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Autore: Pol1709    02/07/2021    1 recensioni
Bentrovati a tutti.
Questa storia è la continuazione de "Il Cavaliere e la Strega", ma si svolge nell'epoca di Oscar. Quest'ultima, dopo aver detto addio alla Guardia Reale, a Conte Fersen ed aver litigato con André (il famoso episodio della camicia strappata...) passa un periodo di riposo in Normandia prima di prendere il comando delle Guardie Francesi di Parigi. Lì viene coinvolta, a causa di una vecchia avversaria, nella caccia a una antica e potentissima arma, inseguita dagli agenti inglesi e affiancata da una antica nemica/amica.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Britannia – Primo secolo d. C.
Quanto tempo era passato? Molti anni da quando Roma aveva conquistato la Britannia. Aveva partorito una seconda femmina a Re Prasutago, una bellissima e sanissima bambina, ma pur sempre una donna. Purtroppo però la sfortuna si era abbattuta su di lei e sulla sua famiglia: suo marito aveva cominciato a stare male. La malattia era cominciata con una caduta da cavallo durante la caccia e poi si era tramutata in una febbre senza fine che lo aveva costretto a letto per la maggior parte del tempo.
Nella sua capanna, al capezzale del Re, erano presenti Norag, il sommo druido della tribù, un uomo alto con una folta e lunga barba nera, come i suoi capelli e come la sua tunica. Sulla sua testa campeggiava la tonsura, la rasatura dei capelli da un orecchio all’altro tipica dei druidi. C’era Gavino, il giovane e forte guerriero pretendente alla mano di sua figlia maggiore Una e altri nobili della tribù. Uno di questi, uno dei più anziani, si rivolse a lei – Mia Signora! Il Re…Dobbiamo iniziare a discutere di cosa avverrà dopo che…Che lui non sarà più tra di noi –
Lei lo guardò inorridita. Poi guardò il suo sposo nel giaciglio e le si strinse il cuore vedendo il petto che respirava affannosamente. Era sempre stato un possente guerriero, ma nell’ultimo mese era smagrito in maniera impressionante. Suo padre era morto qualche anno prima e lei non aveva altri parenti in vita. Prasutago era stato un marito buono e onesto e l’aveva sempre trattata con onore e rispetto. Ogni tanto avevano discusso di cosa sarebbe successo dopo la sua morte: le terre degli Iceni erano sottoposte alla legge di Roma per diritto di conquista ed erano amministrate da lui solo per gentile concessione dei romani. Il Re veniva visto quindi semplicemente come uno dei clintes dell’Imperatore che, alla morte del sovrano alleato, poteva disporre di loro e delle loro terre come meglio credeva. Prasutago non aveva mai dato motivo di preoccupazione ai romani e questa sua quieta sottomissione l’aveva inviso a molti altri sovrani della Britannia. In generale il Regno sarebbe stato dato ai suoi successori, nominati a loro volta clientes dall’Imperatore, ma la legge di Roma non ammetteva una discendenza diversa da quella maschile. Le sue figlie non avrebbero mai potuto regnare sugli Iceni: Una aveva sedici anni e la piccola Maeve appena dieci, cosa ne sarebbe stato di loro?
