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Autore: arashinosora5927    30/06/2021    1 recensioni
[Dear Evan Hansen]
Evan ha raccontato la sua storia ora il palco è di Connor, okay e anche di Evan che si ritroverà a convivere con una strana presenza.
Riporto parte delle cose così come sono state scritte nel libro limitandomi solo a tradurle, ma per il resto l'idea è mia e nei prossimi capitoli sarà apprezzabile la differenza.
TW: suicidio, Ghost!Connor, disturbi mentali, autolesionismo
Spero possiate apprezzare
[Treebros]
Genere: Angst, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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"Sono così fiero di te!"

Hansen si sfiora le labbra, mi guarda, la confusione negli occhi, il suo viso è leggermente tinto di rosa. "Tu mi hai baciato?" mi dice.

"No, tu hai baciato me!" ribatto.

"No, sei stato tu..." mormora.

Mi rendo conto che è vero. "Ah..." mugolo in realizzazione.

"Eh..." segue Hansen con rassegnazione.

"Vabbè, non so come spiegartelo, ma.." inizio a dire. Ecco, davvero non so come esprimere questo concetto, suppongo che ho letto l'atmosfera, ho sentito la magia del momento e un abbraccio mi è sembrato semplicemente troppo poco, ma...

"L'ho fatto in amicizia. Non sono il tipo che ha bisogno di girare attorno alle cose, se mi piaci te lo dico tranquillamente."

Evan annuisce, accenna un sorriso.

"Dove è finito il nostro Hansen?" domanda il preside Howard riportando l'attenzione su di lui. Evan sentendosi chiamato in causa ritorna sul palco camminando con difficoltà e si prende un'altra dose di applausi.

Il ritorno a casa è strano, sentiamo gli occhi addosso. Abbiamo già lasciato la scuola da qualche isolato eppure sembra ancora che chiunque incontriamo voglia complimentarsi con Evan e ripetere quanto sia stato illuminante il suo discorso.

Heidi come al solito non c'è, siamo solo io ed Evan, io, Evan e le parole che non riesco più a tenermi dentro.

"Era iniziata come una semplice curiosità, ma è diventato qualcos'altro" dico di punto in bianco.

Evan, che fino a qualche istante fa era sdraiato sul letto al mio fianco per recuperare le energie, trema, mi guarda in attesa, spaventato.

"Praticamente ho passato tutta la mia vita da solo fino a quando non ho incontrato Miguel. Questo è il suo nome, questo è lui, l'amico della foto."

Evan tira un sospiro di sollievo, si mette a gambe incrociate sul suo letto e mi ascolta. Dalla sua espressione posso capirlo, sa che sto per rivelargli qualcosa che nessuno ha mai avuto l'onore di sentire, una storia che nessuno ha mai letto se non i protagonisti che oltre ad averla scritta l'hanno vissuta.

"A volte era M. Mai Mike" il mio cuore trema, i ricordi mi invadono, i palmi sudano. Non lo nominavo da troppo tempo, anche solo il suo nome sembrava insostenibile. Evan può essere fiero di me per la sua imitazione.

Continuo a volerlo rivedere, ma che senso ha rimettermi in gioco? Che senso ha ora che non può neanche sentire le parole che vorrei avergli detto?

"Ci siamo incontrati al secondo anno ad Hannover. Un istituto tutto al maschile. Pensavo che l'avrei odiato, in realtà ha reso solo le cose più semplici."

Evan attende, rispetta le mie pause e continua a guardarmi carico di curiosità.

"Le mie esperienze con le ragazze si collocano da qualche parte tra "molto insoddisfacente" e "non applicabile" " spiego con serenità, come ho già detto la mia sessualità non era un problema.

"Era il nuovo inizio di cui avevo bisogno. Nella scuola pubblica non potevo sfuggire alla visione che tutti avevano di me. Ad Hannover ero finalmente un foglio bianco, immacolato, incontaminato. Potevo riscrivere la mia storia e nessuno me lo ha fatto credere più di Miguel."

