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Autore: All_I_Need    23/06/2021    4 recensioni
Vi ricordate di quel mercoledì che John ha dimenticato perché Sherlock gli ha messo qualcosa nel té? John non lo ricorda. Però torna a sconvolgere la sua vita.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mary Morstan, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: AU, Missing Moments, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

Baker Street, dolce casa

Capitolo 4

 

John tornò il giorno successivo. Questa volta, Sherlock si era preparato per l’eventuale visita e si era lavato, rasato e aveva indossato un vestito pulito. Il modo in cui il giorno prima John aveva aggrottato la fronte al suo mento ispido non era sfuggito alla sua attenzione. Ben poche cose l’avevano mai fatto.

Anche se l'aveva prevista, sperata, aspettata, la vista di John sulla soglia fece ancora trattenere il fiato a Sherlock e la speranza gli si dispiegò nel petto. Provò a cacciarla giù, ricordando a se stesso di essere cauto. John era testardo quanto lui stesso: non avrebbe cambiato idea così facilmente e sarebbe stato stupido pensare in modo diverso.

Tuttavia, l'umore era differente oggi, lo capì subito dalla postura di John.

"Buongiorno, – salutò John, ondeggiando in modo goffo sulla soglia della cucina – Speravo che potessimo parlare."

Sherlock sbatté le palpebre, cercando di trovare una risposta adeguata.

Quando divenne chiaro che non ne sarebbe arrivata nessuna, John si sforzò di fare un mezzo sorriso e alzò una mano, in cui stringeva un sacchetto di carta marrone: "Hai mangiato? Ho portato dei croissant."

Non c’era neanche bisogno di dirlo: i croissant erano ancora caldi e Sherlock poteva sentirne il profumo. Ciò fece brontolare il suo stomaco e cercò di ricordare quando fosse stata l’ultima volta in cui aveva mangiato. Ricordò in modo vago una fetta di pane tostato, ma non poté essere sicuro di quando fosse stato o se qualcosa l'avesse accompagnata.

"Fai come se fossi a casa tua," mormorò, allontanando dal tavolo con il piede la sedia di fronte a sé.

John sorrise, posò la borsa e andò a caccia di piatti e tazze.

Prima di rendersene conto, Sherlock si ritrovò a preparare il tè. La gente aveva sempre fatto delle sciocche supposizioni su loro due e quella che aveva irritato di più Sherlock era che tutti pensavano che fosse John a preparare il tè. O il caffè. O, in effetti, qualsiasi bevanda riscaldata, dalla cioccolata calda al vin brulé. Tutto questo era sempre stato appannaggio di Sherlock e quando lui non preparava il tè ma il tè era inspiegabilmente presente, doveva essere successo qualcosa perché sicuro come l'inferno non era stato fatto da John.

Caddero con facilità nella loro vecchia routine, muovendosi l'uno intorno all'altro in quella cui Sherlock pensava ancora come alla ‘loro’ cucina come se fossero trascorsi solo due giorni invece che più di due anni dall'ultima volta che avevano vissuto insieme a Baker Street. Era una sensazione agrodolce e notò il momento esatto in cui se ne accorse anche John, a metà del sedersi a quella che ora era una tavola apparecchiata per una colazione tardiva. John esitò e in qualche modo il suo piede si aggrovigliò a una delle gambe del tavolo, facendolo quasi cadere sulla sedia.

Sherlock senza dire una parola spinse una tazza di tè nella sua direzione. Se John voleva parlare, poteva parlare.

"Grazie. Hai un caso?" chiese John, indicando il fascicolo su cui Sherlock si era sfinito e che ora era stato quasi spinto giù dal tavolo.

"Lestrade lo ha portato ieri sera, – mormorò Sherlock – È appena un cinque, ma gli devo un favore. Lo ricompenserò risolvendo il caso entro questo pomeriggio."