Un altro guerriero entrò oltrepassando una tenda in pelle, si avvicinò al letto del Re, si inginocchiò e si piegò verso di lui. Lei non riuscì a sentire quello che suo marito stata dicendo, ma dopo qualche istante l’uomo si alzò e si rivolse a lei inchinandosi – Mia Signora, la persona che tuo marito ha mandato a chiamare è arrivata. Il Re chiede sia tu a parlare con lui –
Lei aggrottò la fronte, guardò per un attimo Prasutago e annuì lentamente e poi seguì il guerriero sotto lo sguardo attento del druido. Uscirono allo scoperto per poi andare in un’altra capanna dove c’erano altri due guerrieri ad attenderla e una persona che non si sarebbe mai immaginata di vedere nel loro villaggio: era un romano e lo riconosceva dai corti capelli, dal volto rasato e dalla toga verde che indossava. Uno degli uomini inarcò le sopracciglia – Mia Regina, questo è l’uomo che Re Prasutago aspettava…E’…Quello che chiamano…Un avvocato e arriva direttamente da Londinium –
Lei deglutì, aveva visto una volta sola la capitale della Provincia, l’aveva visitata con suo marito; erano stati ospiti, come altri capi tribù, del Governatore romano. La città era stata costruita a immagine e somiglianza della stessa Roma, con le sue strade, i suoi templi, le sue thermae e le sue case in pietra e le sue arene e i suoi mercati degli schiavi. Guardò l’uomo – E a cosa ci serve? –
Il romano strinse le labbra e chinò la testa – Domina, sono stato contattato da tuo marito qualche mese fa per esaminare la situazione del vostro Regno…Una situazione difficile, lo ammetto, ma non insuperabile…Perlomeno con la legge attuale –
Lei fece una smorfia – La legge romana! –
L’altro sospirò – Esiste altra legge? Perdonami Domina, ma le vostre terre appartengono all’Impero e ad esso pagano le tasse, purtroppo, mi dicono, il Re non ha un discendente maschio, ma solo delle femmine –
Lei mosse un passo verso di lui, come si permetteva quel romano di parlare a quel modo delle sue figlie? Erano bellissime e volevano molto bene a loro padre, anche senza l’autorizzazione dei romani. Ma l’uomo di Londinium sorrise – Ma credo di aver trovato una soluzione accettabile – disse e si piegò su una cassa di legno prendendo delle tavolette di cera segnate con quella che i romani chiamavano scrittura.
L’uomo le porse a lei che aggrottò la fronte. Lui annuì – E’ un contratto. Con il quale il Re degli Iceni dona tutte le sue proprietà, compreso il suo Regno, all’Imperatore –
Uno dei guerrieri socchiuse gli occhi – E perché dovrebbe farlo? –
Il romano lo guardò – Le terre degli Iceni appartengono già all’Imperatore, ma con questo atto Re Prasutago sostanzialmente pone sotto la protezione dell’Imperatore non solo le sue terre, ma anche il suo popolo e la sua famiglia. Nelle mie…Nelle nostre intenzioni si vuole generare una specie di obbligo…Morale…Dell’Imperatore verso di voi nella…Speranza…Che lui e tutta la sua autorità possano proteggervi –
Lei rimase di sasso – Obbligo morale? Un obbligo morale di un tiranno a migliaia di miglia da qui è tutto quello che hai saputo fare? –
L’avvocato fece una faccia offesa e strinse a sé le tavolette – Nella vostra condizione è tutto quello che si può razionalmente fare Domina, se tu avessi avuto un figlio che si fosse dimostrato un fedele suddito di Roma, allora avremmo potuto chiedere di accettare la sua successione a Prasutago, ma così…Non posso fare altro –
Lei si sentì vacillare e fissò il romano – E l’Imperatore, razionalmente, ci proteggerà? –
L’uomo sospirò – L’Imperatore ha una serie infinita di proprietà sparse su tutto l’Impero, dalla Siria e l’Egitto all’Iberia, dall’Africa alla Germania, Gallia e Britannia, passando ovviamente per la Grecia, i Balcani e l’Italia…Non può avere il controllo o ricordarsi di tutto, ma già il fatto che siate una sua proprietà dovrebbe darvi una…Solida protezione –
Lei si sentì morire – Una sua proprietà…Questo io, le mie figlie e il mio popolo siamo per Roma? - disse piano e poi guardò di nuovo negli occhi il romano – Claudio è morto. Che tipo è il nuovo Imperatore? –
L’uomo sorrise – E’ giovane, ma dicono che sia intelligente e pronto di spirito, poi ho sentito dire che ha un temperamento da artista che lo rende molto sensibile a casi come il vostro. Senza contare che è consigliato da uno dei più grandi filosofi dei nostri tempi: Lucio Anneo Seneca, che lo guida in ogni passo. A Roma e in tutto l’Impero si pongono grandi speranze su di lui –
Lei fece un gesto con la mano, francamente non gli importava se il nuovo sovrano dei romani fosse un artista o meno, ma che fosse un tipo affidabile e generoso. Sospirò – Lui ci governa da Roma, a miglia e miglia di distanza…E noi non abbiamo nemmeno l’idea di come si chiama –
L’altro gonfiò il petto – E’ di nobilissimi natali, parente diretto di Cesare Augusto e Tiberio, nipote del defunto divo Claudio. Il suo nome è Lucio Domizio Enobarbo, ma mi dicono che è meglio conosciuto a Roma con un soprannome: Nerone –
 
Inghilterra – Anno 1787 d. C.