La mia mente vola, ripercorre il corridoio, si ferma seduta a un banco, si perde nei suoi occhi. "La prima settimana ci hanno messo in coppia a biologia. L'ho fatto ridere con una battuta. "Come si riconosce il sesso di un cromosoma? Abbatti i suoi geni." "

Mio Dio, quella risata era il suono più bello che avessi mai sentito.

"Forse era una freddura stupida, ma sembrava normale, la nostra interazione, intendo. Era l'incarnazione di ciò che avevo sempre immaginato fosse normale in un rapporto."

Evan mi guarda negli occhi, come se volesse scrutare più a fondo, come se volesse arrivare al limite della mia anima e vedere cosa c'è, chi c'è.

"Conosceva un po' tutto. Parlavamo di argomenti che non avevo mai neanche considerato come le criptovalute e i cibi alcalini. Citava personalità di cui non avevo mai sentito parlare: Nietzsche e David Sedaris. Mi ha fatto ascoltare artisti che mancavano alla mia cultura: Perfume Genius e War on Drugs. Mi faceva domande a cui non sapevo rispondere ma che amavo sentire: il governo ha demolito l'edificio 7 l'11 settembre? Gli umani sopravviverebbero all'acidificazione degli oceani? Dove sono i piccoli dei piccioni? Sceglieva l'esatta dose di cose da dire per farmi galleggiare, invece di affondare."

Un ricordo tanto sbiadito quanto vivo, la sua mano che mi accarezza il viso, la sua voce che sussurra il mio nome.

"Mi ha detto che ero innocente, mi ha detto qualcosa che era l'opposto di ciò che percepivo, ma che sentivo nel mio cuore era vero. Lui mi ha visto prima che io riuscissi a vedere me stesso."

Mi giro su un lato, stavolta verso Evan, ricerco il suo sguardo e gli faccio cenno di tornare a stendersi vicino a me perché ci stavo bene.

"È stata la prima persona apertamente e orgogliosamente gay che io abbia conosciuto. Suppongo che fosse anche la prima persona che conoscevo davvero..."

Evan si sdraia di nuovo accanto a me, si mette sul lato opposto sostenendo il mio sguardo.

"In classe eravamo un duo, dopo scuola eravamo una coppia." Mi fermo, prendo un respiro profondo. Fa male parlare al passato e forse fa anche più male la carezza vellutata temporanea che sono questi momenti per il mio cuore. "Andavamo in centro" continuo a raccontare. "Ci rifugiavamo al caldo in libreria. Guardavamo gli skateboarder all'Erwin Center. Lo aspettavo fuori dalla panetteria quando staccava dal lavoro. Insieme portavamo le baguette invendute a suo cugino. Finivamo su una panchina a lanciare pane agli uccelli, a struggerci per quanti rifiuti ci fossero nel mondo, a colpevolizzarci per il riscaldamento globale."

Sul mio viso non c'è altro che un sorriso, in quei momenti mi sono sentito davvero vivo e felice e anche se le cose sono cambiate le mie emozioni immortali sono rimaste identiche.

"A volte le nostre conversazioni avvenivano su un autobus. Altre volte sul divano del suo soggiorno. La madre tornava a casa e ci preparava la cena. Io me ne andavo prima che decidessero di coricarsi a pancia piena, la testa riempita di mille concetti, ma colmo era soprattutto il mio cuore."

"E poi cosa è successo?" domanda Evan interessato, trasmettendomi tutta l'attenzione che sta prestando alla mia preziosa condivisione.

"E poi un giorno del secondo semestre gli hanno trovato dell'erba nell'armadietto. Per la prima volta il mio sicuro Miguel ha vacillato, la sua spavalderia lo ha abbandonato."

Un'altra pausa. Evan mi invita a continuare con una carezza sul braccio esposto.

" "È solo un po' d'erba" ho cercato di minimizzare. "E allora? Che fa se ti buttano fuori? Saresti fortunato a poter uscire da questo posto." Lui mi ha preso per il viso, mi ha attraversato con i suoi occhi e fatto toccare con mano la sua paura. "Pensi che sia stato facile per me entrare qui? Forse per te è diverso, io no... non ho la tua stessa disponibilità..." In sostanza Miguel mi fece capire che io avrei avuto altre occasioni, lui aveva un solo treno e non poteva permettersi di scendere alla stazione sbagliata."

