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Autore: Enchalott    21/06/2021    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Scommessa
 
Il riflesso dei soli sull’arma sguainata era accecante. Rimase impresso sulla retina quando socchiuse le palpebre per ricacciare le lacrime, un taglio luminoso nel buio. Il vento torrido crepitò tra i bastioni, unica voce nel silenzio teso.
La guerriera attendeva immobile la sorte. L’intera guardia reale era schierata alle sue spalle, un muro compatto, nessuna reazione, nessuna intercessione. Forse non era previsto dal codice di quel popolo fiero. La reikan non aveva accennato a deroghe. Cosa, se rifiutassi?
Yozora avvertì la mente vuota, la bocca arida, le mani sudate. Tentò di ricordare le nozioni assimilate, affinché qualcuna venisse in suo soccorso. Non accadde. Si trovò a tu per tu con una realtà efferata, di cui non aveva esperienza. Un campo di battaglia sul quale era la sola priva di armatura.
«Come vi chiamate?» domandò con un filo di voce.
«Mirai, altezza.»
«Non vi ritengo responsabile dell’accaduto e non esigerò la vostra vita, Mirai. Sono qui per scusarmi, vi è stato arrecato un torto, il fatto che vi venga imputato non fa che aggravare l’atto. Non muterò il dispiacere in un delitto.»
La guerriera sbarrò gli occhi e impallidì sotto il dorcha.
«Voi dovete» implorò.
«Qualunque sia il vostro pensiero, vi perdono. Voi perdonerete me per l’indulgenza. Sono giunta ieri, questo mondo e le sue leggi mi sono ignoti. Se avessi conosciuto lo scopo di un incontro come il nostro, non vi avrei cercata.»
La dichiarazione non sortì l’effetto desiderato: la donna abbassò la testa, rimase inginocchiata e non ritirò la spada.
«Non esiste condono quando l’onore è intaccato» intervenne Solea.
«Che dite?» sbottò Yozora «Se non mi ritengo insultata, la contesa viene meno!»
«Mirai precipiterà nel disonore, se la risparmierete. Un Khai non lo tollera, l’orgoglio è tutto.»
La principessa si sentì mancare quando individuò il significato della spiegazione. Fissò abbacinata l’arma che giaceva nella rena.
«State dicendo che toccherebbe a lei?»
«Non può levare la mano su di voi, siete sangue reale. In altre circostanze l’esito sarebbe quello che state figurando.»
«Io non sono…»
La reikan le strinse il braccio: quella sciocca ragazzina aveva procurato un inferno di guai in un battito di ciglia. Se avesse dichiarato la non appartenenza al clan, il vento sarebbe divenuto tempesta e la furia del Šarkumaar avrebbe travolto tutti i presenti.
«Non avete scelta.»
«Parlerò con il principe Mahati, dirò che è colpa mia!»
«Inaudito! Il sommo Kharnot non verrà coinvolto in una questione tanto futile!»
Yozora allibì. Come potevano ritenerlo estraneo? Non si era preoccupato di illustrare le usanze, l’aveva spaventata a morte, fatta sentire un insetto intrappolato! La vera assurdità era avallare la sua innocenza!
Questione futile?!
La definizione sprezzante infierì su di lei. Percepì il sangue affluire alle guance e scorrere impetuoso, ribelle all’irrazionalità, alla bestialità del “dovuto”. Il timore scemò indietreggiando tra le pieghe dell’indignazione, lasciando campo al coraggio, alla resilienza, alla sete di rettitudine.
«È come affermare che il sole non scalda! Ripeterlo all’eccesso non cambia la realtà! E poi c’è sempre una scelta, la mia è di non uccidere!»
La guardia reale ebbe una fluttuazione e dalle fila allineate esalò un mormorio sommesso. Solea si trattenne per evitare di gridarle contro che era una piccola stolta, una bambina candida allevata fuori dal mondo.
«Piuttosto sarà quella di affidare il compito a me, altezza. Eseguirò in via eccezionale, poiché non siete avvezza alla spada e rischiereste di sbagliare.»
«Ve lo proibisco!»
Si fronteggiarono come se lo scontro avesse cambiato attori: la Salki, decisa a non sottomettersi allo spregio per la vita costituito legge e la Khai, trattenuta dal vincolo che le imponeva di tutelare la sposa del suo signore.
La tensione increbbe, i guerrieri digrignarono le zanne, ostili alla shitai che aveva messo al banco le loro consuetudini.
