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Autore: Pol1709    19/06/2021    1 recensioni
Bentrovati a tutti.
Questa storia è la continuazione de "Il Cavaliere e la Strega", ma si svolge nell'epoca di Oscar. Quest'ultima, dopo aver detto addio alla Guardia Reale, a Conte Fersen ed aver litigato con André (il famoso episodio della camicia strappata...) passa un periodo di riposo in Normandia prima di prendere il comando delle Guardie Francesi di Parigi. Lì viene coinvolta, a causa di una vecchia avversaria, nella caccia a una antica e potentissima arma, inseguita dagli agenti inglesi e affiancata da una antica nemica/amica.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Britannia – Primo secolo d. C.
La tempesta era arrivata. Prima del previsto. I romani con le loro grandi navi erano arrivati in una mattina assolata sulla costa e lì erano rimasti. Una volta costruiti i loro accampamenti simili a fortezze e ad una velocità incredibile si erano allargati come una macchia d’olio nella Britannia, eliminando chiunque ponesse loro resistenza.
E tra quelli c’era stato pure suo padre. Faerghal aveva condotto i suoi guerrieri contro le legioni. E aveva perso. Aveva perduto una mano e la libertà del suo popolo, come molti altri capi. Ma ai romani non bastava, avevano le loro tradizioni e le loro consuetudini e volevano umiliare gli sconfitti. I capi delle tribù dovevano presentarsi tutti al loro campo principale e rendere omaggio, inchinandosi, al loro capo, quello che chiamavano Imperator o semplicemente Cesare Claudio.
Durante le ostilità lei aveva seguito gli ordini di suo padre e si era sposata con l’uomo che la sua famiglia aveva scelto, un nobile guerriero della tribù degli Iceni. Quando il Re Antedio, unito con gli altri contro i romani, fu sconfitto, fu scelto suo marito come nuovo sovrano ed alleato dei nuovi padroni della Britannia. Quando le ostilità cessarono lei, come tutte le altre mogli dei Re sconfitti, avrebbe dovuto presentarsi alla base dei romani per inginocchiarsi davanti al loro Imperatore in segno di sottomissione.
Quello che i soldati di Roma avevano costruito era sbalorditivo. Il loro campo principale era stato eretto in brevissimo tempo con palizzate in legno ed alte torri e quando lei passò l’ingresso principale, finalmente vide i nuovi padroni della Britannia. Non aveva mai visto prima i nemici; al suo villaggio era arrivato un drappello a cavallo di quelli che venivano chiamati auxiliarii. Non erano romani, ma erano milizie arruolate nei territori sottomessi. Sorridevano, si sforzavano di essere gentili, alcuni parlavano la loro lingua perché venivano da quel territorio che i romani chiamavano Gallia ed erano Celta. Altri venivano dalla Grecia, altri avevano la carnagione leggermente più scura e venivano dall’altra parte del Mare di Mezzo, da quel grande continente chiamato Africa e uno di loro aveva persino la pelle scura come il carbone.
Ma coloro che vedeva in quel momento erano ben diversi. Erano veri legionari romani, marciavano con lo stesso passo, tutti con le stesse armi, con un grande scudo rettangolare in una mano e una lunga lancia nell’altra. E sotto i loro elmi poteva vedere solo occhi glaciali, duri, bocche senza alcun sorriso e sentire un terribile fetore di aglio al loro passaggio. Poi anche lei guardò meravigliata il mostro. Chiuso in un recinto accanto all’immensa tenda rossa dell’Imperatore, c’era la creatura più grande e più brutta che avesse mai visto. Dalla pelle grigia e rugosa, con quattro tozze gambe e un corpo molle e rotondo, come una gigantesca palla su quattro colonne. La sua testa aveva due grandi orecchie e da sotto gli occhi spuntavano due lunghe e aguzze zanne. Un lungo tentacolo si protendeva dal centro del cranio e si muoveva saettando a destra e a sinistra. I capi tribù si fermarono sbalorditi a guardare quell’essere che il loro nuovo padrone Cesare Claudio aveva cavalcato per raggiungere la Britannia. Quando si accorse di essere osservato l’essere allargò le orecchie, sollevò la testa e il tentacolo emettendo un verso orribile.
Il mostro però, a parte muoversi aventi e indietro ed emettere quel verso stridulo, non sembrava pericoloso, a dispetto della sua mole. Dalla grande tenda uscì finalmente un romano, un ufficiale con un mantello rosso sulle spalle, una corazza finemente lavorata sul petto e un elmo crestato di piume rosse. Con l’aiuto dei legionari divise gli sconfitti in maschi e femmine e li fece entrare.
