Baker Street, dolce
casa
Capitolo 4
John tornò il giorno successivo. Questa volta, Sherlock si
era preparato per l’eventuale visita e si era lavato, rasato e aveva indossato un
vestito pulito. Il modo in cui il giorno prima John aveva aggrottato la fronte al
suo mento ispido non era sfuggito alla sua attenzione. Ben poche cose l’avevano
mai fatto.
Anche se l'aveva prevista, sperata, aspettata, la vista di
John sulla soglia fece ancora trattenere il fiato a Sherlock e la speranza gli si
dispiegò nel petto. Provò a cacciarla giù, ricordando a se stesso di essere
cauto. John era testardo quanto lui stesso: non avrebbe cambiato idea così
facilmente e sarebbe stato stupido pensare in modo diverso.
Tuttavia, l'umore era differente oggi, lo capì subito dalla
postura di John.
"Buongiorno, – salutò John, ondeggiando in modo goffo
sulla soglia della cucina – Speravo che potessimo parlare."
Sherlock sbatté le palpebre, cercando di trovare una risposta
adeguata.
Quando divenne chiaro che non ne sarebbe arrivata nessuna,
John si sforzò di fare un mezzo sorriso e alzò una mano, in cui stringeva un
sacchetto di carta marrone: "Hai mangiato? Ho portato dei croissant."
Non c’era neanche bisogno di dirlo: i croissant erano ancora
caldi e Sherlock poteva sentirne il profumo. Ciò fece brontolare il suo stomaco
e cercò di ricordare quando fosse stata l’ultima volta in cui aveva mangiato. Ricordò
in modo vago una fetta di pane tostato, ma non poté essere sicuro di quando
fosse stato o se qualcosa l'avesse accompagnata.
"Fai come se fossi a casa tua," mormorò,
allontanando dal tavolo con il piede la sedia di fronte a sé.
John sorrise, posò la borsa e andò a caccia di piatti e
tazze.
Prima di rendersene conto, Sherlock si ritrovò a preparare il
tè. La gente aveva sempre fatto delle sciocche supposizioni su loro due e quella
che aveva irritato di più Sherlock era che tutti pensavano che fosse John a
preparare il tè. O il caffè. O, in effetti, qualsiasi bevanda riscaldata, dalla
cioccolata calda al vin brulé. Tutto questo era sempre stato appannaggio di
Sherlock e quando lui non preparava il tè ma il tè era inspiegabilmente
presente, doveva essere successo qualcosa perché sicuro come l'inferno non era
stato fatto da John.
Caddero con facilità nella loro vecchia routine, muovendosi
l'uno intorno all'altro in quella cui Sherlock pensava ancora come alla ‘loro’
cucina come se fossero trascorsi solo due giorni invece che più di due anni
dall'ultima volta che avevano vissuto insieme a Baker Street. Era una
sensazione agrodolce e notò il momento esatto in cui se ne accorse anche John,
a metà del sedersi a quella che ora era una tavola apparecchiata per una
colazione tardiva. John esitò e in qualche modo il suo piede si aggrovigliò a
una delle gambe del tavolo, facendolo quasi cadere sulla sedia.
Sherlock senza dire una parola spinse una tazza di tè nella
sua direzione. Se John voleva parlare, poteva parlare.
"Grazie. Hai un caso?" chiese John, indicando il fascicolo
su cui Sherlock si era sfinito e che ora era stato quasi spinto giù dal tavolo.
"Lestrade lo ha portato ieri sera, – mormorò Sherlock – È
appena un cinque, ma gli devo un favore. Lo ricompenserò risolvendo il caso
entro questo pomeriggio."
"Certo che lo farai," mormorò John e la cosa suonò affettuosa
in modo inspiegabile.
"Aiuta a passare il tempo."
John lo guardò e inarcò un sopracciglio: "Mi stai
dicendo che non hai niente da fare?"