«Altezza, vi prego» la voce pacata di Mirai smorzò il silenzioso attrito «Sarò privata di ogni cosa, non avrò né casa né famiglia né onore. Cesserò di essere una nisenshi, una donna libera, una Khai. Diverrò una dorei senza personalità, senza rispettabilità. Se uccidere è contrario al vostro concetto di dignità, nessuno più di me intende la ragione che vi frena, poiché è la stessa che mi spinge sul fronte opposto. Permettete che ponga fine ai miei giorni, è la soluzione che cercate. Perdonate se ho ardito ricordarvela.»
Solea annuì secca, approvando il valore della compagna.
Yozora tenne gli occhi in quelli di Mirai: sì, erano di una meravigliosa sfumatura indaco e la linea nera li allungava in un taglio esotico. La sua anima era pronta a tornare al supremo Reshkigal. Non incuteva timore, solo un profondo rispetto. Ma non ne avrebbe autorizzato il suicidio. Era un sacrilegio, un’ingiuria al divino Kalemi che concedeva il tempo. Non possedere termini atti a esprimere amore per la vita, a trasmetterlo a chi era diverso, addirittura refrattario, le inflisse un’immensa pena. Non aveva esperienza, non saggezza e la spontaneità del cuore non era sufficiente.
Quando la mano della guerriera si allungò sulla spada, l’unico pensiero fu quello di impedirle l’atto. Afferrò l’arma e l’allontanò da lei.
Mirai rimase a bocca aperta, i presenti eruppero in un’esclamazione.
«Non potete!» trasecolò Solea «Altezza, ci sono dei limiti!»
«Quelli degli dei! O del buonsenso! Forse i Khai preferiscono che un guerriero votato alla difesa della famiglia reale si immoli per una futile questione?!»
La reikan si arrestò interdetta. Era un punto di vista insolito, capovolto, fuorviante.
«Il sangue sparso non offende il celeste Belker.»
«Altri Immortali concedono insegnamenti opposti, degni di rispetto.»
«Non a Mardan. La spada, mia signora.»
Yozora la impugnò come per iniziare un duello.
«Dovrete strapparla al mio cadavere.»
La reikan sbiancò. Tutto si fermò.
«Cos’è questa ignobile cagnara?»
 
Rhenn aveva indossato la veste formale e si era deciso a incontrare Kaniša, pur concentrato sul rientro imprevisto di Eskandar. Che si fossero verificati problemi era sottinteso, però fremeva per coglierne la portata. Aveva stabilito di raggiungere gli appartamenti reali attraverso il quartiere, ove i cavalieri alati appena atterrati stavano certo condividendo le indiscrezioni con i compagni.
Ascoltare. Non esiste sistema migliore per conoscere senza chiedere. Vedrò come impiegare le notizie e soprattutto non rimarrò un passo indietro a Mahati.
Le elucubrazioni erano state interrotte dalla concitazione proveniente dall’area della guardia reale, un’atipicità che lo aveva stuzzicato. Vi si era diretto ed era rimasto senza parole.
Una donna era genuflessa nella polvere in veste di supplice e non era arduo capirne il fine. I nisenshi avevano rotto le righe e si erano ammucchiati per assistere alla furibonda discussione tra una reikan e…
Per l’Arco letale di Belker!
Yozora era in piedi, gli abiti acquamarina fluttuavano sollevati dalla corrente che s’insinuava tra le mura. I lunghi capelli castani le frustavano il viso, i fermagli scintillavano tra le ciocche scompigliate. Gli occhi scuri ardevano di rabbia e di risolutezza sul pallore pronunciato del viso, la destra stringeva una lama sguainata. Un’effige di forza e ardimento straordinari, intaccata tuttavia dal colorito innaturale e dalla percettibile contrazione della mano sull’elsa. La contemplò senza muovere un muscolo, appurando quanto fosse distante dalla tremebonda fanciulla venuta meno tra le sue braccia. Percepì il suo odore: ostinazione, temerarietà, abnegazione, compassione… ahaki. Due persone diverse in un unico corpo, che si avvicendavano imprevedibili.
Tradotto, un dannato inconveniente.
 
Yozora si voltò al prostrarsi repentino dei Khai. Quasi non lo riconobbe.