Se l’esterno della tenda evocava magnificenza, l’interno era sontuoso. Ai lati erano state sistemate delle statue di bianco marmo raffiguranti gli dei romani, intervallate da bracieri di metallo. Davanti a loro c’erano dei lunghi tavoli in cui in nuovi padroni avevano sistemato un banchetto in onore degli sconfitti, con carne, pesce e prelibato vino delle terre del sud. In fondo alla tenda lei vide, finalmente, il capo supremo di quel popolo guerriero: Claudio era assiso in un grande trono dorato, vestito con una toga di porpora bordata d’oro. Uno dei suoi piedi era in avanti, pronto per essere baciato dai capi tribù sottomessi e sulla testa portava una corona di foglie dorate. Dietro di lui c’era la statua di un uomo barbuto che brandiva quella che sembrava una saetta e accanto c’erano le insegne delle legioni vittoriose; aquile ad ali spiegate che guardavano dall’alto l’ennesimo popolo sconfitto. Lei piegò la testa di lato e aggrottò la fronte, si era immaginata l’Imperatore come un colosso muscoloso che li avrebbe accolti in armatura, ma quello che vedeva era il volto di un vecchio e nemmeno bello; era squadrato, con un occhio leggermente più basso dell’altro e aveva persino le orecchie a sventola, come il grande animale che aveva cavalcato per arrivare in Britannia e che invano i suoi capelli raccolti a boccoli cercavano di nascondere.
Guardò la donna accanto a lei, era anche lei vecchia, ma alta e con la schiena dritta e sul volto aveva dei disegni blu. Lei aggrottò la fronte, quelle che vedeva erano pitture di guerra, come mai i romani le avevano permesso di tenerle? La donna si accorse del suo sguardo e sorrise – Uno crede che i padroni del mondo abbiano come capo un vero e proprio dio…Ma quello…Bah! Per fortuna sarà mio figlio che si inginocchierà a baciargli i calzari –
Lei aggrottò di nuovo la fronte e la donna scrollò le spalle – I romani non vogliono delle donne al comando…Io sono…Ero una Regina e ho dovuto lasciare il titolo di Re al mio secondo figlio, il mio primogenito è morto in battaglia, non prima di aver mandato ai loro inferi tre legionari. Il mio secondogenito invece…Secondo loro è più degno di essere chiamato amico di Roma e quindi di regnare –
Un’altra donna, dietro di loro, si piegò in avanti – Amico di Roma vuol dire schiavo di Roma – sussurrò.
La vecchia Regina annuì – Si! Sono venuti qui, ci hanno tolto ogni libertà e adesso ci trattano…Da amici! Tu sei la moglie di Prasutago, non è vero? Gli hai dato una figlia qualche anno fa, ma vedo che il nuovo amico di Roma si è già dato da fare – disse e gli indicò il ventre che si stava già gonfiando per la gravidanza.
Lei annuì e abbassò la testa E’ la mia seconda…La mia terza gravidanza. Il nostro primogenito è nato morto –
La donna dietro di lei si avvicinò di nuovo – Un amico di Roma…Non dovresti avere problemi quindi –
Lei strinse le labbra, che diritto avevano di giudicarla? Suo marito aveva seguito sempre il suo Re, ma aveva anche sempre dichiarato che, anche se uniti, tutti i Britanni non avrebbero mai potuto sconfiggere i romani ed aveva avuto ragione. Era forse un male pensare al futuro del suo popolo e della sua famiglia cercando di venire a patti con i nuovi padroni?
La Regina guerriera sospirò – Ho sentito parlare di te. Lo sai? Io e tuo padre ci siamo combattuti…Anche aspramente, e mi mancherà il nostro vecchio mondo e mi dispiace di lasciare te e tutti gli altri in questo…Quello in cui dovrai vivere, ragazza mia – disse e gli mise una mano sulla spalla – Ti auguro di essere serena – aggiunse solo.
Quando anche l’ultimo sovrano amico si fu inchinato l’Imperatore Claudio si alzò dal suo trono e sollevò una mano pronunciando alcune parole in latino, la lingua dei romani. Lei notò che persino la sua voce aveva qualcosa di sgraziato; un uomo, vestito con quello strano abito che veniva chiamato toga, accanto a lui, tradusse le parole nella lingua Celta: era un semplice benvenuto e un invito al desco gentilmente offerto.