"Certo che lo farai," mormorò John e la cosa suonò affettuosa in modo inspiegabile.

"Aiuta a passare il tempo."

John lo guardò e inarcò un sopracciglio: "Mi stai dicendo che non hai niente da fare?"

Sherlock scrollò le spalle, fingendo di essere molto impegnato a spalmare marmellata di fragole sul suo croissant: "In realtà negli ultimi tempi non sono dell’umore giusto per risolvere i casi. Non è la stessa cosa."

"Tu non sei qui."

Le parole rimasero sospese nell'aria tra di loro, non dette e per questo ancora più fragorose.

John abbassò lo sguardo: "Sì, beh. Sono sicuro che ritornerai dell’umore giusto. Hai solo bisogno di un caso adeguato, tutto qui."

"No, – ribatté Sherlock, decidendo di affrontare questa situazione di petto – Ho bisogno di qualcuno che lavori sui casi con me."

"Lestrade…"

"Lestrade ha già abbastanza da fare," lo interruppe Sherlock.

John si agitò per un momento: "Be ', sono sicuro che Molly sarebbe..."

"Molly si sposerà il mese prossimo, – lo troncò Sherlock, parlandogli proprio sopra – Cosa che sapresti, se ti fossi preso la briga di restare in contatto con lei. O con chiunque, in realtà. La signora Hudson è piuttosto irritata con te. Ieri non ti sei nemmeno fermato a salutarla."

Ci fu un tintinnio quando John posò la sua tazza, in modo piuttosto energico: "Senti un po’ da che pulpito."

"Davvero? – chiese Sherlock – Sai che loro non ti direbbero mai nulla di loro spontanea volontà. Io sono il solo disposto ad affrontarti anche quando sei di cattivo umore. Credimi, ormai sono più che abituato al fatto che tu sia arrabbiato con me. Non vedo perché qualcun altro debba scontrarsi con la tua incapacità di accettare di essere rimproverato per i tuoi errori."

John lo guardò a bocca aperta: "I miei errori? I miei? Che cosa mi dici di te, allora, eh? Saltare giù da quel tetto, facendo pensare a tutti..." Si interruppe e deglutì.

Sherlock bevve un sorso di tè, ma tenne gli occhi su John osservandolo da sopra il bordo della tazza: "Non è stato un errore, – disse con calma – È stata una decisione consapevole e volontaria. Questo non rende il risultato migliore, ma credimi quando dico che non ne ho tratto gioia. Nel caso te lo stessi chiedendo."

Non poté evitare l'amarezza che gli aleggiò nella voce. Rinunciare alla propria vita in ogni possibile senso del termine e poi essere punito per questo non era qualcosa che si che si era aspettato che accadesse.

Prima che John potesse approfondire l’argomento, Sherlock aggiunse: "Comunque, volevi parlare. Quindi parla."

Ci fu un momento di silenzio mentre John pensava a ciò che voleva dire. Sherlock mangiò un altro pezzo di croissant, dentro di sé stupito da quanto fosse calmo. John era qui e sarebbe tornato anche se se ne fosse andato infuriato.

"Volevo scusarmi per ieri, – esordì John e Sherlock evitò per un pelo di soffocarsi con la colazione – Non avrei dovuto fare irruzione o parlarti in quel modo. Era fuori luogo."

Sherlock sbatté le palpebre: "Va bene. Scuse accettate."

John sembrò davvero sorpreso: "Sul serio?"

"Certo. Nessuno di noi due ha dato il meglio di sé ieri. Da allora abbiamo avuto entrambi il tempo di calmarci."

John si accigliò, chiaramente sospettoso. Era giusto - tra loro due, era raro che Sherlock fosse quello ragionevole in queste cose. Eppure eccoli qui.

"Allora... – John esitò, si leccò le labbra. Sherlock si costrinse a non indugiare con lo sguardo – Ciò significa che firmerai..."

"No," si limitò a dire Sherlock.