Il principe della corona non indossava il diadema con le corna e la chioma argentea, sciolta sulle spalle, splendeva ai raggi dei tre soli. Priva del dorcha, l’epidermide era chiara, in contrasto con la linea nera che gli delineava lo sguardo. Solo gli occhi viola, orgogliosi e privi di carità, erano gli stessi. Non vestiva gli abiti aderenti di pelle, ma una tunica avorio, che lo rendeva evanescente nella luce intensa. Un’apparizione, uno spirito dell’altrove, incarnazione di un fascino selvaggio e sovraumano.
Rimase attonita, chiedendosi se fosse reale.
«Sommo Ojikumaar» farfugliò Solea prostrandosi.
«Esigo una spiegazione, reikan
Mosse un passo: l’ombra degli spalti gli si proiettò addosso, interrompendo l’effetto irreale. Yozora abbassò la spada con uno strano senso di conforto.
«Principe…»
Rhenn sollevò la mano, lo sguardo saettò glaciale, inducendola a tacere. Poi ascoltò il resoconto gettando un’occhiata a Mirai, ancora piegata nella rena.
«Assurdità!» sbottò «Tale gazzarra per un caso semplice! L’interessata proceda all’espiazione, procrastinare è una macchia indelebile sul suo nome.»
La principessa fu attraversata da una scossa. Aveva sperato con tutta l’anima che non pronunciasse quella sentenza, aveva creduto in lui! Invece…
Invece è un Khai, perché fantasticarlo pietoso o diverso? Per uno stupido riflesso sugli abiti? Che sciocca, Yozora!
Le pie illusioni non avrebbero salvato Mirai. Spalancò le braccia a difenderla.
L’Ojikumaar sogghignò. La ragazzina sapeva che non esisteva nulla di più deleterio che contraddirlo in pubblico. L’unica risorsa per tenergli testa era esibire un coraggio che nessun demone avrebbe disdegnato.
«Altezza, vedo che siete determinata a fornire una lezione ai miei guerrieri. Ritenete che il sangue di quella donna non vada versato poiché lo pretendete come vostro?»
Yozora esitò. Un no avrebbe condannato Mirai, dichiarare una prelazione ne avrebbe forse mutato le sorti?
«S-sì?»
Il principe socchiuse le palpebre in un gioco di sguardi che tese allo spasmo la corda sfilacciata che stava tirando. Qualcosa le comunicò che aveva optato per la risposta corretta.
«Se è così, ne reclamate la piena responsabilità.»
Di nuovo le iridi d’ametista suggerirono il riscontro. Yozora si augurò che “reclamare” indicasse alternativa e non sacrificio.
«Sì.»
«Allora la diatriba è risolta. Stabilite come impiegare la vita della vostra protetta. Sarà una dama di compagnia? Una dorei
Yozora strinse le dita madide sull’impugnatura della spada. Era pesante, il braccio non allenato stava cedendo. Si costrinse all’ultimo sforzo. Entrambe le soluzioni avrebbero destinato Mirai all’umiliazione che bramava evitare.
Pensa, Yozora, rifletti con calma! Non lasciarti afferrare dall’ansia!
Gli occhi penetranti del principe scivolarono indolenti sul taglio dell’arma, per tornare a lei. I Khai stavano trattenendo il fiato. Avvertì la pressione e comprese il senso di responsabilità che accompagnava una scelta.
La spada… la libertà, l’onere delicato di un’esistenza… divino Kalemi, ispiratemi!
«Guardia del corpo!» eruppe «Per quanto io appartenga alla famiglia reale, non sono addestrata, è increscioso che nessuno abbia pensato alla mia sicurezza!»
Rhenn inarcò un sopracciglio ma assentì. Le parve di cogliere un sorriso furtivo sulle sue labbra imbronciate, ma forse era un nuovo effetto del chiaroscuro.
«Ci sono pareri contrari?»
I guerrieri puntarono il pugno a terra, lontani dall’idea di contestare il futuro sovrano.
«In tal caso» concluse questi «Nisenshi, difenderete all’ultima stilla di sangue la promessa sposa di mio fratello.»
Mirai s’inchinò: nello sguardo rasserenato risiedeva una profonda gratitudine.
 
«Mi fate male!» si lamentò Yozora.
Rhenn la strattonò senza riguardo. L’aveva abbrancata svoltato l’angolo, fuori dalla portata degli sguardi delle guardie reali.
«Siete peggio di un’invasione di insetti in una colonia di appestati! Non sapete stare al vostro posto e non tenete la lingua a freno!»
«Questo non è…»
«Per oggi è abbastanza! Vi ho messa in guardia, Mardan non è luogo adatto alle intenzioni caritatevoli!»