Oscar si svegliò e si mise seduta sul letto. Ci mise qualche istante per ricordarsi dove si trovava e toccò la tasca interna della giacca. Sospirò di sollievo nel sentire la pietra e si chiese, ancora, dove la stavano portando quei sogni. Il personaggio storico a cui si riferivano era di certo sempre più chiaro, ma le immagini erano così vivide che le sembrava di viverle in prima persona.
Guardò la finestra e vide che stava filtrando la luce del sole. Si mise seduta e sentì bussare: - Colonnello! Siamo pronti! Il capitano Travers aspetta – disse la voce del tenente Wesley.
Dopo qualche istante Oscar aprì la porta per uscire con la sua spada legata al fianco. Il tenente sorrise e si fece di lato. Lei percorse il corridoio e poi uscì all’aperto. Dei tamburi cominciarono a rullare e socchiuse gli occhi per abituarsi al riverbero del sole: I soldati erano in formazione su tre lati di fronte all’edificio, formando una sorta di arena al centro del quale spiccava l’imponente mole in uniforme rossa di Travers. Si girò e vide Walsingham con la sua onnipresente tazza da the e al suo fianco il colonnello Harrison con uno sguardo indecifrabile.
Walsingham sorseggiò dalla tazza e poi sorrise – Buongiorno colonnello! Immagino che faremo colazione dopo il duello. Mi pare che il bon ton indichi che si mangi solo dopo la tenzone –
Harrison girò gli occhi guardandolo obliquamente. L’odore dell’alcol si sentiva chiaramente e si disse che non era un bene avere un comandante ubriaco di prima mattina, specialmente con in corso un duello tra una donna in evidente crisi esistenziale e un ufficiale pieno di rancore e voglia di vendetta: “Quando troveremo quell’arma maledetta chiederò personalmente a Lord Baxter dei possedimenti in India. Almeno là dovrei stare tranquillo per il resto dei miei giorni” pensò. Aveva peraltro parlato chiaramente con Travers, dicendogli, anzi, ordinandogli che poteva umiliare e persino ferire quella donna, ma che non doveva in nessun modo ucciderla. In effetti, si disse ancora, una volta sconfitta la francese avrebbe sicuramente preso la direzione di casa e quindi quell’idiota di Nesby avrebbe potuto prendere la pietra e ucciderla senza che le autorità inglesi o francesi potessero dire qualcosa in merito. E quella, a suo avviso, era la soluzione migliore per tutti loro. Inspirò a fondo – Buongiorno colonnello de Jarjayes! E’ mio dovere chiedere se una delle parti intende rinunciare a questo duello –
Travers strinse le labbra – Mai! – disse e si levò la giacca dell’uniforme. Oscar notò che non aveva una spada al suo fianco, ma alla cintura era appesa la fodera di un pugnale e, dall’altro lato, quella che sembrava una piccola accetta, di quelle che i contadini usavano per tagliare i rami degli alberi. Rimase interdetta e guardò il suo rivale prendere il pugnale nella mano sinistra e l’accetta in quella destra. Notò che la piccola ascia aveva il manico in legno decorato a rilievo, come pure la lama.
Il tenente Wesley si avvicinò – E’ quello che le stavo cercando di dire ieri sera: il capitano Travers non combatte con la spada o con il fucile. Quello è un tomahawk, un’ascia di guerra degli indigeni americani, secondo quello che dice il capitano lui l’ha presa a un guerriero Mohawk che a sua volta l’aveva presa a un Urone durante la guerra contro francesi e indiani –
Oscar lo guardò aggrottando la fronte, non aveva capito nulla di quello che aveva detto il tenente, tranne che quella era un’ascia di guerra degli indiani americani. Sbatté le palpebre e guardò di nuovo Travers. Tutto si era immaginata, ma non di combattere contro quel tipo di armi. Aveva sentito qualche storia sulle popolazioni indigene americane, per lo più di alti ufficiali che si vantavano con le dame di Versailles raccontando terribili storie su quelle popolazioni bellicose e feroci e liquidandole come barbare e inclini alla bestiale pratica dello scuoiamento della parte superiore del cranio dei nemici con tutti i capelli per farne dei trofei. E, a quanto le avevano detto, i guerrieri indiani lo facevano quando le vittime erano ancora vive.
