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Autore: Shibumoshi    25/06/2021    1 recensioni
ATTENZIONE: FANFICTION SUL CELEBRE PERSONAGGIO DI HAIKYUU. I FATTI E ALCUNI PERSONAGGI SONO TOTALMENTE FRUTTO DI FANTASIA.
Oikawa Tooru, setter e capitano della squadra maschile di pallavolo della Aoba Johsai: attraente, competitivo ed estremamente egocentrico, amato da molte ragazze e odiato da altrettanti ragazzi.
Yukine Kobayashi, vecchia amica d'infanzia di Tooru, nonché nuova studentessa dell'Aoba: bella, intelligente e senza peli sulla lingua.
Sono passati nove anni dall'ultima volta che i due si sono visti; Oikawa sembra estremamente felice di rincontrarla proprio lì, tra i corridoi della sua stessa scuola, Yukine d'altronde non sembra della stessa opinione.
Un tradimento apparentemente innocuo avvenuto anni addietro ha causato un enorme conseguenza, infrangendo la fiducia di un'amicizia, e distruggendo un meraviglioso sogno infantile.
Intrighi, litigi e tante risate sono le parole chiave della nostra storia. Talvolta il tempo riesce a guarire anche la più piccola ferita del passato, tramutando, spesso e volentieri, un sentimento d'odio in qualcosa di più benevolo.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Yukine

 
Megumi era scoppiata a ridere dopo aver saputo dell'incontro con quella specie di porcospino umanoide. «Ci sarà da divertirsi allora!» Aveva detto, portando poi un braccio dietro il mio collo per trascinarmi una volta per tutte fuori dall'istituto. 
Una stradina lunga ed isolata separava le nostre abitazioni. Megumi abitava in una grande casa appena prima il viottolo, perennemente illuminata dai faretti del giardino d'ingresso ch'erano nascosti da delle rigogliose siepi e da un mucchio di Crisantemi dai mille colori. Insomma, solo il giardino poteva confermare il suo ceto tutt'altro che basso. 
«Posso accompagnarti Yuki, davvero, non è un problema» si propose con la sua solita cordialità, mentre si apprestava ad aprire il piccolo cancello bianco della staccionata. Per quanto mi sarebbe piaciuto chiacchierare ancora un po' con la mia compagna, non volevo che rincasasse troppo tardi -oltre al fatto che la mia dimora era distante ancora una buona mezz'ora-, le strade col buio sarebbero potute diventare pericolose, specie per una giovane adolescente.
«Ti ho già detto che va bene così! Non devi preoccuparti Megumi, davvero.» Tentai di rassicurarla con un simpatico occhiolino e, prima che potesse insistere a causa della forte preoccupazione, voltai i tacchi e urlai: «a domani Memi-chan!».
Qualche lampione illuminava lo sterrato; il cielo si era ormai tinto di rosa, con un accenno di sfumature violacee verso l'immagine ancora opaca della mezza luna. Un intenso e lungo sospiro fuoriuscì dalle mie labbra, in piena goduria della tranquillità di quella stradina apparentemente isolata dal resto del mondo. Avrei voluto passare molto più tempo in quel modo, con la brezza primaverile ad accarezzarmi il volto ed il tenue rumore dell'erba fresca smossa dal vento a riempirmi le orecchie, anziché ritornare in quella triste e lugubre casa. La nobiltà, il denaro, il potere, tutte queste cose sono come una droga per gli uomini: più ne hai e più ne vuoi, ma quando la ottieni sei due passi più vicino alla morte. Mio padre era uno di quegli uomini, fanatici del denaro e bramosi di potere; ogni cosa doveva essere come pianificata, i Kobayashi dovevano essere sempre perfetti, impeccabili, ed eccellere in ogni cosa. Mia madre, ad esempio, una povera disgraziata che si era ritrovata a sposare un uomo privo di emozione solo per accontentare la sua famiglia, era divenuta anno dopo anno schiava della sua mentalità corrotta, la adoravo, sia chiaro, sin dalla nascita non aveva fatto altro che prendersi cura di me, ma l'effetto che Hirotaka Kobayashi aveva su di lei era devastante. In sua presenza sembrava una statua: lo affiancava senza proferire parola, non lo guardava, anzi, non guardava nessuno a meno che non ne avesse ricevuto prima il permesso. Se solo avessi potuto, avrei fatto di più per lei.