«Siete voi che mi ci avete portata! Poi mi avete piantata in asso con vostro fratello, fulgido esempio di affabilità e comprensione!»
«Oh, davvero? Non vi ha rispettata e accolta? Vi ha lasciata in balìa dei cattivi?»
Yozora si rimangiò la rispostaccia.
«N-no, ma… fermatevi! Mi strappate il braccio!»
Rhenn s’inchiodò brusco sul camminamento tra le mura, infilandosi in una rientranza. La cupola a bulbo schermò i raggi solari, provvidenziale refrigerio nella canicola. Lei sedette sulla sporgenza, massaggiandosi l’arto indolenzito.
«”Ma” cosa?» la sollecitò irritato.
«Ma… sapete cos’ha fatto!» arrossì lei.
Il principe alzò gli occhi al cielo, appoggiando le spalle alla parete. Come la ragazza non si era figurata le conseguenze dello sterile tentativo di salvataggio, così lui non aveva previsto la reazione al contegno di Mahati. Erano incompatibili, ma avrebbero dovuto ovviare, altrimenti lei non avrebbe superato le prove e suo fratello non l’avrebbe presa in moglie.
«Cosa avete letto a proposito di rapporti carnali?» borbottò seccato.
«Niente!»
«Piantatela di comportarvi da mocciosa!»
Il pugno si abbatté sul muro facendolo tremare. Yozora sussultò.
«E voi smettetela di gridare!»
Rhenn imprecò tra le zanne e si prese un istante per raffreddare il sangue.
«Sono indeciso tra la favola del brutale Khai che sbrana le prede e quella del perfido demone profanatore di vergini!»
«Come si dice, la verità sta nel mezzo.»
«E siccome Khai non mangia Khai, avete dedotto che Mahati abbia stuprato la vostra “amica”. Interessante, forse un po’ lacrimevole.»
Il tono caustico contribuì a dissolvere il residuo ritegno della ragazza.
«Ovvio che sia così! Essere viva e mostrarsi collaborativa non significa concedere o non portare cicatrici nello spirito!»
«State scherzando, vero?»
La domanda schizzò dalla bocca del principe con un’istintività tale da dimostrare che non la stava sbeffeggiando. Era convinto di ciò che sosteneva. Yozora si interrogò su come fosse possibile essere tanto ottenebrati sui sentimenti umani e su come dimostrargli una verità diversa dai suoi schemi asettici. Al solito, Rhenn la anticipò.
«Chiedete all’interessata.»
«Come?»
«Domandate alla vostra guardia del corpo se si è sentita vilipesa dalla predilezione accordatale o se al contrario è stato piacevole. Capiremo chi è nella ragione.»
Predilezione. Yozora lo guardò come se fosse pazzo. Addentrarsi nel privato di una sconosciuta valeva quanto ignorare le sue emozioni, sminuirle rendendole di pubblico dominio. Sarebbe stata un’altra violenza.
«Lo farei io stesso, ma pensereste che ho barato. O che una nisenshi non oserebbe lamentarsi del suo signore.»
Al barlume di assennatezza, lei considerò la proposta. Costruendo con Mirai una graduale confidenza, mettendosi in gioco in prima persona, forse avrebbe colto i suoi reali pensieri. Quelli dei Khai in fondo.
«Non vi ritengo disonesto. Però sul secondo punto avete ragione.»
Rhenn aggrottò la fronte al complimento indiretto e non fondato sulla frequentazione reciproca. Non il primo spuntato da quella bocca priva di freni.
Priva di freni quando vuole lei!
«Quindi sarei leale, affabile e comprensivo? E bellissimo s’intende. Altri difetti?»
«C-che? Io non ho mai detto…»
Il sorriso sfacciato del principe chiarì che sapeva leggere tra le righe: lagnandosi di Mahati, indirettamente aveva attribuito i pregi a Rhenn.
«Perché difetti?»
«Per conseguire la supremazia, gli attributi che avete elencato non sono che intralci. Non mi conoscete, li intenderò come equivoci. O sono speranze?»
Yozora si tormentò le dita.
«L’avvenenza non vi ostacolerà. Dimostrando di non sfruttarla a vostro vantaggio, avvalorerete la vostra rettitudine.»
Rhenn sgranò gli occhi.
Impara in fretta, per gli dei! Già prima ha rigirato le mie parole per sottolineare la sua deprecabile emarginazione.