Come se le avesse letto nella mente, Travers le puntò contro il tomahawk – Quella bella capigliatura bionda starebbe bene sulla parete della mia stanza – disse provocando delle risate nella truppa.
Oscar sentì un brivido lungo la schiena, ma sorrise – Prima dovete avvicinarvi tanto da prenderla! –
Il capitano sorrise di nuovo, abbassò le ginocchia e allargò le braccia con in pugno le armi – E lo farò! – disse solo.
Oscar sguainò la spada, la puntò contro il capitano e poi se la portò al volto nel saluto. L’abbassò e guardò Walsingham. Il generale annuì sorridendo e fece un cenno con la mano – Fate pure –
 
Non ebbe nemmeno il tempo di terminare la frase che Travers si gettò su di lei che lo schivò lanciando un fendente che colpì solo l’aria. Notò che l’uomo, nonostante la possente mole, era molto agile e veloce. Aveva combattuto con avversari che impugnavano un’altra spada, che osservavano le regole del combattimento all’arma bianca, ma mai contro un’ascia e un pugnale. Eppure c’era qualcosa di sinistramente pericoloso in quelle armi non convenzionali e quasi primitive. Si immaginò le immense foreste del Nord America piene di uomini dalla pelle rossa, seminudi e con il volto dipinto che massacravano le colonne dei soldati europei scuoiandone la testa urlando contro il cielo in un idioma astruso. Ma non ebbe il tempo di perdersi in quelle visioni perché Travers stava già muovendo verso di lei.
Oscar faticò a parare i colpi del tomahawk e del pugnale; la sua arma, anche se con una lama più lunga, non riusciva a colpire l’uomo che, nonostante la sua mole, si muoveva rapido e preciso. Ad un certo punto lei mancò il colpo e girò su sé stessa, sentì un forte calcio nel posteriore e cadde rivolta in avanti gemendo.
Le risate si alzarono fragorose e il capitano allargò le braccia sorridendo – Ma guarda! La nostra ospite preferisce stare a terra e non in un morbido letto profumato… -
Oscar respirò a fondo e si alzò lentamente tornando a fronteggiare l’uomo. Non poteva competere con la sua forza fisica e la sua tecnica, sebbene raffinata e precisa, frutto delle lunghe lezioni con suo padre, a poco serviva contro quelle armi. Se qualcosa doveva usare era la velocità e fu lei a scattare in avanti. Il capitano rimase sorpreso, ma parò gli assalti fino a quando Oscar lo colpì al volto con il paramano della spada.
Un eco di sorpresa si levò dalle file degli spettatori e Travers indietreggiò barcollando per un attimo. La fissò in cagnesco con un rivolo di sangue che gli colava dal naso, masticò e poi sputò del liquido rosso a terra: - Complimenti donna francese…Non sono molti quelli che possono vantarsi di avermi colpito, ma adesso facciamola finita! –
Oscar provò un senso di terrore vedendo l’enorme mole dell’uomo avvicinarsi con le armi in pugno. Era come se una montagna si muovesse e avanzasse dritta verso di lei. Si sentì improvvisamente debole e stanca e desiderò solamente essere di nuovo a casa sua, nella sua Francia e magari con Andrè: “Andrè…Cosa ho mai fatto…Credevo di essere forte abbastanza da sfidare il mondo e ora sono qui, in questo posto sperduto, con un mostro che sta per saltarmi alla gola…Cosa devo fare…Cosa devo fare…” pensò e, improvvisamente, sentì una voce parlare dentro la sua testa: - E’ troppo forte per batterlo a mani nude e sa come parare i colpi di una spada…Devi essere rapida e astuta…Non ti serve la tua arma – e somigliava tanto alla voce di Andrè. Aggrottò la fronte: non usare la spada? Che razza di consiglio era? Come poteva sconfiggere quel colosso senza la sua fedele arma?
