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Autore: settembre17    29/06/2021    8 recensioni
Perché non volano schiaffi e lembi di camicie così, di punto in bianco.
E aveva ragione quello che diceva che il cuore umano è un “guazzabuglio”.
Il capitolo 2 non è una prosecuzione dell’1 ma un suo arricchimento. Ciascuno dei due capitoli prende senso dall’altro.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2. Ti amo e non te lo dico.
Ti amo e non lo so.

 
Lei si aggirava nel parco di casa, sorpresa di non trovarlo dopo che proprio lui l’aveva invitata a fare una cavalcata insieme. Lo chiamava e non otteneva risposta: incominciava ad avvertire una crescente irritazione.
Ma dove sei finito? Stamattina mi hai proposto una cavalcata a fine giornata e ora non ci sei. Non rovinare l’unica cosa che ho aspettato con piacere in tutto il giorno.
Ma che ti prende? Da quando sei diventato inaffidabile? Tu e i tuoi misteri… Te ne sei andato ancora a uno di quegli incontri da cospiratori che frequenti senza di me? Non mi hai più invitato. Ti dà fastidio che io li ascolti? Ti metto in imbarazzo, forse? Sai che ti dico, ci tornerei se tu me lo chiedessi. Sicuro, ci tornerei.

Lui l’aveva sentita, l’aveva sentita. Ma aveva bisogno di un istante solo, poi sarebbe stato ancora una volta al suo fianco. Era così difficile fingere la normalità ora che aveva visto il buio. Spietato e improvviso l’aveva colto a tradimento, ormai più di una volta, e lui aveva tremato al pensiero di una possibile permanente oscurità. Lei, era naturale, non sospettava nulla. Avrebbe potuto? Lui era molto bravo a dissimulare, e lei era troppo presa da altre cose, da altre persone.
Ancora pochi metri e l’avrebbe raggiunta; passo dopo passo sistemava i pezzi di sé per tornare al suo solito, rassicurante aspetto. Quando le arrivò davanti pareva l’uomo di sempre, gli riuscì persino di accennare un rapido sorriso, ma dentro una strana furia inquieta e sconosciuta si stava impossessando dei suoi pensieri. Nemmeno rivedere i tratti tanto amati placò quello stato di tensione, che anzi si accentuò e prese forma nel gesto secco con cui si pulì la coscia da una polvere immaginaria.
Eccomi, pronto ad andare in scena. Ma sono un attore stanco, vedi? Che sciocco, no tu non mi vedi. I tuoi occhi si posano distratti su di me, un accessorio della tua vita. Forse starei meglio insieme a quella trottola e a quel coltellino. Reperti di un tempo che fu.
Lei aveva indossato la giacca dell’uniforme sopra gli abiti civili: lui lo registrò come un brutto segno. Aveva anche uno sguardo inquisitore e il tono della voce leggermente infastidito. Capitava spesso ultimamente.
Finalmente arrivi! Ma che hai? Mi sembra che qualcosa ti tormenti. È per l’occhio che hai perduto? Per il tuo aspetto cambiato? Ma che tu abbia uno o due occhi non importa: sei sempre tu. Anche se una cicatrice ti deturpasse tutto il volto, saresti sempre tu, per me.
E ora togliti quell’espressione dalla faccia e fai una battuta, una qualsiasi.

- Ma dove eri finito? Dai, andiamo, ho voglia di cavalcare. Oggi è stata una giornata pesante alla reggia.
- Preparo i cavalli. Mi è sembrata una giornata come tutte le altre, comunque, a corte.
- Certo, per te, lo è stata. Io invece sono sempre circondata da damerini incapaci, soldati troppo obbedienti e ossequiosi e cortigiani pettegoli. E oggi erano tutti in fermento per non so quale spettacolo teatrale… Basta, non importa. – Tagliò corto nervosamente.
Non importa. Benissimo. Allora posso prendermi una pausa da te? Ora i tuoi problemi non mi interessano, ne ho abbastanza dei miei. Non ho la forza di rincorrere i tuoi malumori in questo momento. Non parliamo, è meglio.
Lui le passò davanti senza guardarla ed entrò nella scuderia.
Mentre sellava i cavalli, lei gli rivolse la parola dalla porta d’ingresso. Aveva sempre nella voce quel tono impersonale e vagamente infastidito. E non lo guardava.
- Vai ancora a quegli incontri?
- No, non sono più andato.
- Non sei più preoccupato per la sorte degli aristocratici? Del resto, fai bene: tu non sei nobile. Puoi stare tranquillo e vivere felice e contento.
- Felice e contento - Bisbigliò lui mentre provava a compiere i soliti gesti ma ad occhi chiusi.
Lei proseguì, imperterrita.
- Voglio allenarmi di più. Ultimamente non faccio altro che andare a balli e pattugliare aiole e giardini della reggia. Domani ricominciamo ad allenarci; e preparati, perché ho intenzione di fare sul serio.
Ma non ti rendi conto di quello che dici? Riesci a guardarmi davvero? Sto cercando di capire come continuare la mia vita accanto a te. Se posso stare al tuo fianco ora che non ho più… ora che rischio seriamente di… Non riesco nemmeno a pensarlo. E tu ti comporti e parli come se io non tenessi a te. E come se io avessi ancora due occhi! Ne ho meno di uno, lo capisci? Riesci a capire una cosa, una sola, senza che io te la spieghi?
Sono indisponente, vero? Lo so che ho detto una serie di sciocchezze e che tu ti preoccupi per me. Ma ti sto usando per sfogare la mia frustrazione, vedi? Pare che non ci sia limite a quello che tu puoi sopportare da me, e ne approfitto. Me ne rendo conto, sai? Ma i tuoi silenzi mi irritano: quella tua aria da uomo che sa, che ha capito. Ma che cosa hai capito? Che cosa? No, non te lo chiedo, anche le tue parole mi irriterebbero, mi farebbero sentire disarmata, lo so già. E allora vuoi sapere che cosa farei? Ti prenderei a pugni.
Forse, dopo averlo fatto, capirei qualcosa di più di me e tornerei a sorriderti.