Ancora silenzio da parte mia, è tutto così vivo. Le lacrime agli angoli degli occhi, il panico che mi travolse, sta succedendo, no, non allora, adesso. Ogni sentimento è ancora qui a supplicare di essere finalmente elaborato.

"Ho iniziato a pensare al peggio. E se lo avessero cacciato? Cosa ne sarebbe stato di me? Come avrei fatto senza di lui? E poi, un'altra di quelle decisioni prese in una frazione di secondo: sono andato dal preside e gli ho detto che la droga era mia. Non mi importava scoprire cosa sarebbe successo, non ci stavo pensando era stato puro istinto di sopravvivenza. "Purché lui rimanga in questa scuola" mi dicevo."

Evan mi guarda preoccupato, i suoi occhi anticipano la catastrofe, mi prende per mano per darmi coraggio e incitarmi a proseguire.

"Abbiamo firmato tutti lo stesso contratto scolastico a tolleranza zero. Pena: l'espulsione.  I miei genitori hanno cercato di opporsi, ma è stato inutile. La fedina penale di Miguel è rimasta pulita e io sono stato mandato in riabilitazione, come mio padre aveva  minacciato l'anno prima."

Evan si porta una mano alla bocca stupito e spaventato allo stesso tempo, i miei occhi sono lucidi, le narici pizzicano.

"Mia madre lo aveva convinto a iscrivermi invece a un programma estivo nella natura selvaggia e poi ad Hannover. La cosa assurda è che al tempo non ero neanche un caso da riabilitazione, ero solo un cazzone qualunque che si faceva qualche cannetta, ma non importava, il mio curriculum non supportava questa storia. Avevo finito le possibilità. L'ultima vita del videogioco. Game Over per Connor Murphy."

Le lacrime mi bagnano le guance, Evan le guarda mentre si raggruppano in prossimità del mento e solo allora le asciuga con la mano sana.

"Ironia della sorte: è stata proprio la riabilitazione che mi ha introdotto a una nuova serie di cattive abitudini. Il programma estivo nella natura selvaggia era letteralmente una passeggiata nel parco al confronto. I ragazzi con cui stavo erano dei forti tossicodipendenti. Pelle, denti, occhi distrutti dalle droghe. Alcuni di loro non assomigliavano nemmeno più a esseri umani. Zombie. Ed è così che il personale li ha trattati. Ci ha trattato. Ma io no, io non appartenevo a quel posto. Mi sono comportato come se fossi uno di loro. Ho fatto finta di essere un consumatore di droga molto più grande di quanto non lo fossi mai stato in realtà solo per mimetizzarmi. Per sopravvivenza. Ma dentro tremavo. Mi mancava la mia casa, per una volta avevo qualcosa da perdere, qualcosa per cui valesse la pena ritornare."

C'è silenzio, Evan a stento trattiene il respiro. Sembra curioso di scoprire il resto della storia e al contempo desideroso di allieviare le mie pene. Poi sembra ritrattare, come se avesse capito che ho solo bisogno di consegnare finalmente a qualcuno questo dolore perché possa lasciarlo andare al posto mio.

"Dopo la riabilitazione ci siamo visti di meno. Scuole diverse. I turni a lavoro erano fitti e inoltre Miguel aveva deciso di diventare dialogatore per Amnesty International. Per giunta sua madre non voleva che uscisse con me, ero una cattiva influenza. Non ho mai incontrato suo padre e dubito che abbia mai saputo della mia esistenza. Ma comunque ci scrivevamo molto. Io non facevo che lamentarmi della mia vita, di come mi trattavano a scuola. Sai, Evan, la gente sente che sei andato in riabilitazione e si comporta come se fossi veleno e tu... tu inizi a crederci e forse lo diventi davvero."

Un'altra pausa, un singhiozzo. Tutto tace, solo la mano di Evan che asciuga timidamente le mie lacrime, solo un sorriso timido sul suo volto che vuole dire "lasciati andare, ti prendo."