In quel momento Travers attaccò e lei si scansò di fianco una volta, due e altre volte facendolo girare a vuoto. Quando si trovò davanti l’enorme schiena dell’uomo capì il senso del consiglio. Aprì la mano lasciando cadere la spada e, con un balzo, gli saltò alla schiena. Circondò il collo dell’avversario con il braccio destro e cominciò a stringere.
Walsingham aggrottò la fronte – Che sta facendo quella donna? Sta abbracciando il capitano? Ma cosa… -
Harrison socchiuse gli occhi – Non lo sta abbracciando Mylord…Lo sta battendo –
 
Travers agitò le braccia in modo scomposto e poi lasciò cadere il tomahawk e il pugnale cercando in tutti i modi di afferrare Oscar e di togliersela dalla schiena. Le afferrò un braccio e le tirò i capelli, ma lei non lasciò la presa e continuò a stringere, sempre di più: “Cadi! Cadi in avanti bestione!” disse e, come se le avesse letto nel pensiero, il capitano appoggiò un ginocchio a terra, seguito subito dopo dall’altro e si piegò in avanti.
Lawrence Travers sentì il fiato mancargli quando cadde a terra. Si mise carponi e, improvvisamente, sentì il peso di Oscar lasciare la sua schiena e i suoi polmoni aspirarono di nuovo l’aria. Si portò una mano al collo, ma, al posto della gola, sentì il freddo acciaio di una lama. Si voltò di lato e vide Oscar, in piedi, ansimante, che teneva la sua spada puntata sotto il suo collo.
Un mormorio si diffuse presto tra gli spettatori e Lord Walsingham, paonazzo in volto, lasciò cadere la sua tazza di the e rientrò nella villa a grandi passi. Harrison sorrise con un ghigno: dopotutto la francese era stata brava. In effetti lui aveva ordinato a Travers di non farle del male, ma non aveva minimamente pensato al fatto che lei potesse vincere. Sospirò e si disse che, dopotutto, il capitano, come ogni ingombrante e fastidioso ex coloniale, non era di certo una gran perdita.
Oscar deglutì – Guardatemi capitano –
Lui la fissò con un misto di odio e curiosità e lei annuì – Ditemi…E’ vero…E’ vero quello che è successo a vostra moglie e vostra figlia a Yorktown? –
L’uomo inspirò a fondo – Ve lo giuro! Per anni mi sono convinto che fosse successo in parte per punirmi di quello che ho fatto durante la guerra…Facevo parte dei Dragoni Verdi del colonnello Tarleton e…E abbiamo compiuto azioni…Di cui non è facile parlare…E di cui non vado fiero…Ma quello che vi ho detto è tutto vero! -
Oscar aggrottò la fronte, Fersen le aveva parlato anche dei Dragoni Verdi, un reparto di cavalleria dell’esercito inglese, ma nato in America durante la guerra. Era comandato da piccoli nobili inglesi, tra cui spiccava il colonnello Banastre Tarleton, il loro comandante ed era composto quasi interamente da coloniali lealisti alla Corona. Indossavano una giubba verde per distinguersi dagli altri reparti inglesi e, a quanto ne sapeva, il colonnello Tarleton era stato un ufficiale scaltro e geniale, ma anche feroce e spietato, soprattutto con la popolazione civile (n.d.a.: i Dragoni Verdi compaiono nel film “Il Patriota” con Mel Gibson, nella pellicola il nome del loro comandante è stato cambiato da Tarleton in Tavington, interpretato da Jason Isaacs, il Lucius Malfoy della saga di Harry Potter). Di quali crimini si fosse macchiato Travers combattendo con i Dragoni Verdi lei non poteva saperlo, ma vedere la propria famiglia bruciare era un qualcosa che non poteva augurare a nessuno, nemmeno ad un nemico. Chiuse gli occhi per un attimo e vide una nave in fiamme, distrutta dai colpi dell’artiglieria e persone urlanti divorate vive dalle fiamme. Vide anche una donna che stringeva al petto una bambina urlante dicendogli, anzi, mentendogli, che tutto sarebbe andato bene. Riaprì gli occhi di colpo e vide lo sconforto e la rabbia nello sguardo dell’uomo sconfitto, ma anche la sincerità.