Prese le redini senza toccargli le mani, poi scandì:
- Seguimi, ho deciso dove andare.  
Aveva ancora quella voce, la voce che si è spogliata dei sentimenti.
 
Galopparono a lungo, ciascuno chiuso nel suo silenzio.
Arrivarono infine a un posto noto: una radura con un piccolo lago.
Nella voce di lei tremò per un attimo un calore diverso:
- Saranno vent’anni che non veniamo qui.
- Mi pare più piccolo di come lo ricordavo. – Anche a lui l’ultima sillaba tremò sulle labbra e si spense prima di essere pronunciata. Deglutì.
- Scendiamo e facciamo riposare i cavalli. Voglio stendermi e non pensare a niente.
Eccolo di nuovo, quel tono fintamente neutro ma in realtà infastidito.
Lei si sdraiò e chiuse gli occhi. Lui si sedette un po’ distante e poi cercò di mettere a fuoco una fila di formiche che si snodava vicino alla sua mano aperta sul prato.
Lei strappava nervosamente ma ritmicamente l’erba con le dita.
È una fatica immane andare a corte. Tutti fingiamo quello che non siamo, e sorridiamo e conversiamo e ci complimentiamo e ci salutiamo e ci informiamo… e io vorrei urlare. Troppo spesso. Non lo sopporto più. Ascoltare parole vuote, impartire ordini inutili, vedere l’ostentazione e l’ipocrisia. Evitare lui. Evitare lei. E lui che mi evita perché lo sa, ha capito che ero io quella sera: ma mi pare che gli manchi il coraggio di affrontarmi. Come se io fossi una che si mette a piangere! Una che ne fa una tragedia!
Sono davvero questi i problemi della gente? Che cosa c’è fuori da quei cancelli? La miseria, l’ingiustizia? La vita?
Quando sono lì sento di morire. Io sento di morire.

Ora vedo bene queste formiche, vedo bene anche il lago, gli alberi, il cielo. Vedrei anche lei, se volessi, ma non voglio. Le sue pene d’amore oggi mi sembrano così sciocche: ma davvero, che cosa credeva? E non l’ha ancora rivisto da quella sera. Lo evita per amore o per imbarazzo? Mia cara, non vuoi sentirtelo dire ma arriverà il momento in cui non potrai più evitare di incontrarlo. E saranno lacrime, e userai parole da tragedia. E io raccoglierò i cocci, naturalmente. Ma non oggi. Oggi sono senza forza: che ne sarà di noi se io diventerò…? Ci sarà ancora un noi? Quando mi si è annebbiata la vista è stato tutto così improvviso, come potrò continuare a proteggerti? E tu non te ne accorgi!
- Sei silenzioso. Più del solito.
- Mi pare che tu non voglia parlare.
- È vero, non voglio.
Ma perché io e te non abbiamo mai parlato di amore? Non parliamo di tutto, noi due? Evidentemente no.
Taccio sullo svedese, taci sulle tue donne. Come se avessimo stretto un patto. Mai parlare d’amore. Però, se è vero che siamo amici, fratelli, fratelli?, perché non dovremmo parlare d’amore? Perché non ti ho mai parlato di lui? Perché non mi hai mai parlato di una donna?
Tu e una donna… in effetti… è impossibile che tu non… Ti sei mai innamorato in questi anni? No, non lo voglio sapere.
Io sì. Mi sono innamorata. Io… credo di sì. Credo di essere stata innamorata… Certo che sono stata innamorata!