"Ma hai appena detto…"

"Non ho detto niente del genere, – precisò Sherlock, cercando di mantenere quella calma che aveva fatto tanta fatica a trovare – Ho solo accettato le tue scuse e ho convenuto che nessuno di noi sia stato irreprensibile ieri. Non cambia ciò che è stato detto, anche se il tono usato ti ha fatto pensare di poter ottenere quello che desideri."

"Non firmi i documenti del divorzio, – ripeté John, come se fosse ancora incredulo – Perché?"

Sherlock lo guardò a lungo: "Perché io non lo desidero."

John lo fissò a bocca aperta.

"Non ci guadagno nulla, – aggiunse Sherlock prima che John potesse comprendere il reale motivo dietro al ragionamento – Sono passati quattro mesi e queste carte sono l'unico motivo per cui sei venuto a parlare con me. Forse per te è facile  buttare via tutto ciò che avevamo solo per tenere il broncio, ma io mi rifiuto di partecipare. Ti ho dato tempo, ho mantenuto le distanze. Ho aspettato che tu venissi da me così che potessimo parlare. Nell’attimo in cui firmerò quei documenti, te ne andrai e non ti vedrò più."

"Non puoi saperlo," ribatté John, piuttosto debolmente.

Sherlock inarcò un sopracciglio, sentendo l'angolo della sua bocca arricciarsi in un sorriso amaro: "Non posso? Dimmi, John: se non avessi avuto bisogno della mia firma, se non avessi saputo del nostro matrimonio, saresti mai tornato di nuovo qui?"

John non rispose. Sherlock bevve metà del suo tè per nascondere quanto questo lo ferisse.

"Esatto," constatò.

"Allora vorresti... che cosa? Il mio perdono per quello che hai fatto in cambio della firma? – chiese John – Bene. Ti perdono. Ecco. Sei felice adesso?"

"Una volta eri più convincente quando mentivi, – ribatté Sherlock e distolse lo sguardo – Hai davvero così tanta fretta di non vedermi mai più?"

"Dopo tutto quello che hai fatto? – domandò John – Perché non dovrei?"

Sherlock si strinse nelle spalle: "Poiché il mio presunto crimine è stato quello di lasciarti indietro, non vedo come il tuo stare lontano ora non sia altro che una ulteriore punizione per entrambi."

Alzò la testa per guardare di nuovo John dritto negli occhi: "Non volevo andarmene, John. Di certo non volevo lasciarti indietro. Se non puoi accettare che non mi sia stata lasciata un’altra scelta in quella circostanza, allora non so cos'altro dirti. È la verità, che tu scelga di crederci o no."

 

*****

 

John osservò attentamente il suo ex migliore amico, ma non riuscì a trovare alcun accenno di menzogna sul viso di Sherlock. Oh, era sempre stato un bravo bugiardo, ma per lo più funzionava se non lo conoscevi o se non ti aspettavi una bugia. John era diventato abbastanza bravo a capire quando Sherlock lo stava raggirando, o almeno gli piaceva pensarlo. Questa volta, non c'era traccia di malizia sul volto di Sherlock. Più che altro, sembrava che si stesse davvero trattenendo dal dire troppo.

John voleva disperatamente sapere che cosa fosse. Le parole "che cosa è accaduto su quel tetto?" erano incastrate in gola ma non riusciva a tirarle fuori, non riusciva a costringersi a chiedere, temendo quale potesse essere la risposta. Temendo di essere di nuovo trascinato nella vita che gli mancava così tanto da fargli male. Sapeva, in fondo, che non sarebbe stato in grado di sopportare di perdere Sherlock in quel modo per la seconda volta. Era meglio restare distaccato.

"Parlami del nostro matrimonio, – disse invece – Come è successo? E, ti prego dimmi, perché non ne ricordo un solo momento?"

A quelle parole Sherlock sembrò a disagio.