"Fanculo" urlo. " "Fanculo" è quello che diceva Miguel. Semplice e risoluto. "Fanculo." Aiutava, aiutava ogni volta che mi fermavo a pensare alla mia vita, alla piega che aveva preso. La rabbia mi consumava. "Che si fottessero!" a un certo punto non è stato più abbastanza. Mi chiedevo cosa sarebbe successo se fossi rimasto ad Hannover? Forse la mia vita sarebbe potuta andare diversamente."

Un respiro profondo, gli occhi di Evan mi invitano a continuare, la mia voce trema, perché è spaventoso dire addio al ricordo più felice.

"E poi un giorno, la scorsa primavera, Miguel è arrivato. Ha deciso che "fanculo" sua madre e chiunque altro, lui voleva me. È venuto a casa e ne ha fatta una questione di stato. "Mi sento come se fossi il primo messicano a non essere pagato per essere qui." Gli ho detto di no, ma quello che non gli ho detto è che è stata la prima persona che avessi mai invitato a casa mia."

Evan abbassa lo sguardo, posso leggere i suoi pensieri, li smentisco immediatamente.

"Tra noi è successo che è nato un rapporto nel modo più strano mai concepito, ma non mi dispiace che le porte di casa mia ti siano state aperte. È vero, all'inizio mi sentivo come se volessi semplicemente prendere il mio posto, ma poi ho capito che il tuo posto è semplicemente accanto al mio."

Evan sorride, si avvicina leggermente, le nostre fronti si toccano in una muta promessa che nessuno dei due ha il coraggio di pronunciare ad alta voce. "Non posso nasconderti niente, vero?" dice.

Non rispondo, non ce ne è bisogno. Riprendo la mia storia.

"Prima di Miguel avevo avuto altri boh partner, non so come chiamarli. Intendo dire che ero uscito con altre persone e ci ero anche andato a letto, ma non avevo mai portato a casa nessuno perché conoscesse i miei genitori. La casa era vuota, siamo rimasti nella mia camera da letto, stesi a testa in giù, per motivi che conoscevano solo le nostre anime, ma non sono degnate di dircelo. Mi ha preso in giro per uno dei miei libri "Il piccolo Principe? Seriamente? Questo in realtà spiega molto." Ha detto che ero un ragazzo che indossava i panni di un uomo. Mi ha fatto conoscere un sacco di libri e autori. Non gli ho mai restituito la sua copia de "I misteri di Pittsburgh." "

I ricordi corrono a una giornata troppo calda per coprire le gambe, a una casa troppo vuota per non condividere segreti che nessuno avrebbe mai scoperto, a delle labbra troppo abituate a parlare che potevano finalmente imparare il silenzio.

"C'era una nuova energia tra noi. Ora eravamo più grandi, più esperti. Quelli che erano stati solo pensieri si erano tramutati in azioni. Ci siamo sballati e ci siamo sdraiati sul pavimento.  "I tuoi capelli stanno diventando lunghi" ha detto. Mi è bastata quella frase perché desiderassi poterli tranciare con delle forbici, ma poi ha detto "mi piacciono" e ho realizzato di amarli. "Stai bene con i capelli più lunghi." Cielo, lo so io perché ho iniziato l'ultimo anno di liceo con quella lunghezza. Non me li sarei mai più tagliati pur di piacergli per sempre."

Evan sospira, coglie la tristezza e la disperazione, nelle mie parole. Accenno un sorriso perché sta accogliendo tutto questo con tanta pazienza e rispetto e in un attimo sento che Evan può, sì, lui può davvero sapere ogni dettagli di questa storia.

"Prendi il computer, voglio farti sentire una canzone" gli dico.

Hansen si alza dal letto procede verso la scrivania e poi porta il portatile sul materasso tra noi. È nostalgico, mi ricorda un po' il giorno in cui abbiamo scritto quelle lettere, ma con tutta un'altra energia tra noi.

"Perfume Genius - Slip Away" digito sulla barra di ricerca di YouTube, seleziono il primo video.

Hansen inizia ad ascoltare, a guardare il video, ogni singolo fotogramma mi cattura, ogni singola parola mi penetra profondamente. Non riesco a resistere alla tentazione di accennare qualche nota.