Strinse le labbra e abbassò la lama. Non era così sciocca da credere che in una guerra fosse tutto uno scambio di onori sui campi di battaglia, ma aveva sempre creduto che certe regole, anche se non scritte, fossero sempre rispettate dai contendenti. Piegò leggermente la testa – Io…Perdonatemi se vi ho dato del bugiardo. E, per quello che vale, vi offro le mie più sentite condoglianze per la vostra perdita…Ma vi posso giurare che farò tutto quello che è in mio potere affinché gli ufficiali di quella nave, l’Esperance, paghino per il loro crimine…Per quello che mi riguarda nessuno ha vinto questo duello –
Il silenzio raggelò il cortile e poi si udì un battere di mani. Il tenente Wesley applaudì, subito imitato dagli altri ufficiali e dai soldati. Travers si alzò lentamente. Rimase per un lungo momento di fronte a Oscar e poi sollevò la mano nel saluto militare. Gli altri graduati si avvicinarono circondandola e facendogli i complimenti, ma poi la folla si aprì improvvisamente a ventaglio all’avanzare del colonnello Harrison che, con un lento battere di mani e un sorriso sinistro in volto, si avvicinò a lei.
Harrison portò una gamba in avanti e fece un profondo inchino – Onore a voi, mon colonel, una splendida vittoria, anche se non convenzionale, ma del resto anche le armi del capitano Travers non lo erano –
Oscar annuì – Qui non ci sono vincitori –
L’altro si avvicinò e lei vide chiaramente i suoi occhi scuri e maligni brillare: - Come dite voi colonnello de Jarjayes, ma questi valorosi ufficiali hanno visto voi trionfare, come pure Sua Grazia Lord Walsingham che, a proposito, si scusa per averci lasciati, ma evidentemente troppo the al mattino fa male…Immagino che ora, dopo aver gustato la nostra ospitalità, ve ne tornerete in Francia, alla vostra reggia, a dire quanto siamo generosi noi inglesi…Vi suggerisco di prendere la strada per Plymouth il prima possibile –
Oscar si sforzò di sorridere – Il suo sembra più un ordine che un suggerimento –
Harrison sorrise di nuovo, questa volta snudando i denti – Diciamo che è…Una forte raccomandazione…Tenente Wesley! –
Il giovane ufficiale si avvicinò e batté i tacchi. Harrison agitò la mano in aria – Il tenente Wesley vi ha portato qui e lui vi accompagnerà al bivio di Kelland Hill a sud…E si assicurerà che facciate un’abbondante e salutare colazione e che prendiate…La giusta decisione –
 
Dopo una colazione consumata davanti a due guardie armate, più simile all’ultimo pasto di un condannato, pensò Oscar, lasciò la costruzione e montò in sella al suo cavallo per abbandonare Lowerfield House, seguita dal tenente Wesley e da un drappello di soldati a cavallo. Nel lasciare quel luogo si girò e vide ad una delle finestre del primo piano una grossa figura in uniforme rossa che sorseggiava una bevanda da una tazza. Sorrise e guardò di nuovo avanti a sé. Vide il capitano Travers di fianco al sentiero che portava alla strada e, dietro di lui, un plotone di soldati schierati. Quando furono vicini l’uomo batté i tacchi e fece il saluto – Presentat-arm! – gridò e i soldati dietro di lui scattarono sull’attenti sollevando i fucili.