Al momento del pasto poté finalmente riunirsi con il suo sposo. Lo guardò, era così alto e fiero nel suo aspetto di Re degli Iceni che provò un moto d’orgoglio e sentì muovere la creatura nel suo ventre. Lui sorrise  - Cosa ti succede? –
Lei scrollò le spalle – Tuo figlio scalpita per uscire mio Re –
Prasutago appoggiò una mano sulla sua – Si Mia Signora e, vogliano gli dei, vivrà in una terra pacifica e prospera e regnerà sul nostro popolo –
Lei sorrise e annuì. Guardò verso il trono di Claudio e, più indietro, i vessilli delle legioni. Un’aquila dorata sembrava fissarla. Forse l’odore dell’incenso bruciato in onore dell’Imperatore le aveva dato alla testa, ma, alla luce dei bracieri, sembrava che gli occhi di quell’uccello inanimato brillassero di luce propria e che la trafiggessero. Rabbrividì e strinse ancora di più le mani sul ventre. Suo marito le cinse le spalle con un braccio – Hai freddo? – chiese allarmato.
Lei tentennò – Non è nulla – disse sorridendo, ma anche distogliendo lo sguardo non poté fare a meno di sentire la sgradevole sensazione di sentire su di sé degli occhi dell’aquila.
 
Inghilterra – Anno 1787 d. C.
Oscar si svegliò e guardò il soffitto bianco della stanza. Si mise seduta sul letto e si accorse di essere nuda. Strinse le labbra e si alzò tenendo saldamente nella mano la pietra rossa. Guardò il suo riflesso allo specchio, il sogno era vivido e, dai nomi che aveva colto, era certa di aver anche capito a chi si riferissero quelle immagini e chi fosse la donna di cui vedeva la vita. Si chiese se anche Jeanne de Valois avesse avuto quelle visioni o anche gli altri possessori della pietra. La rigirò nella mano e la guardò socchiudendo gli occhi: “Mia cara pietra, hai ben più di un solo segreto a quanto sembra…O forse dipende dal fatto che siamo in Inghilterra…Ma non è questo il momento di perdere tempo in illazioni” pensò e poi guardò gli abiti che avrebbe indossato quella sera.
 
Il colonnello Harrison incrociò le mani dietro la schiena e se le strinse nervosamente. Gli avevano detto dove era andata quella strana donna che si credeva un uomo e anche cosa aveva trovato e preso. Sospirò, girò lo sguardo sulla sala piena di ufficiali in attesa di andare a cena e poi guardò Lord Walsingham che sorseggiava avidamente la sua tazza di the. Il generale, con le guance rosse, sorrise amabilmente – Questa particolare miscela indiana è decisamente buona e mi dicono anche che fa bene alla salute –
Harrison strinse le labbra, dall’odore che emanava la “bevanda” doveva essere proprio buona – Posso immaginare Vostra Grazia! Anche a me ogni tanto servirebbe un goccio di quel the – disse ironicamente. Fece cenno a un cameriere che si avvicinò con in mano vassoio in cui c’erano dei calici di cristallo pieni di un liquido scuro.
Lord Walsingham sbuffò leggermente – Dovevamo proprio aprire la botte di vino Bordeaux? Con le comunicazioni navali tra noi e il continente ridotte al minimo intaccare le riserve di vino pregiato lo considero uno spreco –
Il colonnello prese il calice e sorrise – In onore del colonnello de Jarjayes, Mylord, non sia mai che un francese pensi che l’esercito inglese non dispone…Di riserve di Bordeaux –
Il generale bevve un altro sorso dalla sua tazza e poi si leccò le labbra avidamente – No! Non sia mai…Una donna che viaggia da sola…Un ufficiale donna…Ma dove andremo a finire, dico io…Far entrare le femmine nell’esercito, ma ci pensate? E come comandava la Guardia Reale? In corsetto e crinoline? – disse e rise sommessamente.
Harrison lo fissò e sospirò. Anche lui aveva fatto battute del genere arrivando a Versailles con la delegazione inglese ed era stato curioso di vedere quella sorta di attrazione alla reggia francese. In breve, però, si era dovuto ricredere. Il colonnello Oscar de Jarjayes, da donna, si comportava né più né meno che come un uomo: spiegava, comandava e pure sbraitava alle sue truppe. E le addestrava con una perizia che lo aveva lasciato sconcertato. Aveva dovuto ammettere con sé stesso e con i suoi colleghi che il Conte de Jarjayes, quello che lo Stato Maggiore inglese considerava uno dei più valenti comandanti dell’esercito francese, aveva fatto uno splendido lavoro con quella femmina. Ma per il resto doveva convenire con Lord Walsingham, Oscar de Jarjayes era l’eccezione che confermava la regola e cioè che non ci sarebbero mai state donne in nessun esercito del mondo. Lei era in quella posizione essenzialmente perché era la figlia di un nobile importante e possedeva amicizie influenti, a partire da quella con la Regina Maria Antonietta.