Sherlock scrollò le spalle, fingendo di essere molto
impegnato a spalmare marmellata di fragole sul suo croissant: "In realtà negli
ultimi tempi non sono dell’umore giusto per risolvere i casi. Non è la stessa
cosa."
"Tu non sei
qui."
Le parole rimasero sospese nell'aria tra di loro, non dette e
per questo ancora più fragorose.
John abbassò lo sguardo: "Sì, beh. Sono sicuro che ritornerai
dell’umore giusto. Hai solo bisogno di un caso adeguato, tutto qui."
"No, – ribatté Sherlock, decidendo di affrontare questa
situazione di petto – Ho bisogno di qualcuno che lavori sui casi con me."
"Lestrade…"
"Lestrade ha già abbastanza da fare," lo interruppe
Sherlock.
John si agitò per un momento: "Be ', sono sicuro che
Molly sarebbe..."
"Molly si sposerà il mese prossimo, – lo troncò
Sherlock, parlandogli proprio sopra – Cosa che sapresti, se ti fossi preso la
briga di restare in contatto con lei. O con chiunque, in realtà. La signora
Hudson è piuttosto irritata con te. Ieri non ti sei nemmeno fermato a
salutarla."
Ci fu un tintinnio quando John posò la sua tazza, in modo
piuttosto energico: "Senti un po’ da che pulpito."
"Davvero? – chiese Sherlock – Sai che loro non ti
direbbero mai nulla di loro spontanea volontà. Io sono il solo disposto ad
affrontarti anche quando sei di cattivo umore. Credimi, ormai sono più che
abituato al fatto che tu sia arrabbiato con me. Non vedo perché qualcun altro
debba scontrarsi con la tua incapacità di accettare di essere rimproverato per i
tuoi errori."
John lo guardò a bocca aperta: "I miei errori? I miei? Che cosa mi dici di te, allora, eh? Saltare
giù da quel tetto, facendo pensare a tutti..." Si interruppe e deglutì.
Sherlock bevve un sorso di tè, ma tenne gli occhi su John osservandolo
da sopra il bordo della tazza: "Non è stato un errore, – disse con calma –
È stata una decisione consapevole e volontaria. Questo non rende il risultato
migliore, ma credimi quando dico che non ne ho tratto gioia. Nel caso te lo
stessi chiedendo."
Non poté evitare l'amarezza che gli aleggiò nella voce. Rinunciare
alla propria vita in ogni possibile senso del termine e poi essere punito per
questo non era qualcosa che si che si era aspettato che accadesse.
Prima che John potesse approfondire l’argomento, Sherlock aggiunse:
"Comunque, volevi parlare. Quindi parla."
Ci fu un momento di silenzio mentre John pensava a ciò che
voleva dire. Sherlock mangiò un altro pezzo di croissant, dentro di sé stupito
da quanto fosse calmo. John era qui e sarebbe tornato anche se se ne fosse
andato infuriato.
"Volevo scusarmi per ieri, – esordì John e Sherlock
evitò per un pelo di soffocarsi con la colazione – Non avrei dovuto fare
irruzione o parlarti in quel modo. Era fuori luogo."
Sherlock sbatté le palpebre: "Va bene. Scuse accettate."
John sembrò davvero sorpreso: "Sul serio?"
"Certo. Nessuno di noi due ha dato il meglio di sé ieri.
Da allora abbiamo avuto entrambi il tempo di calmarci."
John si accigliò, chiaramente sospettoso. Era giusto - tra
loro due, era raro che Sherlock fosse quello ragionevole in queste cose. Eppure
eccoli qui.
"Allora... – John esitò, si leccò le labbra. Sherlock si
costrinse a non indugiare con lo sguardo – Ciò significa che firmerai..."
"No," si limitò a dire Sherlock.
"Ma hai appena detto…"
"Non ho detto niente del genere, – precisò Sherlock,
cercando di mantenere quella calma che aveva fatto tanta fatica a trovare – Ho solo
accettato le tue scuse e ho convenuto che nessuno di noi sia stato irreprensibile
ieri. Non cambia ciò che è stato detto, anche se il tono usato ti ha fatto
pensare di poter ottenere quello che desideri."