"Ah," bofonchiò con quel tono che aveva quando davvero desiderava che John non affrontasse un argomento. Ebbene, era troppo tardi per quello.

“Sherlock..."

Lui sospirò: "Stavo indagando su quella serie di rapine in cui tutte le vittime soffrivano di una perdita di memoria. Ricordi?"

John annuì: "In modo vago. Era un nove, giusto? Ricordo soprattutto che non dormivi e facevi esperimenti su vari composti per scoprire come i ladri avessero causato la perdita di memoria..."

Si interruppe quando il suo cervello fece un ‘clic’: "Non l'hai fatto!"

"Beh, che cosa altro avrei dovuto fare?" domandò Sherlock, come se questo fosse in qualche modo un motivo giustificabile.

"Letteralmente qualsiasi altra cosa, dannazione! – scattò John – Ne avevamo già parlato, Sherlock. Nessun dannato esperimento su di me. Nessuno!"

Si alzò e camminò su e giù attraverso la loro... attraverso la cucina: "Non ci credo. Mi hai drogato! E dopo, che cosa, mi hai costretto a sposarti?"

"No! – Sherlock quasi gridò la parola, gli occhi selvaggi – Non ti avrei mai… non ti ho costretto a fare niente. Non ero nemmeno sicuro che funzionasse. John, ho controllato e ricontrollato e ti giuro che non c'era alcuna sostanza che alterasse la mente, niente che ti avrebbe fatto agire in modo diverso da come avresti fatto normalmente. È stata una semplice cancellazione della memoria. So che la mia parola non significa molto per te, ma ho ancora il composto. Puoi inviarlo a qualsiasi laboratorio, confermeranno tutto quello che ti ho appena detto. Ho preso io stesso un composto diverso e quello non ha avuto il benché minimo effetto.”

Era stato impetuoso in modo sorprendente. Ma ecco ancora, John lo aveva quasi accusato di avere utilizzato una droga da stupro su di lui. No, quello non era per nulla lo stile di Sherlock quando voleva qualcosa. Proprio come suo fratello, preferiva una manipolazione sottile piuttosto che drogare le persone. E John non aveva molta voglia di avere a che fare perfino con l'idea di Mycroft in quel momento. Così la sua mente si bloccò nell'unica parte di questo resoconto cui sentiva di poter ribattere.

Seppellì il viso tra le mani: "Tu... Sherlock, ne abbiamo già parlato. Non puoi semplicemente prepararti le droghe tu stesso. O prendere quelle fatte da qualcun altro, se è per questo! Quante volte abbiamo avuto questa discussione?"

"È stato determinante per il caso, – ribatté Sherlock – E, come ho detto, non ha avuto alcun effetto su di me. Ricordo ancora tutto quello che è successo. Forse io ero immune al composto a causa del mio passato. Ad ogni modo, ti giuro che non ti ho in alcun modo costretto a sposarmi."

John sospirò e abbassò le braccia: "Ed io dovrei crederci, vero?"

"Sì, – ribadì Sherlock, sembrando un po’ ferito all'idea che John non accettasse la sua parola – Ma se hai dei dubbi, puoi chiedere alla signora Hudson e a mio fratello."

"La signora Hudson e Mycroft? Che cosa c'entrano con questa storia?"

Sherlock lo guardò come se fosse stupido: "Beh, qualcuno doveva farci da testimone, no? Mi stai dicendo che non hai nemmeno guardato bene il certificato di matrimonio? L'hanno firmato entrambi."

John si fermò nel suo camminare avanti e indietro. Non gli era nemmeno venuto in mente di controllare e ora si sentì un po' sciocco: "Ma... nessuno dei due mi ha mai detto niente, – proferì – Non nei giorni o nelle settimane dopo, nemmeno dopo che tu…" Si interruppe, ancora incapace di dirlo, anche con Sherlock seduto proprio lì, vivo e vegeto che in quel momento stava mangiando un terzo croissant, come se non se ne rendesse conto. John si chiese quanto tempo fosse trascorso da quando Sherlock aveva fatto un pasto vero e proprio.