Improvvisamente si ricordò che, di fianco al comandante della Guardia Reale francese, c’era sempre un’altra figura, sempre in disparte, come una fedele ombra: un uomo, una sorta di guardia del corpo che veniva presentato come attendente del comandante, ma di cui non riusciva a ricordarsi il nome, eppure la sua presenza discreta accanto alla de Jarjayes era costante. Si era persino chiesto se fossero amanti e, soprattutto, dove si trovava in quel momento? A quanto ne sapeva le spie inglesi avevano visto Oscar arrivare da sola in Inghilterra e quindi dove si trovava quel suo protettore? Erano domande a cui non aveva voglia di pensare per quella sera, guardò l’orologio a pendolo alla parete e notò che l’orario comunicato al colonnello francese per scendere era appena passato. Sbuffò. Evidentemente la francese era una di quei nobili che ritenevano elegante arrivare in ritardo; oppure, come donna, anche se si comportava come un uomo, doveva finire di prepararsi. Sorrise a quel pensiero e alzò il calice per bere un sorso di buon vino quando, offuscata dal vetro, vide una figura rossa all’ingresso della sala.
Tutti gli ufficiali presenti si girarono e a Harrison mancò per un attimo il respiro. Di fronte a loro c’era Oscar: indossava dei pantaloni bianchi con alti stivali neri, un lungo gilet bianco stretto in vita da un’alta fascia rossa trattenuta da una cintura e indossava una giacca rossa dell’esercito inglese con le spalline da ufficiale.
Lord Walsingham tossì nervosamente – Ma cosa diav… -
Harrison inarcò le sopracciglia e capì subito: l’uniforme rossa non era solo quella tipica dell’esercito inglese, ma era anche il colore dell’uniforme che Oscar indossava a Versailles come comandante delle Guardie Reali. Da un lato rendeva omaggio ai suoi ospiti e dall’altro rimarcava il suo essere un ufficiale “E una gentildonna” pensò lui alzando il bicchiere in un silenzioso brindisi di resa.
Oscar sorrise con l’angolo della bocca e annuì lievemente. Avanzò di due passi nella sala e sorrise – Signori! Vi ringrazio di avermi accolto in questo splendido posto – disse e fece cenno al cameriere di avvicinarsi. Lui le andò vicino e gli porse il vassoio. Lei prese un calice e lo sollevò – Lunga vita a Sua Maestà Re Giorgio III d’Inghilterra – gridò.
Tutti i presenti sollevarono i bicchieri – Lunga vita al Re! – dissero all’unisono.
Oscar restò con il calice in alto – E lunga vita a Sua Maestà Re Luigi XVI di Francia…I nostri paesi hanno conosciuto la guerra… Ora che conoscano la pace e l’amicizia –
Gli ufficiali sorrisero – Lunga vita al Re! – dissero di nuovo insieme, forse con meno enfasi, ma a Oscar non importò. Abbassò il calice e bevve un sorso di vino – Bordeaux! Vendemmia 1783…Leggermente aspra, con un retrogusto di terra…So che in quell’anno hanno avuto delle alluvioni nella zona…Io preferisco quella del 1780, ci fu un caldo estivo fino a Ottobre in quel periodo dando all’uva un delizioso sentore zuccheroso e fruttato – disse e andò di fronte a Lord Walsingham, tenendo delicatamente in equilibrio il calice allargò il braccio, mise una gamba in avanti e si inchinò profondamente – Mylord generale, vi ringrazio di avermi invitato a cena –
Il generale respirò a fondo – Una bella entrata in scena…Colonnello…Teatrale…Come solo i francesi sanno fare! Anche se ammetto e dovete ammetterlo anche voi che vi dona quel colore, ma adesso andiamo…Ho un certo languore – disse e indicò una porta laterale.
Oscar si rialzò sorridendo e guardò Harrison – Colonnello…E’ piuttosto semplice arrivare ai vostri magazzini, comunque…Ho dovuto adattare quest’uniforme sui fianchi…Spero che non ve la siate presa –
L’altro scrollò le spalle – Come ha detto Lord Walsingham, colonnello, quel colore vi dona. Se ne avete voglia possiamo offrirvi un valletto di sala che vi spiegherà le nostre regole a tavola, posso suggerirvi il tenente Perkins? Parla un ottimo francese –
Oscar si girò a vedere gli ufficiali presenti, notò subito il gigantesco capitano che la guardava con occhi torvi e poi sorrise – Il tenente Wesley andrà più che bene –
Harrison fece un cenno nella direzione del giovane e lui, nel silenzio generale, si fece avanti e chinò la testa – Signore…Signora… - disse e si avvicinò a lei – Non mi avevate detto che eravate una donna – aggiunse sottovoce.