Oscar fermò il cavallo e sorrise – Non era necessario capitano –
Lui fece una smorfia che forse voleva essere un sorriso – Di fatto avete vinto voi colonnello, inutile negarlo e…Beh! Mia moglie diceva che non sono mai stato un granché nelle scuse o nei ringraziamenti…Ma il fatto che esistano delle persone come voi in questo mondo balordo, mi fa…Mi fa stare bene, ecco tutto –
Oscar sorrise debolmente – Un ottimo complimento capitano. Spero davvero che possiate trovare la pace e la serenità –
Lui abbassò il braccio e sospirò – Solo un cuore sofferente può riconoscerne un altro colonnello. Anche io vi auguro di trovare davvero quello che state cercando, che sia nella campagna inglese, nella vostra Francia…O in qualunque altra parte del mondo –
Oscar strinse le labbra e alzò il braccio nel saluto, poi lasciò definitivamente quel luogo. Dopo un paio di chilometri con i cavalli al passo raggiunsero il bivio. Una volta fermi Wesley affiancò la sua cavalcatura a quella di Oscar e indicò la strada a destra – Di là c’è la vostra amata Cornovaglia con il castello della strega e Plymouth e poi la Francia – disse e poi indicò la parte opposta – Di là…Il resto dell’Inghilterra –
Oscar sospirò – E immagino che voi dobbiate…Caldamente invitarmi a prendere la direzione di destra –
Il giovane la guardò e poi sorrise – Dovrei…Ma francamente lascio a voi questa decisione. Sarò sincero: ho intrapreso questa carriera solo per volontà della mia famiglia e pensavo prima o poi di togliermi l’uniforme e di dedicarmi alla vita di campagna, come ogni buon gentiluomo inglese, ma quello che ho visto… -
Lei aggrottò la fronte – E cosa avete visto? –
Lui strinse le labbra – Un magnifico ufficiale! L’esempio di tutto quello che ho letto sul fatto di essere un ufficiale ed anche un gentiluomo. Un tipo di combattente a cui spero, un giorno, di somigliare. E credo di averne tutte le qualità…Chissà…Un giorno potrei anche arrivare a comandare un’armata e sconfiggere pure l’esercito francese –
Oscar lo guardò seria e, improvvisamente, gli porse la mano. Lui la strinse con calore e lei annuì – Siate forte…Siate gentile…E combattete con onore, tenente Wesley –
 
Oscar vide il tenente e i suoi soldati allontanarsi e poi rimase ferma al bivio. Guardò alla sua destra: la via di casa, il suo nuovo incarico con le Guardie Francesi e André. Lo aveva invocato durante il duello, ne sentiva disperatamente la mancanza, ma non poteva e non voleva dimenticare quella maledetta notte. Di come si era sentita debole, fragile e alla sua mercé. E, soprattutto, non poteva dimenticare il rumore assordante di quella camicia strappata.
Guardò a sinistra: c’era l’ignoto, la sfida alla minaccia di Harrison, ma anche la soluzione al mistero della pietra e delle sue visioni. Mise una mano nella tasca interna e toccò di nuovo il sasso rosso: ritornare alla sua vita agiata o andare oltre e sfidare gli eventi? Sorrise. In cuor suo sapeva già dove andare, lo aveva sempre saputo, ancora quando aveva varcato la soglia di Lowerfield House.
 
Anni dopo la famiglia del tenente Wesley cambiò il nome in Wellesley e lui avanzò di grado acquistando le mostrine, come d’uso all’epoca, fino al grado di generale. Si distinse in numerose campagne militari che gli diedero il titolo di Primo Duca di Wellington.
Nel 1815, quando, ebbe assunto il soprannome di “Duca di Ferro”, dall’alto di una collina di un luogo dimenticato da Dio chiamato Waterloo, Arthur Wellesley poteva vedere i suoi soldati trionfare ancora una volta in quella che era già stata chiamata la Regina delle Battaglie contro la Grande Armata di Napoleone Bonaparte. Accanto a lui il comandante dei reparti alleati prussiani, il feldmaresciallo Gebhard Leberecht Von Blucher, lo sentì mormorare qualcosa. Il feldmaresciallo rimase di stucco, anche perché la frase appena sussurrata da Wellington era in francese: - Ve lo avevo detto colonnello Oscar…Ve lo avevo detto
Von Blucher non disse o chiese nulla a Wellington, ma per molto tempo si domandò chi mai potesse essere quel “colonnello Oscar”.
(n.d.r.: nella realtà Arthur Wesley – Wellesley Duca di Wellington assunse il grado di tenente nel 1788, un anno dopo il periodo nel quale è ambientato il presente racconto).
   
 
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