"Non sono sicuro del motivo per cui Mycroft non ne abbia mai parlato, – ribatté Sherlock tra un morso e l'altro – Dovrai chiederlo a lui stesso. Ma quando ho capito che non ricordavi, ho detto alla signora Hudson di non fare storie al riguardo perché ti avrebbero causato dell’imbarazzo."

"Imbarazzo? – gli fece eco John – E che cosa ne dici riguardo al mio essere in imbarazzo quando ho scoperto di essere già sposato, nel momento in cui ho portato la mia fidanzata all'ufficio del Registro? E se tu non fossi mai... andato via? Ne avresti mai parlato ancora?"

Sherlock si strinse nelle spalle: "Ho pensato che sarebbe tornato utile se uno di noi due fosse mai stato ricoverato in ospedale a causa di una ferita o per qualche altro problema di salute. Considerando il nostro tipo di lavoro, sembrava solo una questione di tempo. Immaginavo che avresti preferito avere lì me piuttosto che tua sorella, ammesso che lei fosse abbastanza sobria da venire."

John sussultò al ricordo di Harry, ma non poté controbattere alla spiegazione: "E non hai pensato di parlarne con me in un qualsiasi momento?"

"Ho pensato che avresti potuto dare di matto e chiedere il divorzio per nessun motivo diverso da quello che sposarsi non è qualcosa che le persone fanno per capriccio. – dichiarò Sherlock – Il che ci avrebbe riportato al punto di partenza per quanto riguarda i ricoveri ospedalieri. Quindi ho scelto di non parlarne. E poi la decisione è stata tolta dalle mie mani."

Sospirando, John tornò alla sua sedia e si sedette di nuovo. Si ricordò del suo tè raffreddato e prese la tazza come un uomo che sta annegando si attacca a una scialuppa di salvataggio. Aveva l’identico sapore che ricordava del tè di Sherlock da Prima.

"Non c'è niente in questa tazza, vero?" chiese con cautela, anche se un po' in ritardo.

Sherlock alzò gli occhi al soffitto: "No, John. Tè, acqua calda, latte. Proprio come piace a te."

Aveva ragione, ovviamente. Il tè era davvero perfetto. Molto meglio della roba che faceva Mary, pensò John in modo colpevole.

"Allora che cosa è successo? – domandò, posando la tazza – Mi hai fatto scivolare nella tazza qualunque cosa fosse da sperimentare e poi che cosa? Hai dato suggerimenti ridicoli per vedere se avevano un qualche effetto?"

Sherlock sussultò. "Perché dovrei fare una cosa del genere? Il punto era vedere se ti saresti ricordato ciò che era accaduto. Sarei stato benissimo a godermi una giornata normale con te."

"Allora come siamo finiti a sposarci? – insisté John, sporgendosi in avanti – Visto, come so da esperienza personale, che non puoi semplicemente entrare nell'ufficio del Registro e sposarti in un batter d'occhio… – fece una pausa quando gli venne in mente l'ovvia spiegazione – Oh no. Mycroft? Davvero?"

"Come ho detto, – mormorò Sherlock – avevamo bisogno di testimoni."

"E tuo fratello... ha semplicemente... lasciato che tu mi sposassi, – disse John, scuotendo la testa incredulo – Perché mai lo avrebbe fatto?"

Sherlock scrollò le spalle, gli occhi fissi sul piatto: "Pensava che mi avrebbe reso più... stabile, suppongo. Probabilmente pensava che avresti avuto una buona influenza. O forse pensava che io avessi bisogno di scopare. Ho pensato che fosse prudente non chiedere."

John si strozzò con la propria stessa saliva.

Gli ci vollero tre minuti buoni per riprendersi e convincersi che non stava morendo. Quando si asciugò le lacrime involontarie dagli occhi, Sherlock lo stava guardando con lieve preoccupazione.