Lei annuì e socchiuse gli occhi – Immagino che voi, da soldato, vi comporterete come tale, non è vero tenente? –
Lui aggrottò la fronte – Assolutamente! Ma…Ecco…Volevo dire che siete una donna…Una bella donna a dire il vero…E… -
Oscar strinse le labbra – Tenente! State facendo il galante con me? Sono un vostro superiore! Gli ufficiali inglesi non sanno come si sta davanti ai superiori? –
Wesley batté i tacchi – Sissignore! –
Oscar alzò il mento e passò una mano sulle spalline del tenente – Leggermente sporche e sono storte! Nella Guardia Reale di Versailles non vi farei nemmeno uscire nella piazza d’armi! Sistematevi tenente e pure il colletto non è portato come dovrebbe! Come si conviene a un ufficiale inglese! E poi mi indichi la sala –
Wesley batté di nuovo i tacchi, fece quello che le aveva ordinato Oscar e indicò la porta laterale nella quale era entrato il generale Walsingham. Oscar entrò e Harrison gli indicò il posto alla sinistra del comandante, che era seduto a capotavola con la sua solita tazza di the. Il tenente gli tenne la sedia per farla accomodare e si trovò di fronte il colonnello.
Il generale sospirò – Spero che vi piacciano i piatti inglesi! Le consiglio di non abbuffarsi visto che abbiamo tra i secondi un tipico piatto scozzese e diverse spezie esotiche…Sapete…La nostra invincibile flotta rimane ancora la padrona dei Sette Mari e rifornisce la Madrepatria di ogni tipo di prodotto –
Oscar sorrise cogliendo la sfida di Walsingham e lo guardò – Lo sappiamo benissimo che il vostro Impero è più grande del nostro…Anche senza le colonie americane –
Harrison strinse il tovagliolo nel pugno fino a farsi male; non era sua intenzione passare la serata vigilando per evitare che una donna soldato francese e un generale ubriacone inglese si insultassero, sebbene, ammise con sé stesso, con elegante ironia.
 
Le preoccupazioni di Harrison risultarono infondate. Nel corso della cena non si verificarono episodi rilevanti, nemmeno in una dotta discussione tra Oscar e Walsingham su Enrico V, Giovanna D’Arco e la Guerra dei Cento Anni (n.d.a.: La Guerra dei Cento Anni – 1337 : 1453 – segnò la cacciata dal territorio francese degli inglesi – con l’eccezione della piazzaforte di Calais – . La guerra fu favorevole agli inglesi con la vittoria ad Azincourt delle forze di Re Enrico V e la svolta a favore dei francesi venne data dalla giovane Giovanna D’Arco con la vittoria a Orleans). Il generale, anzi, forse con la complicità del liquore che ingurgitava spacciandolo per the, sembrava trovare la francese gradevole
Il cameriere mise di fronte a Oscar un piatto con uno strano cibo: aveva la forma di una grossa salsiccia rotonda, con contorno di carote lesse e una salsa bianca alle erbe. Lei lo guardò sbattendo le palpebre, ma vide che gli altri lo stavano mangiando con gusto. Wesley sorrise – Il tipico Haggis scozzese. Lo sapete come lo fanno? E’ stomaco di pecora ripieno di frattaglie tritate, farina di avena, erbe aromatiche e poi bollito –
Oscar impallidì e strinse il coltello nella mano. Come si poteva mangiare una cosa simile? Eppure…In un angolo della sua mente quella strana ricetta le sembrava familiare. Deglutì: “Coraggio Oscar! Non sarà un piatto inglese, per quanto disgustoso, a piegarti” pensò e tagliò la pietanza. Il profumo sembrava buono e pure l’interno non aveva un bruttissimo aspetto. Mise in bocca una forchettata e lo trovò strano come consistenza, ma per nulla cattivo. Dove aveva già sentito un sapore simile? Eppure era certa di averlo già provato, anni e anni prima. Ma non era da sola, c’era qualcun altro con lei, ma chi? Chiuse per un attimo gli occhi e vide una figura in ginocchio, sapeva che era di fronte a lei: “Il mio cavaliere” disse la sua voce, ma il volto dell’uomo, perché sapeva che era un uomo, era sfocato.
Wesley sorrise e si piegò verso di lei – Vi sentite bene? Non è così male! Se non ci siete abituata può essere pesante la prima volta…Dicono che fa crescere i peli sulla schiena… - disse.
Oscar riaprì gli occhi e sorrise guardandolo – E allora mangiatelo e crescete, tenente! E’ un ordine! –
Lui fece una piccola smorfia e poi ritornò al suo piatto.