"Lo so che ci sono alberi in questo video, ma non ti eccitare" scherzo, forse per sdrammatizzare, mi arriva un cuscino in faccia.

Quando il video è finito Evan mi rivolge uno sguardo che cerca spiegazioni e io sono più che pronto a fornirgliele.

"All'improvviso ha messo questa canzone, non so neanche quando avesse inserito l'auricolare nel mio orecchio. Quando è finita gli ho chiesto di rimetterla, non una volta sola. Ogni singola frase mi parlava all'anima, ma la riga "Non trattenerti, voglio liberarmi" spiccava. "Oh amore, non romperanno mai la forma che prendiamo. Oh tesoro, lascia che le loro voci scivolino via." Mi disse guardandomi negli occhi. Stava solo cantando, oppure stava parlando con me? Sdraiato lì ho notato una voglia sul suo collo, non ci avevo mai fatto caso prima. Ho allungato la mia mano e l'ho toccata con l'indice. I nostri occhi si sono trovati. Quella voglia è stata come un pulsante magico, una volta spinto improvvisamente il mondo intero si è illuminato."

Evan sorride, nei suoi occhi c'è dolcezza, forse invidia. Non ha mai avuto niente di simile e forse pensa non solo che non lo avrà mai, ma magari neanche di meritarlo.

"Fingevamo di essere i ragazzi nel video, di poter scappare in un mondo solo per noi. Tanto meglio che non ci saremmo mai riprodotti, l'umanità avrebbe avuto l'estinzione che meritava. Avremmo vissuto di amore e fanculo il resto del mondo, poteva anche bruciare, mi sarebbe bastato rimanere tra le sue braccia. Quella è stata la prima volta che ho realizzato di pensare a me stessa come qualcosa di diverso da un ragazzo. Nel video io mi vedevo nella ragazza, nelle sue mani dietro il cantante, nel vestito candido, nel fatto che mi lasciavo trascinare perché non avrei avuto il coraggio di lasciare la vita che mi stava uccidendo senza la sua mano, non ero io la guida."

Leggo le domande negli occhi di Evan, ascolto i suoi pensieri. È impaziente di chiedere, ma lo invito con uno sguardo ad aspettare, perché potrei rispondere già nel racconto e se non lo avrò fatto accoglierò tutto il resto.

" "Connie", così mi chiamò e mi sembrò che non ci fosse mai stato niente di più giusto. Mi disse che significava "colei che ha costanza, colei che porta fortuna". Mi piacque subito, sembrava inappropriato per me e forse proprio per questo era perfetto. Miguel ha visto lei prima che io sapessi anche solo ammettere che potesse esserci. Sono una via di mezzo, Evan, fluido. Qualcosa a metà tra ciò che per me era un ragazzo e ciò che per me era una ragazza. A oggi ci sono così tanti termini, credo che rientro tra i genderfluid, ma la verità è che sono Connor e sono Connie, siamo la stessa persona eppure completamente diversi."

Evan sembra confuso, suppongo non sia pratico con queste realtà. I suoi pensieri indugiano sui miei pronomi, su quanto possa essere difficile avere un'identità così articolata, ma in realtà questa è un'altra di quelle cose che ho sentito subito mie e non mi hanno mai dato problemi.

"Perché è finita?!" taglia corto Hansen, il suo tono è incredulo, sofferente, spaventato. Una cosa così bella può davvero finire? Succede.

Queste cose così belle le puoi ammazzare solo da solo, con l'insicurezza, con i demoni, con ogni singola goccia di immaturità. Ed è un crimine.

"Ho ascoltato questa canzone ogni giorno per mesi e mesi finché non è diventato troppo doloroso ascoltarla, perché tutto... tutto quello che avevamo sognato non era che fumo..."

Le lacrime prendono il sopravvento, Hansen le accoglie, mi accoglie. Spalanca le braccia perché io mi ci possa rifuggiare e ammetto che è piacevole nonostante il gesso contro la schiena. Rimaniamo così per interminabili secondi e quasi penso di non rispondere, di lasciare per sempre questa storia incompleta, dove io e Miguel non arriviamo a una fine, dove io non distruggo la cosa migliore che mi fosse mai successa.