Alla fine della strada, poco prima dell'enorme fila di case del quartiere, vi era un piccolo parco dedicato interamente ai più piccoli. Un'impercettibile e malinconico sorriso si dipinse sul mio volto, ricordando le giornate passate a giocare su quelle vecchie giostre; era incredibile come quel luogo fosse ancora perfettamente integro, come se gli anni non l'avessero minimamente sfiorato. Io ed Oikawa ci incontrammo per la prima volta proprio in quel parco, esattamente come accadde con Megumi un'anno più tardi. Entrambi avevamo la passione per la pallavolo, e fui proprio io la prima a lanciargli una sfida: il primo che tra i due sarebbe arrivato a cinque punti poteva scegliere la penitenza per il perdente. Inutile dire che fui io a vincere, difatti dovette sganciare ben dieci caramelle al latte. In poco tempo creammo un vero e proprio gruppo, le squadre erano sempre formate da tre giocatori a testa, ed io e Tooru ne eravamo a capo. Sembrava passata un'eternità.
Senza neanche rendermene conto, avevo camminato sino al punto della nostra ultima partita, esattamente due settimane prima dal mio trasferimento. Il cielo aveva cominciato ad imbrunirsi sempre più, le stelle divennero molto più evidenti, ed il rosa del tramonto stava man mano scemando del tutto via. Dovevo rincasare prima che mia madre cominciasse a dare di matto.
«Kobayashi!» 
Aveva esclamato qualcuno alle mie spalle. Sorpresa del fatto che qualcuno mi avesse riconosciuta semplicemente guardando la mia schiena, e accigliata per aver interrotto la fila di ricordi drammatici che stavano passando in quel momento per la mia testa, mi voltai verso la figura che, disgraziatamente, aveva richiamato la mia attenzione. «Non dovresti essere già a casa?» 
Fui sorpresa di vedere Iwaizumi, almeno non era un'inquietante stalker pervertito. Credo.
«Iwa...izumi?» Domandai prendendo una piccola pausa per via della sorpresa. Dovevo proprio sembrare una deficiente. «Cosa ci fai qui?» Almeno questa domanda aveva senso, era l'ultima persona che mi sarei aspettata di incontrare, non che le mie aspettative fossero di incappare in qualcuno.
«Ci abito...», fece una breve pausa, guardò in alto pensando a chissà cosa e, prima che potessi rispondere continuò: «...non nel parco, intendo dire che abito qui vicino, ecco.» Come se non l'avessi capito prima.
Mi venne naturale ridacchiare a quella precisazione, e tentai invano di nascondere il misfatto dietro la mano, ma lui se ne accorse prima che le mie dita finissero sulla bocca per tapparla. Abbassai lo sguardo quasi mortificata per quella specie di offesa, notando una palla sotto il suo braccio destro.
«Avete finito prima gli allenamenti?» Chiesi tentando di smorzare l'imbarazzo. Iwaizumi si avvicinò di qualche passo, il suo sguardo balzò velocemente dalla palla a me, serio e indifferente proprio come quella mattina. Non avrei capito a cosa stesse pensando neanche se fossi stata in grado di leggere la mente. 
«Abbiamo testato i primini, da domani comincerà il lavoro duro. Tooru gli darà il tormento.» 
Alzò gli occhi al cielo, probabilmente già esasperato dal comportamento che l'amico avrebbe assunto con quei poveri ragazzi.
«Ho sentito che puntate alle nazionali», ed era vero, le ragazze non facevano altro che parlarne. 
«È il nostro ultimo anno, lotteremo con le unghie e con i denti pur di arrivarci.» 
La sua determinazione mi fece sorridere. I suoi occhi brillavano sotto la luce dei lampioni, ma non era quello a farli luccicare, il pensiero delle nazionali lo eccitava, bramava dalla voglia di parteciparvi. Quanto mi sarebbe piaciuto provare la stessa emozione, in un certo senso lo invidiavo. 
«Farò il tifo per te allora.» Il mio sguardo ricadde nuovamente sulla palla, mi persi, in un certo senso, in quel mio sogno ormai irrealizzabile.