John si schiarì la gola, chiedendosi se la sua faccia fosse davvero in fiamme: "Allora, uhm... a proposito di quello..."

Sherlock lo guardò, la sua espressione imperscrutabile: "Riguardo a che cosa?"

"Non abbiamo...?" La voce di John in verità si spense.

Sherlock sbatté le palpebre e, con infinita sorpresa di John, un rossore rosa chiaro gli si diffuse sugli zigomi: "No."

"Oh, grazie a Dio," mormorò John.

"Non preoccuparti. Sei ancora esattamente eterosessuale oggi come lo eri tre anni fa, John." Sherlock sembrava un po' seccato e John pensò all'improvviso che essere grato di non avere scopato con qualcuno e dirglielo in faccia non era proprio una cosa carina.

"Non intendevo questo, – sospirò – Ti sei visto allo specchio, sono sicuro che tu sappia già che potresti scegliere chiunque tra la folla, se solo lo desiderassi."

Diavolo, le persone probabilmente avrebbero formato una coda disordinata se Sherlock avesse anche solo accennato di volere una scopata.

"E lui ha sposato me. pensò John, improvvisamente stupito da quel fatto – È stato perché sarebbe una valida ragione per rifiutare se qualcuno diventasse troppo insistente?"

Non osava pronunciarla ad alta voce, ma ora che la domanda era lì, non riusciva a smettere di pensarci.

Sherlock non rispose al commento di John e lui decise di lasciare cadere l'argomento.

"Allora che cosa faremo adesso?" chiese.

"Dipende tutto da te," gli rispose Sherlock, ancora calmo in modo inquietante, anche se il rossore era svanito dal suo viso come se non fosse mai stato lì. John sarebbe stato quasi disposto ad accettare di esserselo immaginato, se Sherlock non avesse ancora evitato il contatto visivo diretto.

"Da me?"

"Ti ho già detto la mia posizione, – gli ricordò Sherlock – Non ho alcun incentivo a firmare quei documenti e molte ragioni per non farlo. Fino a quando e a meno che ciò non cambi, siamo in una posizione di stallo."

John sospirò: "Che cosa vuoi che faccia?"

"Parla con me, – ribatté subito Sherlock – Dammi una possibilità di spiegare."

John non si aspettava che Sherlock avesse una risposta subito pronta. Si agitò un po' prima di rispondere: "Io... io non lo so. Te ne sei andato, Sherlock. Ti sei ucciso e mi hai costretto a guardare. Non sono sicuro che ci sia una qualche spiegazione che potresti fornirmi che sarei disposto ad ascoltare o in grado di credere."

A queste parole poté vedere in modo molto chiaro il lampo di dolore sul viso di Sherlock, ma perfino l'idea di doverlo ascoltare mentre raccontava di quel giorno era troppo da sopportare.

"Lavora con me, allora, – propose Sherlock – Torna di nuovo a lavorare sui casi con me finché non sarai pronto ad ascoltare quello che ho da dirti. Aiutami a risanare  la nostra amicizia."

"E firmerai i documenti se lo faccio?" domandò John, desiderando che quella condizione fosse scolpita nella pietra.

Sherlock lo fissò a lungo prima di annuire: "Lo farò. Dopo."

John aprì la bocca per protestare, ma Sherlock aveva già pronta una contro-argomentazione: "Non mi fido che tu non te ne andresti, altrimenti."

Non c'era niente che John potesse ribattere a questo.

 

 

 

NdT

Ed ecco il patto. Sherlock riesce a costringere John a trascorrere del tempo con lui.

Che cosa non si fa per amore!

Grazie a chi stia leggendo. E grazie a garfield73, arcobaleno2014 e T’Jill per le recensioni al capitolo precedente.

 

A mercoledì prossimo.

 

Ciao ciao.

   
 
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