"Questa volta eravamo a casa sua. Miguel mi ospitava solo quando sua madre era al lavoro. Nonostante l'opinione che aveva di me mi è sempre piaciuta sua madre: lingua tagliente dal cuore tenero, cuoca straordinaria, la persona più accogliente che avessi mai conosciuto... finché non sono stato espulso. La triste svolta per una verità che solo M sapeva: mi odiava perché avevo aiutato suo figlio."

Evan accarezza la mia schiena, le mie parole arrivano direttamente al suo petto, come se parlassi al suo cuore.

"Ormai lo avrai capito che da quel giorno casa mia la nostra amicizia era sbocciata in qualcos'altro. Era l'inferno, ma Miguel è stato il mio lato positivo, l'unica parte utile della mia vita. Non vedevo l'ora di rivederlo, ma ultimamente quella sensazione era più simile a una compulsione. Una forza gravitazionale che mi attirava verso di lui. Non volevo stargli vicino. Dovevo. E quel giorno a casa sua si è sdraiato accanto a me. Ho studiato il suo corpo, cercando di memorizzarlo al millimetro. Ho osservato il modo in cui la sua pelle sembrava assorbire l'energia della lampada. Il suo ventre abbassarsi formando un'area poco profonda. Mi chiedevo a chi altro nella sua vita fosse concesso questo privilegio. Chi altro avesse mai toccato la voglia magica."

Evan anticipa la tragedia che sto per condividergli accarezzandomi i capelli. È strano nessuno lo aveva mai fatto prima di M. È bello, non voglio che smetta, mi sento di nuovo vivo anche se il mio corpo è impegnato a guardare le margherite dal lato delle radici.

"La mia vita sociale assomigliava a una linea che collegava solo due punti, ma quella di Miguel era un cerchio. Aveva altri amici ad Hannover. Una grande famiglia con tanti cugini. C'era un ex con cui parlava ancora. E io? Dove mi collocavo? Dove mi ero inserito? Ero vicino al centro o più verso l'esterno? "Che hai fatto?!" mi domandò all'improvviso. Mi ero dimenticato di aver tolto i miei braccialetti. Qualcosa che normalmente non avrei fatto, qualcosa che la sua forza gravitazionale mi ha spinto a fare. Ho tirato via il polso. "Niente" ho detto. Mi ha fissato negli occhi, sembrava volermi sfidare. Mi sono alzato dal letto e mi sono infilato i braccialetti. Ho coperto le cicatrici di notti in cui il tempo sembrava non passare mai. Un accendino, fiammiferi, cera per candele, prima di dare fuoco a un vecchio orologio a cucù non avevo neanche considerato le lamette. Un po' come i poeti e i loro piaceri proibiti. D'accordo, era una situazione preoccupante, ma non era nemmeno tutta questa tragedia. M si mise a sedere. "Lo fai sempre!" disse. "Cosa faccio?" gli domandai confuso non sapendo come proteggermi, immediamente mi rimisi la camicia."

Hansen mi afferra una mano la tiene alta e scopre lentamente il polso. Ci siamo già passati quel giorno a casa mia eppure è diverso. Senza preavviso posa le sue labbra lì dove le cicatrici ancora fanno male, le lascia per qualche secondo di assuefazione.

Questa storia è importante, ma ora che la dico ad alta voce so che è un capitolo che si è concluso, almeno in quell'arco temporale. Gli occhi di Evan sono sinceri, e risoluti, in questo momento mi ricordano quelli di M.

Le sue labbra si allontanano dalla mia pelle lesionata, la pelle che rimarrà così in eterno e si aprono per pronunciare una sola parola. "Continua."