"Non firmi i documenti del divorzio, – ripeté John, come
se fosse ancora incredulo – Perché?"
Sherlock lo guardò a lungo: "Perché io non lo desidero."
John lo fissò a bocca aperta.
"Non ci guadagno nulla, – aggiunse Sherlock prima che
John potesse comprendere il reale motivo dietro al ragionamento – Sono passati
quattro mesi e queste carte sono l'unico motivo per cui sei venuto a parlare con
me. Forse per te è facile buttare via
tutto ciò che avevamo solo per tenere il broncio, ma io mi rifiuto di partecipare.
Ti ho dato tempo, ho mantenuto le distanze. Ho aspettato che tu venissi da me
così che potessimo parlare. Nell’attimo in cui firmerò quei documenti, te ne
andrai e non ti vedrò più."
"Non puoi saperlo," ribatté John, piuttosto
debolmente.
Sherlock inarcò un sopracciglio, sentendo l'angolo della sua
bocca arricciarsi in un sorriso amaro: "Non posso? Dimmi, John: se non avessi
avuto bisogno della mia firma, se non avessi saputo del nostro matrimonio,
saresti mai tornato di nuovo qui?"
John non rispose. Sherlock bevve metà del suo tè per nascondere
quanto questo lo ferisse.
"Esatto," constatò.
"Allora vorresti... che cosa? Il mio perdono per quello
che hai fatto in cambio della firma? – chiese John – Bene. Ti perdono. Ecco. Sei
felice adesso?"
"Una volta eri più convincente quando mentivi, – ribatté
Sherlock e distolse lo sguardo – Hai davvero così tanta fretta di non vedermi
mai più?"
"Dopo tutto quello che hai fatto? – domandò John – Perché
non dovrei?"
Sherlock si strinse nelle spalle: "Poiché il mio
presunto crimine è stato quello di lasciarti indietro, non vedo come il tuo
stare lontano ora non sia altro che una ulteriore punizione per entrambi."
Alzò la testa per guardare di nuovo John dritto negli occhi: "Non
volevo andarmene, John. Di certo non volevo lasciarti indietro. Se non puoi
accettare che non mi sia stata lasciata un’altra scelta in quella circostanza,
allora non so cos'altro dirti. È la verità, che tu scelga di crederci o
no."
*****
John osservò attentamente il suo ex migliore amico, ma non riuscì
a trovare alcun accenno di menzogna sul viso di Sherlock. Oh, era sempre stato
un bravo bugiardo, ma per lo più funzionava se non lo conoscevi o se non ti
aspettavi una bugia. John era diventato abbastanza bravo a capire quando
Sherlock lo stava raggirando, o almeno gli piaceva pensarlo. Questa volta, non
c'era traccia di malizia sul volto di Sherlock. Più che altro, sembrava che si
stesse davvero trattenendo dal dire troppo.
John voleva disperatamente sapere che cosa fosse. Le parole
"che cosa è accaduto su quel tetto?" erano incastrate in gola ma non
riusciva a tirarle fuori, non riusciva a costringersi a chiedere, temendo quale
potesse essere la risposta. Temendo di essere di nuovo trascinato nella vita
che gli mancava così tanto da fargli male. Sapeva, in fondo, che non sarebbe
stato in grado di sopportare di perdere Sherlock in quel modo per la seconda
volta. Era meglio restare distaccato.
"Parlami del nostro matrimonio, – disse invece – Come è
successo? E, ti prego dimmi, perché non ne ricordo un solo momento?"
A quelle parole Sherlock sembrò a disagio.
"Ah," bofonchiò con quel tono che aveva quando davvero
desiderava che John non affrontasse un argomento. Ebbene, era troppo tardi per
quello.
“Sherlock..."