Sapeva come troncare quei goffi tentativi.
«Volete che mi spogli per appurare la componente segreta del mio fascino? Fornirei elementi efficaci a sostenere la vostra intrigante argomentazione.»
Seppe di aver vinto quando divenne paonazza. Di aver stravinto quando lo sguardo confuso di lei posò sulle fiamme del thyr, protese oltre la scollatura pronunciata. Emanava curiosità e timore. Sarebbe stato meglio se Mahati non si fosse lasciato intenerire o trasportare dall’austerità del carattere.
«Scommettiamo» propose.
«N-non ci tengo, grazie.»
«Non su di me! Sulla risposta che fornirà la vostra nisenshi
«Oh. Mi pare irrispettoso renderlo un passatempo.»
«Non occorre scendere nei dettagli per capire se mi sono sbagliato.»
Da lui non scaturiva sarcasmo, forse era davvero interessato a verificare le ipotesi.
«Cosa succede a chi perde?»
«Esaudirò un vostro desiderio e viceversa. Nulla di sconveniente, prometto.»
«Se vi chiedessi di accompagnarmi a Seera per una visita di cortesia?»
«Ci rifletterei.»
«Siete convinto di vincere, non è così?»
«Diciamo che non ho mai perso.»
«C’è sempre una prima volta.»
«Certo. La differenza tra me e voi è che io non ho paura di sperimentarla.»
Le guance della principessa tornarono a colorirsi. L’Ojikumaar allungò la mano per siglare il patto, lei titubò solo un istante prima di stringerla.
Seconda volta in due giorni, un primato.
«Suppongo di dovervi ringraziare per l’aiuto» mormorò rassicurata.
«A che alludete?»
«Mi avete suggerito la soluzione per la donna che ho messo nei guai.»
«Non ho fatto nulla del genere.»
Yozora lo guardò con sincera meraviglia.
«Le domande che mi avete posto. Non avrei saputo rispondere se voi…»
«Legittime.»
«Finalizzate direi. Sapevate dove portare il discorso.»
Rhenn scosse la testa.
«Mi attribuite una generosità immaginaria. Perché interessarmi a una nisenshi
«Per l’onore di vostro fratello e del clan.»
«Mahati può risolvere le sue questioni come meglio crede. Certo non sarà felice di apprendere della vostra geniale iniziativa.»
«Lo informerete?»
«A quest’ora tutta Mardan ne sarà al corrente, compreso mio padre, che a causa vostra sto facendo attendere oltre la buona creanza.»
Yozora si scattò in piedi. Aveva dimenticato Kaniša. Sentirlo nominare le diede un brivido: era il peggiore di tutti i Khai, bieca fonte della guerra e di ogni atrocità. L’idea d’incontrarlo in occasione di un fallo la atterrì. Il movimento repentino le fece mancare l’aria. Si sentì venire meno.
Rhenn la afferrò al volo.
«Tsk, il solo nome del re e guardate! A quanto pare sono l’unico a non terrorizzarvi! Persino Delzhar vi sgomenta più del sottoscritto, mi ritengo offeso!»
Le mani di lei si aggrapparono alla seta leggera del suo abito. La stola ricamata che gli cingeva la vita si allentò, lo scollo si aprì e il contatto divenne pelle contro pelle. Yozora annaspò in cerca di ossigeno: il thyr ardeva davvero, una vampa rovente che le trasmetteva calore. I colori avvolgenti delle fiamme occuparono la prospettiva, il battito di lui la penetrò. Realizzò la situazione audace e si divincolò nonostante le gambe di gelatina.
«Calmatevi!» impose Rhenn «Respirate, non siete avvezza alla temperatura.»
«I-io… perdonatemi, vi procuro soltanto incomodo.»
«Ssh. Non posso portavi sulle spalle, risparmiate il fiato.»
Eppure l’aveva sollevata come un bagaglio, caricata di peso sul vradak e tenuta salda per tutto il volo, persino davanti ai suoi uomini. Forse a Mardan vigeva una rigida etichetta oppure Mahati aveva ufficializzato il fidanzamento e il contatto con un altro uomo, benché parente, era considerato scorretto. Il pensiero del suo promesso sposo la fece tremare, le fiamme tatuate divennero minacciose, letali. Udì le grida, la battaglia, la morte intonare l’inno di vittoria.
Il principe sistemò la veste con noncuranza e indicò l’apertura che riconduceva al camminamento.
«Muovetevi» ringhiò seccato.
   
 
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