 
Alla fine della cena uno degli altri ufficiali si piegò in avanti – Diteci colonnello, è vero che la reggia di Versailles è immensa? –
Oscar sorrise e giocherellò con il bicchiere vuoto – Lo è! E’ molto grande, ma i suoi giardini lo sono ancora di più –
Un altro si piegò per guardarla – E’ vero che si fanno feste e balli ogni sera? –
Lei lo guardò – Non sempre…Si fanno spesso, questo è vero, ma non sempre – disse e sospirò ricordando le notti passate a vigilare sulla vita della Regina Maria Antonietta e, soprattutto, il Conte Fersen. Improvvisamente le venne in mente anche André. Anche lui era sempre a Versailles, sempre con lei, sempre al suo fianco, un passo indietro, come un’ombra discreta e sicura. Si scosse solo quando Harrison la chiamò per nome. Lei alzò lo sguardo e lo guardò; lui sorrise – Perdonatemi colonnello de Jarjayes, ma il maggiore Simpson voleva sapere se è difficile comandare la Guardia Reale a Versailles, per uno…Una…Uno come voi… -
Oscar sospirò, sembrava impossibile, ma vedevano sempre e solo una donna in lei. Sbuffò, aprì la bocca, ma fu la voce di un altro a rispondere: - Non credo che sia difficile! Dicono che i francesi vanno all’attacco ballando il minuetto e, oltretutto, lo fanno solo quando sanno di essere in superiorità rispetto all’avversario…In sostanza, signori, sono dei vigliacchi loro e le loro donne! Anche se credono di essere soldati! –
Oscar rimase a bocca aperta nel silenzio generale e il clima conviviale che si era lentamente instaurato sparì improvvisamente. Wesley deglutì e abbassò le mani piegandosi all’indietro permettendo a Oscar di vedere chi aveva parlato. Si trattava del gigante in uniforme da capitano che l’aveva accolta in malo modo quando era arrivata. Lui si girò a fissarla con i suoi occhi grigi e freddi. Harrison inspirò a fondo – Capitano Travers, noi tutti comprendiamo la vostra situazione particolare, ma non credo che… -
L’altro sorrise malignamente – Con tutto il rispetto, signore, ma non mi importa! Io non renderò mai omaggio a un francese o alla Francia e men che meno a una donna che gioca ad essere un soldato! – disse quasi sputando le ultime parole. Poi guardò di nuovo Oscar – Volete sapere a quale situazione si riferisce il colonnello Harrison? Io ho combattuto nelle colonie, fin dal primo momento, da quando un gruppo di idioti travestito da indiani ha gettato a mare le casse di the nel porto di Boston…Ho combattuto in quasi tutte le battaglie, da Charleston fino a Yorktown…Avete sentito parlare della battaglia di Yorktown...Mademoiselle? –
Oscar aggrottò la fronte, era una delle ultime battaglie della guerra in America e a quella ci aveva combattuto anche Fersen; lui l’aveva descritta come un avvenimento di una portata storica a cui aveva partecipato l’esercito continentale dei coloni, quello francese e persino la flotta reale al comando dell’ammiraglio De Grasse che fu salutato come un eroe a Versailles. Travers, però, non aspettò la sua risposta: - Ci stavano assediando dalla terra e dal mare…Da terra c’era l’artiglieria di quel traditore di Washington affiancata dal vostro La Fayette e poi ci si è messa anche la flotta francese…Sapevamo che non c’era nulla da fare, ma non volevamo arrenderci. Molti di noi avevano le famiglie al seguito e chiedemmo che potessero essere trasferite con l’unica nave che avevamo a disposizione attraverso Chesapeake Bay…La Fayette ci diede la sua parola sul suo onore e ci fidammo! Ma quando la nave partì, in mezzo alla baia, ad essa si affiancò una fregata francese…Posso ancora vedere il suo nome a lettere dorate sulla poppa: Esperance…Speranza…E cominciarono a cannoneggiare i nostri civili…Attaccarono una nave disarmata per puro divertimento! Ci furono duecento morti, in massima parte donne e bambini…E c’erano anche mia moglie e mia figlia là – disse e si alzò facendo cadere la sedia.
Harrison strinse le labbra – Sedetevi Travers! E’ un ordine! –
Oscar rimase allibita e una miriade di pensieri si affacciò nella sua mente. Si ricordò dell’oste a Tintagel e della donna indiana, rimasta muta per le violenze subite dai soldati francesi e poi…Era mai possibile che fosse vera la storia di Travers? Si ricordò che la notizia della vittoria di La Fayette a Yorktown fu festeggiata a Versailles e con essa quella della flotta reale e Fersen…Lui le aveva raccontato per filo e per segno come si era svolta la battaglia e le era sembrata grandiosa e gloriosa per le truppe francesi. Ma se dei soldati vigliacchi potevano esserci anche nell’esercito francese, una nave da guerra francese che attaccava una nave civile inglese era davvero impossibile, sotto ogni punto di vista: - Mentite! – sentì la sua voce dire senza nemmeno rendersene conto.