Lui sospirò: "Stavo indagando su quella serie di rapine
in cui tutte le vittime soffrivano di una perdita di memoria. Ricordi?"
John annuì: "In modo vago. Era un nove, giusto? Ricordo
soprattutto che non dormivi e facevi esperimenti su vari composti per scoprire
come i ladri avessero causato la perdita di memoria..."
Si interruppe quando il suo cervello fece un ‘clic’:
"Non l'hai fatto!"
"Beh, che cosa altro avrei dovuto fare?" domandò
Sherlock, come se questo fosse in qualche modo un motivo giustificabile.
"Letteralmente qualsiasi altra cosa, dannazione! –
scattò John – Ne avevamo già parlato, Sherlock. Nessun dannato esperimento su
di me. Nessuno!"
Si alzò e camminò su e giù attraverso la loro... attraverso la cucina: "Non ci credo. Mi hai
drogato! E dopo, che cosa, mi hai costretto a sposarti?"
"No! – Sherlock quasi gridò la parola, gli occhi
selvaggi – Non ti avrei mai… non ti
ho costretto a fare niente. Non ero nemmeno sicuro che funzionasse. John, ho
controllato e ricontrollato e ti giuro che non c'era alcuna sostanza che alterasse
la mente, niente che ti avrebbe fatto agire in modo diverso da come avresti fatto
normalmente. È stata una semplice cancellazione della memoria. So che la mia
parola non significa molto per te, ma ho ancora il composto. Puoi inviarlo a
qualsiasi laboratorio, confermeranno tutto quello che ti ho appena detto. Ho
preso io stesso un composto diverso e quello non ha avuto il benché minimo
effetto.”
Era stato impetuoso in modo sorprendente. Ma ecco ancora,
John lo aveva quasi accusato di avere utilizzato una droga da stupro su di lui.
No, quello non era per nulla lo stile di Sherlock quando voleva qualcosa.
Proprio come suo fratello, preferiva una manipolazione sottile piuttosto che
drogare le persone. E John non aveva molta voglia di avere a che fare perfino con
l'idea di Mycroft in quel momento. Così la sua mente si bloccò nell'unica parte
di questo resoconto cui sentiva di poter ribattere.
Seppellì il viso tra le mani: "Tu... Sherlock, ne
abbiamo già parlato. Non puoi semplicemente prepararti le droghe tu stesso. O
prendere quelle fatte da qualcun altro, se è per questo! Quante volte abbiamo avuto
questa discussione?"
"È stato determinante per il caso, – ribatté Sherlock –
E, come ho detto, non ha avuto alcun effetto su di me. Ricordo ancora tutto
quello che è successo. Forse io ero immune al composto a causa del mio passato.
Ad ogni modo, ti giuro che non ti ho in alcun modo costretto a sposarmi."
John sospirò e abbassò le braccia: "Ed io dovrei
crederci, vero?"
"Sì, – ribadì Sherlock, sembrando un po’ ferito all'idea
che John non accettasse la sua parola – Ma se hai dei dubbi, puoi chiedere alla
signora Hudson e a mio fratello."
"La signora Hudson e Mycroft? Che cosa c'entrano con questa
storia?"
Sherlock lo guardò come se fosse stupido: "Beh, qualcuno
doveva farci da testimone, no? Mi stai dicendo che non hai nemmeno guardato
bene il certificato di matrimonio? L'hanno firmato entrambi."
John si fermò nel suo camminare avanti e indietro. Non gli
era nemmeno venuto in mente di controllare e ora si sentì un po' sciocco:
"Ma... nessuno dei due mi ha mai detto niente, – proferì – Non nei giorni
o nelle settimane dopo, nemmeno dopo che tu…" Si interruppe, ancora
incapace di dirlo, anche con Sherlock seduto proprio lì, vivo e vegeto che in
quel momento stava mangiando un terzo croissant, come se non se ne rendesse
conto. John si chiese quanto tempo fosse trascorso da quando Sherlock aveva fatto
un pasto vero e proprio.