Ma perché non riesco a parlarti delle mie paure? Non dovremmo parlare di tutto, noi due? Evidentemente no.
Pensi che un uomo non abbia paure, debolezze? Non fermarti a quello che vedi, amore mio, anche un uomo ha il diritto di tremare. Ma io non posso tremare davanti a te: non capiresti.
E tu sei preoccupata per me? Per la mia vista? Ti dispiace non duellare più come un tempo? Io mi dispero quando ci penso. Tu no, mi pare. Tu non te ne accorgi, rimugini tra te pensieri che non so. Ma lo sento che stai per fare qualcosa di avventato, sento il nero di nubi che si agita dentro di te. Mi fai paura.

 
Lei si toccò con la mano lo stemma nobiliare che portava al petto. Lo accarezzò distrattamente, ne seguì il contorno con le dita e poi aprì gli occhi aggrottando le sopracciglia. Sollevò leggermente la schiena appoggiandosi sui gomiti.
Devo fare qualcosa della mia vita: così non va bene. Sono una madamigella annoiata o un soldato? Per la miseria, sono un colonnello, un colonnello! A che cosa serve tutto quello che ho imparato? Tutto quello che so? A chi è utile? Volevo questo vent’anni fa? Non posso pensare di tornare qui tra vent’anni ed essere ancora così. Mi sembra di impazzire. È l’ora delle decisioni, non della debolezza. Una svolta, sì. Forse posso rendere migliore il mondo, lottare per un ideale, cambiare la vita di qualcuno.
La volta in cui mi sono piaciuta? Quando ho portato dal dottore un bambino malato che rischiava la vita. Galoppavo e lo tenevo stretto tra le mie braccia.
Eravamo insieme, chissà se te lo ricordi.

 
Si accorse che lui si era alzato e che si era diretto verso il lago.
Lui le dava le spalle e guardava la superficie dell’acqua che rifletteva il suo sguardo a metà.
I capelli sull’occhio, doveva abituarsi ancora al suo aspetto. Quella mattina a corte una contessa gli aveva mostrato uno sfacciato apprezzamento per il suo nuovo volto. Si era sentito nauseato.
È lo stesso posto di allora, ma quest’acqua non è la stessa acqua, quest’erba non è la stessa erba, questa brezza non è la stessa brezza, questo è un volo di uccelli diversi. E noi siamo diversi.
L’acqua, l’erba, la brezza, il volo degli uccelli, un uomo e una donna… Se fossimo personaggi di un libro, ora mi avvicinerei a te e ti darei un bacio. E tu ricambieresti il mio amore. Ma questo non è un libro, è la realtà: tu non mi guardi, io non riesco a muovermi verso di te. Però ci penso a quanti pugni ci siamo dati in questa radura e alla mia mano che stringeva la tua. E a te, che lasciavi la tua mano nella mia, senza spostarla. La lasceresti ancora?

Portando le mani alla nuca allargò i gomiti e rimase in piedi a fissare un punto indefinito davanti a sé. Poi chiuse gli occhi contraendo dolorosamente le sopracciglia.
 
Stai ingombrando la mia visuale. Spostati. Ti vedo così grande oggi, mi sembri più alto. Forse è perché non parli. Se non parli, mi costringi a scrutarti, e io non voglio scrutarti. Il tuo corpo è imponente. Il tuo corpo… Hai delle foglie d’erba, lì… sul fianco, tra i pantaloni e la camicia… non te ne sei accorto?
Il tuo corpo…, io non lo conosco. Hai notato anche tu che non ci tocchiamo più, nemmeno per sbaglio? Riuscirei a ballare vestita da donna con te? Riuscirei sostenere il tuo sguardo mentre la tua mano si apre al centro della mia sch

Si alzò di scatto, lei. Gettò a terra la margherita che fino a quel momento aveva torturato tra le dita senza nemmeno accorgersene.
-Torniamo a casa. È tardi.
Ora la voce le era uscita davvero infastidita, era chiaro.
- Come vuoi.
Si voltò verso di lei, trattenne una parola sulle labbra e poi si diresse verso i cavalli.
Lei, rimasta in piedi ferma, lo osservò con lo sguardo accigliato.
Che cosa stavi per dire? Parlami! No, non parlarmi. Sono così insofferente. Basterebbe una parola di troppo e ti assalirei, ho un desiderio furioso di fare a pugni con te. Vorrei proprio che tu mi provocassi. Solo per poterti mettere le mani addosso, darti uno schiaffo potente.
Oppure vorrei che mi prendessi ancora la mano. Senza dire niente.

Scusami, ma proprio non riesco ad essere il solito. A chiacchierare con finta leggerezza, a farti sorridere. Anche se sei così bella, al mio sguardo… Oggi non ce la faccio. Vedi? Le parole salgono alle labbra e lì si fermano. E tu sei così bella, per me… Lasciami stare. Non parlarmi di futuro, di progetti, di cose da fare. Dammi tregua e lasciami capire come affrontare tutto questo. Sei così bella. Sento che se mi provochi finisce male davvero.
Vorrei che questa volta prendessi tu la mia mano. Senza dire niente.

Le porse le briglie e montarono a cavallo. Poi lei andò avanti, come sempre, verso casa.
   
 
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