Il gigantesco capitano la guardò negli occhi, pallido in volto – State dicendo che sono un bugiardo? –
L’atmosfera si fece sempre più pesante, Harrison si mosse di lato, pronto ad alzarsi, ma il generale Walsingham rimase seduto al suo posto, con un’espressione più incuriosita che altro. Sorrise e guardò Oscar – Colonnello de Jarjayes…Il capitano Travers è un buon ufficiale di Sua Maestà e non ha mai mentito. Lo state accusando ufficialmente? –
Oscar si alzò e fronteggiò il capitano – Lo accuso! L’esercito di Sua Maestà il Re di Francia non attacca i civili, non lo ha mai fatto e la nostra vittoria a Yorktown al fianco delle truppe continentali è stata un capolavoro di strategia e di coraggio! Si! Lo accuso di mentire! –
Travers strinse le labbra – Stupida cagna francese! – disse e fece un passo avanti. Harrison si alzò, imitato da tutti i presenti, ma non da Lord Walsingham, che invece sorrideva. Il colonnello inglese allungò una mano – Basta così capitano! O vi farò arrestare! –
Oscar alzò il mento – Non importa! Sono a disposizione di questo individuo…Spada o pistola per me non conta! A vostra discrezione capitano, vi ricaccerò in gola le vostre accuse ridicole –
Harrison sbuffò, si girò verso Oscar e aprì la bocca, ma fu Lord Walsingham a parlare: - Voi che ne dite capitano? La nostra ospite francese non si trova bene qui e noi, come ufficiali e quindi gentiluomini, dobbiamo mostrargli tutta la nostra ospitalità inglese –
Il capitano Travers sorrise con l’angolo della bocca – Sono c’accordo Mylord generale. Mostrerò alla nostra ospite quanto siamo gentili…Preparate una spada, se ce l’avete, colonnello e domattina, alle otto in punto, chiariremo la questione – disse e fece un lieve inchino con la testa.
Oscar annuì – Domattina alle otto…Tenente Wesley, vi chiedo di essere il mio padrino e di svegliarmi in tempo –
Il giovane rimase sbalordito, tutto si era svolto in poco tempo e si limitò ad annuire. Harrison si avvicinò al generale e si piegò parlandogli concitatamente all’orecchio. Il generale scrollò le spalle e fece un gesto con la mano – Non si preoccupi Harrison e che non si preoccupi nemmeno Lord Baxter, non permetterò certo che questa nobildonna che si crede un soldato possa venire qui, vestire la nostra uniforme e dire che mentiamo…Travers la strapazzerà un po' e lei se ne tornerà a Versailles piagnucolando di come sono cattivi questi inglesi…E adesso lasciatemi in pace! – disse e sorseggiò l’ennesimo sorso dalla tazza da the.
Harrison fece una smorfia, più simile ad un ringhio e guardò Oscar, accompagnata da Wesley, uscire dalla sala e gli altri ufficiali attorno a Travers che si congratulavano per il duello con la francese. Sospirò e guardò di nuovo Lord Walsingham – Con il vostro permesso Mylord – disse e batté i tacchi. L’altro fece di nuovo un gesto e lo congedò definitivamente.
 
Oscar salì le scale fino alla porta del suo alloggio, seguita da Wesley. Davanti alla porta si girò verso il giovane ufficiale – Vi ringrazio tenente, ora credo sia meglio che vada a dormire –
Lui aggrottò la fronte – Er…Si colonnello, ma…Se posso: il capitano Travers non è nato in Inghilterra, ma in America. Quando i coloni hanno vinto è tornato in Madrepatria con molti altri, diciamo, americani…E lui non combatte seguendo le regole militari…Io…Volevo solo dirvi questo – disse e se ne andò.
Oscar sbatté le palpebre e lo guardò andare via lungo il corridoio incrociando una guardia armata di fucile. Lei sorrise quando il soldato si fermò di fronte alla sua porta – Non preoccuparti soldato! Se qualcosa non va ci sono io a proteggerti – disse ed entrò.