"Non sono sicuro del motivo per cui Mycroft non ne abbia
mai parlato, – ribatté Sherlock tra un morso e l'altro – Dovrai chiederlo a lui
stesso. Ma quando ho capito che non ricordavi, ho detto alla signora Hudson di
non fare storie al riguardo perché ti avrebbero causato dell’imbarazzo."
"Imbarazzo? – gli fece eco John – E che cosa ne dici riguardo
al mio essere in imbarazzo quando ho
scoperto di essere già sposato, nel momento in cui ho portato la mia fidanzata
all'ufficio del Registro? E se tu non fossi mai... andato via? Ne avresti mai
parlato ancora?"
Sherlock si strinse nelle spalle: "Ho pensato che
sarebbe tornato utile se uno di noi due fosse mai stato ricoverato in ospedale a
causa di una ferita o per qualche altro problema di salute. Considerando il
nostro tipo di lavoro, sembrava solo una questione di tempo. Immaginavo che
avresti preferito avere lì me piuttosto che tua sorella, ammesso che lei fosse
abbastanza sobria da venire."
John sussultò al ricordo di Harry, ma non poté controbattere alla
spiegazione: "E non hai pensato di parlarne con me in un qualsiasi
momento?"
"Ho pensato che avresti potuto dare di matto e chiedere
il divorzio per nessun motivo diverso da quello che sposarsi non è qualcosa che le persone fanno per
capriccio. – dichiarò Sherlock – Il che ci avrebbe riportato al punto di
partenza per quanto riguarda i ricoveri ospedalieri. Quindi ho scelto di non
parlarne. E poi la decisione è stata tolta dalle mie mani."
Sospirando, John tornò alla sua sedia e si sedette di nuovo.
Si ricordò del suo tè raffreddato e prese la tazza come un uomo che sta
annegando si attacca a una scialuppa di salvataggio. Aveva l’identico sapore
che ricordava del tè di Sherlock da Prima.
"Non c'è niente in questa tazza, vero?" chiese con
cautela, anche se un po' in ritardo.
Sherlock alzò gli occhi al soffitto: "No, John. Tè,
acqua calda, latte. Proprio come piace a te."
Aveva ragione, ovviamente. Il tè era davvero perfetto. Molto
meglio della roba che faceva Mary, pensò John in modo colpevole.
"Allora che cosa è successo? – domandò, posando la tazza
– Mi hai fatto scivolare nella tazza qualunque cosa fosse da sperimentare e poi
che cosa? Hai dato suggerimenti ridicoli per vedere se avevano un qualche
effetto?"
Sherlock sussultò. "Perché dovrei fare una cosa del genere?
Il punto era vedere se ti saresti ricordato ciò che era accaduto. Sarei stato
benissimo a godermi una giornata normale con te."
"Allora come siamo finiti a sposarci? – insisté John,
sporgendosi in avanti – Visto, come so da esperienza personale, che non puoi
semplicemente entrare nell'ufficio del Registro e sposarti in un batter d'occhio…
– fece una pausa quando gli venne in mente l'ovvia spiegazione – Oh no.
Mycroft? Davvero?"
"Come ho detto, – mormorò Sherlock – avevamo bisogno di
testimoni."
"E tuo fratello... ha semplicemente... lasciato che tu
mi sposassi, – disse John, scuotendo la testa incredulo – Perché mai lo avrebbe
fatto?"
Sherlock scrollò le spalle, gli occhi fissi sul piatto:
"Pensava che mi avrebbe reso più... stabile, suppongo. Probabilmente
pensava che avresti avuto una buona influenza. O forse pensava che io avessi bisogno
di scopare. Ho pensato che fosse prudente non chiedere."
John si strozzò con la propria stessa saliva.
Gli ci vollero tre minuti buoni per riprendersi e convincersi
che non stava morendo. Quando si asciugò le lacrime involontarie dagli occhi,
Sherlock lo stava guardando con lieve preoccupazione.
