin rivedeva molto di sé stessa ed avrebbe voluto proteggerlo da ogni male come una sorella maggiore farebbe con il proprio fratellino.

«Ti ringrazio per le belle parole Carol, farò tesoro di quanto mi hai detto»

«Sono io a doverti ringraziare, mi hai insegnato tanto…e sei incredibilmente più forte di quanto immagini» e detto questo si rialzò, imboccando la strada di ritorno alla caserma sotto lo sguardo di un ancora più frastornato Armin.

 
 
                                                                                            
Mentre si avvicinava al cortile di fronte alle stalle udì due inconfondibili voci immerse in una concitata conversazione.

«Caposquadra Hange le ho già detto che deve fare attenzione quando maneggia le lance fulmine! Sa bene che è estremamente facile azionarne il detonatore!» urlava inquieto Moblit con le braccia protese verso la bruna nel tentativo di toglierle di mano l’ordigno.

«E su Moblit, ti ripeto che non devi preoccuparti, rilassati è tutto sotto controllo» replicò Hange agitando nell’aria la lancia fulmine come se fosse lo scettro di uno stregone.

Il povero assistente si mise le mani nei capelli e Carol lo guardò con tenerezza.

Leggendo il manga e seguendo l’anime aveva sempre pensato che tra quei due ci fosse una chimica che andasse ben oltre una semplice amicizia ed ora, osservando il loro rapporto di persona, sentì di poter confermare con una certa sicurezza la propria ipotesi.

Decise comunque di intervenire in aiuto di Moblit prima che al soldato venisse un infarto… e prima che Hange facesse esplodere il Quartier Generale.

«Ancora a collaudare le lance fulmine Hange? Credevo che ormai avessi concluso gli esperimenti!» esordì avvicinandosi al dinamico duo e catturando l’attenzione della donna.

«Carol che piacere vederti! È più forte di me, non riesco a fare a meno di ammirare quotidianamente questi gioiellini» rispose euforica la quattrocchi, porgendo distrattamente all’assistente la letale arma.

Moblit l’afferrò immediatamente, sospirando sollevato e lanciando un cenno di ringraziamento in direzione della bionda prima di dileguarsi per mettere al sicuro la lancia.

Una volta rimaste sole Hange le si accostò e facendole l’occhiolino si lanciò in una discussione che Carol non aveva la minima voglia di intraprendere, soprattutto con quella mente così perspicace.

«Piuttosto, ho sentito che gli allenamenti con Levi procedono bene…»

La ragazza si sentì avvampare di fronte a quella velata allusione e cercò di nascondere il proprio imbarazzo dietro una finta nonchalance, voltandosi ad accarezzare uno dei cavalli vicini.

«Secondo il Capitano sono discretamente brava per una che non ha mai combattuto dei giganti in vita sua»

Ovviamente ad Hange non era sfuggito il repentino cambio di colore sul suo volto e sogghignò soddisfatta tra sé, desiderosa di andare più a fondo.

«Ben più che discreta, direi. Il nanetto non è tipo da dispensare molti complimenti, eppure con te è diverso» continuò lei, inclinando la testa di lato intenta a cogliere ogni minima reazione della bionda.

Carol rimase in silenzio fingendo di non badarle, seguendo con le dita la linea bianca sul muso dell’animale. Avvertiva lo sguardo indagatore della Caposquadra su di sé e quando se la ritrovò accanto capì che ormai era troppo tardi per sottrarsi a quell’oculata tortura.

«Gli devi piacere davvero molto per condividere il suo prezioso the nero. Sai che lo nasconde sempre in un posto diverso? E come si arrabbia se qualcuno osa rubarglielo, tiene il conto di ogni filtro…»

“Maledizione”

«Immagino lo faccia perché sa che non rimarrò nei paraggi tanto a lungo da finirglielo» cercò di sdrammatizzare Carol sperando di mettere un freno alla prepotente curiosità della bruna.

Hange proruppe in una grassa risata, quasi le vennero le lacrime agli occhi.

«Chissà» ridacchiò mentre si puliva gli occhiali con un lembo della camicia, esaminandoli poi in controluce «probabilmente siete così simili da ricercare istintivamente la compagnia l’uno dell’altro».

Carol trattenne il respiro a quelle parole.

«Ad ogni modo, fareste meglio a darvi una mossa. Siamo in guerra dopotutto» concluse la donna con un sorriso sardonico, assestandole una leggera gomitata nelle coste ed avviandosi poi verso l’interno del Quartier Generale.

«Non so proprio di che parli Hange» le gridò la ragazza riscuotendosi dal tentennamento.

«Cooome no… a più tardi cara» ribattè l’altra con un cenno della mano senza voltarsi, lasciando Carol sola con i cavalli e con i propri pensieri.  

“Touché” riconobbe lei mentre allungava una carota al nero destriero nel box alle sue spalle.

In fondo, a chi voleva darla a bere?

La vicinanza che si era creata con Levi non aveva fatto altro che intensificare i sentimenti che lei già provava per lui.

E nonostante avessero litigato poche ore prima le cose non erano affatto cambiate.

Dovette ammettere a sé stessa che le parole di Hange la lusingavano, la Quattrocchi conosceva benissimo il Capitano ed il pensiero che lui davvero potesse ricambiare i suoi sentimenti le accendeva il cuore di gioia.

Ma a che servirebbe dichiararsi, se poi a distanza di pochi giorni sarebbe tornata a casa, sparendo per sempre?

Solo a complicare le cose, ecco a cosa servirebbe.

Come se già la situazione non fosse abbastanza ingarbugliata, ci mancava solo aggiungerci i sentimenti di una ragazza nerd innamorata di un personaggio fittizio.

«Sono davvero nei guai eh, bello?» chiese sconfortata rivolta al cavallo. L’animale emise un potente nitrito di risposta, strappandole un sorriso.

«Hai proprio ragione»
 
   
 
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