«Un motivo in più per non perdere.» 
Il gesto di Iwaizumi fu improvviso e totalmente inaspettato, esattamente come le sue parole. La palla tricolore mi volò letteralmente tra le mani: l'avevo afferrata senza pensarci, e avevo realizzato il mio gesto solo pochi attimi dopo. Guardai Iwaizumi con occhi sgranati, mentre lui osservava il mio volto sorridendo. Sentendo un leggero calore sulle gote gli restituii la palla puntando dritto alla sua faccia, e lui, ovviamente, l'afferrò prima di rischiare di rompersi il naso. Sperai con tutta me stessa che non avesse notato il mio più che evidente imbarazzo, un pomodoro al confronto sarebbe stato pallido.
«No, dico, volete una stanza voi due?» 
I passi pesanti del moro rimbombavano nel silenzio della strada. Perché diavolo doveva essere sempre tra i piedi? 
Velocemente raggiunse la figura del suo amico, ed avvolse un braccio attorno al suo collo spingendolo leggermente in avanti. «L'asso e la regina dell'Aoba, i ragazzi ti odieranno a morte Iwa-chan.» Sentenziò beffardo. Lurido piccolo verme.
«Regina?» Domando Iwaizumi apparentemente più confuso di me. Probabilmente avrei chiesto la stessa cosa se solo a rispondere non fosse stato Oikawa. La sua voce era irritante.
«Si, i ragazzi lo hanno deciso oggi.» Fece spallucce, lasciando poi andare l'asso per avvicinarsi pericolosamente a me. «Vedi piccola Yuki? Siamo destinati a stare insieme: io il re e tu la mia regina. Non ti sembra fantastico?» 
Fantastico un corno. Era palese che si stesse prendendo gioco di me, infondo me lo aveva annunciato poche ore prima ed io, esattamente come avevo detto a Megumi, non mi sarei fatta intimorire. Se Oikawa voleva giocare, allora avremmo giocato.
«Fantastico come avere le emorroidi.» Ribattei incrociando le braccia al petto, sporgendomi ancor di più verso il suo patetico volto. 
«Sei senza pudore.»
«E tu senza cervello.»
«Okay, basta voi due.» S'intromise Iwaizumi, sgridandoci come una mammina arrabbiata. 
Io ed Oikawa ci lanciammo nel medesimo istante la stessa occhiataccia irritata, quasi volessimo incolparci l'un l'altra per aver spazientito l'asso. Quest'ultimo sospirò, trascinando il capitano lontano da me. «Andiamo, è ora di tornare a casa.» Affermò rassegnato. Tooru aveva cominciato a fare la linguaccia.
«Mi raccomando Kobayashi, sta attenta.» 
«Chiamami Yukine, per favore.» Odiavo essere chiamata per cognome, il mio nome era molto più bello! 
Iwaizumi sorrise ancora una volta annuendo, probabilmente -o almeno era ciò che speravo- felice di quella piccola confidenza. Sorrisi a mia volta, raccogliendo la cartella caduta al suolo e avviandomi verso una stradina secondaria. L'ultima cosa che volevo era fare la strada di casa con Oikawa.
«Yukine!» L'asso richiamò la mia attenzione per quella speravo fosse l'ultima volta. Stavo facendo davvero troppo tardi. «Conto sul tuo tifo allora!»
Non attese una risposta, quella l'aveva già avuta tempo prima, di conseguenza cominciò a camminare allontanandosi sempre di più, dando qualche schiaffetto dietro la testa del moro per chissà quale ragione. Rimasi lì, totalmente ammaliata ad osservare le due figure svanire in un vicolo. Iwaizumi si era dimostrata davvero una brava persona, il suo sorriso, dolce e comprensivo, perennemente nascosto da un'espressione dura ed irritata ne era la conferma.
«Conta su di me Iwaizumi.» Sussurrai, come se fosse ancora lì vicino e in grado di sentirmi. 
Mi avviai finalmente verso casa tirandomi due schiaffetti sulle guance, cercando di smorzare il sorriso da ebete ormai stampato sul mio volto. Se avessero notato la mia allegria avrebbero fatto domande, mio padre avrebbe fatto domande, ed io non sarei stata in grado di mentire. Lui non avrebbe dovuto sapere.
   
 
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