John si schiarì la gola, chiedendosi se la sua faccia fosse
davvero in fiamme: "Allora, uhm... a proposito di quello..."
Sherlock lo guardò, la sua espressione imperscrutabile:
"Riguardo a che cosa?"
"Non abbiamo...?" La voce di John in verità si
spense.
Sherlock sbatté le palpebre e, con infinita sorpresa di John,
un rossore rosa chiaro gli si diffuse sugli zigomi: "No."
"Oh, grazie a Dio," mormorò John.
"Non preoccuparti. Sei ancora esattamente eterosessuale
oggi come lo eri tre anni fa, John." Sherlock sembrava un po' seccato e
John pensò all'improvviso che essere grato di non avere scopato con qualcuno e
dirglielo in faccia non era proprio una cosa carina.
"Non intendevo questo, – sospirò – Ti sei visto allo
specchio, sono sicuro che tu sappia già che potresti scegliere chiunque tra la
folla, se solo lo desiderassi."
Diavolo, le persone probabilmente avrebbero formato una coda
disordinata se Sherlock avesse anche solo accennato di volere una scopata.
"E lui ha sposato
me. – pensò John, improvvisamente
stupito da quel fatto – È stato perché
sarebbe una valida ragione per rifiutare se qualcuno diventasse troppo
insistente?"
Non osava pronunciarla ad alta voce, ma ora che la domanda
era lì, non riusciva a smettere di pensarci.
Sherlock non rispose al commento di John e lui decise di lasciare
cadere l'argomento.
"Allora che cosa faremo adesso?" chiese.
"Dipende tutto da te," gli rispose Sherlock, ancora
calmo in modo inquietante, anche se il rossore era svanito dal suo viso come se
non fosse mai stato lì. John sarebbe stato quasi disposto ad accettare di
esserselo immaginato, se Sherlock non avesse ancora evitato il contatto visivo
diretto.
"Da me?"
"Ti ho già detto la mia posizione, – gli ricordò
Sherlock – Non ho alcun incentivo a firmare quei documenti e molte ragioni per
non farlo. Fino a quando e a meno che ciò non cambi, siamo in una posizione di
stallo."
John sospirò: "Che cosa vuoi che faccia?"
"Parla con me, – ribatté subito Sherlock – Dammi una
possibilità di spiegare."
John non si aspettava che Sherlock avesse una risposta subito
pronta. Si agitò un po' prima di rispondere: "Io... io non lo so. Te ne
sei andato, Sherlock. Ti sei ucciso e mi hai costretto a guardare. Non sono
sicuro che ci sia una qualche spiegazione che potresti fornirmi che sarei
disposto ad ascoltare o in grado di credere."
A queste parole poté vedere in modo molto chiaro il lampo di
dolore sul viso di Sherlock, ma perfino l'idea di doverlo ascoltare mentre
raccontava di quel giorno era troppo da sopportare.
"Lavora con me, allora, – propose Sherlock – Torna di
nuovo a lavorare sui casi con me finché non sarai pronto ad ascoltare quello
che ho da dirti. Aiutami a risanare la
nostra amicizia."
"E firmerai i documenti se lo faccio?" domandò
John, desiderando che quella condizione fosse scolpita nella pietra.
Sherlock lo fissò a lungo prima di annuire: "Lo farò.
Dopo."
John aprì la bocca per protestare, ma Sherlock aveva già pronta
una contro-argomentazione: "Non mi fido che tu non te ne andresti,
altrimenti."
Non c'era niente che John potesse ribattere a questo.
NdT
Ed ecco il patto. Sherlock riesce a costringere John a trascorrere del tempo con lui.
Che cosa non si fa per amore!
Grazie a chi stia leggendo. E grazie a garfield73, arcobaleno2014 e T’Jill per le recensioni al capitolo precedente.
A mercoledì prossimo.
Ciao ciao.