"I suoi piedi toccano il pavimento, M fa il giro del letto solo per fermarmi. Rido. "Di cosa stai parlando?" chiedo. "Siamo sempre qui a casa mia. Mi hai avuto più di una volta. Eppure è come se tu mi dessi solo questi piccoli scorci" dice. Lo sfido con uno sguardo spento. "Perché ti interessa? Mica siamo..." Alzo le spalle, ecco il punto è che non ero sicuro di cosa fossimo. Scuote la testa e sospira. "E come possiamo arrivare a esserlo se non me lo permetti?!" Non era una domanda, non era un'affermazione, era un ultimatum. Miguel non sapeva com'era stato l'anno precedente, aveva sentito certo, ma non era stato lì. Conosceva solo la leggenda, non la realtà. Giorno dopo giorno dopo giorno. Graffiare e raschiare. Il danno fatto a me da me.  Ogni cosa buona era diventata cattiva. Sdraiato a letto la notte e immaginandomi solo... "Non capisci" dico. Mi guarda per un momento e poi il suo naso preme contro il mio, gli occhi sembrano volersi fondere con i miei. Non vicini come eravamo poco prima eppure in qualche modo molto più intimi. "Allora dimmelo." "

Evan ricerca il mio sguardo, mi posa una mano sulla spalla per spingermi a proseguire.
"Puoi farcela, Connie, hai bisogno di fare uscire tutto questo."

È strano, quel nome dalle labbra di Hansen ha un sapore differente eppure, è il sapore giusto.

"Stavo davanti a lui e tremavo. "Sii autentico con me! Sii fottutamente vero con me!" Come?  Come avrei potuto farlo? Quando al di sotto di ciò che pensava di vedere in me c'era qualcosa di irreparabile? Feci un passo indietro, strinsi la mascella, mi chiusi a chiave. Mi rivestii il più velocemente possibile. Lui cercò di fermarmi, mi chiamò più volte a squarciagola, ma la mia decisione era già stata presa: scappa per la tua vita. Sto ancora scappando suppongo."

Con un sospiro indico ad Hansen i volantini che ci sono avanzati per pubblicizzare il Progetto Connor. "La foto... quella che sta girando, quella in cui sembro così felice... è vera, sono felice in quell'istante immortalato. I capelli corti e quel grande sorriso sciocco sul mio viso. Nell'originale M è al mio fianco, il suo sorriso è ampio quanto il mio. Di due cose ero certo: come mi sentivo quando ero con lui e quando non lo ero. Il primo esilarante, l'altro insopportabile. Stare con lui era come essere dipendenti da una droga. Quando abbiamo smesso di vederci sono andato in astinenza. È stata un'estate lunga e buia."

Fuori, le parole sono tutte fuori, le emozioni sono tutte fuori. Per quando finisco di tremare il cielo è buio e le braccia di Hansen sembrano più grandi e forti di quanto non lo siano mai state.

"Connor, devi parlare con lui... merita di sapere, merita di avere delle spiegazioni... Connor merita di sapere che sei..."

Hansen si interrompe, suppongo che entrambi odiamo ricordare la mia reale condizione.

"Lui non vuole parlare con me..." mormoro. Se Hansen sapesse a cosa si riferivano quelle spunte blu capirebbe.

"Non importa se non vuole parlare con te, parlerà con me. Vuoi davvero che lo scopra per caso? Vuoi davvero che scopra che il suo ex si è suicidato da una qualche fonte apatica?"

Sospiro, suppongo di no, suppongo sia giusto che venga informato con tutti i crismi e i carismi. Se c'è una cosa che so Miguel mi amava, anche se nessuno dei due lo ha mai detto esplicitamente, il sentimento che c'era tra noi era una profonda amicizia e un solido innamoramento. Non dubito di questo, quello che ancora non sono sicuro sia vero è che io lo meritassi. Oltre a ciò questa è la prima volta che penso a M come a un ex... suppongo che questo significhi che sia stato il mio ragazzo. Neanche questo è mai stato definito.

"Cognome!" dice Hansen irremovibile.

"Cosa che?" domando colto alla sprovvista.

"Cognome, Connor e sappi che se non me lo dai tu lo farò scoprire a Jared e credimi ci riuscirà. Ho troppi elementi per trovare un Miguel ad Hannover."

Tremo, Evan sta facendo la cosa giusta, ma a volte la cosa giusta è spaventosa.

"L-Lionel..." balbetto.

Evan mi guarda soddisfatto facendomi un enorme sorriso che per quanto mi riguarda non promette niente di buono.

"Saldiamo un po' conti col passato. Che dici?"
   
 
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