Una volta dentro lei si maledisse sottovoce. Non era necessario un duello con un ufficiale inglese, ma quello che aveva detto…Non era possibile che una nave francese avesse attaccato proditoriamente una nave civile inglese. Non lo avrebbe mai creduto e di certo Fersen ne avrebbe fatto menzione nei suoi racconti e avrebbe denunciato il comandante della nave se effettivamente un tale episodio si fosse verificato. Sguainò la sua spada, appoggiata su una sedia. Passò il pollice sul filo: tagliava, ma quando la curava André era molto più affilata. Menò due fendenti all’aria e fece un affondo. Avrebbe ricacciato in bocca a quell’inglese pieno di boria le sue accuse.
Rinfoderò la lama e riappoggiò l’arma sulla sedia, poi si levò l’uniforme che indossava e la gettò a terra, avrebbe affrontato Travers con i suoi abiti, con abiti francesi.
 
Il colonnello Harrison uscì a grandi passi dall’edificio e si avviò verso uno dei magazzini con una lanterna in mano. Si guardò attorno, armeggiò con la porta e poi entrò. Richiuse l’ingresso alle sue spalle, fece qualche passo in avanti e sollevò la lanterna: - Vieni fuori Nesby! –
Un uomo in vesti scure uscì da dietro delle casse e si appoggiò ad esse con una spalla – Cosa stai facendo colonnello? E perché mai quella maledetta francese è ancora viva? Potevamo averla già in Normandia e adesso che siamo in Inghilterra perché non ci viene permesso di farla fuori e di prendere la pietra? –
L’altro strinse le labbra e lo guardò in malo modo – Lord Baxter non ti deve alcuna spiegazione. MA se proprio ci tieni: quella donna che si crede un uomo, che il diavolo se la porti, è molto importante…Pensavamo che farla venire qui e ucciderla in Inghilterra sarebbe stato meglio, ma il nostro efficientissimo servizio di informazioni l’ha subito individuata…E quindi la notizia è arrivata fino alle orecchie di Re Giorgio che ha personalmente ordinato, testualmente secondo Lord Baxter, di lasciarla stare! –
Nesby lo fissò stringendo le labbra, ma l’altro continuò – E’ politica! Una cosa che un sicario come te non può comprendere! Abbiamo perduto i territori americani e adesso ci stiamo concentrando sulla penetrazione in India, ma ci serve tempo; una buona parte della nostra flotta mercantile e militare dovrà essere trasferita dall’Europa all’Asia, come pure i nostri reggimenti e scatenare una guerra per quel…Quella…Donna in pantaloni ci attirerebbe contro non solo la Francia, anche la Spagna, l’Olanda perché tocchiamo i suoi possedimenti in Asia, la Russia perché ci vedrà come una minaccia per i suoi territori orientali e forse anche la Prussia…Perché quelli devono sempre fare la guerra a qualcuno…E già che ci siamo pure i nostri ex fratelli americani che vorranno conquistare i territori del Canada ancora in mano nostra –
Nesby sbuffò – Seee…Mettiamoci anche i piccoli regni italiani e il Papa e facciamo una guerra mondiale! E tutto per quella donna? Andiamo colonnello…Non è che voi militari esagerate sempre? –
Harrison tentennò sconsolato, come un maestro con uno scolaro troppo testardo – Un piccolo avvenimento, come un sasso lanciato in uno stagno produce una miriade di cerchi, genera altri avvenimenti…E altri ancora…Compito dei politici, come Lord Baxter, è tenerne conto. Ma non ho detto che la lasceremo viva. Sa qualcosa, questo è certo e non credo che si sia messa a gironzolare tra le rovine maledette a Tintagel solo per fare del turismo! Lord Baxter, nella sua infinita bontà e saggezza, si è offerto al Re di sorvegliarla personalmente e siamo arrivati a questo punto –
Nesby tentennò – Ed è per questo che l’avete portata qui, da quell’idiota di Walsingham? –
Il colonnello tentennò – Lord Baxter lo ha voluto per dimostrarle che il governo inglese sa che è qui e per spaventarla. Walsingham la lascerà andare e a quel punto la nostra francese avrà solo due strade: una è quella di tornarsene in Francia con la coda tra le gambe per andare a lamentarsi con Maria Antonietta di quanto sono maleducati gli inglesi e finalmente potremo inscenare un incidente in mare, solo dopo avergli preso la pietra, ovviamente. Le catastrofi navali sono meno rare di quanto comunemente si ritiene…E l’Inghilterra non verrà accusata di nulla. Ma l’altra scelta che potrebbe fare è di continuare la sua ricerca e noi, in quel caso, glielo lasceremo liberamente fare. Una volta che sapremo dov’è quello che stiamo cercando e solo allora…Agiremo! Quando avremo in mano l’arma né Re Giorgio, Luigi XVI o qualunque altro sovrano d’Europa potranno fermarci –
L’altro annuì con un sorriso maligno – E così sia! –
   
 
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